In un circuito, la corrente elettrica è definita come il moto delle cariche elettriche che si spostano all’interno del conduttore. Come sappiamo, questo modo è dovuto allo spostamento naturale delle cariche a causa della presenza di una differenza di potenziale, mantenuta costante da un generatore.

Il lavoro del generatore, infatti, consiste nel trasportare le cariche elettriche contro natura, per ristabilire di nuovo il loro moto naturale. Nel caso di cariche positive, ad esempio, esse vengono trasportate da punti a basso potenziale verso punti a potenziale più alto, quindi dal polo negativo verso quello positivo; qui le cariche positive vengono rilasciate, e così possono ricominciare il loro moto naturale verso punti a basso potenziale.

Il generatore, per spostare le cariche contro natura, deve compiere un lavoro contro le forze del campo elettrico; è conveniente introdurre una nuova grandezza, detta forza elettromotrice, data dal rapporto tra il lavoro compiuto dal generatore per trasportare contro natura una carica q e la carica q stessa:

$f_(em) = W/q$

La forza elettromotrice si misura in J/C, cioè in V, la stessa unità di misura della differenza di potenziale.

In effetti, la fem, nel caso di generatori ideali di tensione, corrisponde proprio alla differenza di potenziale che il generatore mantiene in un circuito.

Questo fatto si verifica anche nel caso di circuiti che sono aperti, ossia circuiti in cui non circola corrente.

Per i circuiti chiusi, e nel caso di generatori ideali di corrente, però, la differenza di potenziale è leggermente inferiore alla forza elettromotrice, in quanto  una parte dell’energia elettrica che viene fornita dal generatore serve per permettere alle cariche di muoversi al suo interno, vincendo la resistenza che esso offre.

 

La resistenza interna

Per descrivere il dislivello tra la differenza di potenziale e la forza elettromotrice si introduce il concetto di resistenza interna del generatore, indicata con $r_i$.

Molto spesso, quindi, si usa rappresentare i circuiti reali con la resistenza interna  $r_i$ , collegata in serie ad un generatore ideale:

forza-elettromotrice

 

In questo modello, la forza elettromotrice corrisponde alla differenza di potenziale ai capi del generatore ideale; la differenza di potenziale ai capi del generatore reale, invece, corrisponde a quella del resistore con resistenza  $R_(eq)$.

Tale differenza di potenziale, quindi, si ottiene dalla formula: ∆V = Ri.

Dalla seconda legge di Kirchhoff, sappiamo che la somma algebrica delle differenze di potenziale che si incontrano percorrendo una maglia è uguale a zero; in questo caso, percorrendo la maglia in senso orario, si incontrano due differenze di potenziale negative e una positiva:

$f_(em) – r_i * i – R_(eq) * i = 0$

Da qui possiamo ricavare l’intensità di corrente del circuito:

$ i = frac(f_(em))(r_i + R_(eq))$

 

La differenza di potenziale e la forza elettromotrice

La differenza di potenziale ai capi del resistore, e quella ai capi del generatore reale, è data dalla seguente formula:

$ ∆V = R_(eq) * i = R_(eq) * frac(f_(em))(r_i + R_(eq)) = frac(R_(eq))(r_i + R_(eq)) * f_(em)$

Notiamo, quindi, che nel casi di un generatore reale di tensione, la differenza di potenziale ∆V non è uguale alla forza elettromotrice, ma è minore.

Vediamo quali sono gli unici casi in cui queste due grandezze sono uguali:

  • quando la resistenza interna ri è uguale a zero, cioè quando il generatore di tensione è ideale;
  • quando la resistenza equivalente è infinitamente grande, cioè nel caso ipotetico di un circuito aperto, in cui non circola corrente.

La resistenza interna limita il valore massimo di corrente che può essere erogata; infatti, anche se non vi fossero resistenze all’interno del circuito, ovvero se la resistenza equivalente fosse nulla, la presenza della resistenza interna fa si che l’intensità di corrente massima sia data da:

$ I_(max) = frac(∆V)(r_i)$

Anche la potenza del circuito è influenzata dalla presenza della resistenza interna; parte dell’energia sviluppata dal circuito, infatti, viene dissipata a causa di essa, cosicché la potenza realmente utilizzabile è minore di quella che si avrebbe idealmente.

Si può dimostrare, infatti, che la potenza realmente sfruttabile è data dalla seguente formula:

$ P = V^2 * frac(R)((R + r)^2)$

 

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