In questo articolo – senza pretesa alcuna di originalità ma con un intento prin-cipalmente divulgativo, al solo scopo di sottolineare ancora una volta l’importanza dell’opera di Euclide – ci occupiamo di una piccola falla presente nella dimostrazione della Proposizione 24 degli Elementi; proposizione che qui, per ragioni evocative che si chiariranno in seguito, noi chiamiamo Teorema del compasso.
L’articolo è estremamente interessante ma mi sorge un dubbio che spero diventi una domanda a cui gli Autori vorranno rispondere. Il problema che è trattato e risolto con il “Teorema mancante” è riconducibile alla proposizione 24 mediante una semplice rotazione, cioè un movimento rigido del piano, attorno al punto D, di modo che il segmento DF abbia come immagine DG. In questo senso la spiegazione al fatto che Euclide non enuncia il teorema mancante è da ricondurre ai problemi assiomatici posti da Hilbert piuttosto che alla non percezione dell’esistenza di diversi casi possibili. Si parla allora di assiomi mancanti (tema già ampiamente discusso da altri) e non di teoremi mancanti.
Con amicizia
Molto interessante l’articolo, la frase seguente :
“In realtà, i matematici del periodo ellenistico citati precedentemente, ma non solo essi, per i loro studi trassero ispirazione da una cultura popolare – se cosi si può dire– ed artigianale, che portava ad usare in modo del tutto ovvio e naturale molti di quelli che sarebbero diventati degli importanti principi matematici. Si pensi al teorema di Pitagora che, soprattutto nella sua forma inversa, attraverso le terne pitagoriche – ad esempio (3, 4, 5) oppure (5, 12, 13), forse le piu famose – consentiva di costruire facilmente triangoli rettangoli, estremamente importanti da un punto di
vista artigianale (2).
Il riferimento piu antico alle terne pitagoriche pare che risalga al 1900/1600 a.C., con la tavoletta Plimpton 322 – una delle centinaia di migliaia di tavolette babilonesi di argilla, molte delle quali di contenuto matematico – rinvenuta in Mesopotamia all’inizio del secolo XIX e conservata negli USA presso la Columbia University. Il reperto contiene quindici righe che riportano alcune terne pitagoriche scritte in una forma dalla quale traspare un tentativo di rappresentazione in base sessagesimale”
Visto che è stato citato inoltre nello stesso articolo anche il Plimpton 322, vorrei prendere occasione, per citare una novità matematica che avevo pubblicato sul Periodico di Matematiche n° 3,2008, da pag 33, inoltre vedere soprattutto l’allegato n°11, pag. 66, sul diagramma d’argilla, che si può anche leggere e scaricare gratuitamente sul mio sito: http://www.storiadellamatematica.it
Ho dimostrato, come il “Teorema di Pitagora” era effettivamente conosciuto, almeno mille anni prima di Pitagora stesso nella sua forma più generale, un teorema (o una regola) nato nel mondo mesopotamico artigianale-costruttivo, probabilmente da un vero artigiano e forse per questo ancora utilizzato nel mondo artigianale attuale; una regola scaturita dentro una sezione modulare fatta di mattoni e dentro la quale era contenuto anche, ciò che il Plimpton 322 esprime in forma primordiale: i presupposti equivalenti del “Teorema di Carnot” dell’antichità, forse un preludio alle proposizioni 12 e 13 degli Elementi.
Un diagramma d’argilla, composto di mattoni, che probabilmente Pitagora fece sbarcare a Crotone e poi smontato e analizzato accuratamente dalla sua scuola, e dai futuri studiosi, dando curiosità e origine ai famosi Elementi di Euclide, la cui tecnica artigianale, riecheggia proprio nelle introduttive, nozioni comuni.
P.S. Ho notato ora che un coautore dell’articolo è il prof. Domenico Lenzi già vicedirettore nel 2008 della rivista storica della Mathesis, Periodico di Matematiche, a cui peraltro avevo confidato le mie future ricerche sul diagramma d’argilla; colgo l’occasione per salutarlo.