(Libertà, Individui e Società, Povertà e Diseguaglianze, Imposte)

Introduzione

Il liberalismo è un modo di pensare, di comportarsi, di discutere, di essere, piuttosto che una specifica posizione economica, politica, filosofica.

Si può essere liberali essendo socialisti o conservatori, credenti o agnostici, razionalisti o scettici, di destra o di sinistra. Sicuramente non si può essere liberali e comunisti, liberali e fascisti, liberali e populisti, liberali ed islamisti. Tra gli economisti abbiamo Friedman di destra e Keynes di sinistra.. In Italia tra i politici abbiamo Crispi di destra e Giolitti di sinistra, tra gli intellettuali abbiamo:Croce idealista ed Einaudi pragmatista, Prezzolini conservatore e Bobbio socialista, tra i filosofi Antiseri credente e Giorello agnostico.
Solo per contrapposizione al pensiero liberale sono inclusi in questa antologia i nomi di Marx, Gramsci, Stalin, Gilas, Mao.Il comunismo o “socialismo reale” prevede infatti di sospendere con “modalità scientifica” le libertà politiche, economiche, di opinione e personali (compresa l’incolumità fisica).
La distinzione tra liberali di destra e di sinistra nasce la prima volta nel parlamento inglese (nel 1679 fu introdotta la distinzione tra Tory e Whig).
Nel seguito sono elencati, in ordine cronologico, i pensatori – economisti e filosofi – selezionati in base al loro interesse per chi scrive. L’elenco comprende sia i principali filosofi ed economisti fondativi per il pensiero liberale e capitalista, sia giornalisti, opinionisti e intellettuali che hanno aderito, in forme diverse, al liberalismo filosofico ed economico.
Nelle conclusioni si elencano le principali fondazioni, associazioni e siti, italiani e stranieri, che fanno riferimento al pensiero liberale e se ne riportano gli indirizzi in rete.

Lao Tzu (vissuto nel periodo 1122 – 256 a.C.)

Citazione di Lao Tzu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Senza uscire dalla porta,
conoscere il mondo.
Senza spiare dalla finestra,
vedere la vita del cielo.
Più lontano si va,
meno si sa.
Perciò il saggio non viaggia eppure sa;
non guarda eppure comprende;
non fa eppure compie”.

Il libro del Tao

“Più si emanano leggi e decreti, più ci saranno ladri e predoni.”

 

Buddha (vissuto nel periodo 500 – 400 a.C.)

Citazione di Buddha:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non credete nulla sulla base delle tradizioni, anche se sono state tenute in considerazione per molte generazioni e in luoghi diversi.
Non credete a una cosa perché molti ne parlano.
Non credete a quello che avete immaginato persuadendovi che un dio vi ha ispirato.
Non credete a nulla in base alla sola autorità dei vostri maestri e dei preti.
Credete, dopo un esame, a quello che voi stessi avete messo alla prova e trovato ragionevole, e conformate ad esso la vostra condotta”.

 

Matteo Evangelista (4 a.C. – 70 d.C.)

14 Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì 16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. […] 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

La parabola dei Talenti

Secondo Karl Marx la conclusione della parabola andrebbe rivista così “da ognuno secondo le sue capacità; ad ognuno secondo i suoi bisogni”

Vignetta: La parabole dei talenti

Anche diversi economisti cattolici di comunione criticano il fatto che il “Padrone ” della parabola abbia distribuito i talenti “a ciascuno secondo le sua capacità”, come se le differenze di attitudine delle persone fossero qualcosa di ingiusto, da rimuovere/livellare e non una risorsa che rende gli individui attraenti e utili socialmente. La parabola in realtà condanna chi non sa coltivare i propri talenti, grandi o piccoli, di industriosità o di creatività che siano.
È interessante osservare come oggi sia gli “economisti cattolici” (È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Matteo 19,23-30) che quelli “liberal”, cioè di sinistra, denuncino concordemente le “diseguaglianze” indotte dai sistemi capitalistici invece di concentrarsi su aspetti molto più importanti come il miglioramento del PIL pro capite e la riduzione della povertà estrema, nei paesi e tra i paesi, che è stata possibile con lo sviluppo della modernità, della tecno scienza e del capitalismo. È pure interessante osservare come, secoli dopo la stesura dei vangeli, Karl Marx nei suoi giovanili manoscritti economici finanziari del 1844, a proposito del potere corruttivo del denaro, scrivesse che: “tramuta la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, lo schiavo in padrone, il padrone in schiavo, l’idiozia in intelligenza, l’intelligenza in idiozia”. In parole povere il denaro è “lo sterco del Diavolo” secondo la metafora diffusa nel Medioevo e poi ripresa da Lutero.
La mediazione tra il fedele e Dio, prevista dalla chiesa cattolica, viene cancellata già nel luteranesimo, la prima fase della riforma protestante. Ogni credente è sacerdote di sé stesso. Con Calvino arriva una svolta drastica. Il segno della grazia divina diventa visibile e sicuro: è la ricchezza, il benessere generato dal lavoro. Anzi il lavoro in sé acquista il valore di una vocazione religiosa: è Dio che ci chiama a esso. È quindi il Beruf, il lavoro e il successo che ne consegue, ad assicurare il calvinista che «Dio è con lui», che egli è l’eletto, il predestinato toccato dalla grazia divina.

Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Parable_of_the_talents_or_minas

 

Ibn Kaldun (1332-1406)

Rappresentazione grafica della vessazione della proprietà privata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Vessare la proprietà privata significa uccidere negli uomini la volontà di guadagnare di più, riducendoli a temere che la spoliazione sia la conclusione dei loro sforzi. Una volta privati della speranza di guadagnare essi non si prodigheranno più. Gli attentati alla proprietà privata fanno crescere il loro avvilimento…. Poiché la civiltà, il benessere e la prosperità pubblica dipendono dalla produttività e dagli sforzi che compiono gli uomini in tutte le direzioni, nel loro proprio interesse e per il loro profitto. Quando gli uomini non lavorano più per guadagnarsi la vita e cessa ogni attività lucrativa, la civiltà deperisce ed ogni cosa va di male in peggio. Gli uomini per trovare lavoro si disperdono all’estero. La popolazione si riduce. Il paese si svuota e le sue città cadono in rovina. La disintegrazione della civiltà coinvolge lo Stato come ogni alterazione della materia è seguita dalla alterazione della forma”.

Muqqadima

 

John Locke (1632 – 1704)

Citazione di John Locke:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Donde [l’intelletto] ha tratto tutti questi materiali della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall’esperienza. È questo il fondamento di tutte le nostre conoscenze; da qui esse traggono la loro prima origine.»

(Saggio sull’intelletto umano, libro II, cap. I)

«Lo stato mi sembra la società degli uomini costituita soltanto per conservare e accrescere i beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l’integrità del corpo e la sua immunità dal dolore, e il possesso delle cose esterne, come la terra, il denaro, le suppellettili ecc…»

I libri di Locke sono fondanti del pensiero liberale e della dottrina del governo limitato. Essi ispireranno Montesquieu, Kant, Constant e tanti altri pensatori liberali dell’Europa continentale settecentesca e ottocentesca. Contribuiranno a forgiare le idee dei padri fondatori degli Stati Uniti e diventeranno una delle principali fonti della dottrina costituzionale occidentale.

Nello Stato di natura gli uomini dispongono di “proprietà”. E’ questo un termine che in Locke ha un significato esteso: comprende la vita, la libertà personale e il possesso dei beni guadagnati da ogni singolo uomo grazie al lavoro con cui egli agisce sulla natura e la trasforma. Nello Stato di natura tutti gli uomini possono essere uguali e godere di una libertà senza limiti; con l’introduzione del denaro e degli scambi commerciali, tuttavia, l’uomo tende ad accumulare le sue proprietà e a difenderle, escludendone gli altri dal possesso. Sorge a questo punto l’esigenza di uno stato, di una organizzazione politica che assicuri la pace fra gli uomini. A differenza di Hobbes, infatti, Locke non riteneva che gli uomini cedessero al corpo politico tutti i loro diritti, ma solo quello di farsi giustizia da soli. Lo Stato non può perciò negare i diritti naturali, vita, libertà, uguaglianza civile e proprietà coincidente con la cosiddetta property, violando il contratto sociale, ma ha il compito di tutelare i diritti naturali inalienabili propri di tutti gli uomini.

Lo Stato non deve essere confessionale, bensì laico, perché un’eventuale violazione di queste sue necessarie caratteristiche sarebbe controproducente: ne deriverebbero lotte religiose destinate a gravi conseguenze anche politiche. Da questa idea di tolleranza religiosa Locke tuttavia esclude sia la Chiesa cattolica, la quale è accusata di negare l’ideale di tolleranza volendo imporre la propria religione anche attraverso la natura confessionale dello stato, sia gli atei, che, non credendo in nessun Dio, non sono affidabili dal punto di vista dei valori morali e in particolare nei giuramenti resi in nome della Bibbia.

Il potere supremo è il potere legislativo che è supremo, non perché senza limiti, ma perché è quello posto al vertice della piramide dei poteri, il più importante. È il potere di predisporre ed emanare leggi e appartiene al popolo che lo conferisce per delega ad un organo preposto ad adempierlo, che è costituito dal Parlamento. Subordinato al potere legislativo, c’è il potere esecutivo che spetta al sovrano e consiste nel far eseguire le leggi. Il potere giudiziario, rientrante nel potere legislativo, è preposto a far rispettare la legge, la quale deve essere unica per tutti e deve far sì che tutti siano uguali di fronte ad essa e che ci sia certezza del diritto (principio di legalità).

 

Bernard de Mandeville (1670 – 1733)

Foto di Bernard de Mandeville

 

 

 

 

 

Il nucleo narrativo de La Favola delle Api di De Mandeville consiste nella storia di un favo in cui la produzione del miele e la vita sociale procedono molto bene in virtù del fatto che tutte le api vi lavorano dividendosi i compiti, alacremente, anche se con qualche vizio. Accade però che un giorno alcune api decidessero di chiedere a Giove di lavorare non più per interesse proprio, ma per il virtuoso bene di tutti. Accontentate dal padre degli dèi, si trovano in breve tempo col loro favo in rovina: le api impigrite e svogliate e gli individui più estrosi e produttivi emigrati altrove.
La morale della breve favola è evidente: “il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare”.
Mandeville volle spiegare che l’enorme prosperità globale dell’Inghilterra del suo tempo non poteva essere considerata come un premio o la conseguenza di una benedizione divina (secondo la tesi puritana e calvinista in genere che faceva della prosperità materiale un segno di benedizione e di predestinazione), ma nasceva dal cumulo e dall’interazione di attività e intenzioni individuali che, singolarmente prese, e dal punto di vista cristiano, non potevano essere considerate altro che vizi: i vizi privati (avidità, egoismo, avarizia, lussuria, spregiudicatezza) nel contesto libertario dell’Inghilterra dell’epoca, davano luogo a un dinamismo globale, che nel suo insieme produceva ricchezza e prosperità per tutti. Era una tesi realistica derivante dall’esame di una società che, al di là delle dichiarazioni ufficiali conformi ai valori cristiani, si andava adattando a valori nuovi di intraprendenza, di commercio, di profitto, di ricchezza, e di prestigio economico.

 

David Hume (1711 – 1776)

Copertina de

“Da cause che ci appaiono simili ci aspettiamo effetti simili. Questa è la sintesi di tutte le nostre analisi sperimentali”.

Hume assunse posizioni agnostiche, più che scettiche. Fu un grande critico del principio di causalità, favorendo quello che Kant stesso riconobbe essere il risveglio della sua filosofia dal sonno dogmatico.

“Mi si potrebbe chiedere se sono sinceramente convinto delle argomentazioni che vado propagando con tanta fatica e se sono realmente uno di quelli scettici i quali sostengono che tutto è incerto e che in nessuna cosa possiamo giungere a un giudizio attendibile di verità o di falsità: risponderei che la domanda è del tutto superflua e che né io né nessun altro è stato mai sinceramente e a lungo di questa opinione. Per assoluta e inevitabile necessità, la natura ci ha costretti a giudicare come a respirare e a sentire… Chiunque si sia preso la pena di confutare lo scetticismo totale ha in realtà combattuto senza antagonista”.

La “legge di Hume” denunciò lo slittamento tra “ciò che è” (proposizione descrittiva) e “ciò che deve essere” (proposizione prescrittiva) effettuato silenziosamente, ma frequentemente da molti filosofi e moralisti.

“Utile , ma per chi? Per l’interesse di qualcuno, certamente. Per l’interesse di chi, dunque? Non soltanto per il nostro; infatti la nostra approvazione spesso si estende oltre l’ambito del nostro interesse. Se, dunque l’utilità è fonte di sentimento morale e se questa utilità non si considera sempre con riferimento a noi stessi, ne segue che tutto ciò che contribuisce alla felicità della società si raccomanda direttamente alla nostra approvazione e alla nostra buona volontà. Questo è un principio che rende ragione, abbastanza ampiamente, dell’origine della moralità”.

“Osservo che è nel mio interesse lasciare a un altro il possesso dei suoi beni, purché egli agisca nello stesso modo nei miei confronti. Anche l’altro è consapevole di un analogo interesse a regolare la sua condotta. Quando ci si esprime reciprocamente questa consapevolezza nell’interesse comune così che essa risulti nota ad entrambi, allora essa produce una risoluzione a un comportamento adeguato. E questo, di certo, si può chiamare abbastanza propriamente una convenzione o un accordo tra di noi, anche se manca qualsiasi promessa”.

“Due uomini che sospingono una barca a forza di remi lo fanno in virtù di un accordo o di una convenzione, sebbene essi non si siano dati alcuna promessa reciproca. La regola della stabilità del possesso non solo deriva dalle convenzioni umane, ma sorge inoltre gradualmente e acquista forza attraverso un lento progresso, e in virtù di una reiterata esperienza degli inconvenienti che sorgono dal trasgredirla”.

La libertà dell’individuo, politicamente intesa, non è la premessa bensì l’esito di una riflessione più generale sugli obiettivi che una società si prefigge e, in maniera più specifica, sugli obiettivi di un governo equo, in grado di salvaguardare la giustizia della vita sociale. Le stesse istituzioni, secondo Hume, originariamente non fanno parte della vita sociale ma vengono ‘inventate’ per rispondere a dei bisogni che gli individui ‘percepiscono’ come necessari. La giustizia ad esempio è un’invenzione umana che si rivela un’efficace risposta dell’immaginazione a ciò che è, nello stesso tempo, un bisogno e una difficoltà: conciliare l’egoismo istintivo degli individui con l’oggettiva scarsità e precarietà dei beni a disposizione.

Hume non è uno stoico, né un epicureo, e neppure, nonostante le apparenze di segno contrario, uno scettico antico troppo gelido. Il filosofo è dotato di una serenità spontanea: è un buon conversatore, gradisce la compagnia femminile, non disdegna la buona tavola ed ama la campagna. Soprattutto, come dice lui stesso, è più disposto a vedere il lato positivo delle cose e della vita, di quello sfavorevole.

Hume, libertà contingente

Quando vediamo un libro, chiediamoci se contiene qualche ragionamento astratto sui numeri [Hume]

 

Adam Smith (1723 – 1790)

“Le grandi nazioni non impoveriscono mai a causa delle dissipazioni o della cattiva gestione del singolo; spesso tuttavia impoveriscono perché dissipa e gestisce male lo Stato”.
Lo scozzese Smith è autore del testo fondante “La ricchezza delle nazioni” ed è universalmente riconosciuto come il primo pensatore ed economista liberale e moderno. Da questo testo e da “Teoria dei sentimenti morali” sono tratte le citazioni riportate sotto:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • “Ciascun individuo, impiegando il proprio capitale in modo da dare il massimo valore al suo prodotto, “mira soltanto al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni… Non ho mai visto che sia stato raggiunto molto da coloro… che pretendevano di trafficare per il bene pubblico”;
  • “La causa principale del progresso nelle capacità produttive del lavoro, nonché della maggior parte dell’arte, destrezza e intelligenza con cui il lavoro viene svolto e diretto, sembra sia stata la divisione del lavoro. In genere essa è più spinta nei paesi più industriosi che godono di un più alto livello di civiltà. Questo grande aumento della quantità di lavoro che, a seguito della divisione del lavoro, lo stesso numero di persone riesce a svolgere, è dovuto a tre diverse circostanze: primo, all’aumento di destrezza di ogni singolo operaio; secondo, al risparmio del tempo che di solito si perde per passare da una specie di lavoro a un’altra, e infine all’invenzione di un gran numero di macchine che facilitano e abbreviano il lavoro e permettono a un solo uomo di fare il lavoro di molti”;
  • “Gran parte delle macchine di cui si fa uso nelle manifatture in cui il lavoro è suddiviso, furono invenzioni di comuni operai. Nelle prime macchine a vapore (James Watt era uno scozzese contemporaneo di Smith, n.d.a.) un ragazzo era espressamente occupato ad aprire e chiudere alternativamente la comunicazione fra la caldaia e il cilindro, a seconda che il pistone salisse o scendesse. Uno di questi ragazzi, cui piaceva giocare con i compagni, osservò che, legando un laccio alla maniglia della valvola che apriva questo collegamento, la valvola si apriva e chiudeva senza bisogno della sua assistenza, lasciandolo libero di divertirsi con i suoi compagni di gioco. Ecco così che uno dei più notevoli perfezionamenti che siano stati apportati a questa macchina (il regolatore di Watt: Governor, n.d.a.) fin da quando fu inventata, fu la scoperta di un ragazzo che voleva risparmiarsi il lavoro. Non tutti i perfezionamenti delle macchine, però, sono derivati dalle invenzioni di coloro che le usavano abitualmente. Molti perfezionamenti sono stati realizzati grazie all’ingegnosità dei costruttori di macchine, quando costruirle divenne il contenuto di una professione specifica, e altri dalla ingegnosità dei cosiddetti filosofi o speculativi”. “I monopolisti, mantenendo il mercato continuamente a corto di merci, non soddisfacendo mai pienamente la domanda effettiva, vendono i loro prodotti molto al di sopra del prezzo naturale e fanno salire i propri emolumenti, sia che consistano in salari sia che consistano in profitti, molto al di sopra del loro livello naturale: Il prezzo del monopolio… è in ogni possibile occasione il più alto che si può spremere dal compratore…”;
  • “Non appena i capitali si sono accumulati nelle mani di singole persone alcune di loro li impiegheranno naturalmente nel mettere al lavoro gente operosa, a cui forniranno materiali e mezzi di sussistenza, allo scopo di trarre profitto dalla vendita delle loro opere o da ciò che il loro lavoro aggiunge al valore dei materiali… Il valore che gli operai aggiungono ai materiali si divide dunque in questo caso in due parti, una delle quali paga il loro salario, mentre l’altra paga i profitti di chi li impiega, e ciò in rapporto all’entità del capitale che costui ha anticipato per i materiali e i salari”;
  • “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro personale interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo, e parliamo dei loro vantaggi e mai delle nostre necessità. Ciascun individuo, impiegando il proprio capitale in modo da dare il massimo valore al suo prodotto, mira soltanto al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni…”;
  • “Ogni sistema che cerca… di attrarre verso una particolare specie d’industria una parte del capitale della società più grande di quella che propenderebbe naturalmente in quella direzione… ritarda, anziché accelerare, il progresso della società verso la reale ricchezza e grandezza”;
  • “Quando la quantità di un bene che vien portato sul mercato scende sotto il livello della domanda effettiva… il prezzo di mercato salirà… Quando la quantità portata sul mercato eccede la richiesta effettiva di un dato bene… il prezzo di mercato scenderà”;
  • “Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono nettamente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”.

 

Jeremy Bentham: (1748 – 1832).

 

 

 

 

 

“Il massimo benessere per il maggior numero di persone possibile”. Il ricorso al concetto di utilità sociale come misura del benessere costituiva una pratica rivoluzionaria nell’Inghilterra dell’inizio del XIX° secolo. Il partito dei filosofi radicali sosteneva che la ricerca della massima utilità individuale porta alla massima utilità sociale coerentemente con le esigenze della nascente borghesia industriale: abolizione delle leggi sul grano, libero commercio all’estero, efficienza dell’apparato statale, abolizione di ogni privilegio feudale, ecc.
Bentham argomentò a favore della libertà personale ed economica, la separazione di stato e chiesa, la libertà di parola, la parità di diritti per le donne, i diritti degli animali, la fine della schiavitù, l’abolizione di punizioni fisiche, il diritto al divorzio, il libero commercio, la difesa dell’usura, e la depenalizzazione della sodomia. Fu a favore delle tasse di successione, restrizioni sul monopolio, pensioni e assicurazioni sulla salute. Progettò un carcere ideale denominato Panopticon che permetteva di controllare facilmente tutti i detenuti.
Fu uno dei più conseguenti teorici dell’utilitarismo, posto a fondamento della dottrina del diritto e dello stato, e pervenne alla giustificazione dell’altruismo partendo da presupposti egoistici. L’individuo non deve abbandonarsi al piacere immediato, ma tendere al piacere più intenso e duraturo, tenendo conto delle conseguenze che dall’azione deriveranno a sé stesso e agli altri. La limitazione imposta temporaneamente all’egoismo, sulla base di questa considerazione, viene compensata dai benefici che l’individuo può aspettarsi in futuro dagli altri da lui beneficati. Pertanto, ognuno deve istituire un vero e proprio calcolo dei piaceri di una possibile azione, tenendo presenti i requisiti del piacere preferibile: intensità, durata, certezza, prossimità, fecondità (tendenza a produrre altri piaceri), purezza (ossia non mescolanza col dolore), estensione (il numero di individui che vengono a godere di quel piacere). È questa la “aritmetica morale” con cui Bentham credeva di trasformare l’etica in una scienza d’indiscussa validità e la legislazione (che ha come fine quello di “massimizzare” la felicità) in una “faccenda di aritmetica”.

 

David Ricardo (1772 – 1823)

“Il valore di una merce, cioè il valore di qualsiasi altra merce con la quale la si può scambiare, dipende dalla quantità relativa di lavoro necessario a produrla e non dal maggiore o minore compenso corrisposto per questo lavoro”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per Smith “l’aumento dei salari fa aumentare di necessità il prezzo di molte merci aumentandone la parte che si risolve in salari”; al contrario Ricardo, che parte dalla considerazione dei rapporti di scambio intersettoriali e delle proporzioni fra lavoro e mezzi di produzione in ciascun processo produttivo, giunge alla conclusione esattamente opposta: le merci continuerebbero ad essere vendute al medesimo prezzo di prima; l’aumento dei salari comporterebbe solo una diversa ripartizione dei proventi, con conseguente diminuzione dei profitti del capitale. Per Ricardo è solo la quantità di lavoro direttamente o indirettamente impiegata nella produzione di una merce a determinarne il prezzo relativo (teoria del valore-lavoro).

Ecco uno dei numerosi esempi numerici di Ricardo: “Ogni anno il capitalista comincia le sue operazioni essendo in possesso di viveri e di beni di prima necessità del valore di 13.000 sterline. Nel corso dell’anno vende tutto ai propri operai per tale somma di denaro; durante lo stesso periodo, egli corrisponde loro in salari la stessa somma di denaro: alla fine dell’anno gli operai rimettono in suo possesso viveri e beni di prima necessità del valore di 15.000 sterline”.

Ricardo non aveva a cuore le sorti dei lavoratori, ma fondò simultaneamente la scuola filo capitalista e la scuola anticapitalista. A Marx fu sufficiente riconoscere soltanto la scuola anticapitalista: egli perlopiù riteneva gli economisti filo capitalisti, persone prezzolate, vendute agli interessi personali, non scienziati, ma “pugilatori a pagamento con la malvagia intenzione dell’apologetica”.

 

Thomas Robert Malthus (1776 – 1834)

Teoria di base di Malthus.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La legge di sviluppo, per Malthus., è quella geometrica (tasso di crescita costante) e porta al raddoppiarsi di una popolazione in circa 25 anni, in condizione di fecondità naturale, come avveniva in quel tempo per alcune popolazioni americane. Per quanto riguarda i mezzi di sussistenza (Risorse) egli sostenne che l’accrescimento avviene in progressione aritmetica e quindi molto meno velocemente dell’accrescimento della popolazione. Malthus nota ancora che il divario di crescita fra popolazioni e Risorse introduce di per sé stesso un freno incontrollato che si manifesta con guerre, pestilenze e altre catastrofi. Propone, quindi, di sostituire a questi freni “naturali”, quelli volontari di carattere morale, ma il solo che è in grado di indicare (era un rigoroso pastore protestante) consiste nella castità accompagnata da matrimonî in età avanzata dei coniugi, condannando severamente ogni altra forma di controllo delle nascite. Questa tesi è stata particolarmente attaccata sia da chi vedeva in essa una critica blasfema alle leggi divine, sia dai sostenitori dell’aumento della popolazione a fini di conquista e di potenza, sia, ancora, da Karl Marx e dai suoi seguaci, che, anziché far risalire gli squilibri sociali a cause naturali, come l’incontrollato aumento della popolazione, li attribuivano al sistema capitalistico.
Benché il nome di Malthus sia legato alla teoria della popolazione, il pensiero economico più recente, particolarmente per influenza di Keynes, ha dato crescente rilievo alla sua posizione critica nei confronti di Ricardo, alla esigenza da lui sottolineata di tener conto dei fatti monetari e di una possibile formazione “eccessiva” di risparmio, nella spiegazione delle oscillazioni cicliche. Malthus assunse, peraltro, una posizione antistorica nella difesa delle rendite e dei consumi dei proprietari terrieri, come elemento di sostegno della domanda effettiva. Da qui le incomprensioni da parte di alcuni economisti classici e moderni.
Malthus ebbe influenze forti su Darwin, Keynes e sui lavori del Club di Roma degli anni 70 dello scorso secolo (I limiti dello Sviluppo). Ancora oggi il suo punto di vista è citato da due opposte fazioni nel considerare i problemi del pianeta: da un lato i decrescisti di sinistra che addebitano tutte le colpe al capitalismo, al colonialismo, alle industrie e al “Global Warming”. Dall’altro i liberali che addebitano le colpe alla crescita incontrollata della popolazione (in particolare in Africa), ai governi corrotti e al mancato sviluppo di istruzione, scienza e tecnologie. Secondo questi è’ necessario un serio piano di aiuto sul versante dell’economia e dell’istruzione per l’Africa, compresa la separazione, con buona pace del reverendo Malthus, tra sessualità e riproduzione.

 

Giacomo Leopardi (1798 – 1837)

Fiori di ginestra.

“Lasci fare alle masse; le quali che cosa siano, per fare senza individui, essendo composte di individui, desidero e spero che me lo spieghino gli intendenti di masse e individui che oggi illuminano il mondo”.

Zibaldone

“Sapete ch’io abbomino la politica, perché credo, anzi vedo che gli individui sono infelici sotto ogni forma di governo; colpa della natura che ha fatti gli uomini all’infelicità; e rido della felicità delle masse, perché il mio piccolo cervello non concepisce una massa felice, composta d’individui non felici”.

Lettera a Fanny

“Non c’è ragione per cui la tal cosa sia virtù se non giova né vizio se non nuoce”.

Operette Morali

Tra spirito e natura, anima e corpo, intelletto ed esperienza, razionalismo e storicismo, armonia e conflitto, individualità e socialità, storia e ideali, liberalismo e democrazia, Leopardi dimostra di essere anche un autorevole filosofo della politica. Lo Zibaldone, forse, può insegnare qualcosa anche ai campioni odierni del fondamentalismo.

 

Carlo Cattaneo: (1801 -1869).

Copertina del libro

“Non ha senso l’accusa fatta ad Adam Smith che la sua dottrina della libera concorrenza non sia nazionale e politica…Il diviso lavoro è in economia ciò che in meccanica è il braccio di leva o la macchina a vapore…
Solo in seno alla libera concorrenza crediamo potersi pareggiare le sorti delle minori nazioni e delle maggiori… con la perpetua emulazione dell’industria e dell’ingegno”.

Cattaneo insistette molto sull’importanza della psicologia della ricchezza nei confronti della fisica della ricchezza. Importare o copiare macchinari è soltanto accudire alla fisica della ricchezza. Fornire a quei macchinari un ambiente organizzativo adatto è restare ancora entro la fisica della ricchezza. Ma poi intorno a quei macchinari e in quell’ambiente ci vogliono uomini che abbiano le dovute competenze e attitudini. Bisogna imitare anche i sistemi d’istruzione professionale, e i modi di lavoro che sono parte integrante dei nuovi modi di vita.

 

John Stuart Mill (1806 -1873)

Foto di un mulino ad acqua.

«Quand’anche l’intera umanità, a eccezione di una sola persona, avesse una certa opinione, e quell’unica persona ne avesse una opposta, non per questo l’umanità potrebbe metterla a tacere: non avrebbe maggiori giustificazioni di quante ne avrebbe quell’unica persona per mettere a tacere l’umanità, avendone il potere.»

“La burocrazia tende sempre a diventare una pedantocrazia”.

Secondo Schumpeter, Mill sarebbe andato molto più in là di Smith nel chiedere l’intervento della mano pubblica, se non lo avesse trattenuto il triste spettacolo della pessima burocrazia di quell’epoca. In Gran Bretagna “non vi era stata alcuna rivoluzione che avesse spazzato via l’opprimente edificio della burocrazia del secolo XVIII°, inefficiente, dispendiosa, piena di sinecure, legata alla impopolare politica mercantilistica e perfino alla corruzione politica,,, In linea di principio Mill non fu ostile a una grande quantità di attività statali, ma si rendeva conto della superiorità dell’amministrazione delle risorse produttive affidate all’uomo d’affari, nei confronti dell’amministrazione che ci si poteva attendere dal funzionario statale dei suoi tempi” (J.Schumpeter . Storia dell’analisi economica 1959).

Definito da molti come un liberale classico, la sua collocazione in questa tradizione economica è controversa per il discostarsi di alcune sue posizioni dalla dottrina classica favorevole al libero mercato.

J. S. Mill infatti, riteneva che solo le leggi di produzione fossero leggi naturali, e quindi immutabili, mentre considerava le leggi di distribuzione come una fenomenologia eticopolitica, determinate da ragioni sociali e, quindi, modificabili. Di conseguenza, fu favorevole alle imposte, quando giustificate da argomenti utilitaristi. Inoltre Stuart Mill ammise un uso strumentale del protezionismo, quando questo permettesse ad una “industria bambina” di svilupparsi fino al punto da poter competere con le industrie estere, momento in cui le protezioni vanno rimosse.

Nel tentativo di riassumere il suo pensiero è utile riproporre la metafora che egli spesso usò nei suoi scritti: l’autore paragona la società ad un mulino ad acqua. Per capire il funzionamento del mulino, è necessario tener presente due elementi:

Primo, occorre che ci sia una forza naturale, l’acqua che scorre, capace di produrre l’energia necessaria al funzionamento della macchina. Questa energia, che non può essere creata dall’uomo, non è controllabile e risponde a leggi naturali completamente avulse dalle regole dell’etica.

Secondo, è necessario creare un meccanismo capace di sfruttare la forza della natura per trasformarla in ricchezza. Il meccanismo deve essere creato tenendo conto delle conoscenze umane e delle regole che ordinano il vivere civile. Nel celebre Saggio sulla libertà (titolo originale: On Liberty), uno dei capisaldi della cultura filosofica della moderna società liberale, Mill sostenne che un individuo è libero di raggiungere la propria felicità come meglio crede e nessuno può costringerlo a fare qualcosa con la motivazione che altro è meglio per lui, ma potrà al massimo consigliarlo; l’unico caso in cui si può interferire con la libertà d’azione è quando la libertà di uno provochi danno a qualcun altro, solo ed unicamente in questo caso la società è giustificata ad agire allo scopo di proteggersi. In tal senso lo Stato è giustificato ad indirizzare la vita degli individui solo quando il comportamento di uno di essi danneggia gli altri. Solamente in tali casi è giustificabile la limitazione della libertà dei cittadini da parte dello Stato; il concetto di libertà di Mill si avvicina molto a quello di Alexis de Tocqueville di cui peraltro è stato grande amico.

«Supponiamo che il governo faccia davvero tutt’uno col popolo, e che non gli venga mai in mente di esercitare un potere coercitivo se non in completo accordo con quella che ritiene l’opinione del popolo. Ecco: io contesto che il popolo abbia il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o tramite il governo. È quel potere in sé a essere illegittimo. Il migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il peggiore.».

 

Karl Marx  (1818 – 1883)

Cuscino con simboli del comunismo.

“Il tessitore ha ricevuto il suo salario molto tempo prima che la tela sia venduta, forse molto tempo prima che essa sia tessuta. Il capitalista dunque, paga questo salario non con il denaro che egli riceverà dalla tela, ma con denaro d’anticipo… È possibile che il capitalista non trovi alcun compratore per la sua tela. E’ possibile che dalla vendita di essa egli non ricavi neppure il salario. È possibile che egli la venda in modo molto vantaggioso in confronto con il salario del tessitore”.

Lavoro salariato e Capitale

Chi effettua l’anticipazione di un costo, con la speranza di un profitto, non saprà mai in partenza se e quanto guadagnerà in futuro: il debitore della cambiale potrà risultare moroso, l’editore del periodico magari fallirà, la merce comperata forse sarà difettosa, i prodotti della macchina non si venderanno come immaginato e i siti internet cui ci si è affidati risulteranno inaffidabili. Marx fu vicinissimo, come si legge sopra, a riconoscere tutto questo compreso il diverso valore del denaro nel tempo e i rischi corsi dal capitalista. Ma, per salvare la sua teoria dello sfruttamento del proletariato, si guardò bene dal concludere che allora il capitalismo rendeva un servizio al tessitore consentendogli di consumare prima e sollevandolo dal rischio imprenditoriale. Al contrario sostenne che l’operaio anticipava un costo a vantaggio del padrone:

“In tutti i paesi dove domina il modo di produzione capitalistico, la forza lavoro viene pagata solo dopo che ha già funzionato durante il periodo fisso stabilito dal contratto: per esempio alla fine di ogni settimana. Dunque il lavoratore anticipa dappertutto al capitalista il valore d’uso della forza lavoro…Dunque il lavoratore fa credito dappertutto al capitalista. Che questo far credito non sia vuota fantasia non ce lo mostra soltanto l’occasionale perdita del salario, del quale l’operaio ha fatto credito, quanto il momento in cui il capitalista fa bancarotta”.

Il Capitale

Il profitto netto era secondo Marx una ruberia del capitalista a danno del salariato, sebbene il ladro fosse costretto a rubare dalla malignità della concorrenza: nel capitalismo era dunque impossibile una corretta distribuzione del reddito. Ma la validità di questa tesi si reggeva sulla tenuta della teoria marxiana del valore-lavoro, che già all’inizio dello scorso secolo, dopo le critiche di buon senso della scuola austriaca, e di alcuni economisti matematici, era difficilmente credibile.

 

Alexis de Toqueville (1835 – 1859)

Foto e citazione di Alexis de Tocqueville.

 

 

 

 

 

 

 

 

«Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà.».

(Alexis de Tocqueville, Epistolario, da una lettera a Joseph Arthur de Gobineau)

Secondo Tocqueville la società democratica è destinata a trionfare perché è quella che può portare felicità al maggior numero di individui: questa società ugualitaria deve essere governata da leggi certe che verranno sposate dal popolo in virtù del fatto che esso partecipa alla stesura delle stesse attraverso i propri rappresentanti.

La sua tipica separazione liberale tra Chiesa e Stato ispirò, tra gli altri, il Conte di Cavour (con la formula “libera Chiesa in libero Stato“). Tocqueville non approva l’anticlericalismo, ma si espresse anche contro la religione di Stato; egli accusò la commistione tra fede e politica di aver generato la crisi politico – religioso – istituzionale che aveva portato alla Rivoluzione francese. La Rivoluzione risolse il problema imponendo però una sua religione, il Culto dell’Essere Supremo (quindi sempre una religione imposta per fini politici, ma neppure capace di servire da esempio di moralità, poiché non avvertita come propria dalla maggioranza dei cittadini).

«Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l’uomo di quella di Maometto. A quanto vedo l’Islam è la causa principale della decadenza oggi così evidente nel mondo musulmano, e benché sia meno assurdo del politeismo degli antichi le sue tendenze sociali e politiche sono, secondo me, più pericolose. Per questo, rispetto al paganesimo, considero l’Islam una forma di decadenza anziché una forma di progresso».

 

Vilfredo Pareto (1848 – 1923)

Immagine e citazione di VIlfredo Pareto.

“Non conosco nulla di più pesante e di più noioso della lettura di Marx. Ci vuole pazienza da santi!… La sua teoria del valore è anticaglia, è teoria teologica e metafisica… Le esegesi di Marx diventano come quelle della Bibbia, dove si trova tutta l’astronomia e tutta la storia naturale”.

” Un politicante è spinto a propugnare la teoria della ‘solidarietà’ dal desiderio di conseguire quattrini, onori, poteri… È manifesto che se il politicante dicesse: ‘Credete a questa teoria perché ciò mi torna conto’, farebbe ridere e non persuaderebbe alcuno; egli deve dunque prendere le mosse da certi principi che possano essere accolti da chi l’ascolta… Spesso chi vuoi persuadere altrui principia col persuadere se medesimo; e, anche se è mosso principalmente dal proprio tornaconto, finisce col credere di essere mosso dal desiderio del bene altrui “.

” …Mentre una gente sale e l’altra cala. Tale è il fenomeno reale, benché spesso a noi appaia sotto altra forma. La nuova aristocrazia, che vuole cacciare l’antica o anche solo essere partecipe dei poteri e degli onori di questa, non esprime schiettamente tale intendimento, ma si fa capo a tutti gli oppressi, dice di voler procacciare non il bene proprio ma quello dei più: e muove all’assalto non già in nome dei diritti di una ristretta classe, bensì in quello dei diritti di quasi tutti i cittadini. S’intende che, quando ha vinto, ricaccia sotto il giogo gli alleati o al massimo fa loro qualche concessione di forma. Tale è la storia delle contese dell’aristocrazia, della plebs e dei patres a Roma; tale, e fu ben notata dai socialisti moderni, è la storia della vittoria della borghesia sull’aristocrazia di origine feudale “.

” Non vi è un’astronomia cattolica e un’astronomia atea “, specifica Pareto, ” ma vi sono astronomi cattolici e astronomi atei. Voler dimostrare il teorema del quadrato dell’ipotenusa con un appello agli ‘immortali principi del 1789’ o alla ‘fede nell’avvenire della Patria’ sarebbe perfettamente assurdo. È lo stesso che invocare la fede socialista per dimostrare la legge che, nelle nostre società, regola la distribuzione della ricchezza. La fede cattolica ha finito col mettersi d’accordo con i risultati dell’astronomia e della geologia; che la fede dei marxisti e quella degli etici, dunque, procurino anch’esse di conciliarsi coi risultati della scienza economica! “.

Quanto avvenne in Italia, dopo la grande guerra, sembra la conferma sperimentale della teoria delle élite: conquista il potere la “élite fascista” che in un primo momento si fa portavoce delle masse e poi si allea – essendo incerto il rapporto di forza – con la vecchia “aristocrazia” che voleva cacciare, per essere “anche solo partecipe del potere e degli onori di questa“. Più tardi la nuova élite stipulerà un’altra alleanza, anche questa da manuale paretiano: quella con la Chiesa romana. Anni dopo, nuove conferme: in Germania la presa del potere da parte del nazismo e l’alleanza con la grande borghesia tedesca; in Unione Sovietica il socialismo non diventa realtà e i popoli della Grande Russia si trovano dominati, anziché dall’aristocrazia guidata dallo zar, dall’élite espressa dal partito al potere.

Pareto, ingegnere, diede grandi contributi anche all’economia matematica. Un esempio è la sua celebre legge euristica 80 – 20:

Foto e legge euristica di VIlfredo Pareto.

 

 

 

 

 

Un altro esempio è la frontiera di Pareto che raccoglie tutte le soluzioni non dominate (Pareto ottimali). Queste soluzioni implicano una allocazione efficiente delle risorse.
In un ottimo di Pareto non è possibile migliorare il benessere (utilità) di un soggetto, senza peggiorare il benessere degli altri soggetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/vilfredo-pareto_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Economia%29/ e http://www.treccani.it/enciclopedia/economia-matematica_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/.

 

Luigi Einaudi (1874 – 1961)

Fot e massima di Luigi Einaudi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Le leggi frettolose [di stato ed enti locali] partoriscono nuove leggi intese ad emendare e perfezionare…sicché ben presto il tutto diviene un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi; e si è costretti a scegliere la via di minor resistenza, che è di non far niente e frattanto tenere adunanze e scrivere rapporti e tirare stipendi in uffici occupatissimi a pestar l’acqua nel mortaio delle riforme urgenti…”

“…Gli uomini dal temperamento socialistico oltrepassano il punto critico della progressività nelle imposte anche perché, contrariamente ai liberali, si sono ficcati in testa una divulgatissima opinione; che oggi il vero problema sociale sia quello della distribuzione della ricchezza e non più come in passato, della sua produzione. Opinione, oltreché strana, manifestamente sbagliata…”

“L’aumento di aliquota, quando passi un certo segno, è causa di diminuzione e no di aumento delle entrate [anche lui, come poi Laffer, si richiamò a Kaldun].
Semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale perché gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Affinché i contribuenti siano onesti, fa d’uopo anzitutto sia onesto lo Stato. ..”.

Prediche Inutili

Prediche Inutili, il titolo del saggio di Einaudi un understatement tipicamente piemontese rivelatore dello scetticismo einaudiano (e scozzese) circa la possibilità d’influenzare l’opinione pubblica attraverso un articolo di giornale o un libro. Einaudi, grande economista apprezzato quasi più a livello internazionale che nazionale, aveva nel sangue la passione di scrivere e la straordinaria chiarezza dei suoi lavori si caratterizzava per l’assenza di tecnicismi accademici e per il ricorso a espressioni e proverbi tipicamente popolari:

Separare il loglio dal frumento,
Avere la botte piena e la moglie ubriaca,
Se venga prima la gallina o l’uovo,
Campa cavallo mio che l’erba cresce…

Discostandosi in questo dalle teorie di Benedetto Croce, che interpretava il liberismo com un atteggiamento spirituale e morale, Einaudi lo intese pragmaticamente come un fattore politicamente incisivo: a suo parere vi è interdipendenza tra liberismo filosofico e liberismo economico. La parola liberismo infatti, in nessun’altra lingua, salvo quella italiana, trova una traduzione che la distingua dal liberalismo. La distinzione è introdotta per differenziare le libertà economiche dalle libertà civili/morali, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. Contrariamente a Croce, Einaudi, pur riconoscendo questa distinzione, ne riduce le distanze affermando che le libertà civili e le libertà economiche sono reciprocamente dipendenti: ciascuna forma di libertà emerge solo in presenza delle altre.

Einaudi pose a Croce il problema se possa “esistere l’essenza del liberalismo, che è libertà spirituale, laddove non esista proprietà privata e tutto appartenga allo Stato”. Secondo lui infatti non può esservi libertà di pensiero dove non vi sia una certa dose di liberismo economico. Non vi è libertà “in una società economica nella quale non esista una varia e ricca fioritura di vite umane vive per virtù propria, indipendenti le une dalle altre e non serve di un’unica volontà”. Riaffermando che il liberismo non esclude aprioristicamente l’intervento dello Stato, Einaudi si preoccupò di respingere la statolatria che egli vede annidarsi nelle posizioni teoriche di Croce; di un Croce che, al di sopra delle azioni individuali, pone l’attività etica dello Spirito, e allo Stato attribuisce il compito di strutturare questo divenire dello Spirito.

Einaudi intese colpire la concezione dello Stato etico, che il fascismo fece propria, e temette che Croce concedesse troppo a tale concezione, che aveva trovato una coerente espressione nella filosofia di Gentile e nel pensiero giuridico di Alfredo Rocco. Einaudi era spinto a polemizzare con tutte le tendenze stataliste, che, a suo avviso, conducevano alla costruzione di una «economia a schiavi», ovvero a uno Stato totalitario. La realtà politica sembrava dargli ragione: l’identificazione tra totalitarismo (sia fascista sia comunista) e interventismo statale appariva evidente. Anche le teorie crociane, con il loro ‘indifferentismo’ di fronte al liberismo e al socialismo, apparivano pericolosamente vicine alla concezione di uno Stato che, in quanto espressione del divenire dello Spirito, subordinava l’attività del singolo individuo alla sua volontà. Perciò ritenne che anche le teorie crociane dovessero essere criticate con fermezza.

Secondo Einaudi, il liberismo non è semplice economicismo. Rifacendosi ai classici anglosassoni del pensiero liberista (John Stuart Mill e John Locke su tutti), egli esaltò l’individualità, la libertà d’iniziativa, il pragmatismo. La libertà funziona solamente laddove è esplicata nella sua completezza: un liberista “completo” è anche “liberale”, perché tenta di applicare una reale corrispondenza tra ideale di libertà e società concretamente libera dal punto di vista economico e commerciale.

Massima di Luigi Einaudi.

In un regime statalista, sostiene Einaudi, la vita sociale ed economica è destinata alla stagnazione: l’individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede; il liberalismo educa gli uomini perché insegna loro ad auto realizzarsi. La meritocrazia risulta strettamente connessa a un’economia di mercato: l’individuo più competente o creativo può rendere migliore l’azienda e la società in cui vive.

Per Einaudi, con l’eccesso di statalismo si rischia di “impigrire” l’individuo. Portato a disinteressarsi e a non assumersi responsabilità, si lascerà “trasportare dalla corrente”, accettando con fatalismo anche illegalità e cattivi servizi, percependoli come prassi. Il liberalismo, diversamente, è una pratica più dura, ma attraverso l’autorealizzazione riesce a responsabilizzare i cittadini.

Una società libera ha bisogno di istituzioni minime e basate sulla trasparenza, in modo che siano più vicine al cittadino e da lui facilmente utilizzabili o contestabili: federalismo e decentramento rispondono bene a queste esigenze; Einaudi punta ad un federalismo europeo, cioè ad una sola politica economica, un forte esercito europeo in grado di tenere a bada le pressioni provenienti da oriente e in grado di confrontarsi paritariamente con gli USA. Einaudi non desiderava la dissoluzione dei singoli stati ma auspicava una federazione europea dotata di varie libertà, soprattutto economiche.

Il pensiero liberale non piaceva al comunista Antonio Gramsci che rivolse ad Einaudi diverse critiche, ad esempio: “Gli articoli di Einaudi sulla crisi, ma specialmente quelli del 1932, sono spesso delle arguzie da rammollito… Non pare che Einaudi abbia studiato direttamente le opere di economia critica e di filosofia della praxis (cioè quelle di Marx ed Engels); si può anzi dire che egli ne parli da orecchiante, per sentito dire, spesso di terza o quarta mano”.

Cfr. https://www.linkedin.com/company/fondazione-luigi-einaudi-onlus-per-studi-di-politica-economia-e-storia/.

 

Winston Churchill (1874 – 1965)

Immagine e citazione di Winston Churchill.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non è possibile discutere qui delle divergenze filosofiche tra socialismo e liberalismo. Non è del resto possibile tracciare una linea netta tra individualismo e collettivismo, né in teoria né in pratica. È qui che i socialisti commettono un errore; non imitiamolo. Nessun uomo può essere collettivista e individualista solamente, ma deve essere entrambe le cose; la natura umana è duale. Lo è anche l’organizzazione della vita sociale: l’uomo è al tempo stesso un individuo unico e un animale sociale. Per alcuni scopi dovrà essere collettivista, per altri dovrà essere individualista. Collettivamente ci approvvigioniamo di luce e acqua, ma non facciamo l’amore né mangiamo collettivamente […] L’intera tendenza della civilizzazione va verso la moltiplicazione delle funzioni collettive della società Le crescenti complicazioni della civiltà hanno creato servizi che devono essere gestiti dallo Stato […] Io guardo verso la creazione di uno standard minimo di vita e di lavoro, e la sua elevazione progressiva man mano che l’incremento delle energie produttive lo permetteranno”.

(da un discorso tenuto alla St. Andrew’s Hall di Glasgow l’11 ottobre 1906)

«Non posso promettervi altro che sangue, fatica, lacrime e sudore. Chiedete, qual è la nostra politica? Rispondo che è condurre la guerra per mare, per terra e nel cielo con tutta la forza e tutto lo spirito battagliero che Dio può infonderci; condurre la guerra contro una tirannide mostruosa che non ha l’eguale nel tetro, miserabile catalogo del crimine umano. […] Chiedete qual è il nostro scopo? Rispondo con una parola sola: vittoria, vittoria ad ogni costo, vittoria nonostante ogni terrore, vittoria, per quanto la strada possa essere lunga e dura. Senza vittoria infatti non c’è sopravvivenza».

(Winston Churchill, discorso di insediamento alla Camera dei Comuni, 13 maggio 1940)

«Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico, una cortina di ferro è scesa in tutto il continente. Dietro quella linea si trovano tutte le capitali degli antichi stati dell’Europa centrale e orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia, tutte queste famose città e le popolazioni intorno a loro si trovano in quella che io devo chiamare la sfera sovietica».

(Winston Churchill a Fulton, Missouri 5 marzo 1946)

Massima di WInston Churchill.

 

 

 

 

 

 

 

 

John Maynard Keynes (1883 – 1946)

John Maynard Keynes - Investimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Capisco che Marx ed Engels (dei due preferisco Engels) hanno inventato un certo metodo per tirare avanti e uno stile villano di scrivere, e a entrambi ancora si attengono con fedeltà i loro successori. Ma se mi si dice che hanno scoperto il bandolo della matassa economica, resto senza parole: non trovo altro che controversie stantie”.

“Il ritmo con cui possiamo raggiungere la nostra destinazione di beatitudine economica dipenderà da quattro fattori: 1) la nostra capacità di controllo demografico, 2) la nostra determinazione nell’evitare guerre e conflitti civili, 3) la nostra volontà di affidare alla scienza la direzione delle questioni che sono di sua stretta pertinenza, 4) il tasso di accumulazione in quanto determinato dal margine tra produzione e consumo. Una volta conseguiti i primi tre punti il quarto verrà da sé”.

Teoria generale: prospettive economiche

È stato forse il più noto e seguito studioso di economia in occidente assieme ad Adam Smith e a Karl Marx. La sua notorietà, già emersa a seguito della pubblicazione de “Le conseguenze Economiche della Pace”, una denuncia delle implicazioni politicamente ed economicamente devastanti del trattato di pace di Versailles del 1919, divenne ancora più clamorosa in relazione al suo ruolo di consigliere economico del presidente Roosevelt che a lui si rivolse, per fronteggiare la crisi economica americana del 1929. In sintesi, in quella circostanza la ricetta di Keynes fu: attivare la spesa pubblica e la metafora, a lungo divulgata, ingigantita e talora travisata, era: se non si trova altro da fare meglio mettere una squadra di operai a scavar buche ed un’altra a riempirle. L’intento era comunque quello di far ripartire l’economia americana allora stagnante, verso la crescita utilizzando la spesa pubblica.
Così lo stesso Keynes descrive il suo lavoro principale: «Ho intitolato questo libro Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, insistendo sull’aggettivo generale. Lo scopo di tale titolo è di contrapporre il carattere dei miei ragionamenti e delle mie conclusioni a quelli formulati, nella stessa materia, dalla teoria classica […] Dimostrerò che i postulati della teoria classica si possono applicare soltanto ad un caso particolare e non a quello generale, poiché la situazione che essa presuppone è un caso limite delle posizioni di equilibrio possibili. Avviene inoltre che le caratteristiche del caso particolare, presupposto dalla teoria classica, non sono quelle della società economica nella quale realmente viviamo; cosicché i suoi insegnamenti sono ingannevoli e disastrosi se si cerca di applicarli ai fatti dell’esperienza.» Keynes considera l’economia come un unico sistema complesso ed aperto invece che una somma di sistemi chiusi, come faceva la teoria classica, e cerca di confutare una serie di presupposti limitativi e irrealistici come ad esempio  “Ceteris Paribus”. Ne scaturì una visione dell’economia politica e della politica economica che, sebbene integrata in alcuni modelli con alcune conclusioni dell’economia neoclassica, rimase pressoché egemone fino al fiorire, negli anni settanta, del monetarismo, che ebbe come capofila Milton Friedman.

Non stupisce, visto il successo del suo pensiero, che economisti marxisti – socialisti o comunisti – abbiano tentato di impadronirsi delle sue idee. Anche se Keynes in merito era stato esplicito:
“Il socialismo marxista deve sempre rimanere un mistero per gli storici del pensiero; come una dottrina così illogica e vuota possa aver esercitato un’influenza così potente e durevole sulle menti degli uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia».

( Keynes La fine del laissez –faire 1926)

Ed ancora, in una lettera indirizzata all’economista Italiano Sraffa ribadisce:
«Ho provato sinceramente a leggere i volumi di Marx, ma ti giuro che non sono proprio riuscito a capire cosa tu ci abbia trovato e cosa ti aspetti che ci trovi io! Non ho trovato neanche una sola frase che abbia un qualche interesse per un essere umano dotato di ragione. Per le prossime vacanze dovresti prestarmi una copia del libro sottolineata».

(Lettera di John Maynard Keynes a Piero Sraffa, 5 aprile 1932)

Sul capitalismo poi asseriva:

«Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi».

(Keynes, Autosufficienza nazionale, 1933)

Sulla pressione fiscale Keynes scriveva:

“… E non dovrebbe sembrare strano il ragionamento in base al quale si sostiene che la tassazione può diventare così elevata da vanificare i suoi obiettivi, e che, quando ci sia il tempo sufficiente per raccogliere i frutti, una riduzione delle tasse avrà  migliori possibilità di successo di un loro incremento ai fini di far quadrare il bilancio. Sostenere l’idea opposta oggi significa comportarsi come una azienda produttrice che, essendo in perdita, decide di alzare i prezzi e che , quando la diminuzione delle vendite aumenta le perdite,  trincerandosi dietro la rettitudine di una aritmetica grossolana, decide che la prudenza gli impone di alzare i prezzi ancora di più e quando alla fine il saldo è a zero da entrambe le parti, continua a dichiarare in modo saccente che sarebbe stato un azzardo ridurre il prezzo quando già l’azienda era in perdita”.

(John Maynard Keynes, The Collected Writings of John Maynard Keynes, London, Macmillan, Cambridge University Press, 1972)

 

Bruno Leoni (1913 – 1967)

Immagine e citazione di Bruno Leoni.

Negli anni della ricostruzione postbellica, mentre in tutti i paesi europei si affermavano politiche economiche di stampo statalista, Leoni andò controcorrente sostenendo il liberalismo, che pochi (spicca l’eccezione di Einaudi) erano pronti a difendere.
Leoni criticava la logica dell’intervento pubblico mentre esaltava la superiore razionalità e legittimità degli ordini che emergono dal basso, per effetto del concorso delle volontà dei singoli individui.
Fondatore nel 1950 della rivista Il Politico, Leoni svolse ugualmente un’intensa attività pubblicistica, soprattutto scrivendo corsivi per il quotidiano economico Il Sole 24 ORE. Membro della «Mont Pelerin Society» (di cui fu segretario e poi presidente), lo studioso torinese fu pure molto impegnato nel Centro di Studi Metodologici della città piemontese e, in seguito, nel Centro di Ricerca e Documentazione “Luigi Einaudi”.

Studioso poliedrico (giurista e filosofo, ma anche appassionato cultore della scienza politica e della teoria economica, oltre che della storia delle dottrine politiche), nel corso degli anni cinquanta e sessanta Leoni promosse le idee liberali all’interno della cultura italiana: proponendo temi ed autori del liberalismo contemporaneo, ma soprattutto aprendo prospettive ad una concezione della società centrata sulla proprietà privata e il libero mercato. Per comprendere quanto sia stata importante la sua azione tesa a favorire una migliore conoscenza delle tesi più innovative, è sufficiente scorrere l’indice della rivista da lui diretta per molti anni, Il Politico, in cui diede spazio ad autori spesso a quel tempo poco noti, ma destinati a segnare le scienze economiche. L’individualismo integrale di Leoni risulta ben poco in sintonia con la cultura europea del suo tempo, mentre al contrario appare vicino alla tradizione civile degli Stati Uniti e soprattutto alle sue correnti più libertarian. Il suo liberalismo è pervaso da quella cultura anglosassone che egli assimilò in profondità grazie all’intensa frequentazione di alcuni tra i maggiori studiosi di quell’universo intellettuale. Inoltre, egli seguì sempre con il massimo interesse i protagonisti della Scuola austriaca (Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, soprattutto) che – anche se europei – proprio in America hanno scritto alcuni dei loro maggiori contributi e in quel contesto hanno formato folte schiere di allievi, tra cui bisogna menzionare Murray Rothbard e Israel Kirzner. Mentre nel corso degli ultimi due secoli il diritto è stato ripetutamente identificato con la semplice volontà degli uomini al potere, uno dei contributi maggiori di Leoni è quello di aver indicato un altro modo di guardare alle norme, sforzandosi di cogliere ciò che esiste al di là della volontà dei politici e ben al di là della stessa legislazione. Per questa ragione, oggi si guarda alla teoria di Leoni come ad una radicale alternativa rispetto al normativismo formulato da Hans Kelsen, più volte criticato dal pensatore torinese.

Quella di Leoni, per giunta, è ancora oggi una proposta teorica talmente liberale da indurre più di uno studioso a parlare del suo libro Freedom and the Law come di un classico della tradizione libertarian, al cui interno sono racchiuse idee e intuizioni che tuttora siamo ben lungi dall’aver compreso e sviluppato in tutte le loro potenzialità.

Al fine di tenere viva la lezione dell’autore di Freedom and the Law, nel 2003 è stato fondato l’Istituto Bruno Leoni, con sedi a Torino e a Milano (animato da Carlo Lottieri, Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro), che si propone di affermare, all’interno del dibattito politico-economico, i principi liberali difesi da Leoni stesso e di promuovere la conoscenza del pensiero di Leoni e, in generale, delle teorie liberali e libertarian.

Cfr. http://www.brunoleoni.it/chi-siamo

 

Ludwig Von Mises (1881 – 1973)

“La disparità dei redditi e della ricchezza è caratteristica fondamentale dell’economia di mercato. La sua eliminazione distruggerebbe interamente questo tipo di economia. […] Il sistema più dispotico di governo che la storia abbia mai conosciuto, il bolscevismo, si presenta come la vera incarnazione del principio dell’uguaglianza e della libertà di tutti gli uomini. Ma i campioni liberali dell’uguaglianza di fronte alla legge sapevano benissimo che gli uomini sono nati diseguali e che è proprio la loro diseguaglianza a generare la cooperazione sociale e la civiltà”.

“Ciò che la gente rifiuta non è la burocrazia come tale, quanto piuttosto l’intrusione di essa in tutte le sfere della vita e delle attività umane”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il suo pensiero è interamente dedito alla difesa del classical liberalism della scuola austriaca e ai valori che portarono poi alla nascita del libertarianismo. Ciò implica una dura critica del socialismo, che viene confutato a partire dal principio secondo cui renderebbe impossibile ogni calcolo economico razionale. Infatti sono i prezzi che guidano le scelte razionali degli individui, ma in una società socialista senza proprietà privata e scambio non ci possono essere prezzi.

Nel suo trattato economico, Human Action, considerato la sua opera più importante, Mises introduce il concetto di prasseologia, come teoria di base sulle azioni umane e rifiuta il metodo del positivismo applicato all’economia. L’approccio epistemologico di Mises è molto importante per capire la differenza tra la scuola austriaca e il pensiero economico neoclassico. Secondo Mises l’economia politica non è una scienza basata sul modello empirista delle scienze naturali, ma una scienza basata sull’analisi a priori di alcuni concetti auto evidenti, con un metodo analogo a quello della geometria o della matematica.
Molti dei lavori misesiani si concentrano su due temi fondamentali:

  1. teoria monetaria e inflazione;
  2. superiorità del libero mercato rispetto alla pianificazione economica statale.

La teoria dell’impossibilità, in un regime socialista, di gestione razionale dell’economia è stata poi ripresa da un allievo di Mises, Friedrich von Hayek, il quale sosteneva, come già Mises, che proprio per questo motivo sarebbe stato inevitabile il crollo dell’Unione Sovietica.

Cfr. https://mises.org/profile/ludwig-von-mises.

 

Hayek (1899 – 1992)

Citazione e foto di F. A. Hayek.

 

 

 

 

 

 

 

“La caratteristica principale del liberalismo è che esso vuole muoversi e non star fermo, non è mai stato una dottrina retrograda. Anche nei periodi in cui gli ideali liberali furono pienamente realizzati, il liberalismo si è sempre preoccupato di migliorare ulteriormente le istituzioni. Il liberalismo non è avverso all’evoluzione e al cambiamento, e ove lo sviluppo spontaneo sia represso da controlli pubblici, vuole numerosi cambiamenti nella linea politica. Per quanto concerne la linea politica seguita nel mondo attuale, non vi è ragione che il liberale desideri mantenere le cose come sono. In realtà il liberale ritiene che la necessità più urgente, nella maggior parte del mondo, è quella di spazzar via gli ostacoli al libero sviluppo”. Nelle società libere e pluralistiche è opportuno affidarsi “agli sforzi indipendenti e concorrenti di molti, per propiziare la nascita di quel che desidereremo quando lo vedremo”.

La società libera

“L’uomo non è e non sarà mai padrone del proprio destino, la sua stessa ragione progredisce sempre portando verso l’ignoto e l’imprevisto, dove egli impara nuove cose… limitare l’evoluzione sociale a ciò che si può prevedere significherebbe arrestare il progresso”.

Legge legislazione e libertà

Hayek è stato uno dei massimi esponenti della scuola austriaca e del liberalismo in economia. Fu un critico dell’eccessivo intervento statale. Nel 1974 è stato insignito del Premio Nobel per l’economia per i suoi lavori “sulla teoria monetaria, sulle fluttuazioni economiche e per le analisi sull’interdipendenza dei fenomeni economici”. benché favorevole a forme di reddito di base, Hayek elaborò una critica al modello di Welfare State, che lo spinse a mettere in discussione molte delle tesi di Keynes il cui merito è stato più che altro quello di aver interpretato in maniera perfetta il proprio tempo, offrendo una legittimazione accademica al New Deal, e garantendo, involontariamente, una copertura ideologica all’interventismo dei regimi autoritari, come ad esempio lo stalinismo..

Quando negli anni Settanta le economie occidentali entrarono in crisi è apparso chiaro quanto fosse fragile l’edificio concettuale di Keynes che, di fatto, ha portato a una smisurata tassazione, alla spesa pubblica fuori da ogni controllo, all’aumento del debito pubblico e alla recessione.

Andamento in percentuale del rapporto Debito/PIL in Italia dal 1861 al 2015.

 

 

 

 

 

 

 

 

Hayek, previde fin dall’inizio l’esito fallimentare di ogni dirigismo economico; previsione confermata dalla fine catastrofica del comunismo. In conclusione, la «filosofia» statalista si può grossolanamente sintetizzare in questi termini: priorità del collettivo sull’individuale, per cui gli esseri umani devono essere tenuti in uno stato di «minorità», assegnando al potere statale il compito di una direzione superiore e consapevole della società, in base alla convinzione quantomeno discutibile, che solo organizzando la vita sociale dall’alto sia possibile creare e mantenere un ordine politico e morale valevole per tutti.

L’idea che il “capitalismo di stato” possa costituire un nuovo modello di sviluppo è affascinante e rappresenta una sfida per accademici e politici. Le imprese statali hanno le dimensioni per sfruttare le economie di scala e l’accesso a credito e contratti governativi per garantire stabilità economica in tempi di crisi e cambiamenti strutturali, ma il rischio di involuzione burocratica e clientelismo può superare i benefici.

Quando Hayek insieme ad altri membri della London School of Economics si trasferì a Cambridge nel 1940 per sfuggire ai bombardamenti di Londra, Keynes se lo ritrovò nel suo college e i due rimasero in contatto regolare fino alla morte di Keynes nel 1946.
Entrambi erano liberali con una forte avversione per i regimi autoritari, come il comunismo e il fascismo.
Keynes respinse l’idea che qualsiasi aumento di pianificazione statale fosse il primo passo sulla strada per la tirannia, ma fu d’accordo nella visione d’insieme che gli argini all’ intervento statale fossero necessari affinché la democrazia liberale rimanesse al sicuro.
In sostanza è una questione di sapere dove tracciare la linea di demarcazione tra intervento statale e libero mercato.
Per Hayek (Legge, Legislazione e Libertà) “innovare” e “mantenersi stabili” è una contraddizione in termini; e, quando si innova, l’unico ordine attendibile è “un adattamento a un grande numero di fatti particolari, che nella loro totalità non saranno noti a nessuno”. Poiché non si può pianificare ciò che non è ancora stato scoperto tutti meritano il diritto di provare di cosa sono capaci: è la libertà di concorrenza. Ma “la concorrenza è, al pari degli esperimenti scientifici, prima di tutto ed essenzialmente, un processo di scoperta”.

 

Rosa Luxemburg (1871 -1919)

“La medicina inventata da Lenin e Trotzki, la generale soppressione della democrazia , è peggiore della malattia che doveva curare… Lenin e Trotski hanno sostituito ai corpi rappresentativi eletti a suffragio universale i Soviet, come unica vera rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma soffocando la vita politica in tutto il paese, è fatale che la vita si paralizzi sempre più nei Soviet stessi. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di stampa e di riunione, senza libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diviene vita apparente ove la burocrazia rimane l’unico elemento attivo. La vita pubblica cade lentamente in letargo; qualche dozzina di capi di partito di energia instancabile e di illimitato idealismo dirigono e governano; tra loro guida in realtà una dozzina di menti superiori; e una élite della classe operaia viene convocata di quando in quando a delle riunioni per applaudire i discorsi dei capi e per votare all’unanimità le risoluzioni che le vengono proposte – è dunque in fondo un governo di cricca, una dittatura certamente, ma non la dittatura del proletariato, bensì la dittatura di un pugno di uomini politici, una dittatura nel significato borghese… C’è di più: una tale situazione porta necessariamente ad un inselvatichirsi della vita pubblica: attentati, fucilazioni di ostaggi ecc”.

La Rivoluzione Russa un esame critico

 

Bertrand Russell (1872 – 1970)

Copertina del libro

“Tutto ciò che gli amministratori europei fanno per migliorare le condizioni degli africani è oggi del tutto inutile a causa dell’aumento della popolazione. Gli africani, si capisce, anche se ormai erroneamente, attribuiscono la loro miseria allo sfruttamento degli uomini bianchi. Se ottenessero improvvisamente la libertà, prima di avere tra loro uomini capaci di reggere l’amministrazione e dotati di senso di responsabilità, quel poco di civiltà che i bianchi hanno portato in Africa sarebbe presto scomparsa”

“Una società in cui ciascuno è lo schiavo di tutti è solo di poco migliore di quella in cui ciascuno è lo schiavo di un despota. È uguaglianza dove tutti sono schiavi, come là dove tutti sono liberi. Questo dimostra che l’eguaglianza, di per se stessa, non basta a fare una società buona”.

“Vi sono alcuni tra i filosofi e gli uomini di stato, i quali credono che lo stato possa avere un’eccellenza sua propria, e non soltanto come mezzo inteso al benessere dei suoi cittadini. Non riesco a vedere alcuna ragione per concordare con questo punto di vista. Lo Stato è una astrazione; esso non sente piacere e dolore, non ha speranze o timori, e quelli che riteniamo siano i suoi scopi, in realtà sono gli scopi di certi individui che lo dirigono”.

“Una società non esiste, o almeno non dovrebbe esistere, per dare soddisfazione a chi la guardi con un colpo d’occhio esterno, bensì per procurare una vita buona agli individui che la compongono. E’ negli individui e non nel tutto che dovranno cercarsi i valori utili. Una società buona è un mezzo per una vita buona di coloro che la compongono e non è qualcosa che abbia per proprio conto una sua specie separata di eccellenza… Credere che possa esistere il bene o il male in un raggruppamento di uomini sopra ed oltre il bene ed il male dei vari individui è un errore; inoltre è un errore che conduce diritti al totalitarismo ed è quindi pericoloso.

Autorità ed Individuo

Non è lo stato, ma la società, la comunità umana, del presente e dell’avvenire, la quale abbraccia tutto il mondo, quello che dovremmo servire. E una buona comunità non sorge dalla gloria dello Stato, ma dallo sviluppo spontaneo degli individui; dalla felicità della vita di ogni giorno, dal fatto che un lavoro congeniale dia un’occasione per manifestarsi a quel qualsiasi istinto costruttivo che ciascun uomo o donna può possedere, da rapporti personali liberi, che siano espressione d’amore e sopprimano le radici dell’invidia, le quali sono da ricercare nelle frustrazioni del potenziale affettivo degli uomini; e soprattutto dalla gioia di vivere e dalla sua espressione nelle creazioni spontanee dell’arte e della scienza.
Son queste le cose che faranno degne di esistere un’età o una nazione, e non si ottengono queste cose inchinandosi davanti allo Stato…
Tutto ciò che vale deve essere realizzato nell’individuo e il libero sviluppo dell’individuo, deve essere il fine supremo di un sistema politico il quale intenda trasformare il mondo.

Socialismo, Anarchismo, Sindacalismo

 

Karl Popper (1902 – 1994)

Copertina del libro

È il sostenitore della “società aperta”, cioè della società sempre disponibile a future correzioni. Quindi non esiste una società definitiva, (come non esiste una teoria scientifica definitiva), perché qualsiasi assetto istituzionale è sempre rivedibile e migliorabile. In tale contesto diventa essenziale la discussione ed il confronto fra posizioni diverse. Il pluralismo culturale e politico (nella stampa, nei partiti, nei sindacati, in Parlamento) ed il conseguente dissenso sono elementi fondamentali, e, costituendo i presupposti della società aperta, devono essere garantiti ed istituzionalizzati. Nella società aperta il principio di maggioranza non è fondamentale, perché anche la maggioranza espressa dal suffragio universale può essere antiliberale ed antidemocratica. Di conseguenza tale maggioranza può addirittura portare alla soppressione della società aperta, concretizzando il “paradosso della tolleranza” di Popper: estendere la tolleranza anche agli intolleranti provoca la distruzione dei tolleranti e della tolleranza stessa. Bisogna invece che la società aperta si difenda dagli intolleranti, mettendoli fuori legge. Secondo Popper l’individuo ha sempre diritto di essere ascoltato e di difendere le sue tesi, perciò è necessaria l’accettazione del principio della tolleranza almeno verso tutti quelli che non sono intolleranti.

Il liberale non è uno statalista: “lo Stato è un male necessario. I suoi poteri non dovrebbero essere accresciuti oltre il necessario”, ma non è neppure un anarchico: “L’anarchismo è un’esagerazione dell’idea di libertà”.

“Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.”

“Il tentativo di attuare l’uguaglianza è di pregiudizio alla libertà. E se va perduta la libertà, tra non liberi non c’è nemmeno uguaglianza.”

«Il marxismo, oggi, non è più scienza; e non lo è poiché ha infranto la regola metodologica per la quale noi dobbiamo accettare la falsificazione, ed ha immunizzato se stesso contro le più clamorose confutazioni delle sue predizioni.»

(Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Hegel e Marx falsi profeti, dalla IV di copertina)

«La società aperta è aperta a più valori, a più visioni del mondo filosofiche e a più fedi religiose, ad una molteplicità di proposte per la soluzione di problemi concreti e alla maggior quantità di critica. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua auto dissoluzione, non di tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti.»

(Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. I, Platone totalitario, dalla IV di copertina)

Karl Popper: La società aperta e i suoi nemici.

 

 

 

 

 

 

 

Albert Einstein (1879 – 1955)

Massima e foto di Albert Einstein.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“L’elemento prezioso nel meccanismo dell’umanità non è per me lo stato bensì l’individuo creatore e sensibile, la personalità; essa sola crea il nobile e il sublime, mentre la massa resta opaca nei pensieri e nei sentimenti”.
“Tutto ciò che ha valore nella società umana dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni individuo”.

Come io vedo il mondo

 

Lin Yutang (1895 – 1976)

“La filosofia non soltanto comincia con l’individuo, ma con l’individuo finisce. Perché l’individuo è l’obiettivo finale della vita. E’ un fine in se stesso e non un mezzo per le altre creazioni della mente umana. La miglior filosofia sociale non può reclamare nessun obiettivo superiore a quello che gli individui viventi sotto un determinato regime, abbiano vite felici. Se esistono filosofie sociali le quali neghino che la felicità della vita individuale sia lo scopo e la mira suprema della civiltà, tali filosofie sono prodotto di menti malate e squilibrate”.

L’importanza di vivere

 

Ortega y Gasset (1883 – 1955)

Negli anni venti in Spagna vi è la dittatura di Miguel Primo de Rivera che viene definita “dictablanda” (in scherzosa opposizione al termine spagnolo “dictadura”) in quanto non ha le caratteristiche repressive del regime fascista. Ortega, in questo periodo di relativa mancanza di democrazia, scrive “La ribellione delle masse”: la storia, il progresso, si attuano ad opera delle minoranze. Se vi deve essere un rinnovamento, dunque, questo deve avvenire ad opera dei migliori, che vanno, comunque, reclutati in maniera liberal-democratica. Ortega teme che le masse chiedano tutto allo Stato e che esso conceda loro tutto in cambio di cieca obbedienza: ciò causerebbe una mancata emancipazione delle masse. La sua visione della vita è fondamentalmente libertaria con riferimenti prevalentemente anarchici presenti in tutti i suoi scritti.

La rebelion de las masas

 

Giuseppe Prezzolini: (1882 -1982)

“Coloro che trovano tutti gli uomini uguali mostrano d’intendersene pochino, perché più si conosce il vino, il tè, il caffè, i cani o i gatti e persino le pecore più ci si accorge delle loro differenze di razza, tipo, origine, educazione e nascono classifiche sempre più sottili e delicate di quelle differenze. Inoltre, quanto più una specie o razza si fa numerosa e importante, altrettanto le diversità si moltiplicano per far fronte a diversità di ambiente e l’intelligenza si acuisce nel distinguerle. Appena l’uomo si sente differente da altri, se proprio non è al più basso livello d’intelligenza fa uno stile della propria differenza”.

Ideario

 

Jiddu Krishnamurti (1895 -1986).

«C’è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all’angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente… Sino ad ora avete aspettato che qualcuno diverso da voi vi dicesse la verità e invece la verità è dentro di voi. Nei vostri cuori, nella vostra esperienza troverete il vero e questo solo conta… ».

Di fronte alla vita

 

George Orwell (1903 -1950).

La sua scrittura, pur esprimendo concetti complessi, è chiara ed usa parole ben comprensibili: Animal Farm (La fattoria degli animali) in particolare è stato più volte usato come lettura nei corsi di lingua inglese per stranieri. Esso è, sotto la parvenza di una favola per bambini, un’acuta parodia del comunismo centralista realizzato in Unione Sovietica: in una fattoria gli animali si ribellano ad un padrone umano crudele e dispotico, ma la rivoluzione si trasforma in una nuova tirannia capeggiata dai maiali, corrotti e avidi di potere come gli uomini e riassunta magistralmente dall’icastico motto: “Tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”.

Orwell ammonisce a non credere alle favole, invita a mantenere sempre vigili la coscienza e lo spirito critico ed a dubitare delle rivoluzioni pur ritenendole necessarie; ci invita a dubitare del nostro stesso pensiero perché esso a sua volta potrebbe essere condizionato da un linguaggio (la neolingua di 1984) costruito ad arte per incarcerare/sedurre la nostra mente con le conseguenti devastazioni che il sonno della ragione provoca.

La fattoria degli animali e 1984

Deng Xiaoping (1904 – 1997)

Andamento prodotto interno lordo nominale della Repubblica Popolare Cinese tra il 1952 e il 2005.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Pianificazione e forze di mercato non rappresentano l’essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c’è una pianificazione anche nel capitalismo; l’economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell’attività economica.».

(John Gittings, The Changing Face of China, Oxford University Press, Oxford, 2005.)

Deng è stato il pioniere della riforma economica cinese e l’artefice del “socialismo con caratteristiche cinesi“, teoria che mirava a giustificare la transizione dall’economia pianificata a un’economia aperta al mercato, ma comunque supervisionata dallo stato nelle prospettive macroeconomiche. Nel decennio tra gli anni Ottanta e Novanta, sotto la sua guida, la Repubblica Popolare Cinese restaurò relazioni strategiche e geopolitiche con l’Unione Sovietica, abbandonando la “teoria dei tre mondi”, antisovietica e di ascendenza maoista.

Deng fu il cuore della seconda generazione dei leader del Partito Comunista Cinese. Sotto il suo controllo la Cina divenne una delle economie dalla crescita più rapida, senza che il partito perdesse il controllo del Paese.

Deng dal 1977 proseguì con il ripudio della rivoluzione culturale e lanciò la “Primavera di Pechino“, movimento che consentì una critica aperta agli eccessi e alle sofferenze vissute in quel periodo storico. Nel frattempo si rese fautore dell’abolizione del sistema delle classi. Con questo il PCC aveva limitato le opportunità di lavoro ai cinesi ritenuti vicini ai proprietari terrieri del periodo precedente alla rivoluzione; la sua rimozione pertanto consentì, in maniera efficace, che i capitalisti cinesi diventassero membri del Partito Comunista.

Deng usò il Giappone come esempio di rapido sviluppo di una potenza economica utilizzandolo come ottimo modello per la futura direzione economica della Cina.

Un altro successo fu l’accordo firmato dal Regno Unito e dalla Cina il 19 dicembre 1984 (dichiarazione congiunta sino-britannica) in base al quale Hong Kong sarebbe stata consegnata nel 1997 alla Repubblica Popolare Cinese. Allo scadere dei novantanove anni di affitto dei nuovi territori Deng concordò che la Repubblica Popolare Cinese non avrebbe interferito con il sistema capitalista di Hong Kong per i successivi cinquant’anni.

Nella generale spinta volta a ottenere una posizione di mercato, alle municipalità locali e alle province fu consentito di investire nelle industrie che esse stesse consideravano più redditizie e ciò spinse gli investimenti verso l’industria leggera. Così le riforme di Deng fecero sì che la strategia di sviluppo della Cina si spostasse dall’industria pesante all’industria leggera e con una crescita guidata delle esportazioni.

La produzione industriale leggera fu vitale per lo sviluppo di un Paese che veniva da un basso capitale di base. Con un breve periodo di gestazione, bassi requisiti di capitale e alti guadagni derivanti dalle esportazioni verso l’estero i profitti generati dall’industria leggera poterono essere reinvestiti in una produzione tecnologicamente più avanzata.

Queste riforme rappresentarono una svolta notevole rispetto alle linee di condotta maoiste di un’economia autosufficiente. La Cina decise di accelerare il processo di modernizzazione aumentando il volume di scambi commerciali con l’estero, specialmente tramite l’acquisto di macchinari dal Giappone e dall’Occidente. Con una tale crescita guidata delle esportazioni la Cina riuscì a portare avanti le quattro modernizzazioni, grazie a consistenti fondi stranieri, al mercato, a tecnologie innovative e a esperienze manageriali, che accelerarono il suo sviluppo economico. Deng attirò inoltre compagnie straniere in una serie di Zone Economiche Speciali, dove vennero incoraggiati investimenti stranieri e la liberalizzazione del mercato.

Le riforme si concentrarono anche sul miglioramento della produttività, tanto che vennero introdotti nuovi concreti incentivi e sistemi di bonus. I mercati rurali, che vendevano i prodotti nazionali dei contadini e i prodotti in eccedenza delle comuni, conobbero una rinascita. Non solo i mercati rurali incrementarono la produzione agricola, ma stimolarono anche lo sviluppo industriale. Con contadini in grado di vendere i loro raccolti agricoli in eccedenza sul libero mercato, i consumi domestici aumentarono, stimolando l’industrializzazione e creando anche un supporto politico per riforme economiche più complesse.

L’economia cinese, dopo essere divenuta la seconda al mondo è tuttora in crescita. Il regime cinese, impostato da Deng, non è certamente democratico né tantomeno liberale, tuttavia mostra che, introducendo il capitalismo, forme di proprietà privata e mercato più libero, la mano metaforica e invisibile di Smith funziona molto meglio di quella rigida e visibile del pianificatore.

 

Libero Lenti (1906 – 1993)

“Se la combinazione non risponde a criteri economici e cioè se i ricavi non sono superiori ai costi compresi gli ammortamenti, la piena occupazione è del tutto formale e provvisoria,
Le imprese diventano enti di beneficienza. Presto o tardi questo si paga perché quello che sembra reddito nazionale (P.I.L.) è in realtà erosione del capitale nazionale. E si paga con un ulteriore rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro”.

 

John Kenneth Galbraith (1908 -2006)

“E’ vero: noi troviamo che tutto va male. Ma non sappiamo suggerire niente di meglio di una economia di mercato”.
“Il socialismo non è una conquista dei socialisti; il socialismo moderno è il figlio degenere del capitalismo”.

 

David Riesman (1909 – 2002)

“ L’idea che l’uomo sia stato creato libero ed eguale è vera e ingannevole allo stesso tempo . Gli uomini sono creati diversi fra loro ed essi perdono la libertà sociale e l’autonomia individuale, per cercare di rendersi simili l’uno all’altro”.

La folla solitaria

 

Milovan Gilas (1911 – 1995)

Milovan Gilas - Onore ai martiri delle foibe.

In una intervista a Panorama del 21 luglio 1991, Milovan Gilas dichiarava tra l’altro: «Nel 1946, io e Edward Kardelij andammo in Istria a organizzare la propaganda anti italiana … bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto». Gilas era il braccio destro di Tito, l’intellettuale del partito comunista jugoslavo; Kardelij era il teorico della «via jugoslava al comunismo», punto di riferimento dell’organizzazione della propaganda anti italiana.
Dunque, due protagonisti di primissimo piano del partito comunista jugoslavo impegnati a cacciare con «pressioni di ogni tipo» gli italiani dalle loro case, dal loro lavoro, dalle loro terre. Tra le pressioni di ogni tipo ci furono il terrore e il massacro: una pulizia etnica. A migliaia gli italiani, senza nessun processo, senza nessuna accusa, se non quella di essere italiani, venivano prelevati di notte, fatti salire sui camion e infoibati o annegati. Non si saprà mai quanti furono ammazzati. A decine di migliaia: una stima approssimativa è stata fatta sulla base del peso dei cadaveri che venivano recuperati dalle foibe; nulla si sa degli annegati. E poi gli esuli: oltre 350mila, che lasciarono tutto, pur di rimanere italiani e vivi. Accolti in Italia con disprezzo, perché solo dei ladri, assassini, malfattori fascisti potevano decidere di abbandonare il paradiso comunista jugoslavo.
Prudente, De Gasperi pensava che l’esito del plebiscito avrebbe turbato gli equilibri internazionali e interni col PCI. A quel tempo, Togliatti aveva fatto affiggere questo manifesto a sua firma: «Lavoratori di Trieste, il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e collaborare con esse nel modo più stretto». Per esempio, sostenendo, come voleva il Migliore, che il confine italiano fosse sull’Isonzo, lasciando a Tito Trieste e la Venezia Giulia. I liberatori comunisti non potevano essere degli assassini: e così, sotto lo sguardo ipocrita dell’Italia repubblicana, con la vergognosa collaborazione degli storici comunisti, disposti a scrivere nei loro libri il falso, quella tragedia sparì, come non fosse mai accaduta.

 

Milton Friedman (1912– 2006)

«Il Cile non è un sistema politicamente libero, e io non posso perdonare questo. Ma il popolo è più libero che nelle società comuniste perché il governo ha un ruolo più piccolo. Le condizioni di vita in questi ultimi anni sono andate sempre meglio e non peggio. Migliorerebbero ancora di più se il paese riuscisse a sbarazzarsi della giunta e a creare le condizioni per un sistema democratico libero.»

“Più burocratica è un’organizzazione, più grande è la misura in cui il lavoro inutile tende a rimpiazzare il lavoro utile… Non c’è furia all’inferno che eguagli la rabbia di un burocrate disprezzato”.

 

Fotografia di Milton Friedman.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per Friedman la considerazione della moneta cambia a seconda del reddito della persona. Se la persona possiede un basso reddito, la moneta è molto veloce, dinamica. Basti pensare al fatto che il basso stipendio di una persona si consuma molto rapidamente tra spese primarie o secondarie. Quando il reddito tende a salire, la moneta inizia ad avere funzioni molteplici. Servirà non solo a soddisfare le spese primarie e secondarie, ma anche a esercitare la libertà di scelta tra diverse opzioni di spesa: viaggi, investimenti, hobby, beneficienza, assicurazioni, risparmi.

La Flat-Tax ha lo scopo principale di permettere alle persone di esercitare la libertà di scelta sui propri guadagni. Essa dà respiro alla classe media e non è vero che avvantaggia i più ricchi a danno dei più poveri. Oggi abbiamo (soprattutto in Italia) un fisco invadente e ingiusto che contribuisce a mortificare l’ascensore sociale inibendo le aspirazioni di miglioramento della propria situazione, di risparmio o di investimento. Il regime fortemente progressivo delle imposte ne è prova, in quanto, chi possiede un reddito più alto, deve pagare aliquote via via più elevate, quasi fosse un reato guadagnare di più. Oggi, anche Nicola Rossi, economista a lungo aderente al partito democratico e attuale presidente dell’istituto Bruno Leoni, ritiene che la sinistra, purtroppo sempre ancorata a vecchi schemi ideologici, sbagli ad osteggiare la tassa piatta (vedi i riferimenti in bibliografia).

Da liberale Friedman sposta l’attenzione dalla “distribuzione del reddito” a un metodo efficace per combattere la miseria: l’unica società senza differenze di reddito è infatti quella in cui tutti sono ugualmente poveri.

Ecco la sua proposta relativa al reddito di cittadinanza basato sul meccanismo della “tassazione negativa” e su controlli seri. Si deve fissare una soglia minima di reddito per l’attivazione del meccanismo, poniamo ad esempio 1000 EUR e una aliquota negativa di tassazione, ad esempio del 50%. Supponiamo che il percettore abbia un suo reddito di 500 EUR. Avrà diritto a (1000 – 500)*50% = 250 EUR. Se invece il suo reddito fosse zero avrebbe diritto a 1000*50% = 500 EUR.

 

Franco Modigliani (1918 – 2003)

Unico economista italiano ad aver vinto il premio Nobel (nel 1985) il neokeynesiano Modigliani si oppose alle teorie monetariste di Friedman. Si occupò di economia e finanza aziendale, studiando i diversi impatti sulle aziende a seconda che si finanziassero con capitale di rischio (emissione di azioni) o con l’indebitamento bancario (emissione di obbligazioni). Per quanto riguarda la macro economia si occupò del ciclo vitale risparmio-consumo mostrando come gli individui tendano ad alternare la propensione al risparmio-consumo a seconda della età e della visione pessimistica – ottimistica del futuro (vedi più avanti Giavazzi). Modigliani si occupò anche di produttività (efficienza) del lavoro, un tema centrale negli studi economici sino dai tempi di Ibn Kaldun.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In una lettera del 1975 indirizzata a Paolo Baffi (direttore generale e poi governatore della banca d’Italia) scriveva: “…Come è possibile che nessuno si impegni a far capire ai sindacati che aumenti di salari monetari senza aumenti di produttività possono solo generare inflazione o disoccupazione? Che io sappia l’unico che ha provato a dirlo è Ugo La Malfa, ma a titolo personale e non a nome del governo…Certo i mesi prossimi non saranno facili per Lei e per il Governatore e posso solo augurarle “to make the best out of a terrible mess”. D’altra parte la nostra situazione qui (USA) non è poi tanto invidiabile, presi nella morsa fra un governo decisamente incompetente ed una banca centrale paralizzata da dogmi monetaristi”.

Pensando alla Italia di oggi (2019) viene in mente una frase recentemente pronunciata da Carlo Cottarelli: “siamo finiti in un cul du sac e per uscirne ci vorrà un sac de cul”.

 

A.Y. Solzenicyn (1918 – 2008)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Bisogna guardare ai compiti dello scrittore non solo dal punto di vista dei suoi doveri verso la società, ma anche del suo dovere verso ciascun uomo, ciò che costituisce il suo obbligo più importante. La vita dell’individuo non è sempre identica a quella della società, il collettivo non aiuta sempre la persona.
Ogni uomo ha tanti problemi che il collettivo non può risolvere; l’uomo è una entità individualità fisiologica e spirituale, prima che il membro di una società”.

Intervista rilasciata a Paul Lichko

All’età di 50 anni Solzenicyn aveva già trascorso otto anni in un lager staliniano. Nel lager fu inviato, senza processo, nel 1945, solo perché nelle lettere che scriveva dal fronte tedesco a un amico aveva espresso delle critiche a Stalin senza neanche nominarlo.

 

A.D. Zacharov (1921 – 1989)

Foto della prima pagina de l'Unità per la morte di Stalin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Il nazismo è durato in Germania per 12 anni. Lo stalinismo in Unione Sovietica è durato due volte tanto. I due fenomeni hanno molti punti in comune, ma presentano anche delle differenze. Lo stalinismo si è presentato come una forma di demagogia più sottile ed ipocrita. La sua base ideologica non è stata l’aperta proclamazione di un programma chiaramente cannibalesco, come quello di Hitler, ma una ideologia socialista, progressista, scientifica e popolare.
Una ideologia di questo genere era un ottimo schermo per ingannare la classe operaia e indebolire la vigilanza degli intellettuali e degli altri concorrenti nella lotta per il potere. Tanto più che si accompagnava all’utilizzazione, imprevedibile e mostruosa, di un impressionante congegno fondato sulla tortura, la pena capitale e lo spionaggio che intimidì e rese folli milioni di uomini che non erano né codardi né folli. La conseguenza di questa “caratteristica specifica” dello stalinismo fu che il popolo sovietico e i suoi rappresentanti più onesti, intelligenti ed attivi soffrirono la più terribile delle vicende.
Da 10 a 15 milioni di persone almeno perirono nelle camere di tortura della N.K.V.D., per le torture e le fucilazioni, nei campi per i Kulak e i cosiddetti semi kulak con le loro famiglie e nei campi senza diritto di corrispondenza”.

Progresso, coesistenza e libertà intellettuale

 

Papa Roncalli (1881 – 1963)

Celebre frase di Papa Giovanni XXIII.

“Il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale, dei singoli cittadini operanti individualmente o variamente associati per il perseguimento d’interessi comuni.
L’azione dei poteri pubblici deve uniformarsi al principio della sussidiarietà, servire di: orientamento, stimolo, coordinamento, supplenza e integrazione”.

Giovanni XXIII

Il Cardinale Agostino Bea così riprese e approfondì il pensiero del Papa:

“La libertà dell’uomo vuol dire il diritto dell’uomo di decidere del suo proprio destino liberamente, secondo la propria coscienza. Da questa libertà nascono il diritto e il dovere dell’uomo di seguire la propria coscienza, al quale dovere e diritto risponde il dovere dell’individuo e della società di rispettare questa libertà e autodecisione”.

 

Carlo M. Cipolla (1920 – 2000)

“L’innovazione è per la società quanto la mutazione è in biologia. Non tutte le mutazioni sono buone, alcune si riducono a esperimenti sfortunati e falliti. Solo la selezione naturale (che non è razionale, sebbene ex post possa essere spiegata razionalmente) ci dirà col tempo quali mutazioni siano buone e quali cattive”

The Economic Decline of Empires

Storico dell’economia celebre per il suo libro, uscito la prima volta nel 1976, sulla stupidità umana:

Carlo Cipolla: grafico sulla stupidità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fatti:

  1. gli Stupidi danneggiano l’intera società;
  2. gli Stupidi al potere fanno più danni degli altri;
  3. gli Stupidi democratici usano le elezioni per mantenere alta la percentuale di Stupidi al potere;
  4. gli Stupidi sono più pericolosi dei Banditi perché gli Intelligenti possono capire la logica dei Banditi;
  5. gli Intelligenti sono vulnerabili dagli Stupidi perché:
    • generalmente vengono sorpresi dall’attacco;
    • non riescono ad organizzarsi poiché gli Stupidi non hanno alcuna struttura razionale.

Leggi:

  1. sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero degli individui Stupidi in circolazione;
  2. la probabilità che una certa persona sia Stupida é indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona, spesso ha l’aspetto innocuo/ingenuo e ciò fa abbassare la guardia;
  3. una persona Stupida è chi causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita;
  4. le persone Intelligenti sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone Stupide;
  5. la persona Stupida é il tipo di persona più pericolosa che esista.

Corollario:

“Una persona Stupida è più pericolosa di un Bandito”.

Tipi di persone:

D) Disgraziato (Sfortunato): chi con la sua azione tende a causare danno a sé stesso, ma crea anche vantaggio a qualcun altro;
I) Intelligente: chi con la sua azione tende a creare vantaggio per sé stesso, ma crea anche vantaggio a qualcun altro;
B) Bandito: chi con la sua azione tende a creare vantaggio per sé stesso, ma allo stesso tempo danneggia qualcun altro;
S) Stupido:  chi causa un danno ad un altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

Cfr. http://www.giovis.com/cipolla.htm

 

Sergio Ricossa (1927 – 2016)

Foto e aforisma di Sergio Ricossa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non si può negare che il mercato, coi suoi tentativi ed esperimenti, molti dei quali destinati a fallire, ‘spreca’ rispetto a un immaginario esperto, il quale per ipotesi conosca a priori chi e cosa riuscirà meglio: è inutile giocare la gara, se si sa in anticipo chi la vincerà e come la vincerà. (…) Il fatto è che i cosiddetti esperti non sono le persone più adatte a giudicare le novità tecnologiche e merceologiche il cui scopo sia la conquista dei consumatori. Gli esperti possono saper tutto del passato e del presente, fino a memorizzare nei loro calcolatori tutte le funzioni di utilità degli individui nella popolazione: ma sanno poco o nulla del futuro (come noi). Se non che le novità si propongono proprio di cambiare il passato e il presente, e dunque riguardano essenzialmente il futuro, un futuro diverso e inconoscibile. Più le novità sono ‘nuove’, e più gli esperti sono privi di precedenti ai quali riferirsi per intuire quel che succederà”.

Secondo Ricossa, Adam Smith quasi plagiò Mandeville quando ne La ricchezza delle nazioni intitolò il capitolo 1° del libro 1°: “La divisione del lavoro”. Fu Mandeville nella Favola delle Api a enfatizzare questo modo di esprimersi: “Dividere e suddividere il Lavoro”. Fu lui ad esemplificare: chi vuole una bella stoffa scarlatta o un tessuto cremisi va dal mercante e la trova. Grazie a centinaia di lavoratori nel mondo…
J.E. Stiglitz sullo Economic Journal del 1985 scrisse: “I risultati conseguiti negli ultimi 10 anni hanno sollevato la possibilità che la “mano invisibile” di Adam Smith sia qualcosa di somigliante ai vestiti nuovi dell’imperatore: la mano invisibile può essere invisibile semplicemente perché non c’è”.
Come se le metafore avessero una esistenza concreta. Stiglitz pretendeva di contare se le mani metaforiche hanno cinque dita…Forse duecento anni dopo non aveva ancora capito La ricchezza delle nazioni.

Maledetti Economisti

 

Roberto Vacca (1927)

“Come al solito le cose funzionano dove c’è un uomo o un gruppo di uomini illuminati, informati ed attivi che le fanno funzionare. I luoghi ove questo accade sono molto rari…
L’approccio sistemico dovrebbe proprio consistere nel tentativo di ottimizzare il funzionamento del sistema nel suo complesso, selezionando i dati da elaborare, evitando le elaborazioni che dovrebbero risultare superflue, evitando le duplicazioni e, se necessario, ridefinendo gli scopi essenziali del lavoro da svolgere.”

Il Medioevo prossimo venturo

 

Arthur Laffer (1940)

La politica economica repubblicana (che ha come capostipite Reagan), e quella di gran parte delle formazioni liberali europee (in primis Margaret Tacher), in merito alla tassazione, nasce dalla idea di mettere in atto quello che si evince dalla Curva qualitativa di Laffer (economista statunitense). Anche  Berlusconi, in una delle sue prese di posizione disse: “… Con tasse troppo alte ci si ingegna ad evadere… Non bisogna chiedere più di un terzo di quanto uno guadagna altrimenti è una sopraffazione – e di conseguenza -…ci si spinge ad evadere”. Il 33% suggerito da Berlusconi (in Italia attualmente la pressione fiscale è intorno al 43%, 6° posizione tra i paesi OCSE, contro un 34% della media europea) non a caso coincide all’incirca con il massimo della curva di Laffer.
Questa curva spiega che vi è un punto di soglia fra le percentuali di applicazione delle imposte per il quale l’elusione, l’evasione e le altre forme di sottrazione al fisco si attenuerebbero e la tassazione raggiungerebbe il punto ideale in cui il gettito fiscale è massimo. Al contempo, essendo considerata una aliquota equa dal cittadino soggetto ad imposta, lo invoglierebbe a pagare per intero le quote previste sui suoi redditi, rendite e patrimoni. La curva mette in evidenza una relazione di tipo parabolico tra gettito fiscale (Y) e pressione fiscale (X). Il gettito fiscale cresce all’aumentare della pressione fiscale fino a raggiungere un massimo. Raggiunto tale massimo, il gettito decresce all’aumentare della pressione fiscale fino ad azzerarsi in corrispondenza ad una pressione fiscale pari al 100%. Dopo un certo livello di pressione fiscale, entrano in gioco fenomeni di evasione fiscale, di erosione e di elusione. In altre parole, i comportamenti effettivi riportano la pressione fiscale reale ad un livello ritenuto sopportabile, grazie ai suddetti fenomeni. Aumenti della pressione fiscale al di là del livello del 25-30%, che per convenzione possiamo definire ottimale, si accompagnano a riduzioni del gettito fiscale. Riduzioni dell’aliquota consentono invece di accrescere le entrate fiscali.

Curva di Laffer: gettito fiscale in funzione della pressione fiscale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarà il Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz (Statunitense, liberal, di sinistra) a definire nel suo libro I ruggenti anni novanta (Einaudi, 2004) quella di Laffer “una teoria scarabocchiata su un foglio di carta”. In effetti la leggenda racconta che per la prima volta, fosse stata tracciata sul tovagliolo di carta di una trattoria.
Nell’articolo La Curva di Laffer: Passato, Presente e Futuro, pubblicato sul sito web della Heritage Foundation il 1° giugno, 2004 lo stesso Laffer così replicava: “La cosiddetta “curva di Laffer”, non è stata inventata da me. Per esempio, Ibn Khaldun, filosofo islamico del 14° secolo, ha scritto nel suo lavoro Muqaddimah: “Si dovrebbe sapere che all’inizio di una civiltà economica, la tassazione produce un grande gettito pur basandosi su piccoli prelievi. Alla fine di essa, la tassazione produce, invece, un piccolo gettito pur basandosi su grandi prelievi”’.

 

Deirdre McCloskey (1942)

Copertina del libro

“La supertassa per i ricchi di Thomas Piketty? Un errore figlio dell’invidia sociale. L’aumento delle disuguaglianze nell’era del capitalismo? Un falso mito. Il libero mercato ha aumentato del 3.000% la ricchezza del pianeta in due secoli. Se impiccare i banchieri e portar via soldi ai ricchi rendesse il mondo più equo, sarei la prima a dire sì. Ma non è così. Le ricette socialiste come quelle di Papa Francesco non funzionano. Solo i liberisti sanno come combattere la povertà”.

“Gli ultimi due secoli, quelli dove più si è sperimentato il libero mercato, hanno reso più ricca gran parte dell’umanità. In Europa e Giappone la disuguaglianza è oggi inferiore a quella di inizio del XX° secolo. Mentre è aumentata di recente, e in misura modesta, solo in Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. Il reddito disponibile invece è balzato del 3.000% da quando lo stato si è fatto più leggero e la gente ha potuto liberare la propria creatività”.
.”Il grande arricchimento, come lo chiamo io, ha ridotto drasticamente la povertà. Quasi tutti in Europa hanno oggi i beni essenziali – un tetto sulla testa, il diritto a istruzione e salute – negati in passato. Quando sono venuta in Italia nel ’58 la gente aveva al massimo uno scooter, frequentava poco l’università e pativa in qualche caso la fame. Oggi non è più così. E non per merito dello Stato (il settore pubblico in Italia è ipertrofico ed inefficiente), ma grazie a chi ha creato questa ricchezza, gente come Adriano Olivetti o l’inventore della Vespa”.
“A Piketty rimprovero due cose. La prima è che soldi, case e patrimonio non sono l’unica forma di capitale. Anzi. Il vero capitale è quello umano, fatto di talento, idee, educazione scolastica e opportunità che Piketty ignora, e invece genera reddito. Nessuno, per dire, criminalizza un bravo calciatore perché guadagna molto. La seconda è l’idea che ridistribuire la ricchezza serva a ristabilire giustizia sociale. Togliere un po’ di soldi ai miliardari o alle banche per darli a chi ne ha di meno cambierebbe poco lo status dei poveri. E sarebbe un regalo una tantum. Lo fai una volta e basta”.
“Non bisogna soffocare lo stimolo a creare valore e far scappare chi produce ricchezza per tutti. La chiave invece è far crescere la società in maniera vigorosa, garantendo a tutti – come diceva Adam Smith – uguaglianza, libertà e giustizia. Così il reddito sale ogni anno e per tutti. Innovatori e imprenditori, secondo William Nordhaus, si mettono in tasca solo il 2% del valore sociale delle loro invenzioni. L’altro 98% dei benefici viene spalmato sul resto della società”.
“Papa Francesco è una grande persona. Ma è figlio della cultura del cattolicesimo sociale, quella che vede un mondo a somma zero. Dove io posso stare meglio, solo se tu stai un po’ peggio. Non è così. Se l’economia và, tutti stanno meglio. La redistribuzione non fa i poveri più ricchi. Dividere equamente una torta piccola è meno efficiente che far crescere la torta. Quello può farlo solo il mercato, garantendo i beni essenziali a tutti. E fino ad oggi, lo dicono i numeri, questo meccanismo ha sempre funzionato”.

 

Antonio Martino (1942)

Foto di Silvio Berlusconi con Antonio Martino.

“Non mi stancherò mai di ripetere che il nostro vero nemico non è l’evasore, ma l’esattore… Se la fiscalità è eccessiva ciò non è certo dovuto al fatto che gli altri non pagano o pagano poco, ma al livello esorbitante raggiunto dalla spesa pubblica: la causa della iperfiscalità è lo statalismo non l’evasione… Ritengo che l’esistenza dell’evasione diffusa sia una delle conferme più vistose dell’assurdità del nostro sistema fiscale, l’evasione non è altro che una forma di rivolta fiscale individuale, fatta in casa… Se si vuole davvero ridurre l’evasione fiscale e non limitarsi a parlarne, bisogna renderla meno conveniente, il che impone una drastica riduzione delle aliquote e l’efficienza nella gestione del fisco… Lo slogan: pagare tutti per pagare meno, ha avuto un successo spiegabile solo con ragioni emotive. Per rispondere con uno slogan ad uno slogan: i contribuenti italiani non sono tartassati perché evasori, ma sono costretti ad essere evasori perché tartassati”.

Nel 2004 Martino fu il principale promotore dell’anticipo della sospensione della leva militare, decisa formalmente già nel 2001, ma che doveva iniziare nel 2007: il servizio militare venne così sospeso a tempo indeterminato dal 1º gennaio 2005, esentando anche tutti coloro che avevano ottenuto i rinvii per motivi di studio o altro. In parallelo egli promosse un’accelerazione nello sviluppo del già presente esercito di volontari professionisti.

Nel 2008 Martino pubblicò Liberalismo quotidiano (Liberilibri, Macerata), testimonianza della tenace battaglia condotta da un economista che non ha disdegnato di scendere dalla cattedra per illustrare con linguaggio comprensibile a tutti la logica e il valore etico delle scelte liberali da lui sostenute: «La storia di questa raccolta di articoli apparsi sulla stampa quotidiana e periodica è cominciata oltre trent’anni fa […] Erano anni in cui le voci ‘fuori dal coro’ si contavano sulle dita di una mano: tutta la grande stampa, la televisione e gli altri media erano perfettamente allineati al pensiero dominante e quasi tutti auspicavano l’avvento al governo del partito comunista italiano. A quell’epoca, tutti sembravano convinti che l’intervento pubblico fosse una panacea, che la crescita della spesa pubblica fosse una scelta imposta da elementari esigenze di solidarietà, che la tassazione di confisca costituisse la giusta punizione da infliggere ai ricchi per i loro peccati, […] che lo Stato fosse un gestore più ‘sociale’ e oculato delle imprese private, e via farneticando.»

Antonio Martino (come del resto il liberale di sinistra Nicola Rossi) non è contrario a forme di sostegno come il reddito di cittadinanza, ma non nella forma pensata dal movimento cinque stelle e finanziata in deficit. In particolare Martino predilige la forma della “tassazione negativa” proposta da Milton Friedman di cui fu allievo (1966) a Chicago e poi amico sino alla morte del maestro.

 

Salvatore Veca (1943)

“Alcuni amano la ricchezza, altri il potere politico; alcuni il merito scientifico, altri i primati sportivi; alcuni il carisma religioso, altri ancora dialogare con i nipoti o scrivere libri di filosofia, eccetera”.

Una filosofia politica

La ossessiva ricerca di una giustizia distributiva, non deve far dimenticare che gli uomini sono molto diversi tra loro e quindi perseguono nella vita obiettivi diversi. Molti ad esempio preferiscono la serenità e la tranquillità al guadagno ed al denaro.

 

Francesco Giavazzi (1949).

Secondo Alesina e Giavazzi, al di là della ricerca del massimo gettito fiscale, comunque auspicabile, esistono altri motivi per privilegiare politiche di riduzione delle imposte rispetto a quelle di aumento incontrollato della spesa pubblica e della assistenza sociale, al fine di stimolare la crescita economica del PIL di un paese.

Nella figura riportata sotto si richiama la teoria del moltiplicatore sviluppata da Keynes.

Teoria del moltiplicatore sviluppata da Keynes.

 

 

 

 

 

 

 

Valore del Moltiplicatore Keynesiano secondo Giavazzi:

Spesa pubblica circa 0.7%
Riduzione Imposte circa 2%

Nell’articolo citato in bibliografia si può leggere:

“…Il numero chiave è quello che gli economisti chiamano il «moltiplicatore della spesa». Ovvero, per un euro di maggior spesa pubblica di quanto «si moltiplica», cioè aumenta il Pil? La risposta ovviamente dipende da molti fattori: di quale spesa si tratta, quali sono i livelli iniziali di spesa, debito e pressione fiscale; dipende anche da come reagisce la banca centrale. Molti economisti hanno cercato di misurare questo moltiplicatore in tanti modi diversi e usando dati recenti. Questo è importante perché in molti Paesi spesa e tasse sono oggi pari a circa la metà del Pil, non il 20 per cento come ai tempi di Keynes. Una delle riviste ufficiali dell’American Economic Association (Valerie Ramey nel Journal of Economic Perspectives) sta per pubblicare una rassegna degli studi degli ultimi decenni su questo punto. La Ramey conclude che il moltiplicatore della spesa si aggira tra 0,5 e 1. In particolare quello della spesa per trasferimenti è più vicino a 0,5. Cioè per ogni euro di spesa pubblica in più — a parità di tasse, quindi finanziata a debito — il Pil aumenta meno di un euro. Il motivo è che una maggiore spesa pubblica spiazza un po’ di spesa privata. Sia perché i tassi di interesse aumentano e gli investimenti privati scendono, sia perché consumatori e investitori si aspettano che le tasse prima o poi aumenteranno per pagare la maggiore spesa, e quindi consumano e investono di meno…

…Invece i moltiplicatori delle imposte, ovvero di quanto sale il Pil per ogni euro di riduzione di tasse, sono molto più alti, stimati intorno a 2 se non di più. Ovvero per ogni euro in meno di imposte si creano due euro in più di Pil. L’effetto e’ particolarmente forte se riduzioni di imposte sono accompagnate da annunci credibili di riduzioni graduali delle spese per mantenere il debito sotto controllo. I consumatori si sentono più ricchi perché tassati di meno sia oggi che domani, e possono quindi aumentare le spese. Idem per gli imprenditori, per via di costi del lavoro più bassi. Inoltre tasse più basse favoriscono la partecipazione al mercato del lavoro, stimolando in particolare l’occupazione femminile che e’ molto bassa in Italia.”.

 

Alan S. Kahan (1971)

Copertina del libro

Perché gli intellettuali non amano il capitalismo? Saggi, romanzi, opere teatrali e manifesti: da sempre gli uomini di cultura puntano il dito contro i mali prodotti dal sistema economico basato sulla proprietà privata. Posizioni simili uniscono personalità molto diverse tra loro: da Gustave Flaubert a Karl Marx, da T.S. Eliot a Friedrich Nietzsche, da Ezra Pound a Pablo Picasso.
Da due secoli, l’intellighentsia rifiuta il progresso economico e la libera impresa, affidandosi di volta in volta a movimenti politici diversi, dal nazionalismo al socialismo, dal fascismo al comunismo, col solo obiettivo di superare il grigiore e la volgarità della società commerciale. Ai nostri giorni, come scrive Kahan nella sua prefazione al libro, tutti i movimenti populisti «esprimono una comune antipatia per il libero mercato e per la crescente autorità delle organizzazioni sovranazionali che incoraggiano la libera circolazione dei capitali e delle persone (cioè l’immigrazione)».
La guerra degli intellettuali al capitalismo” racconta la storia di questo scontro, prova a spiegare i motivi di tale ostilità e tenta di individuare possibili forme di convivenza pacifica fra intellighenzia e mondo produttivo. Perché la guerra tra “mente” e “denaro” è il grande conflitto, ancora irrisolto, della società moderna.
Alan Khan è una personalità di spicco nei media e nella radio in Sud Africa. Il suo talk show Walk the Talk con Alan Khan ha vinto “Best News and Actuality Talk Show PBS” ai Liberty South African Radio Awards 2017. È stato inserito nella South African Radio Hall of Fame nel 2015.

 

Conclusioni

Si può forse azzardare che il liberalismo oscilla tra due poli: tra chi ama la stabilità e chi ama il cambiamento, chi predilige la pianificazione e chi predilige la concorrenza. Potremo chiamare i primi razionalisti costruttivisti (campioni Cartesio e Newton) ed i secondi razionalisti critici (campioni Darwin e Popper). Si potrebbe cercare di sintetizzare i primi con la metafora dell’orologio ed i secondi con quella dei dadi da gioco. Il razionalismo critico si oppone a quello costruttivistico perché non ne condivide la fobia per le sorprese e perché, più che rassegnarsi a un futuro imprevedibile, lo apprezza entro certi limiti. E’ proprio l’imprevedibilità del futuro infatti che ammette l’irrompere del nuovo, la scoperta, l’invenzione, il raggiungimento di beni sociali nemmeno immaginati, prima d’imbattersi in essi. Il razionalismo critico è convinto che ciò di cui la società viene a beneficiare sia sovente  privo di un progetto unitario sottostante. Ognuno conosce qualcosa meglio di chiunque altro, e la conoscenza totale non si può centralizzare interamente. E’ bene dunque ricercare regole di condotta grazie alle quali ciascuno possa contribuire in qualche modo al progresso sociale pur perseguendo un suo scopo particolare. Naturalmente nemmeno i più convinti propugnatori della concorrenza, come Luigi Einaudi, osarono chiederne una attuazione senza freni, e anzi egli avvertì che senza freni sarebbe stata insopportabile; d’altro canto nemmeno gli avversari più convinti della concorrenza, come Keynes, la esclusero del tutto. Gli estremisti puri sono, per fortuna, rari.

In Italia da molti anni non esiste più un partito liberale (PLI). L’ultimo leader di prestigio fu Giovanni Malagodi, segretario del partito negli anni del boom economico e dei governi di centro. Esiste tuttora un partito radicale (per alcuni aspetti libertario, per altri liberal) i cui leader indiscussi sono stati Marco Pannella ed Emma Bonino.
In Europa, con le ultime elezioni di Maggio 2019 il partito liberale, (ALDE) in crescita, è divenuto il 3° partito dopo i popolari e i socialisti entrambi in decrescita.

Per concludere questa rapida rassegna del pensiero e della cultura liberale, si fa cenno agli istituti, le fondazioni, le associazioni e i siti che a questa cultura, seppure con angolazioni diverse, fanno riferimento. Nella seconda metà dell’elenco si dà particolare risalto ad enti, associazioni e siti italiani. Concordo, peraltro, con la diffusa e felice battuta:
“Nel Bel Paese sono più numerose le associazioni, i blog e i siti liberali di quanti siano gli italiani sinceramente convinti del pensiero liberale”.

Mont Pelerin Society

Dopo la seconda guerra mondiale, quando molti dei valori della civiltà occidentale furono messi a rischio, 36 studiosi, principalmente economisti, ma anche storici e filosofi furono invitati dal professor F. Hayek ad incontrarsi a Mont Pelerin, vicino a Montreaux in Svizzera per discutere i principi del liberalismo e del loro possibile sviluppo. L’obiettivo era quello di facilitare lo scambio di idee in modo da rinforzare i principi e la pratica delle società libere e di valutare i punti di forza e di debolezza dei sistemi economici orientati al mercato. Aderirono tra gli altri: von Mises, Karl Popper, Milton Friedman e Bruno Leoni.
https://www.montpelerin.org/

Heritage Foundation

Fondata nel 1973, ha per scopo costruire un’America dove la libertà, le opportunità e la prosperità fioriscano. Il suo obiettivo è quello di formulare e promuovere politiche basate sui principi della libera impresa, stato/governo limitato, libertà individuali, valori della tradizione Americana e una forte difesa della nazione. Arthur Laffer ha, nella fondazione, pubblicato diversi suoi articoli.
https://www.heritage.org/

Fondazione John Locke

La John Locke Foundation è un think tank conservatore con sede nel North Carolina. L’organizzazione è stata fondata nel 1990 per lavorare “per la verità, per la libertà e per il futuro della Carolina del Nord”. Prende il nome dal filosofo John Locke, che ha contribuito in maniera determinante al liberalismo classico.

Home

Istituto Adam Smith

L’Adam Smith Institute è un gruppo neoliberista di esperti e lobbisti con sede nel Regno Unito e intitolato ad Adam Smith, filosofo morale scozzese ed economista classico. L’etichetta libertaria è stata ufficialmente cambiata in neoliberal il 10 ottobre 2016.
https://www.adamsmith.org/

Fondazione Hayek

L’obiettivo della F. A. Hayek Foundation è fondare  in Slovacchia una tradizione di pensiero orientato al mercato, tradizione che in quest’area non esisteva prima degli anni 90. A partire da questa tradizione liberale classica si intende formulare proposte di riforma concrete per soluzioni di mercato a problemi sociali ed economici; estendere e diffondere le idee del liberalismo classico in tutta la Slovacchia nel corso del processo di riforma; rendere disponibile una piattaforma per lo scambio di idee tra gli esperti e un pubblico più ampio; e sviluppare valori e ideali liberali di fondo.
https://www.atlasnetwork.org/partners/global-directory/f.a.-hayek-foundation

Foro liberale Europeo

Il Forum Liberale Europeo (European Liberal Forum – ELF) è il think tank ufficiale e il fondamento politico del partito liberale europeo (European Liberal Party – ALDE). Insieme a 40 organizzazioni consociate lavora in tutta Europa per immettere idee nuove nel dibattito politico, per rendere disponibile una piattaforma di discussione e per consentire ai cittadini di far sentire la loro voce.
https://www.liberalforum.eu/

Fondazione Libertaria

Il programma di finanziamento  punta sullo sviluppo della leadership, sulla costruzione delle competenze e sull’addestramento in diversi ambiti al fine di promuovere mezzi di sussistenza sostenibili e competenze spendibili sul mercato per una società responsabile e progressista. Sostiene le organizzazioni che educano ai valori  libertari e che li promuovono, in modo che gli individui possano trarre vantaggio dai principi informatori di quei valori, assumendo la responsabilità della loro esistenza e migliorando la loro condizione. Finanzia anche i progetti che applicano i principi libertari, come per esempio la promozione dell’imprenditoria, l’innovazione, o, in generale, i progetti in sintonia con il nucleo dei suoi valori libertari.
https://www.risingtide-foundation.org/libertarian

Istituto Von Mises

Ha sede in Auburn, Alabama, è un’organizzazione accademica liberale di orientamento libertario che tratta argomenti di carattere filosofico, economico e inerenti all’economia politica. La visione economica e politica dell’istituto è indirizzata verso la scuola austriaca, e in particolar modo verso Ludwig von Mises, al quale è stato dedicato l’istituto. L’organizzazione si basa unicamente su donazioni private e non ha mai accettato contratti di lavoro con corporazioni o altre organizzazioni.
https://it.wikipedia.org/wiki/Ludwig_von_Mises_Institute

Fondazione Adriano Olivetti

Adriano Olivetti nasce a Ivrea l’11 aprile del 1901, secondogenito dopo Dino e prima di Silvia, di Camillo Olivetti (ebreo) e Luisa Olivetti Revel (valdese). Negli anni della formazione è molto attento al dibattito sociale e politico; frequenta ambienti liberali e riformisti, collabora alle riviste L’azione riformista e Tempi nuovi e, durante il periodo torinese, entra in contatto con Piero Gobetti Carlo Rosselli e Filippo Turati. La fondazione esiste dal 1962, due anni dopo la morte di Adriano.
http://www.fondazioneadrianolivetti.it/

Fondazione Luigi Einaudi

Nasce nel 1964 con la donazione della collezione di libri, periodici e documenti appartenuti a Luigi Einaudi per renderli fruibili a studiosi italiani e stranieri.
La Fondazione non ha scopo di lucro ed è impegnata nella ricerca culturale e nella diffusione delle idee liberali attraverso la promozione di convegni, pubblicazioni, mostre ed eventi culturali, corsi di formazione e la Scuola di liberalismo. La Fondazione ha un Comitato Scientifico diviso in cinque settori di attività: Giustizia, Economia, Relazioni internazionali, Ricerca, Storia e Filosofia.
http://www.fondazioneeinaudi.it/

Istituto Bruno Leoni
L’Istituto Bruno Leoni è nato nel 2003 per promuovere le “idee per il libero mercato”.
L’IBL vuole dare il suo contributo alla cultura politica italiana, affinché siano meglio compresi il ruolo della libertà e dell’iniziativa privata, fondamentali per una società davvero prospera e aperta.
L’IBL prende a modello i think tank anglosassoni: centri di ricerca non profit, indipendenti dai partiti politici, con lo scopo di offrire un contributo al dibattito pubblico.
http://www.brunoleoni.it

Fondazione David Hume

Iniziali promotori e fondatori sono nel 2011, tra gli altri, Piero Ostellino e Luca Ricolfi.
La missione principale della Fondazione David Hume è produrre analisi indipendenti (non targate politicamente) su temi rilevanti (o dimenticati) del dibattito pubblico. Finora gli interlocutori principali della Fondazione David Hume sono stati i quotidiani (La Stampa e Il Sole 24 Ore) per i quali la Fondazione ha svolto attività di Ufficio Studi.
http://www.fondazionehume.it/

Moked

Si tratta del portale dell’ebraismo italiano funzionante dal 2019.
Moked è il nome di un partito liberale di sinistra fondato in Israele nel 1973.
Rende disponibile a tutti una interessante rassegna stampa quotidiana i cui articoli si possono liberamente leggere ed inoltrare ad amici.
http://moked.it/

Sito di Nicola Porro

Laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con una tesi in Tecnica Industriale e Commerciale, è giornalista professionista dal 1997.[2] Ha partecipato a un corso di Business Case Discussion all’Università di Harvard, Cambridge (USA), grazie ad una Borsa di studio e a un corso sulla specializzazione finanziaria delle Società di Leasing presso la SDA Bocconi School of Management. Nel 1994 diventa portavoce del Ministro degli Esteri italiano, Antonio Martino
https://www.nicolaporro.it/

Associazione “il dito nell’occhio”

Il Dito nell’occhio è una associazione culturale ad impostazione liberal-libertaria. Essa cerca di divulgare il valore della libertà, della conoscenza e della tolleranza in tutte le loro molteplici sfumature. Ospita quindi appartenenti alla litigiosa e vulcanica famiglia LIB e ha l’ambizione di farlo in modo inclusivo e conciliante.
https://www.ilditonellocchio.it/

Associazione “Essere liberali”

Secondo l’associazione la cultura liberalista é una concezione della vita; ecco perché non può essere riconducibile ad un partitismo che si occupa della difesa di categorie della società e che é sempre schierato. Ed ecco perché siamo apartitici e indipendenti.
https://www.essereliberali.it/

Fondazione Magna Carta

Del ventennio della Destra, il primo della storia d’Italia perché una Destra di governo non era mai esistita fino al 1994, resta molto poco di liberale e conservatore. Tra i pochi frutti che ci sono rimasti di quella cultura e di quella tradizione c’è la Fondazione Magna Carta. Nata nel 2003 su imitazione del modello statunitense dei think tank, generatrice a sua volta di quel primo modello italiano di quotidiano online che è L’Occidentale, in questo decennio Magna Carta ha avuto problemi di tutti i tipi: dalla separazione dei due padri fondatori, Marcello Pera e Gaetano Quagliariello, alle difficoltà finanziarie.”Magna Carta non è stata la cinghia di trasmissione del berlusconismo”, è arrivato a dire con amarezza un consigliere di amministrazione come Mario Sechi, “semplicemente perché Berlusconi non ha mai messo in pratica neanche una delle cose che sostenevamo in Magna Carta”.
http://magna-carta.it/

Fondazione Critica Lliberale (fcl)

Critica liberale segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il “Mondo” di Pannunzio, gli “azionisti” e Bobbio.
https://critlib.it/

Centro studi del pensiero liberale

Home

Associazionismo liberale

https://www.huffingtonpost.it/carlo-cordasco/lassociazionismo-liberale-e-i-suoi-nemici_b_3480881.html

Bocconiani liberali – Milton Friedman Society

https://www.unibocconi.it/wps/wcm/connect/Bocconi/SitoPubblico_IT/Albero+di+navigazione/Home/Campus+e+Servizi/Campus+Life/Attivita+studentesche/Associazioni+studentesche/Elenco+annuale/Studenti+Bocconiani+Liberali_Buttaboni+2010+07+07+01+10

Associazione culturale, liberalismo Gobettiano

https://www.liberalismogobettiano.it/

Riferimenti

  • John Locke, Il secondo trattato sul governo, RCS, Milano 2010;
  • David Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui principi della morale, Laterza, Bari1957;
  • David Hume, Discorsi Politici, Boringhieri, Torino 1969;
  • A. Massarenti (a cura di), Hume, Il Sole 24 Ore, Milano 2004;
  • John Milton, Areopagetica, discorso sulla libertà di Stampa, RCS, Milano 2010;
  • Voltaire, Trattato sulla tolleranza, RCS, Milano 2010;
  • Montesquie, Pensieri, RCS, Milano 2010;
  • B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, RCS, Milano 2010;
  • Giacomo Leopardi, Opere Complete, Rizzoli, Milano 1950;
  • Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, RCS, Milano 2010;
  • Vilfredo Pareto, Manuale di economia politica, Uni Bocconi, Milano 2006;
  • John Bury, Storia della libertà di pensiero, Feltrinelli, Milano 1962;
  • Albert Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano 1964;
  • Karl Popper, La società Aperta e i suoi nemici, 1942;
  • Albert Einstein, Idee e Opinioni, Schwarz, Milano 1957;
  • Albert Einstein, Il mondo come io lo vedo, RCS, Milano 2010;
  • Luigi Einaudi, Prediche Inutili, Einaudi 1959;
  • Luigi Einaudi, Lezioni di Politica Sociale, RCS, Milano 2010;
  • L. Einaudi, B. Croce, Liberismo e Liberalismo, RCS, Milano 2011;
  • Bertrand Russell, La Saggezza dell’Occidente, Longanesi, Milano 1962;
  • Bertrand Russell, Storia delle idee del XIX Secolo (Marx, Bentham, Malthus, Ricardo, Mill, Owen), Oscar Mondadori, Milano 1968;
  • George Orwell, Nel ventre della balena, RCS, Milano 2010;
  • Bertram D. Wolfe, Cento anni di Marx, Longanesi, Milano 1965;
  • Alexander Solzenicyn, Divisione Cancro, microcosmo infernale nel sonno della ragione, Il Saggiatore, Milano 1968;
  • Alexander Solzenicyn, Discorsi Americani, Mondadori, Milano 1976;
  • Andrei D. Zacharov, Progresso, Coesistenza e libertà intellettuale, Etas Compass, Milano 1968;
  • Milovan Gilas, La società imperfetta. L’utopia alla prova del potere. L’esempio dei regimi comunisti, Mondadori, Milano 1969;
  • Panfilo Gentile, Democrazie mafiose, Volpe, Roma 1969;
  • Roberto Vacca, Il Medio evo prossimo venturo, Mondadori, Milano 1971;
  • Giuseppe Prezzolini, Manifesto dei conservatori, Rusconi, Milano 1972;
  • Montanelli, Gervaso, Cervi, Storia d’Italia, Rcs, Milano 1973;
  • Augusto Guerriero, Quaesivi et non inveni, Mondadori, Milano 1974;
  • Carlo M. Cipolla, Le leggi fondamentali della stupidità umana, Il Mulino, Bologna, 2015;
  • Marzola, Silva, (a cura di), J.M. Keynes: Linguaggio e Metodo, Lubrina Bergamo, 1990;
  • Sergio Ricossa, Impariamo l’economia: idee principi teorie, Rizzoli, Milano 1988;
  • Sergio Ricossa, Maledetti Economisti: Le Idiozie di una scienza inesistente, Rizzoli 1996;
  • Massimo Baldini, Popper e Benetton: epistemologia per gli imprenditori e gli economisti, Armando, Roma 2003;
  • Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo, Il Sole 24 Ore – Laterza, Milano 2001;
  • Alesina, Giavazzi, Il liberismo è di sinistra, Il Saggiatore 2007;
  • C. Nordio, G. Pisapia, In Attesa di Giustizia, Amazon 2010;
  • Luigi Zingales, Manifesto Capitalista: Una rivoluzione liberale contro una economia corrotta, Rcs libri, Milano 2012;
  • Carlo Lottieri, Liberali e non. Percorsi di Storia del pensiero politico, La Scuola Orso blu 2013;
  • Francesco Forte, Einaudi versus Keynes, Istituto Bruno Leoni, Torino 2016;
  • Nicola Porro, La disuguaglianza fa bene, La Nave di Teseo, 2016;
  • Nicola Rossi, Flat Tax: aliquota unica e minimo vitale per un fisco semplice ed equo, Marsilio 2018;
  • Alberto Mingardi, La liberta vi prego sul neo liberismo, Marsilio, Milano 2019;
  • Alan S. Kahan, La guerra degli intellettuali al capitalismo, Istituto Bruno Leoni 2019;
  • Giorgio La Malfa (a cura di), Keynes :Teoria generale dell’occupazione, della moneta e dell’interesse ed altri scritti, Meridiani Mondadori 2019;
  • Anne Applebaum, La grande carestia: la guerra di Stalin all’Ucraina, Mondadori, Milano 2019;
  • Carlo Nordio, La stagione dell’indulgenza, Feltrinelli, Milano 2019;
  • Deirdre McCloskey, How to be a Humane Libertaria.: Essays for a New Liberalism, New Haven: Yale University 2019;
  • Autori Vari, Anti-Piketty: Capital for the 21st Century, Cato Institute, Washington 2017;
  • Alesina, Giavazzi, Il moltiplicatore di Keynes: meglio più spese o meno tasse?, 2018;
  • Alesina, Giavazzi, Siamo un paese senza crescita;
  • Stefano Zecchi, Vite negate, massacri, falsità. Anche la verità fu infoibata;
  • Cris Calton, Quello che serve è ridurre la povertà, non le diseguaglianze;
  • Roberto Chiappi, Pensatori liberali e la curva di Laffer;
  • Il dito nell’occhio. Associazione culturale liberale (Aforismi).

 

 

 

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