Esponi il significato dell’enciclica “Rerum Novarum” ed indica il valore della sua portata storico-politica in Europa

Risposta 1

L’enciclica Rerum Novarum fu emanata nel 1891 da Leone XIII che analizzando le precarie condizioni degli operai nella società moderna fornì le possibili soluzioni. L’enciclica cerca una giusta mediazione tra le parti, garantendo i diritti e i doveri di ognuna: la classe operaia non doveva mettere in atto forme improprie di difesa attraverso le idee di rivoluzione, di invidia ed odio verso i più ricchi ma, doveva prestare fedelmente l’opera pattuita senza recare danno alla proprietà e alla persona dei padroni; i padroni dovevano evitare di ridurre in condizione di schiavitù gli operai impedendo loro la pratica religiosa mediante orari di lavoro eccessivi, ma dovevano pagare il giusto salario al lavoratore. Veniva auspicato un accordo tra le classi con l’istituzione di organizzazioni miste di padroni e operai escludendo del tutto lo sciopero come strumento di lotta. Il testo, dunque, tende a tutelare i lavoratori pur riconoscendo le fasce privilegiate e denunciando il pericolo di ateismo e di rivoluzione sociale insito nelle ideologie socialiste e comuniste per la lotta di classe. L’enciclica fornì un’alternativa politica al socialismo e al capitalismo europeo: in tutta Europa si moltiplicarono le società cattoliche e nacquero le prime banche cooperative.

Risposta 2

Leone XIII emanò l’enciclica Rerum Novarum nel 1891, dedicandosi a una trattazione della questione sociale, e in particolar modo di quella operaia. Sebbene la posizione della Chiesa restasse molto lontana da quella socialista, criticandone l’impostazione classista, rappresentò comunque la base di un nuovo e più attivo ruolo della Chiesa nell’organizzazione dei movimenti operai. Accanto al dovere per i lavoratori di essere laboriosi e del rispetto per le gerarchie, stava il dovere dei proprietari delle aziende di retribuire i propri dipendenti con il giusto salario, rispettando la loro dignità e non accomunando il loro lavoro a una merce da acquistare al minor prezzo. Nell’enciclica veniva inoltre promossa la formazione di società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani; ciò permise in tutta Europa la nascita di associazioni dei lavoratori che ebbero una forte impronta classista e i cui metodi di rivendicazione non differivano molto da quelli delle organizzazioni socialiste.

 

Spiega perché il brigantaggio nell’Italia post-unitaria si configura come l’esito inevitabile della mancata riforma agraria

Risposta 1

Nel 1860 l’esercito garibaldino sconfisse il regime borbonico e il Meridione venne annesso ai Savoia. Tra le ragioni del grande successo di Garibaldi nel mondo contadino meridionale vi era l’aspirazione al riscatto sociale espressa dalla riforma agraria: il possesso delle terre che avrebbe trasformato i contadini da braccianti in piccoli proprietari. Ma, la nuova classe dirigente non compì questa scelta anzi assegnò le terre sottratte alla Chiesa ai grandi proprietari terrieri mantenendo ancora viva la distinzione tra latifondisti e la massa di braccianti sempre più poveri. A questo si aggiunse l’aumento della pressione fiscale che gravava soprattutto sugli strati più bassi della popolazione e la leva militare obbligatoria per due anni. Si comprende così quanto il mondo contadino meridionale si sentisse tradito dopo aver fornito un grosso contributo alla causa nazionale. Infatti, migliaia di ribelli si diedero alla macchia derubando i ricchi latifondisti e portando avanti una guerriglia antiunitaria, fomentati dai borbone e dal papa a combattere contro l’esercito piemontese. La sollevazione sociale fu soprattutto il prodotto di un incontenibile disagio sociale.

Risposta 2

I contadini meridionali avevano sperato che, con l’unificazione nazionale, sarebbe finalmente terminata la lunga epoca di servaggio e di miseria a cui erano stati costretti per secoli; all’arrivo delle truppe garibaldine si diffuse quindi un’ondata di euforia, che portò i contadini a occupare i grandi latifondi dei proprietari assenteisti. La reazione dell’esercito garibaldino e del governo piemontese a tali aspettative fu però assai diversa da quella che si attendevano i braccianti senza terra, come dimostra l’eccidio dei contadini occupanti compiuto da Bixio nella piana di Bronte, nel 1860. Il nuovo stato unitario, oltre a non espropriare i latifondi, colpì la popolazione contadina con provvedimenti che, per le condizioni socio-economiche del Sud e per la loro differenza rispetto alle norme vigenti sotto i Borboni, suscitarono l’opposizione popolare: particolarmente osteggiate furono, oltre alla mancata redistribuzione delle terre ai contadini – che era stata invece promessa dai garibaldini per riscuotere consenso popolare alla loro operazione -, la forte pressione fiscale e la coscrizione obbligatoria

Spiega gli aspetti del New Deal di F.D.Roosevelt

Per superare la crisi del ’29, il presidente degli Stati Uniti Roosevelt decise di avviare un intervento statale nell’economia e una politica di ridistribuzione della ricchezza. Il complesso della sua politica viene indicato con il nome New Deal, un nuovo corso per migliorare le condizioni economiche e sociali del paese. Il programma di riforme prevedeva una ridistribuzione delle ricchezze in modo tale da diminuire la distanza sociale tra i cittadini, infatti le tasse vennero distribuite in modo proporzionale ai redditi e vennero utilizzate per la costruzione di opere pubbliche che potessero fronteggiare la disoccupazione. Inoltre per riequilibrare i redditi tra industria e agricoltura e sostenere la domanda interna del paese garantendo anche l’ampliamento del mercato per i prodotti industriali, furono sovvenzionati gli agricoltori e regolata la produzione in modo da limitare i fallimenti e alzare salari e profitti. Queste misure portarono ad un netto intervento dello stato in economia, che si inserì nel libero gioco della concorrenza tra imprenditori pur senza danneggiare i grandi gruppi industriali. Ma, anche se in contrasto con i canoni del capitalismo, il New Deal riuscì nella ripresa economica del paese che continuò a rappresentare la patria del capitalismo

Spiega le cause e le immediate conseguenze del patto Molotov-Ribbentropp

La teoria militare e razziale di Hitler sullo spazio vitale cioè sulla necessità per il popolo tedesco e quindi per la razza ariana di espandersi ad est, lo portò nell’agosto del ’39 a stipulare il patto Molotov-Ribbentropp, dal nome dei due ministri russo e tedesco che lo firmarono. Il patto prevedeva l’attacco alla Polonia da parte delle due potenze che stabilirono anche le rispettive zone di influenza, l’occidente ad Hitler, la zona del baltico a Stalin. Il patto fu siglato nonostante i regimi dei due paesi fossero nemici, uno comunista l’altro nazista. Infatti, nacque da considerazioni di opportunità: Hitler poteva tenere fuori dalla guerra l’Urss impegnandosi solo sul fronte anglofrancese e Stalin che non si fidava dei paesi occidentali si manteneva neutrale nella successiva guerra evitando l’attacco tedesco e approfittando per espandersi sul Baltico. L’occupazione effettiva della Polonia, già stabilita dal patto segreto tra le due nazioni, avvenne il 1° settembre dello stesso anno. Fu allora che la Francia e l’Inghilterra abbandonarono la politica di appeasement, dichiararono guerra alla Germania dando inizio così alla Seconda Guerra Mondiale

La partecipazione degli Stati Uniti al secondo conflitto mondiale risultò decisiva per le sorti della guerra. Indica quali furono gli interventi determinanti per la risoluzione del conflitto

Allo scoppio della guerra gli Stati Uniti erano intervenuti solo assegnando forti sovvenzioni all’Inghilterra. Con l’attacco giapponese a Pearl Harbor gli Stati Uniti entrarono effettivamente in guerra ed il loro impegno fu enorme. Combatterono nel Pacifico contro il Giappone che riuscirono a sconfiggere nella battaglia di Guadalcanal e nel nord Africa contro italiani e tedeschi che dovettero abbandonare la Libia e la Tunisia. Liberarono l’Italia dal nazifascismo, prima con lo sbarco in Sicilia e poi con l’appoggio ai partigiani italiani impegnati a sconfiggere i tedeschi. Gli interventi determinanti per la risoluzione del conflitto furono in Europa, la partecipazione allo sbarco in Normandia a fianco degli inglesi con i quali riuscirono ad aiutare la Francia a liberarsi dell’ingerenza tedesca, nel Pacifico i bombardamenti atomici ai danni di Hiroshima e Nagasaki che sconfissero definitivamente il Giappone e segnarono la fine del secondo conflitto mondiale.

Quali furono le conseguenze dell’attacco giapponese a Pearl Harbor?

Nel 1941 le navi nel porto statunitense di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, vennero attaccate e annientate da aerei giapponesi senza che ci fosse stata alcuna dichiarazione di guerra. La reazione statunitense fu immediata, e mentre l’intero paese si preparava ad entrare in guerra, ricevette la dichiarazione di guerra da Italia e Germania. Gli Stati Uniti combatterono nel Pacifico contro il Giappone, in Europa a fianco degli anglofrancesi contro i tedeschi. Fu così che il conflitto assunse carattere “mondiale” perché combattuto su più parti in tutto il pianeta e gli Stati Uniti potettero determinare la loro futura posizione di superpotenza mondiale grazie alle vittorie riportate in tutte le battaglie.

Quali furono i rapporti tra il Fascismo e la Chiesa?

Ai suoi inizi il movimento di Mussolini era apertamente anticlericale e ostile alla Chiesa, lo squadrismo fascista infatti colpì duramente i preti e le associazioni cattoliche. Ma Mussolini una volta al potere, nell’intento di fortificare il suo regime totalitario cercò di realizzare forme di controllo sulla Chiesa senza però riuscire mai a sottometterla completamente al regime. Egli ritenne di poter ottenere il consenso dei cattolici al regime firmando con il papa Pio XI nel 1929 i Patti Lateranensi che accordavano alla Chiesa molti privilegi sul piano dell’istruzione, della legislazione matrimoniale, affidandole anche compensi economici per quanto le era stato sottratto in epoca risorgimentale. Firmando il concordato il papa legittimò il fascismo anche se la Chiesa non accettò mai che le proprie organizzazioni fossero sottoposte al controllo del regime ma con esso sperò di poter ottenere la cancellazione dalla scena italiana del liberalismo e del socialismo per rilanciare una vera e propria riconquista cristiana dell’Italia

Le elezioni politiche in Italia del 1919, effetti e conseguenze del sistema proporzionale

Nel novembre del 1919 si svolsero le prime elezioni politiche con il sistema proporzionale. Questo sistema non favoriva, come in passato accadeva per i sistemi maggioritari, i singoli partiti più influenti a livello locale, ma invece assegnava i seggi ai diversi partiti in proporzione ai voti ottenuti. I risultati videro una netta sconfitta per il partito fascista e un gran successo per il partito socialista e per il nuovo partito cattolico popolare fondato da Don Sturzo, due partiti che poterono contare su una penetrazione forte presso i ceti popolari. Da ricordare infatti che oltre al sistema proporzionale fu adottato anche per la prima volta il suffragio universale che portò al voto le masse operaie e contadine. Con il sistema proporzionale, per la prima volta le masse popolari godettero di un’effettiva rappresentanza sociale e politica in parlamento, maturando una maggior coscienza dei propri diritti e del proprio ruolo nella vita nazionale. Questo sistema seppur rappresentò effettivamente le opinioni politiche dei cittadini, non garantì la maggioranza a causa delle divisioni interne e tra i partiti.

La politica di Roosevelt dopo il crollo di Wall Street

Il crollo della Borsa di New York, con sede a Wall Street, avvenuto il ventiquattro ottobre 1929, il cosiddetto “giovedì nero”, segna l’inizio di una crisi del sistema economico che dall’America si diffonde rapidamente in tutto il mondo. Le ragioni di questo crollo sono state: l’enorme sovrapproduzione di merci che il mercato non era in grado di assorbire e le attività di speculazione in Borsa. Per risanare l’economia, pertanto, il presidente democratico Rooselvelt promosse un vasto programma, passato alla storia come New Deal. Esso si fonda su due principi fondamentali:

  • il rilancio dell’economia, attuabile attraverso il rilancio della domanda interna, cioè migliorando i redditi dei cittadini americani con interventi sociali volti ad abolire la miseria e la disoccupazione;
  • l’intervento diretto dello Stato nell’economia, ponendo sotto controllo il sistema bancario e le grandi corporations per impedire il ripetersi delle speculazioni in Borsa, incrementando la domanda e sostenendo direttamente le imprese produttrici. Infine, il New Deal favorì anche i consumi dei ceti meno abbienti, riuscendo a conciliare la ripresa dell’economia con l’allargamento del benessere.

 

Le trasformazioni del tessuto economico e sociale durante l’età giolittiana

Giovanni Giolitti, liberale progressista, domina la politica italiana nei primi quindici anni del XX secolo, operando una svolta significativa nel sistema politico. La sua strategia mira a conciliare gli interessi della borghesia industriale con le aspirazioni del proletariato urbano ed agricolo. Ciò avviene in una fase della storica caratterizzata da un enorme sviluppo economico, maturato in seguito al decollo industriale, e da un’intensa modernizzazione della società italiana. Infatti, si svilupparono nuovi settori industriali, quali quello siderurgico, tessile con i cotonifici della Lombardia, del Veneto, della Campania, idroelettrico, meccanico. E’ in questa fase storica, detta età giolittiana, che nascono nuovi settori industriali come l’elettromeccanico, l’automobilistico con il crescente sviluppo della Fiat. Con l’industrializzazione, quindi, si diffondono nuovi, ma connessi, fenomeni che determinano ingenti trasformazioni urbane e sociali. Primo fra tutti è l’urbanesimo, cioè il trasferimento della popolazione dalla campagne nelle città, sede sia di manifatture ed industrie, sia del sistema economico con le banche, la Borsa, gli uffici. Altro fenomeno collegato, infine, è la crescita e l’affermazione del proletariato industriale.

La grande depressione e le risposte del capitalismo

Con l’espressione “grande depressione” s’intende la prima grande crisi del capitalismo, sviluppata nel periodo 1873 – 1896. La causa immediata fu il boom speculativo del 1871 – 1873 che investì tutti i paesi europei in seguito alla conclusione della guerra franco – prussiana. A questa, che fu la classica goccia che fece traboccare il vaso, seguirono cause strutturali quali, la crisi del settore ferroviario con l’arresto degli investimenti, la concorrenza americana in agricoltura con costi di produzione assai ridotti, resi possibili grazie ad una coltivazione estensiva e meccanizzata, lo sviluppo di nuove potenze industriali come la Russia, il Giappone e la Germania. Fu, quindi una crisi di nuovo tipo e nuove furono, pertanto, le risposte messe in atto dal capitalismo. Infatti, per fronteggiare la crisi economica i capitalisti europei attuarono la politica del protezionismo, cioè adottarono tariffe doganali protettive ed imposero dazi sulle importazioni di merci. Inoltre, ogni Stato si assumeva il compito di regolare gli squilibri dello sviluppo industriale, proteggendo l’industria nazionale dalla concorrenza degli altri paesi. Infine, le principali potenze europee iniziarono la conquista dei mercati coloniali, il cosiddetto imperialismo, cioè il predominio economico, militare e politico in nuove zone del mondo, come l’Asia e l’Africa.

L’ideologia fascista alla sua nascita

Nel difficile contesto del dopoguerra, caratterizzato dalla perdita di peso politico del Partito liberale e dai dissidi interni al Partito socialista diviso in tre linee di pensiero e di azione, l’ex – socialista Benito Mussolini fondò, il 23 marzo 1919, un nuovo movimento, noto come i Fasci di combattimento. Il programma di questo movimento, definito programma di San Sepolcro, prevedeva l’instaurazione della repubblica ampiamente autonoma rispetto al potere regionale e comunale, il suffragio universale femminile, l’istituzione del referendum popolare, l’eliminazione della polizia politica, dei titoli nobiliari. Inoltre prevedeva il pagamento dei debiti dello Stato da parte di classi più facoltose, la lotta alle speculazioni in Borsa, la riduzione della giornata lavorativa ad otto ore. A novembre 1921, durante il terzo congresso nazionale fascista di Roma, fu fondato il Partito nazionale fascista che annovera tra le sue fila il ceto medio, la piccola borghesia, e, poi, anche gli esponenti della classe politica liberale, gli organi periferici dello Stato e l’esercito. Tra il 28 e il 30 ottobre 1922, Mussolini, dopo l’invito del re Vittorio Emanuele III, si recò a Roma per formare un nuovo governo che originariamente assunse i caratteri di un regime conservatore e chiaramente schierato con la grande borghesia, successivamente totalitario, in quanto impegnato in un’ingente opera di fascistizzazione, cioè di obbligo di consensi nel popolo, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, il dopolavoro.

Il programma del partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi

Il Partito tedesco, di estrema destra, al quale aderì Adolf Hitler, fu, nel febbraio del 1920, da Hitler stesso, trasformato in Partito nazionalsocialista del lavoratori. I suoi iscritti furono contraddistinti dalle camice brune e dal segno della croce uncinata o svastica sul braccio. Il programma di tale partito era caratterizzato dall’annientamento di ogni opposizione al nuovo regime, abolendo la libertà di associazione e sopprimendo conseguentemente i partiti politici rivali con l’impiego di una nuova polizia,la Gestapo. Inoltre, il programma prevedeva l’antisemitismo, cioè l’attuazione di una spietata persecuzione degli Ebrei, ritenuti razza impura ed assolutamente inferiore rispetto alla razza ariana. Culmine di questo aspetto del programma fu la creazione di campi di concentramento, dotati di camere a gas progettate allo scopo di realizzare lo sterminio completo dei deportati (ebrei, oppositori del regime, zingari).

L’interpretazione storiografica marxista del fascismo

Il fascismo, regime totalitario realizzato da Benito Mussolini in Italia tra il 1921 e il 1926, è stato variamente interpretato dai critici. L’interpretazione che si è fatta sempre più strada tra gli intellettuali è quella elaborata dalla tradizione marxista che ha letto il fascismo come una lotta di classe, cioè una lotta attuata dal “partito unico della borghesia”, che ingloba in sé la piccola borghesia risparmiatrice, il ceto medio burocratico e commerciale, il variegato mondo del capitalismo. Infatti, Mussolini, sul piano economico, accorda ogni libertà di iniziativa ai capitalisti per agevolarne le attività. È, quindi, convinto che il capitalista deve investire denaro nella propria attività per ottenere alla fine più denaro. È questo il ciclo economico peculiare del capitalismo fascista attribuibile all’ideologia elaborata da Marx.

Le varie forme che il nazionalismo assunse in Europa alla vigilia della I guerra mondiale

Alla vigilia della I guerra mondiale maturava la progressiva affermazione del nazionalismo come ideologia di massa, capace di penetrare a fondo nel tessuto sociale, fino ai lavoratori e alla piccola borghesia. Così, si realizza quella integrazione del popolo nella “patria”. Il nazionalismo è, dunque, alla base delle questioni di attrito tra gli Stati europei. Infatti, il contrasto tra la Germania e l’Inghilterra, nato in seguito alla politica espansionistica inaugurata da Guglielmo II che intendeva dotarsi di una flotta da guerra per incrementare la corsa alle colonie, si acuisce ancor di più quando l’ imperatore tedesco mostrò di assecondare quelle spinte nazionalistiche che attraversavano l’opinione pubblica promuovendo la creazione di una grande nazione tedesca, caratterizzata dall’unione di tutti i territori europei abitati da tedeschi. Questo programma nazionalista, appoggiato dalle forze liberali e conservatrici, incrementò l’idea di una grande “guerra rigeneratrice”capace di permettere la creazione di un nuovo ordine in Europa. Infine, i conflitti nazionalistici balcanici rappresentavano un altro focolaio di tensioni. Infatti, da un alto vi era la lotta dei croati e degli sloveni per raggiungere l’indipendenza nazionale; dall’altro vi erano i conflitti nazionalisti interni all’impero ottomano.

L’uccisione dell’erede al trono asburgico a Sarajevo è soltanto la causa scatenante della prima guerra mondiale: indicare le cause di lungo periodo

L’uccisione dell’erede al trono Francesco Ferdinando costituisce solo la causa scatenante del primo conflitto mondiale. Infatti erano presenti tra gli stati altri contrasti. Innanzitutto c’era un’ostilità tra Francia e Germania perché quest’ultima aveva annesso l’Alsazia e la Lorena. Poi la Germania era insoddisfatta perché aveva avito un ruolo secondario nella spartizione dell’Africa e dell’Asia. Ancora l’Austria e la Russia avevano interessi comuni e contrastanti nei Balcani. Infine la Germania aveva costruito un’imponente flotta per contrastare la superiorità navale britannica.

Dire sinteticamente quali provvedimenti caratterizzarono il New Deal di Roosevelt

Con l’espressione New Deal si indicano i provvedimenti presi da Roosevelt per fronteggiare la crisi economica del 1929. Innanzitutto il dollaro fu svalutato per rialzare il livello dei prezzi; furono incentivati i lavori pubblici finanziati dallo Stato per ridurre la disoccupazione; furono ridotte le ore di lavoro e aumentati dei salari nelle fabbriche; furono imposti dei prezzi minimi di prodotti per evitare la concorrenza sleale; fu riorganizzato dallo Stato il sistema bancario; fu attuato un controllo sule borse e sul mercato delle azioni; furono ridotte le colture (esempio cotone e grano) dei prodotti difficilmente smerciabili; lo Stato si accollò parte delle ipoteche che opprimevano gli agricoltori

Spiegare perché la seconda guerra mondiale assume, ancor più della prima, le caratteristiche di guerra totale

La Seconda Guerra Mondiale, così come la prima, è un conflitto definito “mondiale” appunto perché vi parteciparono nazioni di tutti i continenti e gli scontri si svolsero in gran parte del pianeta. I sei anni di duro combattimento provocarono più di 50 milioni di morti, dovuti soprattutto al genocidio degli Ebrei nei campi di concentramento messo in atto da Hitler. In questo conflitto, inoltre, gli uomini utilizzavano

armi di distruzione di massa sempre più potenti fino all’utilizzo dell’ordigno atomico che, se fosse stato usato da tutte le nazioni, avrebbe provocato la scomparsa del genere imano dalla pianeta. Fu guerra totale anche perché fu uno scontro ideologico che vide contrapposti i regimi totalitari, i governi democratici e i sistemi comunisti.

Come si può giustificare la seguente affermazione: “l’aggressione fascista all’Etiopia produce come conseguenza la fine del ruolo di grande potenza conseguito dall’Italia alla fine della prima guerra mondiale”?

Nel 1929 Mussolini volle riprendere la politica espansionistica perché voleva ricostruire un impero sul modello di quello romano e perché voleva rivendicare la sconfitta subita nel 1896 ad Adua. La conquista dell’Etiopia cominciò nl 1935 e si concluse l’anno seguente con la conquista italiana e con l’incoronazione imperiale di re Vittorio Emanuele III. Questo attacco, però, fu condannato dalla Società delle Nazioni. L’Etiopia, infatti, era membro della Società delle Nazioni e l’Italia, attaccandola, aveva violato un suo articolo che affermava che chiunque avesse attaccato un componente della Società aveva attuato un atto di guerra contro tutti i paesi che ne facevano parte. Per questo motivo la Società delle Nazioni applicò pene economiche contro l’Italia. Il dominio italiano sull’Etiopia durò solamente cinque anni. Infatti, durante la seconda guerra mondiale, nel 1941 l’esercito britannico liberò l’Etiopia dal dominio fascista. Ecco giustificata l’affermazione secondo la quale, in seguito alla vicenda della guerra di Etiopia, l’Italia perse il ruolo di grande potenza che aveva acquisito alla fine della prima guerra mondiale.

Che cosa si intese negli anni del Secondo Dopoguerra per “coesistenza pacifica”?

All’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, il mondo si trovò diviso in due blocchi contrapposti: l’Occidente sotto il controllo degli Stati Uniti e l’Oriente sotto il controllo dell’URSS. Tra le due superpotenze iniziò la Guerra Fredda, una guerra, cioè, non combattuta con le armi, ma a livello politico ed economico. Alla guerra fredda segue un periodo di “coesistenza pacifica” nel quale i rapporti tra Usa e Urss si distendono: entrambi gli schieramenti, infatti, possedevano la bomba atomica e c’era il rischio dello scoppio di un conflitto nucleare. Inoltre in tutto il mondo c’era stato il processo di decolonizzazione che aveva comportato per Usa e Urss nuove responsabilità economiche, politiche e militari.

Il candidato illustri brevemente cosa si vuole intendere con l’espressione “guerra fredda”

La guerra fredda è il conflitto che vide contrapporsi, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, le due superpotenze, gli Stati Uniti e l’URSS. Non fu una guerra combattuta con le armi, in quanto c’era la paura che queste superpotenze potessero utilizzare il nucleare e distruggersi a vicenda. Fu piuttosto un combattimento effettuato a livello politico-economico e diplomatico e ci furono anche guerre locali combattute soprattutto nel Terzo Mondo. A contrapporsi furono in primo luogo le ideologie: gli USA erano capitalisti, mentre l’URSS era comunista. Simbolo della Guerra Fredda fu il muro di Berlino, eretto nel 1961. Esso, simbolicamente, divideva il mondo in due blocchi: quello Occidentale sotto l’influenza degli USA e quello orientale sotto l’URSS. La fine della Guerra Fredda cominciò con la caduta del muro di Berlino nel 1989. Seguirono il crollo del comunismo, la riunificazione delle due Germanie nel 1990 e la disgregazione dell’URSS nel 1991.

Il candidato illustri brevemente le circostanze che condussero allo scoppio della guerra civile in Spagna nel 1936

Nel 1931 il re spagnolo Alfonso XIII lasciò il paese in quanto alle elezioni avevano vinto le forze di sinistra. La Spagna si dichiarò repubblica e si diede una costituzione democratica. Le forze di sinistra vollero dare un nuovo volto alle arcaiche strutture economiche e sociali del paese. Ma nel 1933 ci furono nuove elezioni che videro la vittoria dei conservatori, degli anarchici e dei monarchici i quali si opponevano alla riforma e cancellarono molti provvedimenti presi dal governo precedente. Ciò creò il malcontento della popolazione le cui manifestazioni e scioperi furono repressi duramente. Si giunse così in un clima rovente alle elezioni del 1936. A vincere furono le forze di sinistra, ma l’esercitò non accettò questi risultati e, guidato da Francisco Franco, si ribellò al potere centrale. Il governo cercò di fronteggiare la situazione, ma l’esercitò occupò militarmente alcune regioni del paese e bloccò addirittura i confini con Francia e Portogallo. Il governo, quindi, distribuì le armi al popolo e iniziò una terribile guerra civile che durò 3 anni e che vide la vittoria di Francisco Franco e l’instaurarsi in Spagna di un regime totalitario. Questa triste guerra civile viene ricordata anche dal pittore Pablo Picasso in un suo celebre quadro, Guernica, prima città ad essere rasa al suolo dagli attacchi aerei.

Gli anni 1870-1914 sono stati definiti come “età dell’imperialismo”o come “età della seconda rivoluzione industriale”. Spiega le due definizioni.

Il termine “imperialismo” indica la tendenza di uno stato ad esercitare un controllo nei vari campi, diretto o indiretto, su un altro paese più debole. Negli anni 1870-1914, il colonialismo avanzò a un ritmo più rapido rispetto al passato e si incrinarono i rapporti tra le potenze che diventarono sempre più ostili. Nei paesi che attuavano l’imperialismo erano molto diffuse idee nazionaliste e razziste, mentre in quelli che la subivano nacquero idee di indipendenza.

Con l’espressione “seconda rivoluzione industriale” si indicano tutti i progressi tecnologici avvenuti nella seconda metà dell’Ottocento. In questo periodo furono scoperte nuove forme di energia (come, ad esempio, il petrolio e l’elettricità), nacquero nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto e si ebbe uno sviluppo notevole nel campo delle scienze (in particolare della medicina) e del commercio.

La guerra fredda

La guerra fredda è il conflitto che vide contrapporsi, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, le due superpotenze, gli Stati Uniti e l’URSS. Non fu una guerra combattuta con le armi, in quanto c’era la paura che queste superpotenze potessero utilizzare il nucleare e distruggersi a vicenda. Fu piuttosto un combattimento effettuato a livello politico-economico e diplomatico e ci furono anche guerre locali combattute soprattutto nel Terzo Mondo. A contrapporsi furono in primo luogo le ideologie: gli USA erano capitalisti, mentre l’URSS era comunista. Simbolo della Guerra Fredda fu il muro di Berlino, eretto nel 1961. Esso, simbolicamente, divideva il mondo in due blocchi: quello Occidentale sotto l’influenza degli USA e quello orientale sotto l’URSS. La fine della Guerra Fredda cominciò con la caduta del muro di Berlino nel 1989. Seguirono il crollo del comunismo, la riunificazione delle due Germanie nel 1990 e la disgregazione dell’URSS nel 1991.

Il candidato illustri brevemente cosa si volle intendere con politica dell’appeasement

L’appeasement fu una politica adottata da Francia e Inghilterra negli anni Trenta del Novecento per placare l’attività espansionistica di Hitler ed evitare lo scontro armato con la Germania. Hitler, infatti, stava riportando la Germania all’antico splendore, venuto meno in seguito alla sconfitta del paese nella prima guerra mondiale e ai duri trattati di pace. Ai paesi europei era ormai evidente che le azioni politiche, economiche e militari del Fuhrer tedesco avrebbero portato allo scoppio di un conflitto, ma Francia e Gran Bretagna ritenevano fosse necessario evitare di ricorrere alle armi. In Gran Bretagna la politica dell’appeasement aveva condotto l’opinione pubblica a ritenere ingiusti i provvedimenti del Trattato di Versailles nei riguardi della Germania e così i politici, fra i quali Chamberlain, decisero di assecondare alcune richieste di Hitler. La Francia, invece, temeva di non essere in grado di affrontare un nuovo conflitto mondiale perché il paese era in ginocchio a livello economico e lacerato politicamente al suo interno. Questa politica, però, fallì. Infatti nel 1938 Hitler conquistò l’Austria e firmò con Francia e Inghilterra il progetto di intesa di Mussolini che accoglieva tutte le richieste del Fuhrer per occupare il territorio dei Sudeti. Se da un lato questo pattò evitò momentaneamente lo scoppio del conflitto, dall’altro dimostra anche l’incapacità di Francia e Regno Unito di opporsi alle richieste di Hitler che approfittò della situazione per continuare la sua espansione fino ad arrivare alla dichiarazione di guerra in seguito all’invasione della Polonia nel 1939.

Luigi Sturzo e la nascita del Partito Popolare Italiano

Il Partito Popolare Italiano è nato nel 1919. Fu fondato da don Luigi Sturzo ed era ispirato alla dottrina sociale della Chiesa cattolica. Rappresenta il ritorno alla partecipazione alla vita politica dei cattolici, che ne erano stati esclusi in seguito alla Non expedit di Pio IX. Il Partito Popolare Italiano, pur se riuniva i cattolici, era un partito laico e interclassista che non voleva dipendere dalla gerarchia cattolica. Proponeva riforme democratiche come l’ampliamento del diritto di voto da estendere anche alle donne. Inoltre si esaltava la Società delle Nazioni, il ruolo principale della famiglia, il ruolo dei sindacati, la libertà di insegnamento, l’autonomia degli enti pubblici e il decentramento amministrativo. Le idee del PPI si diffusero in tutta Italia grazie al ruolo dell’Azione Cattolica al nord, alle leghe dei contadini al centro e alla società di mutuo soccorso al Sud. Il partito conobbe il suo periodo di maggior successo tra il 1919 e il 1921. Con l’ascesa di Mussolini, infatti, la situazione cambiò notevolmente. In questi anni il PPI, sebbene fosse il primo tra i partiti non fascisti, non riuscì ad impedire l’instaurazione della dittatura di Mussolini. In seguito all’assassinio di Matteotti, i membri del PPI parteciparono alla secessione dell’Aventino e molti, fra cui anche Sturzo, furono costretti all’esilio o si dovettero ritirare dalla vita politica e sociale.

La condizione della donna durante il fascismo

Il fascismo si fece promotore di un ritorno ai costumi tradizionali dell’Italia contadina e per questo propagandò l’immagine della donna come angelo del focolare, attribuendole una nuova importanza anche in relazione alla politica demografica di espansione che portava avanti: la donna infatti era vista soprattutto come madre, circondata da una schiera numerosa di figli. Cercò di bloccare quindi il processo di emancipazione femminile, provando a ostacolare il lavoro delle donne, senza però ottenere grande successo. Furono istituite numerose associazioni che avrebbero dovuto inquadrare le donne e indottrinarle al nuovo stile di vita promosso dal regime: I fasci femminili, le Piccole e le Giovani Italiane e le Massaie rurali. Tali organizzazioni si rivelarono poco vitali e non riscossero grande consenso.

 

Chi erano gli interventisti e i neutralisti alla vigilia della prima guerra mondiale

A favore dell’intervento si erano schierati innanzitutto i nazionalisti, che volevano approfittare della guerra per dare voce alle loro pretese imperialiste; per motivazioni opposte, anche alcuni gruppi dell’estrema sinistra si erano schierati a favore dell’intervento, considerando la guerra uno strumento per rovesciare gli assetti internazionali e gli equilibri sociali all’interno dei singoli stati; sul fronte conservatore, si registrò una posizione più prudente, espressa dalla linea tenuta dal presidente del consiglio Salandra e dal ministro degli esteri Sonnino, i quali ritenevano che rimanere neutrali avrebbe indebolito il prestigio dell’Italia all’estero. Sul fronte opposto invece si ritrovarono i seguaci di Giolitti, il quale riteneva che una politica neutrale avrebbe permesso all’Italia di ottenere dall’Austria le terre irredente; i cattolici sposarono la linea del pacifismo, dettata da Benedetto XV; vi erano infine i socialisti che, con l’eccezione di Mussolini, che si schierò per l’intervento, dichiararono la loro ferma opposizione all’entrata in guerra. Sebbene minoritaria, lo schieramento interventista era molto più compatto e riuscì a far presa tra l’opinione pubblica borghese.

 

Cause remote e immediate della prima guerra mondiale

Tra le cause più profonde della prima guerra mondiale dobbiamo annoverare lo spirito espansionistico della Germania, che allarmava l’Inghilterra, e la tensione nei Balcani tra l’Austria e la Russia. Questa era dovuta alla questione dei popoli slavi, di cui la Russia si ergeva a protettrice, che abitavano la Bosnia e l’Erzegovina, annesse dall’impero austriaco. Una serie di guerre nei Balcani, nel primo decennio del secolo, portò a un rafforzamento della Serbia, il più grande stato jugoslavo della regione, che si contrapponeva apertamente alle mire espansionistiche dell’Austria e fomentava i movimenti indipendentisti degli slavi dell’impero. Si deve aggiungere inoltre il risentimento che animava la Francia nei confronti della Germania, il cosiddetto “revanchismo”, dovuto all’umiliazione subita a Sedan nel 1870. L’attentato di Sarajevo all’arciduca austriaco da parte di uno studente bosniaco, che portò allo scoppio della guerra, fu la goccia che fece traboccare il vaso dei contrasti interetnici interni all’impero e che mise in moto una reazione a catena, dovuta alle alleanze che legavano a doppio filo le potenze europee: la Germania approfittò del patto che la legava all’Austria per dare sfogo alle proprie mire espansionistiche; la Russia si schierò a fianco della Serbia, coinvolta nell’attentato, provocando l’entrata in guerra della Francia, sua alleata.

 

Quali conseguenze ha provocato la suddivisione in due blocchi dell’Europa e del mondo avvenuta dopo la Seconda Guerra Mondiale?

L’irrigidimento tra Usa e Urss all’indomani del conflitto portò a una divisione netta tra i Paesi del blocco comunista e quelli del blocco sovietico. L’effetto di tale irrigidimento si ripercosse in Europa soprattutto in merito alla questione dell’assetto da riservare alla sconfitta Germania. Fu a causa della diffidenza che regnava tra le due superpotenze che si giunse alla spartizione dello stato tedesco in due differenti repubbliche, una d’ispirazione sovietica e l’altra con l’appoggio statunitense, inglese e francese; tale situazione, con l’insediamento di numerosi governi soggetti al potere sovietico nei paesi dell’Europa dell’Est, portò Churchill a coniare la fortunata definizione di “cortina di ferro”, per indicare la divisione dell’Europa in Paesi filo-sovietici e occidentali. Anche nel resto del mondo si ebbe un aumento delle tensioni in quelle zone che erano contese tra le due superpotenze: fu così in America Latina e a Cuba, e nel sud-est asiatico, con le guerre in Corea e in Vietnam e la spartizione di tali stati.

 

L’importanza del problema delle “Riparazioni”, motivo della grande conflittualità che si scatenò in Europa dopo la prima guerra mondiale

Le riparazioni che le potenze vincitrici pretesero dalla sconfitta Germania al tavolo della pace furono lo strumento con cui si voleva impedire la ripresa della grande potenza economica e politica tedesca; fu una commissione, nel 1921, a stabilirne l’ammontare: si trattò di più di 130 miliardi di marchi, che la Germania avrebbe dovuto versare in 42 rate annuali; tale cifra corrispondeva a un quarto del prodotto nazionale. Tale decisione provocò un’ondata di risentimento, nel popolo tedesco, nei confronti delle nazioni europee vincitrici, favorendo la diffusione di gruppi nazionalisti di estrema destra, tra cui il partito nazionalsocialista di Hitler. Sul piano dell’economia, inoltre, la volontà dei governi tedeschi di rispettare l’onere del pagamento innescò una spaventosa ondata inflazionistica, in quanto si cercò di far fronte alle rate aumentando la stampa di carta moneta.

 

A che periodo può farsi risalire l’avvio della “questione femminile”?

Un primo tentativo di emancipazione da parte delle donne si ebbe a cavallo tra 800 e 900, con il movimento delle suffragette, il quale rivendicava innanzitutto il diritto al voto per le donne e che ebbe però scarsi e circoscritti risultati solo nel Nord Europa, con la concessione da parte di Norvegia e Finlandia del voto alle donne. La principale esponente di tale movimento fu l’inglese Emmeline Pankhurst, che guidò il movimento femminista inglese nei primi decenni del 900, organizzando anche marce dimostrative su Parlamento e cortei. Tale movimento non ottenne però l’appoggio delle altre forze che progressiste e riformatrici: gli stessi partiti socialisti furono sospettosi, giudicando che la concessione del voto alle donne avrebbe finito per favorire i partiti cristiani.

Indica quali timori, a tuo parere, indussero gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, alleati contro il nazismo, a divenire rivali

Terminata la seconda guerra mondiale, venuta meno l’urgenza di porre fine all’instabilità internazionale provocata dalla Germania hitleriana, l’alleanza tra Usa e Urss, che già durante la guerra era considerata innaturale e non priva di sospetti e rivalità, si sfaldò. Troppo diversi erano i regimi che governavano i due colossi: da una parte un modello di stato in cui prevaleva l’impianto comunitario a scapito delle libertà individuali e con un pesante intervento statale in ogni campo della vita dei cittadini, dall’altro un modello liberale fondato sulla libera economia di mercato e sulla realizzazione individuale del singolo. Entrambe le superpotenze inoltre avevano l’obiettivo di diffondere anche al loro esterno il loro modello di società e di stato e ciò creò la paura che ciascuna delle due tentasse di superare a danno dell’altra i confini della propria zona di influenza, secondo la divisione bipolare stabilita con i trattati di pace.

 

Riassumi le cause e gli esiti della guerra nel Vietnam

Tale conflitto nacque in seguito alla divisione del paese in due stati, dovuta alla logica di spartizione bipolare che governava la politica internazionale durante la guerra fredda. Nel si giunse ad avere lo stato del nord, governato dai comunisti, e quello del sud, retto da un regime semidittatoriale appoggiato dagli Usa. In quest’ultimo era forte la guerriglia dei vietcong, che miravano all’unione con il Vietnam del Nord. Al fine di scongiurare quest’ipotesi, il presidente americano Kennedy e il suo successore Johnson inviarono reparti militari nel Vietnam del sud e, nel 1965, cominciarono a bombardare lo stato del nord. La guerra si protrasse sino al 1975, con la presa della capitale del Sud, Saigon, da parte dei nordvietnamiti; gli Usa però erano usciti dal conflitto già nel 1973, con la firma dell’armistizio di Parigi.

 

Metti in evidenza il rapporto instauratosi tra lo Stato fascista e la Chiesa

Preso il potere, Mussolini abbandonò le iniziali posizioni anticlericali e puntò al raggiungimento di un’intesa con la Chiesa cattolica, che sanasse la frattura apertasi in seguito alla presa di Roma nel 1870. Si giunse così, nel febbraio 1929, dopo più di due anni di trattative, alla firma dei Patti Lateranensi, da parte di Mussolini e del segretario di Stato vaticano, il cardinale Gasparri.
Oltre a un trattato internazionale, con cui il Vaticano e lo Stato italiano si riconoscevano reciprocamente, tali patti contenevano una convenzione finanziaria, in base alla quale l’Italia avrebbe risarcito economicamente la Chiesa per la perdita dei territori che precedentemente le appartenevano, e il concordato. Quest’ultimo conferiva effetti civili al matrimonio religioso, apriva le porte della scuola all’insegnamento della religione cattolica e garantiva libertà d’azione all’Azione cattolica.

 

Quali furono le principali conseguenze dello sbarco alleato in Sicilia nel luglio 1943?

Allo sbarco in Italia emerse chiaramente la frattura che ormai separava il regime fascista dal Paese: la popolazione locale non attuò alcuna forma di resistenza alla risalita degli alleati lungo la penisola, anzi in alcuni casi accolse gli anglo-americani come dei liberatori. Il fascismo era ormai screditato presso gli italiani, stanchi degli inutili e pesanti sacrifici imposti dalla partecipazione alla guerra. Lo scollamento tra paese e capo carismatico affrettò la decisione delle forze moderate del regime stesso, dei poteri economici e della monarchia di porre fine all’esperienza dittatoriale di Mussolini; in questo clima maturò la congiura messa in atto durante la riunione del Gran Consiglio del 24 luglio.

 

In che modo si giunse alla caduta del regime fascista e quale ruolo assunse il re Vittorio Emanuele III in questa circostanza?

La caduta del regime maturò negli stessi ambienti del fascismo: furono infatti alcuni alti collaboratori di Mussolini che, con l’appoggio determinante della corona, ordirono una congiura ai danni del duce, al fine di portare il paese fuori da una guerra che si stava dimostrando disastrosa e salvaguardare le sorti della monarchia. Durante una riunione del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 fu approvato un ordine del giorno che sfiduciava Mussolini, invitando il re a riprendere il comando delle forze armate. Fu poi il sovrano a far valere le sue prerogative di nomina e revoca del capo del governo: convocò Mussolini, lo invitò a rassegnare le dimissioni e lo fece quindi arrestare. Successore del duce fu nominato il maresciallo Badoglio.

 

Delinea le caratteristiche fondamentali della politica economica promossa dal democratico Roosvelt riassunta dall’espressione “New Deal”

Con la politica del New Deal Roosvelt intendeva rilanciare l’economia americana, scossa dalla crisi economica e finanziaria del 29, con una maggiore presenza dello stato nell’economia, coniugando ripresa economica e riformismo sociale. I più importanti provvedimenti furono presi nel primi cento giorni di presidenza e mirarono innanzitutto a bloccare la crisi in atto: ristrutturazione del sistema bancario; svalutazione del dollaro per favorire le esportazioni; sostegno ai disoccupati mediante sussidi; erogazione di prestiti per estinguere le ipoteche sulla casa.

In seguito Roosvelt emanò provvedimenti di natura strutturale, per rifondare su nuove basi l’assetto dell’economia americana: con l’Agricultural Adjustment Act si tentò di contenere la sovrapproduzione nel settore agricolo; con il Nira si cercò di limitare la concorrenza nel settore industriale e di tutela dei salari e dei lavoratori. Molto importante fu infine la creazione della Tenessee Valley Authority, ente preposto allo sfruttamento dell’energia idroelettrica dell’omonima valle, che aveva lo scopo di fornire energia a basso costo agli agricoltori. Un tale massiccio intervento dello stato nell’economia, se risollevò le sorti degli Usa, ebbe come contropartita un importante aumento della spesa pubblica.

 

Perché i governi di Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre 1939?

La dichiarazione di guerra anglo-francese alla Germania rispondeva alle clausole dei vari accordi che le due potenze, fra il marzo e il maggio 1939, avevano stipulato con quegli stati dell’Europa continentale che erano al di fuori della sfera d’influenza tedesca.
Tali trattative avevano avuto come obiettivo principale quello di arginare l’espansione tedesca lungo quella che sembrava essere la sua prima linea di espansione, vale a dire l’Europa orientale, e in particolar modo la Polonia. Nel mese di marzo infatti Hitler aveva rivendicato apertamente il possesso di Danzica e della striscia di terra, il cosiddetto corridoio polacco, che collegava la città alla Polonia. Inghilterra e Francia quindi, tra marzo e aprile, avevano stretto un’alleanza con la Polonia e, quando il 1 settembre le truppe tedesche invasero lo stato polacco, risposero a tale azione con l’immediata dichiarazione di guerra alla Germania.

 

A quali motivazioni principali si può collegare il crescente consenso che il popolo dette al partito nazionalsocialista alla fine degli anni Venti in Germania?

La pesante situazione economica che la Germania viveva alla fine degli anni 20 fece sì che gran parte del popolo tedesco considerò i programmi hitleriani di ritorno all’antica potenza come l’unica strada per risollevare le sorti della Germania. A un popolo messo a dura prova dall’inflazione galoppante e dalla pesante disoccupazione Hitler prospettava un futuro di riconquista di quel primato che la Germania aveva vantato a cavallo tra 800 e 900; indicava inoltre in maniera chiara i capri espiatori – i comunisti, gli ebrei – a cui imputare la difficile situazione che lo stato si trovava a attraversare; il nazismo inoltre si presentava come una forza capace di ristabilire l’ordine compromesso dai nemici del popolo tedesco. Non deve essere tralasciata infine la prospettiva che il nazismo forniva ai ceti borghesi di entrare a far parte di una cerchia, quella nazista, che si proclamava eletta e che prometteva sicuri vantaggi materiali in cambio di una cieca fedeltà.

 

Da quali forze economiche il fascismo ricevette finanziamenti e in vista di quali scopi?

Il fascismo agli inizi fu finanziato dai grandi proprietari terrieri, che avevano inteso utilizzare la violenza squadrista per debellare il fenomeno delle leghe contadine, forti soprattutto nella Pianura Padana e nelle aree mezzadrili della Toscana e dell’Umbria; l’unica presenza rilevante del fenomeno nel Mezzogiorno si ebbe in Puglia, dove si era sviluppata una fitta rete di leghe contadine d’ispirazione socialista.
Nel resto d’Italia, dove il fenomeno dell’associazionismo dei braccianti e dei mezzadri non era diffuso, il fascismo si radicò solo in un secondo momento. Nella prima fase invece si rivelò essenziale l’apporto economico del ceto degli agrari, che sovvenzionò le squadre fasciste, composte da ufficiali smobilitati e piccolo-borghesi.

 

Qual è lo scopo principale della Conferenza di pace di Parigi nel 1919?

La conferenza di Parigi del 1919 aveva come scopo principale quello di stabilire un nuovo assetto politico in Europa, in seguito alla caduta degli imperi tedesco, autro-ungarico, russo e turco, che tenesse conto delle dichiarazioni di principio che le potenze dell’Intesa avevano propagandato nella fase finale del conflitto, ossia dei principi di democrazia e di giustizia internazionale.

Non si poteva però non tener conto delle aspettative degli stati vincitori, e in particolar modo della Francia, che intendeva imporre ai tedeschi condizioni di pace estremamente dure, al fine di impedire la ripresa della Germania, che era lo stato più popoloso e industrializzato d’Europa.

Nell’Europa orientale invece occorreva rendere stabili le nuove entità politiche sorte dal crollo della potenza austriaca e impedirne una possibile unificazione con la Germania; era inoltre necessario garantire la stabilità degli stati baltici confinanti con l’Urss, così da creare un cuscinetto a protezione dei regimi liberali del resto d’Europa.

 

I regimi totalitari di massa degli anni ’30 ai loro esordi si presentano come momenti di rottura col sistema politico sino allora dominante. A quali bisogni della popolazione rispondono le loro proposte?

I regimi totalitari poterono svilupparsi nell’Europa degli anni 30 approfittando della convinzione, che ormai dominava larghi settori dell’opinione pubblica, che i sistemi democratici non fossero in grado di affrontare la difficile situazione economica e sociale allora in essere. Era un’opinione comune quella che riteneva troppo deboli le democrazie per poter difendere gli interessi nazionali e quelli dei cittadini; oramai si riteneva che l’unica scelta fosse quella tra il regime comunista dell’Urss e le dittature di destra. I regimi totalitari in questo contesto esercitarono la loro attrazione soprattutto sui ceti medi, che riponevano nelle dittature di destra le speranze dell’instaurazione di un nuovo ordine sociale ed economico; la grande borghesia invece fornì il proprio sostegno a tali regimi soprattutto per una questione d’interesse economico. La proposta di una nuova società che si differenziasse tanto dal comunismo quanto dalla civiltà del capitalismo entusiasmò i piccolo-borghesi in cerca di canali di promozione sociale e gli intellettuali, che vivevano in quel periodo il problema della “perdita dell’aureola”.

 

Perché i “14 punti” di Wilson, pur presentandosi come una rivoluzione diplomatica, apparvero ai contemporanei di difficile applicazione?

L’Europa uscita dalla grande guerra era un coacervo difficilmente districabile di gruppi etnici e di nazioni, a cui spesso non corrispondevano entità statali autonome, e per questo non era facile applicarvi uno dei principali cardini dei punti wilsoniani, quello dell’autodeterminazione dei popoli. Il rischio infatti era quello di risvegliare nuove rivendicazioni e fomentare nuovi focolai di rivolte. Inoltre i principi wilsoniani non si presentavano in linea con gli intenti punitivi che le nazioni vincitrici avevano nei confronti dei paesi sconfitti. Infatti i francesi richiesero al tavolo di pace, oltre all’Alsazia-Lorena, i territori fino alla riva sinistra del Reno, abitati da popolazioni tedesche e che rappresentavano una delle zone più ricche della Germania, contravvenendo al principio dell’autodeterminazione dei popoli e suscitando inoltre l’opposizione dell’Inghilterra, da sempre contraria alla supremazia di un solo stato sul continente.
Le clausole imposte alla Germania inoltre furono particolarmente vessatorie e fomentarono un sentimento di risentimento nel popolo tedesco, che pochi anni dopo Hitler ebbe buon gioco a sfruttare.

 

In seguito alla “grande crisi” del 1929 il nazismo iniziò la sua folgorante ascesa. Illustra il rapporto tra i due eventi

La crisi del ‘29 in Germania aveva radicalizzato la lotta politica: quei tedeschi che erano stati ridotti sul lastrico dall’inflazione e dalla disoccupazione avevano perso ogni fiducia nelle istituzioni della Repubblica di Weimar; i settori di sinistra, invece, si erano spostati dalla socialdemocrazia al comunismo, spaventando i ceti medi: Hitler si presentò dinnanzi ai ceti medi e alla borghesia, terrorizzati dalla possibilità di una rivoluzione comunista, come la forza in grado di ristabilire l’ordine e spegnere sul nascere tali tentativi insurrezionali. Contemporaneamente, le forze del conservatorismo militare, burocratico, industriale e agrario, che volevano superare il sistema repubblicano servendosi delle forze eversive nate durante la crisi, appoggiarono e finanziarono il nazismo.
Ai disoccupati disperati per gli effetti della crisi e alla borghesia spaventata dalla minaccia comunista, il partito nazionalsocialista prospetteva la possibilità di far riconquistare alla Germania un primato nello scenario internazionale e l’opportunità di entrare in una comunità, quella nazista, che garantiva ai suoi membri protezione e sicurezza in cambio di dedizione e fedeltà

Parla della Società delle nazioni indicando per quali scopi era nata ed i motivi che ne determinarono il fallimento

La Società delle Nazioni nacque alla fine della Grande Guerra su impulso di Wilson, che ne propose l’istituzione nei famosi 14 punti espressi poco dopo l’entrata in guerra degli Usa, per garantire il rispetto delle condizioni di pace previste dai trattati e per evitare il nascere di nuovi conflitti; tale proposta fu accettata ufficialmente dalle nazioni vincitrici durante la conferenza di Versailles. Punto cardine del nuovo organismo sarebbe dovuto essere la rinuncia alla soluzione bellica nei conflitti tra nazioni e l’utilizzo di sanzioni economiche nei confronti degli Stati che avessero violato tali disposizioni. Se queste erano le intenzioni, assai difficile fu metterle in pratica, per vari motivi: i paesi sconfitti e la Russia non erano stati ammessi a far parte della Società e non erano quindi vincolati alle sue decisioni, e gli stessi Stati Uniti ne restarono al di fuori. L’opinione pubblica americana infatti era pervasa da un’intensa ondata isolazionista, che indusse il Senato americano a non ratificare l’adesione alla Società, che fu quindi egemonizzata dall’Inghilterra e non riuscì a svolgere un attivo ruolo nella prevenzione delle crisi internazionali che precedettero la seconda guerra mondiale.

 

Il patto di non aggressione del 1939

Il patto di non aggressione, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop, fu firmato nel 1939 da Russia e Germania. Con esso i due stati si impegnavano a non osteggiarsi militarmente l’una con l’altra. Questo patto fu voluto soprattutto dalla Germania. Hitler, infatti, già aveva in programma di iniziare la guerra (aveva già pensato a invadere il corridoio di Danzica all’indomani della firma del patto), ma temeva una guerra su due fronti. Il patto prevedeva la divisione in zone di influenza dell’Europa centro-orientale, la spartizione della Polonia tra Germania e URSS e lasciava a quest’ultima Finlandia, Paesi Baltici e Bessarabia. Il patto di non aggressione sconvolse l’Europa perché era stato firmato un accordo tra due Paesi (la Germania e l’URSS) che erano idealmente incompatibili.

 

I patti lateranensi

I Patti Lateranensi furono firmati nel 1929, in pieno periodo fascista. Essi regolamentavano i rapporti tra Stato Italiano e Chiesa ponendo fine alla questione romana. Nel 1870, infatti, il Papa Pio IX non aveva accettato la proclamazione dello Stato italiano: rivendicava il suo potere temporale su Roma (che poi fu conquistata in seguito alla Breccia di Porta Pia), aveva emanato la bolla Non expedit, con la quale proibiva ai cattolici di prendere parte alla vita politica e si dichiarò prigioniero ritirandosi nei suoi palazzi. Mussolini prese in considerazione le richieste del Papa e stipulò i Patti Lateranensi con Pio XI. Essi sono formati da tre parti: il trattato internazionale, con il quale Stato Italiano e Città del Vaticano riconoscono reciprocamente le proprie sfere d’influenza; la convenzione finanziaria, cioè un versamento in denaro da parte dell’Italia al Vaticano fatto per riparare alle usurpazioni; il concordato, che regola i rapporti tra Stato e Chiesa. Con il concordato si stabilì che il cattolicesimo sarebbe diventata la religione ufficiale dello Stato Italiano, venne riconosciuto il valore civile del matrimonio religioso e venne introdotto nelle scuole l’insegnamento della religione cattolica.

 

In che modo la prima guerra mondiale gravò notevolmente sulla popolazione civile non combattente?

La prima guerra mondiale fu la prima guerra di massa, nel senso che fu impegnata nei combattimenti la quasi totalità della popolazione civile. Essendo una guerra di massa, essa comportò delle notevoli trasformazioni in ambito economico e sociale. Si venne, infatti, a creare uno maggiore squilibrio tra gli uomini e le donne. Gli uomini si allontanarono dalle proprie case per andare a combattere al fronte e le donne si ritrovarono a capo della famiglia e, se rimaste vedove, dovevano darsi da fare per portarla avanti. Le donne, inoltre, iniziarono a lavorare nelle fabbriche e negli uffici pubblici, distaccandosi dalla sfera familiare a cui la tradizione la legava. Compito della donna, infatti, era sempre stato quello di rimanere in casa per accudire i figli e il marito.

In ambito economico, il conflitto provocò lo sviluppo dell’industria. Lo Stato, infatti, interveniva direttamente con finanziamenti cospicui nei settori chiavi dell’apparato industriale. Si sperimentò, inoltre, un nuovo tipo di rapporto tra capitale e lavoro: con il corporativismo, cioè, lo stato tentò di regolare i rapporti tra operai e datori di lavoro per il bene dello Stato stesso. Grazie a questo tipo di intervento, si ebbe una tendenza all’aumento dei salari. Infine, durante la guerra, vennero introdotti dei sussidi obbligatori contro la disoccupazione e si sviluppò la legislazione sociale.

 

Perché gli anni 1919-1920 presero il nome di biennio rosso?

Gli anni 1919-1920 furono definiti «biennio rosso» perché in tutta Europa, durante il primo dopoguerra, si ebbero degli scontri che videro come protagonisti gli operai. Essi, infatti, ispirandosi al comunismo, non rivendicavano soltanto gli aumenti salariali, ma volevano il controllo e la gestione delle fabbriche. Le lotte degli operai furono contenute in Francia e Inghilterra; in Germania e in Italia videro la successiva nascita del nazismo e del fascismo; in Austria la Sinistra fu sconfitta; in Ungheria, in seguito a una rivoluzione popolare, nacque la repubblica che durò fino al 1939.