Che l’Università di oggi sia decisamente diversa rispetto a quella di 10 fa non è certo una notizia.
La crisi economica e i radicali cambiamenti sociali che hanno segnato l’ultimo ventennio hanno influito nettamente sul profilo dei nuovi universitari, cresciuti al suon di “la laurea non serve più a trovare lavoro”, a differenza dei cugini o dei fratelli maggiori a cui veniva insegnato esattamente l’opposto. Grazie agli ultimi dati diffusi dal Miur riusciamo a tracciare l’identikit delle matricole intente proprio in queste settimane a preparare i loro primi esami.
Le matricole del 2015 per la prima volta hanno mostrato una netta preferenza per le facoltà scientifiche. I numeri da capogiro relativi agli studenti che dieci anni fa affollavano le aule di Giurisprudenza, Scienze politiche, Economia, Psicologia e Scienze della comunicazione sembrano un vago ricordo. Infatti in soli due lustri le immatricolazioni a queste facoltà sono passate dal 41 al 34%. Sale invece il numero dei futuri ingegneri e aspiranti laureati in Matematica, Fisica, Chimica e Scienze biologiche. Stabili le immatricolazioni per i corsi dell’area sanitaria e umanistica. L’idea più diffusa, sostenuta da questi numeri, è che una formazione tecnico-scientifica garantisca un accesso più facile al mondo del lavoro.
Cambia la geografia dei giovani che scelgono di proseguire gli studi dopo le scuole superiori. Se è vero che si è riscontrato un calo generale degli iscritti, pari al 19% rispetto a al decennio precedente, non si può non mettere in luce la “sfiducia” dei giovani del Sud italia, sorpassati in termini d’iscrizione dai colleghi del nord. Questo dato porta con sé un’amara riflessione sul diritto allo studio e sulla capacità degli atenei meridionali di attrarre finanziamenti.
Ribaltato, inoltre, il cosiddetto “ascensore sociale”, che per decenni ha consentito ai figli di operai e impiegati di aspirare a un lavoro migliore di quello dei genitori. In dieci anni, la quota di matricole con un diploma tecnico o professionale si è quasi dimezzata, passando dal 42 al 27 per cento. La laurea quindi non è più percepita come strumento di mobilità sociale.
Ma davvero la laurea delle matricole di oggi non ha lo stesso valore di quella dei coetanei del 2004?

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