Come sappiamo, nei metalli gli elettroni sono liberi di muoversi, mentre le cariche positive rimangono ferme in determinate posizioni.

Nonostante, però, gli elettroni siano liberi di muoversi all’interno del conduttore, essi non possiedono l’energia sufficiente per fuoriuscirne.

La presenza di cariche positive, fa si che gli elettroni mi movimento siano sottoposti ad una serie di forze di natura elettrica. Quando l’elettrone si trova all’interno del metallo, però, la presenza di protoni distribuiti nello spazio circostante fa si che la risultante delle forze che agisce su ogni elettrone è nulla.

Quando, però, l’elettrone si trova sulla superficie del metallo, questo equilibrio di forze viene a mancare, in quanto, mentre è attratto verso l’interno dalle cariche positive, all’esterno della superficie metallica non vi sono altre forze che compensano.

Di conseguenza, l’elettrone che si trova sulla superficie del conduttore è attratto verso il suo interno.

Per questo, se si vuole estrarre l’elettrone da tale superficie, occorre esercitare un lavoro contro la forza elettrica che lo spinge verso l’interno.

Si definisce, quindi, il lavoro di estrazione come l’energia minima che occorre fornire per estrarre un elettrone da un metallo.

Quando si fornisce energia ad un elettrone, in qualunque modo essa venga fornita, si sottopone l’elettrone ad una differenza di potenziale; tale differenza di potenziale prende il nome di potenziale di estrazione, ed è tale per cui l’elettrone acquista una quantità di energia pari al lavoro di estrazione.

Possiamo, quindi, definire il potenziale di estrazione come il rapporto tra il lavoro di estrazione e la carica elementare:

$ V_e = frac(W_e)(e)$

Il lavoro di estrazione viene misurato in elettronvolt (eV), e corrisponde alla quantità di energia acquistata da un elettrone quando questo viene sottoposto ad una differenza di potenziale di 1V.

L’ energia che viene fornita al metallo per permettere agli elettroni di staccarsi dalla sua superficie, può essere trasmessa in modi diversi, e in base a questo si parla di effetti diversi; vediamo in particolare l’effetto termoionico e l’effetto termoelettrico.

 

L’effetto termoionico

L’effetto termoionico consiste nell’estrazione di elettroni dalla superficie di un metallo mediante riscaldamento del metallo.

Fornendo calore al conduttore, infatti, parte del calore fornito si trasforma in energia interna del metallo, ovvero si ha un aumento dell’energia cinetica degli elettroni al suo interno.

Quando gli elettroni assumono un’energia maggiore del lavoro che occorrerebbe fare per estrarli, allora essi potrebbero essere in grado di lasciare la superficie metallica.

Non tutti gli elettroni con una tale quantità di energia, però, son in grado di fuoriuscire dal metallo; infatti, possono essere estratti solo quelli che si trovano in prossimità della superficie e che si stanno muovendo nel verso uscente da essa.

 

L’effetto fotoelettrico

L’effetto fotoelettrico consiste nell’emissione di elettroni dalla superficie metallica mediante irraggiamento del metallo con radiazione elettromagnetica, ossia mediante illuminazione con luce visibile o ultravioletta.

Come sappiamo, la luce trasporta energia, che non è distribuita in maniera uniforme all’interno dell’onda, ma è concentrata in piccoli pacchetti (quanti) detti fotoni.

Quando un fascio di luce investe la superficie del metallo, i fotoni dell’onda vengono trasferiti alla superficie metallica, e ciascuno di essi interagisce con un singolo elettrone, trasferendo ad esso la propria energia.

L’energia trasportata da ogni fotone è data dalla formula E = hv, dove h è la costante di Planck, mentre v è la frequenza della radiazione.

Anche in questo caso, quando gli elettroni acquistano un’energia maggiore al lavoro di estrazione, essi sono in grado di abbandonare la superficie metallica.

 

effetto-fotoelettrico

 

In particolare, notiamo che per estrarre una quantità maggiore di elettroni dalla superficie metallica è necessario aumentare l’intensità della luce che colpisce tale superficie; infatti, questo aumento fa si che una maggior numero di fotoni colpisca la superficie metallica in un indeterminato intervallo di tempo; ciò implica che vi sia un maggior numero di elettroni ad interagire con i fotoni, ricevendo quindi l’energia da essi trasportata.

 

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