Scopo di questo piccolo lavoro è quello di sottolineare le problematicità e le incongruenze legate alla definizione di angolo: se ne prospetta un possibile miglioramento.
Il concetto di angolo è senza dubbio quello che solleva le maggiori difficoltà nell‟insegnamento della geometria. Esse sono dovute, in parte a una terminologia imprecisa, in parte a un miscuglio confuso di varie nozioni matematiche, a esempio alla confusione tra angolo e sua misura, e anche all‟autentica difficoltà della questione.
Vediamo di fare un po‟ di chiarezza, poiché sembra che anche noi insegnanti abbiamo le idee un…tantino confuse e i libri adottati presentano sugli angoli diverse contraddizioni.
Per Euclide: «Angolo piano è l‟inclinazione reciproca di due linee rette sul piano, le quali s‟incontrino e non giacciano in linea retta». (Questa più che una definizione è un descrizione). Gli studiosi di Euclide sostengono che questa nozione di angolo è verosimilmente legata all‟apparente rotazione del Sole. Osservo che l‟angolo è pensato in sostanza come rotazione.

 

 

 

 

 

 

 

Questo concetto di angolo esclude l‟angolo nullo e quello piatto e si limita agli altri angoli convessi.

Per Hilbert: «Due semirette (h,k) uscenti da un medesimo punto O e non appartenenti ad una medesima retta costituiscono un angolo». Anche tale visione di angolo esclude l‟angolo nullo e quello piatto. Questa definizione, puramente formale, è data nei Fondamenti della geometria del 1899, versione riveduta e corretta degli Elementi di Euclide, per renderli “completi”, cioè tali da consentire di dimostrare tutte le proposizioni vere del sistema assiomatico presentato; i Fondamenti presentano per ciò ben ventuno assiomi.
Ci sono state poi altre definizioni, di Apollonio, di Pappo, ecc., alcune delle quali ricalcano quella euclidea, mentre altre sono diverse, più complesse, ma non chiariscono esaurientemente la nozione.
L‟angolo come parte di piano fu introdotto in Italia intorno al 1750, sotto la spinta della definizione data da Arnaud negli Éléments de Géométrie nel 1667, mentre Clairaut, nei suoi innovativi Eléments de Géométrie, 1741, definiva l‟angolo al modo euclideo. Il testo, nella traduzione di Carlo Giulio del 1850, fu usato per diecine di anni nelle scuole italiane. Pochi decenni dopo in Inghilterra l‟angolo era identificato col concetto intuitivo di rotazione. Da quanto sopra è chiaro che la definizione proposta da Arnaud – che era soprattutto teologo e filosofo – è allora una tra le tante, mentre non sono chiare le motivazioni della sua persistenza. Ciò, anche alla luce dei suggerimenti di Veronese, che la sconsigliava per le incongruenze che presenta e suggeriva di considerare l‟angolo come “parte del fascio di raggi” cui appartiene (Ciò favorisce la visione di angolo nel senso moderno di rotazione). Illuminante, in relazione alla persistenza tutt‟oggi della definizione di Arnaud, è il seguente passo del prof. G. Prodi. “Sono in vacanza. C’è con noi un giovane nipote che è stato rimandato in matematica; è naturale che me ne occupi io. (…) Prendiamo le mosse della geometria, cominciando dal teorema che recita: se un triangolo ha due angoli uguali, ha anche due lati uguali. Cerco di convincere il nipote della bellezza del risultato, ma la dimostrazione che trovo sul libro di testo del ragazzo mi disgusta: si prolungano i lati uguali, si fa un’incastellatura orribile, poi si procede per differenza di angoli, ecc. (…). Quella proposta è la dimostrazione che si trova nel I Libro degli Elementi. La storiella finisce qui, ma può avere una morale interessante. Se l’autore di un testo di fisica esponesse oggi la meccanica sulla base della “teoria dell’impeto”, si coprirebbe di ridicolo (…). La matematica deve si conservare i suoi risultati fondamentali ma finisce spesso per prolungare certe metodologie e certi abiti mentali al di là del loro limite naturale di sopravvivenza”.
Lo stesso “accanimento”….geometrico c‟è per la nozione di angolo come parte di piano. Con la simmetria assiale tutto sarebbe naturale, semplice e immediato.

In alcuni libri di testo di matematica che vanno per la maggiore si trovano le seguenti definizioni:

  1. Angolo è la parte di piano delimitata (!?) da due semirette (lati) aventi la stessa origine (vertice).
  2. Angolo è ciascuna delle due parti di piano individuate da due semirette che hanno la stessa origine. (Già questa è meno peggio).
  3. E’ l’intersezione o l’unione di due semipiani le cui origini sono incidenti. (Vengono poi aggiunti i casi in cui le rette coincidono).

Poco dopo, il testo che dà la prima definizione, asserisce che la definizione data è ambigua (mah!) e che la confusine scompare introducendo la nozione di angolo orientato, che è così formulata:
Un angolo si dice orientato quando si sceglie un lato come origine e un senso di rotazione.
Rimango perplesso.

  • Non è stato introdotto il concetto di rotazione.
  • Dato che un angolo è una parte di piano, “che ci azzecca” la rotazione con esso?
  • L‟angolo sarebbe allora una parte di piano orientata?

In un altro importante testo, dopo la definizione di angolo, si legge:
«Nei paragrafi precedenti abbiamo definito l‟angolo come l‟insieme dei punti compresi (?) tra due semirette aventi la stessa origine O. Possiamo però definire l‟angolo anche come rotazione di una semiretta intorno alla propria origine, la misura di un angolo diventa allora la misura dell‟entità della rotazione». Ma, non si è definita la rotazione né “ la misura dell‟entità della rotazione”. E comunque s’introduce ex abrupto l‟angolo come  rotazione.
Nella definizione del punto 3, con le aggiunte, come si ottiene l‟angolo nullo, dato che si considerano semipiani determinati da rette incidenti o coincidenti?

Proseguiamo nell‟analisi del concetto di angolo.
Sono andato a guardare su diversi libri di testo e in internet figure relative agli angoli consecutivi: esse sono tutte come quella presentata sotto a sinistra. Gli angoli dati sono “ordinati”, come se si pensassero orientati. E, in genere, anche noi insegnanti seguiamo lo schema della prima figura.

 

 

 

 

 

Ma, se considero la situazione dell‟altra figura, AÔB e CÔA sono anch‟essi consecutivi. Allora quel modo d‟indicare gli angoli consecutivi deriva dal fatto che esso è il più “naturale”, poiché intuitivamente gli angoli si pensano orientati?

Qualche ulteriore commento.
La somma di due angoli è definita se questi sono consecutivi, cioè con un solo lato comune, a meno di congruenze. Nei libri, indistintamente, le figure a chiarimento sono come quella a fianco, in cui gli angoli sono “abbastanza piccoli” cosicché risultano effettivamente consecutivi.
Ma se gli angoli sono “abbastanza grandi”, come nella figura sotto, gli angoli aˆb e bˆc non sono consecutivi perché hanno l‟angolo aˆc comune: non si possono addizionare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora, l‟insieme degli angoli non costituisce una classe di grandezze omogenee. Di conseguenza non ha senso parlare di multiplo di un angolo, né di una sua misura, perché, da quanto evidenziato non ha le proprietà che la caratterizzano: linearità e monotonia.

Nei libri si “dimostra” poi il teorema:
La somma degli angoli interni di un poligono di n lati è uguale a n-2 angoli piatti.
Se allora consideriamo un ennagono, abbiamo sette angoli piatti e, poiché si dice che due angoli piatti formano un piano, avremmo tre piani più mezzo piano, tre piani più…. mansarda?! Ma, come può un angolo – che è  un sottoinsieme del piano – essere formato da tre piani più un angolo piatto?
Credo che la proprietà enunciata derivi dalla confusione tra angolo e sue misure.

Per quel che riguarda gli angoli esterni di un poligono, Prodi e Bastianoni in Scoprire la matematicaGeometria del piano fanno osservare, con precise argomentazioni, che:

  • La definizione di “angolo esterno” di un poligono risulta poco intuitiva.
  • Gli angoli esterni di un poligono vanno presi orientati.

Occupiamoci ora del cosiddetto angolo giro.
Innanzitutto l‟angolo giro, come quello piatto, risultano allo stesso tempo convessi e concavi: se usiamo la definizione….che non contengono (contengono) i prolungamenti dei lati o l‟altra…contengono (non contengono) il segmento che unisce due qualunque punti dell‟angolo.
Inoltre, l‟angolo giro non è somma di alcuna coppia di angoli. In genere si dice che è la somma di due angoli esplementari (figura). Ma questi due angoli non sono consecutivi poiché hanno in comune due lati – a e b – non uno solo come dovrebbe essere per potersi addizionare: l‟angolo giro presenta quindi delle criticità.
È verosimile che sia stato introdotto come descrizione intuitiva del fatto che, se per esempio a è fissata, b, ruotando attorno al vertice O sembra ricoprire l‟intero piano per sovrapporsi ad a.
Ma una definizione può prendere l‟avvio dall‟intuizione, però deve risultare formalmente ineccepibile. Questa terminologia è legata al fatto intuitivo che ruotando una delle semirette che determinano l„angolo, dopo un giro completo torniamo alla situazione di partenza: l‟angolo come rotazione è sempre presente, anche se come fantasma.
Per corroborare quanto sostengo, considero la seguente situazione.
Sia Φ il fascio di semirette con l‟origine in un qualunque punto O del piano: Φ lo “ricopre” tutto.
Tracciamo poi una qualsiasi circonferenza c di centro O e fissiamo una semiretta σ di Φ, sia OP, con P, con P appartenente a c. Detto Q un qualunque punto di c, la semiretta OQ descrive tutto il piano al variare di Q. Se chiamiamo ξ l‟angolo PÔQ, al variare di Q su c, determina tutti gli angoli di vertice O. Se Q≡P, OQ≡OP e l‟angolo ξ individuato è quello nullo. Allora, poiché il fascio Φ “riempie” tutto il piano in forza della continuità  la semiretta OQ del fascio, con Q≡P, è già stata considerata, non esiste alcun altro angolo PÔQ con Q≡P: l‟angolo giro non dovrebbe esistere.

Qualche altra considerazione personale.
Il termine angolo deriva dalla radice indoeuropea ank, piegare, curvare. Se ci si muove lungo una retta r (figura), per allontanarsi dalla “retta via” si deve piegare, curvare il percorso. L‟angolo nasce orientato: girare a destra non è la stessa cosa che svoltare a sinistra.

 

 

 

 

 

 

Infatti, se percorriamo una strada e vicino a un incrocio chiediamo a un passante se nelle vicinanze c‟è un giornalaio, l‟interlocutore, volendo essere cortese, dirà, a esempio, a duecento metri, girando a sinistra (destra), non solo girando.

Esaminiamo adesso più da vicino la misura degli angoli. Abbiamo già evidenziato che: data la definizione di angolo come parte di piano, l‟insieme degli angoli non forma una classe di grandezze omogenee.
Le criticità della nozione di angolo e delle sue misure si possono eliminare, a esempio, come propone Choquet nell‟Assiomatica a base metrica ne L’insegnamento della geometria del 1964.

  • Introduce la rotazione come l‟isometria che ha un solo punto unito (all‟inizio sarà prospettata dal punto di vista intuitivo, facendo ricorso a esperienze comuni: orologio, ventaglio, mulino a vento, tergicristalli, pale  eoliche, radar, ….e all‟uso di software dinamici che consolidino l‟acquisizione del concetto).
  • Definisce poi angolo di due semirette ordinate a e b, di comune origine O, la rotazione di centro O che trasforma a in b, a esempio in senso antiorario.
  • Pone come settimo assioma, l’ultimo, la seguente proprietà:
    A ogni numero reale r≥0 è associato un angolo, di cui r è detto misura o ampiezza, tale che
    alla somma di due angoli consecutivi corrisponde la somma delle ampiezze dei due angoli.

L‟assioma si può chiarire mediante gli esempi del calcolo del giro vita e di una semiretta che si “avvolge” su una circonferenza (le figure sotto sono tratte da un software dinamico che ho realizzato più di vent‟anni addietro, che è molto più esplicativo delle immagini che sono fisse).

 

 

 

 

 

 

Nelle figure precedenti il punto L di s è quello per cui il segmento TL avvolge in senso antiorario l‟intera circonferenza. Se associamo a L il numero 360, diciamo che l‟angolo orientato, individuato dall‟arco orientato , è misurato in gradi sessagesimali (se TL =2π, la misura si dice espressa in radianti).
Allora, indicato con p il numero reale che ha per corrispondente l‟angolo piatto, \(\alpha(2p)\) è l’angolo nullo: \(\alpha (2p)=0\); quindi, detto k un numero intero relativo, \(\alpha(2pk)=0\). Di conseguenza, denotato con
$x_0$ un numero reale, con \(0 \le x_0 \lt 360\), per la (*) si ha: \( \alpha (x_0+2pk)=\alpha(x_0)+\alpha(2pk)=\alpha(x_0)\).
Se \(0° \lt x_0° \lt 360°\) il numero è detto a volte misura principale; ogni misura è un suo multiplo intero relativo di 360°. Un angolo ha quindi infinite misure. Se \(x_0°\) è la misura principale di un angolo in gradi, ogni sua altra misura è: \(x°=x_0°+k360°\), con \(k \in Z\) (vedi risoluzioni delle equazioni goniometriche).
L‟impostazione di Choquet è coerente con la definizione di angolo orientato data in goniometria e con la risoluzione delle equazioni e disequazioni goniometriche. Mentre, con la definizione classica, l‟introduzione delle equazioni goniometriche determina la “dipartita” dell‟angolo giro. Infatti, a esempio le soluzioni dell‟equazione cosx=1 sono x=2kπ (o x=k360°), con \(k \in Z\) e non si dice che 2k (o 360°) è la misura dell‟angolo giro, altrimenti 4k (720°) sarebbe la misura dell‟angolo due giri e così via.

Mi auguro di avere esposto con sufficiente chiarezza le criticità e le perplessità originate dalla definizione tradizionale dell‟angolo e della sua misura. Concludo chiedendo se, date le difficoltà e le incongruenze segnalate da Veronese, Prodi e Lomdardo Radice e Mancini Proia e, molto più modestamente dal sottoscritto, non sarebbe più opportuno introdurre la nozione di angolo come rotazione sin dalle scuole elementari. In questa, ovviamente, prendendo le mosse da opportune manipolazioni ed esperienze abituali, e utilizzando idonei software dinamici. Successivamente, mediante un percorso a spirale, precisarla rendendola così coerente in tutto il corso degli studi.

Bibliografia

  • Euclide. Elementi. 300 circa a.C. Alessandria d‟Egitto;
  • Hilbert D. I fondamenti della geometria. 1970 Feltrinelli Milano;
  • Lombardo Radice L. e Mancini Proia L. Il metodo matematico. 1977 Principato Milano;
  • Prodi G. e Bastianoni A. M. Scoprire la matematica 2003 Ghisetti e Corvi Milano;
  • Prodi e Villani V. Archimede” 34, n. 4, 1982.

 

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