Illustra le caratteristiche essenziali che caratterizzano il concetto filosofico di superuomo secondo Nietzsche

Dal tramonto dell’idea di Dio deriva lo smarrimento dell’esistenza. Occorre avere il coraggio di guardare la realtà e la “caoticità a-razionale” del mondo e superare l’abisso che separa l’uomo dall’oltre-uomo. Ne consegue che, per Nietzsche, la morte di Dio rappresenta l’atto di nascita del Superuomo: dietro di sé c’è lo smarrimento; davanti a sé ci sono le infinite possibilità che scaturiscono dalla progettazione della propria esistenza.
La morte di Dio, che segna il tramonto della metafisica, significa per Nietzsche la fine del platonismo, definito dal filosofo la “metafisica dell’Occidente” e il Cristianesimo niente altro che “platonismo per il popolo”. Il Superuomo è soprattutto un concetto filosofico: è colui che è in grado di accettare la vita, di rifiutare la morale cristiana tradizionale, di reggere la morte di Dio, di superare il nichilismo, di collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno ponendosi come volontà di potenza. La volontà di potenza, propria del superuomo, è vista come libertà, creatrice che si erge sopra il caos imponendo i propri significati all’essere.

 

Significato e conseguenze della legge dei tre stati di Comte

Comte si rivolge alla Scienza nella quale vede la rigenerazione dell’uomo e la realizzazione del mondo. Elabora la legge dei tre stati che è considerata il punto di partenza della sua riflessione filosofica.
Osservando lo sviluppo organico dell’uomo, rileva che la conoscenza passa attraverso tra stati teorici diversi l’uno dall’altro.
Il primo è lo stato teologico o fittizio. Lo spirito umano orienta le proprie ricerche verso la natura degli esseri, la causa prima e quella finale; rappresenta a sé i fenomeni come risultati dell’azione diretta di agenti soprannaturali che intervengono in modo arbitrario.
Il secondo è quello metafisico o astratto. È una parziale modifica del primo nel senso che, al posto degli agenti soprannaturali, intervengono forze astratte personificate che operano secondo ambiti specifici.
Il terzo è lo stato positivo. Lo spirito umano non cerca più nozioni assolute, le cause prime dei fenomeni; si preoccupa di scoprire, attraverso il ragionamento e l’osservazione, le leggi effettive dei fenomeni e le loro relazioni.
Le conseguenze sono importanti perché Comte, volendo portare a compimento l’opera di Bacone, di Galilei e di Cartesio, costruisce il sistema delle idee generali che presuppone a sua volta l’enciclopedia delle scienze in base alla classificazione che vede in primo luogo il grado di semplicità o di generalità dei fenomeni.

 

Analizza la tesi di Kierkgaard: la scelta è carattere essenziale dell’esistenza

La scelta in quanto carattere essenziale dell’esistenza deriva il Kierkgaard dalla convinzione che, se l’animale ha un’essenza e che la scienza in virtù del fatto che l’essenza è regno del necessario, ne cerca le leggi, l’esistenza è invece il regno del divenire e della libertà. Il modo dell’esistere non dipende pertanto da condizioni di necessità formulate da leggi, ma dalla possibilità.
Per Kierkgaard tutto “è egualmente possibile”; l’esistenza è pertanto poter-essere, possibilità di scegliere e di perdersi. Questa possibilità, però, viene vissuta come “minaccia del nulla”, così che la realtà altro non è che esistenza vissuta come “possibilità” e “angoscia”. L’angoscia, che deriva dalla scelta del possibile, si fa puro sentimento e può essere molto più dolorosa e terribile della realtà. Il possibile, in quanto scelta, corrisponde al futuro e il futuro, in termini di tempo, è possibile. L’angoscia della scelta caratterizza l’esistenza umana, la forma e “distrugge tutte le finitezze scoprendo tutte le loro illusioni”. Occorre dare un’impostazione positiva a questa condizione per consentire all’angoscia della scelta di scacciare “i pensieri finti e gretti” senza cedere alla tentazione del suicidio.

Differenza fra tempo “spazializzato” e tempo come “durata” per Bergson

Bergson ha elaborato un’originale teoria relativa al concetto di tempo. Il tempo “spazializzato” è quello della meccanica, della fisica, in parole povere, della scienza. Per spiegare il concetto Bergson cita ad esempio una collana di perle, tutte uguali e distinte fra loro. Il tempo come “durata” è invece riferito alla vita spirituale; è fatto da momenti irripetibili fra loro; anche se noi volessimo ricrearli, sarebbe impossibile. Il tempo come “durata” è pertanto costituito da momenti che si sommano fra loro; è concreto ed è interiore. Si potrebbe paragonare ad un gomitolo di filo che cambia continuamente e cresce su se stesso. Proprio per questa ragione il tempo come “durata” è auto-creazione continua e libertà, mentre quello “spazializzato” è astratto ed esteriore, tanto da essere definito da Bergson “concetto bastardo”

 

Quali sono le caratteristiche dell’apollineo e del dionisiaco nella “Nascita della tragedia” di Nietzsche?

Nella “Nascita della tragedia” (1872) Nietzsche afferma che lo spirito apollineo domina l’arte plastica in quanto espressione armonica delle forme, mentre lo spirito dionisiaco domina la musica, in quanto priva di forma e portatrice di ebbrezza ed esaltazione. Lo spirito dionisiaco aiutò il popolo greco a sopportare l’esistenza in quanto esso, per effetto dell’atteggiamento contemplativo di fronte alla verità, vedeva ovunque la bruttezza del mondo. L’arte, per effetto dello spirito apollineo, trasfigurò il brutto in immagine ideale e portò al “sublime”. La rasfigurazione fu resa possibile dallo spirito dionisiaco, disciplinato da quello apollineo, e diede vita alla tragedia. Il pessimismo dei Greci, così trasfigurato, scomparve, ma Socrate, prima, e il platonismo, poi, annientarono lo spirito dionisiaco e diedero inizio alla decadenza del popolo ellenico.

 

I “Discorsi alla nazione tedesca” di Fichte, all’indomani della sconfitta della Germania da parte di Napoleone

I “Discorsi alla nazione tedesca” costituiscono una delle opere più originali della filosofia tedesca e rappresentano l’evoluzione in senso nazionalistico della filosofia politica di Fichte. Il tema dei “Discorsi”, tale da sconcertare e impensierire i Francesi, è l’educazione. Il filosofo sostiene che il mondo richiede un nuovo approccio pedagogico al servizio della nazione per trasformare radicalmente la mentalità e, addirittura, la struttura fisica delle persone. Soltanto il popolo tedesco è in grado di promuovere la “nuova educazione” in virtù del carattere fondamentale che lo caratterizza, vale a dire la lingua, che non ha subito, a differenza dei popoli neolatini, trasformazioni ponendosi quindi come espressione della vita concreta e della cultura del popolo. Mentre per Francesi e Italiani, per effetto dei mutamenti linguistici propri della lingua neolatina, si è assistito alla frattura fra popoli, lingua e cultura, i Tedeschi sono gli unici a potersi considerare “il popolo per eccellenza”. “Deutsch” significa “volgare” (da volgo) o “popolare”. L’opera è da considerare patriottica e auspica l’avvento di una nuova generazione di tedeschi. La Germania, patria del luteranesimo e di Kant, risulta la nazione “eletta” a realizzare “l’umanità fra gli uomini”.

 

Come e perché, secondo Kierkgaard, Adamo scopre il senso dell’angoscia?

Questo tema è affrontato da Kierkgaard nell’opera “Concetto dell’angoscia”. Mentre Abramo, che ha fede, opta per il principio religioso e segue l’ordine divino, Adamo vive in condizione di “angoscia” in quanto il “divieto divino” lo rende inquieto perché sveglia la “possibilità della libertà” ed è strettamente connessa col peccato ed è a fondamento del cosiddetto “peccato originale”. Adamo vive nell’innocenza, ma essa è in realtà “ignoranza”, non-conoscenza, non è nemmeno lotta perché nell’Eden non c’è nulla contro cui lottare. È proprio il “nulla di preciso” che determina l’angoscia, sentimento della possibilità. È infatti il divieto divino che rende inquieto Adamo, il quale avverte la possibilità della libertà. È dalla “possibilità di potere” che scaturisce l’angoscia. Essa non è necessità, non è libero arbitrio: è libertà limitata che si identifica col sentimento della possibilità.

Perché Kierkegaard concepisce la vita estetica e quella etica come due alternative inconciliabili?

Vita estetica e vita etica, argomenti che Kierkegaard tratta in “Aut-Aut”, sono due stadi fondamentali della vita. Lo stadio estetico è la forma di vita dell’esteta che esiste nell’attimo irripetibile e fuggevole della immaginazione e della riflessione. L’esteta costruisce un mondo dal quale è assente tutto ciò che la vita propone come banale ed insignificante. Egli vive in una condizione di incessante ebbrezza intellettuale. La vita estetica, quindi, esclude la “ripetizione”, che è monotona e poco interessante. Giovanni, protagonista del “Diario del seduttore” è appagato dalla limitazione e dall’intensità dell’appagamento. Il limite della vita estetica è pertanto nella noia, nella disperata e ansiosa ricerca di una vita diversa come possibile alternativa.
Solo la disperazione consente la scelta per rompere l’involucro della pura esteticità ed aggrapparsi alla sola alternativa possibile, quella della vita etica. Essa nasce pertanto da una scelta ed implica la stabilità e la continuità che la vita estetica, ricerca incessante della varietà, esclude in modo assoluto.
La vita etica, dominio del dovere e della fedeltà, diventa inconciliabile con quella estetica. Il seduttore incarna la vita estetica; il marito, per effetto del matrimonio, è espressione di quella etica

 

Per Marx, che cosa significa che l’operaio nell’industria capitalistica si estrania dalla sua stessa attività lavorativa?

Per Marx l’alienazione è una condizione patologica di scissione, dipendenza, autostraniazione; è un fatto reale, di natura socio-economia e si identifica con la condizione del salariato nel contesto della società capitalistica. Marx individua quattro aspetti fondamentali dell’alienazione:

  • L’operaio è alienato rispetto al prodotto della sua attività in quanto produce cose che non gli appartengono; la forza del prodotto diventa sempre maggiore ed è tale da accentuare la sua sottomissione;
  • L’operaio è alienato rispetto alla propria attività che diventa “lavoro forzato” per effetto del quale egli è strumento del profitto del capitalista:
  • L’operaio è alienato rispetto alla propria essenza umana. L’uomo è libero e creativo; dalla società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato e ripetitivo;
  • Il lavoratore è alienato rispetto al “capitalista” che lo tratta come strumento e lo priva del frutto della sua fatica.

In conclusione, la causa del meccanismo di alienazione è da cercare nel fatto che l’operaio è strumento per produrre ricchezza.

 

Lo schema della filosofia dello Spirito di Hegel. Spiega il significato delle triadi fondamentali.

Per Hegel lo Spirito è l’Idea che, estraniatasi da se stessa nel mondo naturale, ritorna a se stessa.
Lo Spirito si manifesta attraverso tre momenti fondamentali.

  • Spirito soggettivo – è spirito individuale – è anima (oggetto dell’antropologia) perché rimane attaccato all’individualità e alle condizioni naturali. L’anima si sviluppa a sua volta come anima senziente (sentimento di sé) e anima reale (atteggiamenti corporei e del linguaggio). Lo Spirito soggettivo è coscienza (oggetto della fenomenologia dello spirito) – riflette su di sé e si pone come autocoscienza. Lo Spirito soggettivo è Spirito (oggetto della psicologia) – si considera nella sue manifestazioni universali (conoscere teoretico – attività pratica – volere libero, che è il momento culminante della spiritualità soggettiva) – Spirito libero=volontà di libertà
  • Spirito oggettivo: società e Stato – vi si realizza la volontà di libertà in istituzioni storiche concrete caratterizzate dalla volontà razionale del singolo. I momenti dello Spirito oggettivo sono:diritto astratto – proprio della persona e si esprime nella proprietà; moralità – propria della volontà soggettiva, si manifesta nell’azione il cui valore è l’intenzione e il cui scopo è il benessere. Se intenzione e benessere aspirano all’universalità, il fine assoluto della volontà è il bene. La separazione fra soggettività (che deve realizzare il bene) e il Bene (da realizzare) è annullata e risolta dall’Eticità nella quale il Bene è diventato esistente. Questa eticità si risolve nella famiglia (momento naturale – base nella differenza dei sessi), nella società civile (totalità delle persone – amministrazione della giustizia e della polizia), nello Stato (unità delle famiglie e della società civile). Nello Stato si realizza la sostanza razionale dello Spirito. Lo Stato è a sua volta collegato con la Religione (suprema manifestazione del divino), l’arte e la filosofia.
  • Spirito Assoluto – il concetto di Spirito nel suo processo si realizza in modo compiuto nella forma dell’eticità. Lo Spirito di un popolo si rivela a se stesso nella forma dell’arte, della religione e della filosofia. Con l’arte lo Spirito acquisisce coscienza di sé. Con la religione si manifesta come rappresentazione. Con la filosofia, ultimo momento dello Spirito Assoluto, l’Idea perviene alla coscienza di sé.

 

Le critiche alla filosofia hegeliana condivise da Feuerbach e Marx; in che cosa Marx si distacca da Feuerbach?

I momenti della condivisione di Feuerbach e Marx nella critica della filosofia hegeliana sono:

  • La rivendicazione della naturalità e della concretezza degli individui.
  • Il rifiuto dell’idealismo teologizzante di Hegel che ha ridotto l’uomo a manifestazione di soggetto spirituale infinito.
  • Teorizzazione del “rovesciamento materialistico” fra soggetto e suo predicato, fra concretezza ed astrazione.

Il distacco di Marx da Feuerbach è segnato:

  • Dal fatto che Feuerbach ha perso di vista la “storicità” dell’uomo che per Marx è soprattutto società e quindi storia, nel senso che l’Uomo in astratto non esiste perché è prodotto di una determinata società.
  • L’interpretazione religiosa – Feuerbach ha scoperto il meccanismo dell’alienazione religiosa (non è Dio a creare l’uomo, ma l’uomo “proietta” Dio sulla base dei propri bisogni), ma non ha saputo cogliere le cause reali del fenomeno religioso e non è in grado di offrire validi mezzi per il suo superamento. Per Marx le radici del fenomeno religioso sono da cercare non nell’uomo, ma nella tipologia storica della società.
  • Feuerbach ha ignorato l’aspetto attivo e pratico della natura umana cercando la soluzione ai problemi reali in una dimensione prevalentemente teorica. In pratica ha ignorato la validità della “prassi”.

 

L’inconscio per Freud, quali sono le sue manifestazioni? Come è possibile accedere ad esso?

Per Freud l’inconscio, che è “lo psichico stesso e la sua realtà essenziale”, si manifesta nelle nevrosi e nelle manifestazioni “non ragionevoli” della vita delle persone. Le manifestazioni “non ragionevoli” sono da cercare nelle libere fantasie, nelle dimenticanze, negli “atti mancati”e, soprattutto, nei sogni.
All’inconscio è possibile accedere attraverso “L’interpretazione dei sogni”, per effetto della quale lo psicoanalista, avvalendosi del metodo della libera associazione, distingue il “contenuto manifesto” (ciò che si ricorda) da quello “latente” (il senso del sogno).
L’interpretazione dei sogni, infatti, per Freud, è la via regale per la conoscenza dell’inconscio, la base più sicura delle ricerche.

 

Spiega perché, secondo Kant, lo spirito o l’Io soggettivo diventa legislatore della natura

Questo argomento è trattato nell'”Analitica trascendentale” ed è l’espressione più compiuta della cosiddetta “rivoluzione copernicana”.
Kant pensa alla natura come “conformità dei fenomeni a regole precise”. Distingue fra natura in senso “materiale” (insieme di dati e leggi particolari) e “formale” (insieme delle leggi universali e necessarie).

Il senso formale della natura deriva pertanto dalla struttura a priori della nostra mente, così che l’Io ne è legislatore nel senso che è il soggetto delle relazioni “generali” che sono alla base dell’esperienza fenomenica.

 

La nausea in Sartre

Sartre considera che nella condizione umana vi è qualcosa di paradossale. Parte dal presupposto di intenzionalità della coscienza, ma afferma che l’io non vi dimora ed è “fuori” nel mondo. Occorre quindi ristabilire il rapporto della coscienza con il mondo, nel senso che “la coscienza è coscienza posizionale del mondo”. L’apparizione dell’uomo fa sì che esista un mondo, che non è coscienza, ma l’io non vi dimora. Coscienza è apertura al mondo, che però non è esistenza. Con questa tesi Sartre contrappone l’assurdo ai valori positivi della filosofia classica: questo è il paradosso.
Il protagonista dell’opera omonima, Antoine Roquentin, infatti, riflette sulle motivazioni della propria esistenza e del mondo circostante. La riflessione lo porta alla scoperta della nausea, come sentimento che pervade l’uomo quando scopre il paradosso “dell’essenziale contingenza e dell’assurdità del reale”.

 

L’evoluzione in Spencer

I principi della scienza, secondo Spencer, sono l’indistruttibilità della materia, la continuità del movimento, la persistenza della forza. Questi principi generali richiedono una legge, quella dell’evoluzione, secondo la quale la materia passa da uno stato di dispersione ad uno stato di integrazione o concentrazione. La filosofia è pertanto teoria dell’evoluzione. L’evoluzione è un passaggio da una forma meno coerente ad una più coerente (dalla nebulosa al sistema solare).
Il processo evolutivo è caratterizzato come una passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo, tipico dei fenomeni biologici. Da un organismo indistinto ad uno sviluppo articolato e differenziato (seme, linguaggio).
L’evoluzione implica altresì il passaggio dall’indefinito al definito (tribù con ruoli non specifici a società civile). È un passaggio necessario perché l’omogeneità iniziale è instabile e deve pervenire all’eterogeneità per raggiungere l’equilibrio. Una volta iniziato, il processo evolutivo deve continuare ed è caratterizzato dall’ottimismo. La legge del ritmo (alternarsi di elevazioni e di cadute) implica l’alternanza di evoluzione e di dissoluzione. In relazione all’uomo, l’evoluzione deve produrre armonia fra la natura spirituale umana e le condizioni di vita.

 

Freud e la guerra

Questo argomento è affrontato in due contesti ben precisi: la prima guerra mondiale e il carteggio con Albert Einstein, durato circa 17 anni. Dopo un iniziale entusiasmo, ben presto rivisto e corretto, all’inizio delle ostilità nel 1914, Freud riprende i temi della disillusione e dell’aggressività che aveva avviati con la critica alla società comunista.
La guerra è, secondo Freud, una forma di regressione collettiva proprio a causa della delusione. I fattori che la determinano sono due: gli Stati che ci rappresentano non hanno nulla di morale (delusione); gli individui sono tornati ad uno stadio di brutalità inconciliabile con il progresso civile (spaesamento).
Lo spaesamento, al pari della vita onirica, ci dice la psicoanalisi, dimostra che le pulsioni sono proprie dell’essere umano. Si assiste nella guerra ad una sorta di regressione perché con la guerra la psiche abbandona le regole della civiltà per manifestare il ritorno alla fasi più recondite della vita psichica.
Più tardi, a partire dal 1932, ad Einstein che chiedeva a Freud se fosse possibile “liberare gli uomini dalla fatalità della guerra”, lo psicoanalista dimostra la comprensibilità della guerra e la difficoltà a recidere i meccanismi tipici della psiche, le pulsioni appunto. Alla “normalità” della guerra si oppone l’atteggiamento psichico proprio del processo civile: non è rifiuto, ma intolleranza costituzionale alla guerra. È però difficile, conclude Freud, contenere la forza distruttiva della psiche.

 

La struttura della psiche in Freud

L’apparato psichico è composto dall’Es (o Id – in latino neutro dimostrativo), dall’Ego (Io) e dal Super-Ego (Super Io).
L’Es è l’insieme degli impulsi inconsci della Libido; fonte dell’energia biologica e sessuale, è amorale ed egoistico. L’Ego è il rappresentante consapevole dell’Es. si trova ad equilibrare il rapporto fra l’Es e il Super-Ego, vale a dire fra le pulsioni e le limitazioni imposte dal Super-Ego.
Il Super-Ego si forma nella prima infanzia, verso i cinque anni, ed è la sostanziale differenza fra l’uomo e l’animale. È interiorizzazione dell’autorità familiare e delle regole collegate ai valori e ai comportamenti proposti dalla società.
L’individuo si muove sempre fra queste due forze, quella dell’Es, regolata dai principi del piacere e della libertà, e quella del Super-Ego che, in forza del principio di realtà e con la mediazione dell’Ego, dà la giusta direzione.

 

Spiega il significato della vita autentica nella filosofia di Heidegger

Vivere è esserci ossia esistere, l’esistenza può essere autentica o non autentica.
L’esistenza non autentica si basa sul progettare, sul prendersi cura, e vede l’uomo proiettato fuori di sé che usa le cose intorno a sé e crea legami sociali con i suoi simili; in questo modo si vive un’esistenza in autentica basata sul “si dice” sul “si fa”, un’esistenza anonima che fa vivere l’uomo in un poter essere ma non è.
Per poter essere in modo autentico l’uomo deve ascoltare “la voce della coscienza” (che non ha nulla di psicologico o metafisico non è un ripiegarsi su se steso ma un aprirsi) che porta l’uomo di fronte a se stesso costringendolo a guardare il suo esserci, come essere solo e isolato qui egli comprende che può progettare la sua vita in qualsiasi modo, ciò lo renderà consapevole che lui esiste, c’è indipendentemente dal mondo fuori e dalle relazioni sociali, pertanto l’esistenza autentica è quella che vaglia una sola possibilità la morte, che è l’unica possibilità che non lo porta a progettare e che annulla tutte le altre possibilità non facendo disperdere l’esistenza dell’uomo.
L’esistenza autentica per l’uomo è la morte. Seguendo questa linea di pensiero si potrebbe pensare che Heidegger ammette il suicidio, ma non è una linea veritiera poiché suicidarsi vuol dire progettare lucidamente la morte il che ci farebbe ricadere nell’esistenza inautentica, ossia sarebbe uno dei modi di progettare la vita anche se verrebbe a coincidere con la morte.

 

Nietzsche: l’oltreuomo e il nichilismo

Nietzsche giunge al nichilismo dopo aver dimostrato che tutto quello che l’uomo occidentale pensava che fosse certo non lo era, pertanto mancando le certezze occorre superare l’umanità; ciò avviene per mezzo dell’oltre uomo.
L’oltreuomo è il punto d’arrivo della filosofia di Nietzsche; l’oltreuomo guarda oltre l’uomo lo supera, supera i suoi legami col mondo e con gli altri tende alla solitudine, la quale gli consente di scavare nella sua più profonda interiorità; in questo modo è libero interiormente e può creare e divenire ciò che vuole.
Il superuomo è il filosofo del futuro capace di legiferare e di creare. Il Superuomo di Nietzsche realizza la rappresentazione di un gioco che è contemporaneamente aggressivo e creativo; aggressivo perché va contro le regole e gli standard a cui tutti sono legati creativo perché rompendo gli schemi e guardando oltre lo stereotipo “uomo” crea il Superuomo. Parlando di Superuomo non si deve pensare ad un superman da telefilm ma ad un uomo che legge nella profondità del suo essere e da lì attinge la sua forza e la coscienza di sé; un uomo produttivo che rompe per creare. Naturalmente e da tenere sempre presente il fatto che della filosofia di Nietzsche non ha una interpretazione assoluta e per tutti uguale; seguendo il suo stesso pensiero l’assoluta chiarezza va contro la sua filosofia pertanto il senso dipende dall’interprete; dice Nitzsche “le parole hanno il significato che si desidera che esse abbiano”.

 

L’assoluto in Hegel

L’Assoluto in Hegel è frutto di un movimento dialettico triadico che vede attuare la sua realizzazione tramite lo Spirito che esce fuori di sé si oppone a sé e ritorna in sé arricchito. Tramite questo movimento dialettico lo Spirito scioglie il finito nell’infinito senza perderne i contorni si arricchisce e diventa Assoluto. L’Assoluto è totalità vivente e autocosciente: spirito, che si manifesta, si determina nella realtà e si conosce nel suo manifestarsi: forme sensibili, natura, storia. L’Assoluto non è sostanza, ma soggetto, è principio del suo svolgimento movimento del sapere e realizzazione di se stesso. “identità dell’identità e della non identità” questo è ciò che dice Hegel del suo assoluto, al quale si arriva attraverso una dimostrazione. L’ assoluto è processualità perché solo in essa si conferma signore di tutto, l’assoluto non teme l’alienarsi l’uscire fuori di sé perché è questo processo che lo fa tornare a sé arricchito.

 

Cosa si intende per nichilismo nella filosofia di Nietzsche?

Il nichilismo nella filosofia di Nietzsche può essere riassunto nella frase “Dio è morto”, vi si arriva negando alcuni principi: Dio, il fine ultimo, l’essere, il bene, la verità.
Detto questo si potrebbe pensare a qualcosa di negativo; invece è qualcosa di positivo perché deve essere visto come “cresciuta potenza dello spirito” ossia nichilismo attivo si distrugge per creare; ma lo spirito mentre scardina e distrugge giunge ad un momento in cui è stanco e debole, questo è un nichilismo negativo che viene superato dal superuomo. Il nichilsmo è inteso come annullamento riduzione della vita a niente. La frase “Dio è morto”è frutto di un profondo lavoro interiore; infatti Nietzsche propone di cambiare radicalmente il modo di pensare mettendo in luce il fatto che dietro i “valori” vi si cela qualcosa di diverso di quello che rappresentano o anche qualcosa di opposto, pertanto occorre rovesciarli. Procedendo su questa strada egli assume un atteggiamento di ricerca verso l’ assoluta verità, che lo porta ad affermare che tutte le virtù predicate dalla religione cristiana sono pseudo-virtù che portano al rifiuto della vita in modo radicale. Da qui la famosa frase “Dio è morto” perché Dio non riesce a stimolare l’inventiva dell’uomo, a guidare la sua vita e a fargli scoprire nuovi valori, ma diviene un ostacolo nei confronti di qualsiasi rinnovamento. L’affermazione di Nietzsche non è ateismo ma una conclusione valutativa sul piano storico-culturale che emerge da una diagnosi nichilistica dell’intero decorso della civiltà greco-ebraico-cristiana.

 

Hegel: la concezione della Storia ed il concetto di “astuzia della ragione”

Alla filosofia della storia Hegel dedica le famose Lezioni sulla filosofia della storia. Secondo Hegel, partendo dal principio che lo spirito si realizza nella storia, è ovviamente possibile una spiegazione razionale della vicenda storica. In questo contesto inserisce il concetto di astuzia della ragione o eterogenesi dei fini: anche gli eroi (Alessandro Magno, Cesare, Napoleone ecc.) sono strumenti nelle mani dello spirito del mondo che indirizza il corso della storia al di là delle ambizioni e degli esiti personali dei singoli personaggi che popolano la scena della storia

 

K. Popper: il concetto di società aperta

La società aperta e i suoi nemici è un testo di Karl Popper concepito nel 1943, in pieno conflitto mondiale, per ridare al mondo quella libertà ormai negata. Questo testo è un vero e proprio manifesto contro i totalitarismi che, partendo dall’analisi della società dell’antica Grecia, giunge ad affermare come non ci possa essere una scienza infallibile nel determinare il corso degli eventi della società umana. Nei testi dei filosofi greci (ad esempio Platone) Popper trova anche la prova della “chiusura” delle società antiche, società in cui gli interessi dell’individuo sono soggetti agli interessi del gruppo. Il passaggio da società “chiuse” a società “aperte” (cioè società in cui c’è la libertà delle facoltà critiche dell’individuo) è avvenuto per gradi ed ha coinvolto molte generazioni.

 

Il corpo e la volontà nella filosofia di Schopenhauer

Il Mondo come volontà e rappresentazione è l’opera più importante di Schopenhauer. In questo testo il filosofo afferma che la “cosa in sé” kantiana può essere raggiunta non usando le capacità conoscitive, ma il suo sentire come corpo. Attraverso l’esperienza corporea, infatti, l’individuo sente e sa di essere “volontà”, in ogni suo stato fisico. Da questa scoperta Schopenhauer procede poi per via analogica ad attribuire il medesimo fondamento a tutti gli esseri viventi.

 

Nietzsche: l’uomo folle e la morte di Dio

Ne La gaia scienza Nietzsche affronta il tema della morte di Dio con la metafora dell’uomo folle che giunge tra gli uomini ad avvisarli di questo avvenimento così importante e spingendoli a creare il Superuomo per riempire il vuoto lasciato da questo avvenimento causato da tutti gli uomini. Questi ultimi, infatti, hanno ucciso Dio, che rappresenta le certezze assolute che finora li avevano mantenuti lontano dall’incertezza propria dell’età moderna. Ma il folle si accorge di essere giunto in anticipo perché questa notizia non era ancora arrivata in tutti i luoghi. Il tema della morte di Dio, quindi, è inteso come eliminazione di una legge sovrumana e come la nascita dell’oltreuomo che deve creare delle leggi proprie per sostituire quelle del Dio ormai morto.

 

Che cos’è il Super-io di Freud?

Freud individua tre luoghi (topoi) psichici: l’Es, l’Io e il Super-io. L’Es è il fondamento della persona psichica, l’insieme caotico e turbolento delle pulsioni. L’Io è la coscienza mediatrice che si trova tra l’incudine dell’Es e il martello del Super-io. Il Super-io è l’insieme di divieti sociali sentiti dalla psiche come costrizione e impedimento alla soddisfazione del piacere, un sistema di censure che regola il passaggio delle pulsioni dell’Es all’Io. Rappresenta quella che può essere definita la coscienza morale, una sorta di censore morale che giudica gli atti e i desideri istintivi dell’uomo. Il Super-io nasce nel bambino, inizialmente libero da qualsiasi principio morale, per effetto del potere condizionante dei genitori.

 

Perché il superuomo nietzscheano risolverebbe tutti i problemi dell’uomo?

Il superuomo è colui che deve riempire il vuoto lasciato dalla morte di Dio. È colui che accetta la morte di Dio e la perdita di tutte le certezze. Supera la morte di Dio e si fa creatore di un nuovo tipo di umanità che sia portatrice di nuovi valori. Il superuomo non risolve i problemi dell’uomo, ma lo porta ad una nuova umanità conscia che non ci sono certezze metafisiche. L’umanità, quindi, può contare solo su se stessa.

 

Discontinuità di prima specie

Definizione di discontinuità di prima specie

Definizione 1: Discontinuità di prima specie.

Sia \( f(x) \) una funzione di dominio \( D \subset \mathbb{R} \) discontinua in \( c \). Tale punto \( c \) si dice essere una discontinuità di prima specie per \( f(x) \) qualora risulti

\[\begin{equation} l_1 = \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x)\text{    ,    } l_2 = \lim_{x\rightarrow c^{+}} f(x) \text{    ,    } l_1 \ne l_2 \label{eq1}\end{equation}\]

Definizione 2: Salto di una funzione in un punto.

Sia \( f(x) \) una funzione avente in \( c \) una discontinuità di prima specie. Si definisce salto di \( f(x) \) in \( c \) il numero reale

\[ |l_1 – l_2 | \]

 

 

Osservazione 1: Le formule (1) richiedono, più esplicitamente, che i limiti destro e sinistro della funzione nel punto \( c \) esistano, siano finiti e differenti tra loro. Perché ciò avvenga non è necessario che la funzione sia definita in \( c \), ma basta solamente che \( c \)  sia un punto di accumulazione per il dominio \( D \). Anche se \( c \in D \), la definizione 1 è indipendente dal valore di \( f(c) \).

Osservazione 2: Se la funzione \( f(x) \) ha una discontinuità di prima specie in \( c \), il salto che la funzione presenta in tale punto è strettamente positivo. Infatti, dal momento che per la (1) risulta \( l_1 \ne l_2 \), necessariamente sarà \( |l_1 – l_2| \ne 0 \); poiché però già è noto che \( |l_1 – l_2| \ge 0 \) non può che risultare \( |l_1 – l_2| \gt 0 \).

 

Esempi di funzioni con discontinuità di prima specie

Esempio 1: Funzione definita nella discontinuità.

Consideriamo la funzione \( y = \frac{x}{|x|}\), chiamata segno di \( x \) e indicata comunemente con il simbolo \( \text{sgn}(x) \). Il suo grafico è rappresentato nell’immagine sottostante, dal quale risulta evidente la presenza di una discontinuità di prima specie nel punto \( x = 0\). Verifichiamolo, applicando le formule della (1):

\[ l_1 = \lim_{x\rightarrow 0^{-}} \text{sgn}(x) = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \frac{x}{|x|} = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \frac{x}{-x} = -1 \]

\[ l_2 = \lim_{x\rightarrow 0^{+}} \text{sgn}(x) = \lim_{x\rightarrow 0^{+}} \frac{x}{|x|} = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \frac{x}{x} = 1 \]

\[ l_1 = -1 \ne 1 = l_2 \]

Nella prima, dal momento che \( x \lt 0 \), possiamo dire che \( |x| = -x \) e fare la sostituzione; nello stesso modo, poiché nel secondo caso vale \( x \gt 0 \), possiamo sostituire \( |x| \) con \( x \). Dal momento che i limiti destro e sinistro della funzione in \( 0 \) esistono entrambi e sono distinti, allora \( \text{sgn}(x) \) ha effettivamente una discontinuità di prima specie in \( 0 \). Possiamo anche calcolarne il salto:

\[ |l_1 – l_2| = |(-1) – (1)| = | -2| = 2 \]

 

 

Come si è visto, tutti i calcoli che abbiamo svolto fin qui sono stati indipendenti dal valore che la funzione assume per \( x = 0 \), e addirittura dal fatto che tale punto appartenga o no al suo dominio. Ad ogni modo, si è soliti definire \( \text{sgn}(0) = 0 \), e per questo motivo nel grafico abbiamo indicato \( (0, 0) \) con un punto pieno e \( (0, \pm 1) \) con due punti vuoti, secondo la solita convenzione.

Esempio 2: Funzione definita da un solo lato della discontinuità.

Si osservi adesso il grafico seguente:

 

 

Esso appartiene alla funzione parte intera di \( x \), comunemente indicata per mezzo della dicitura anglosassone \( \text{floor}(x) \), nel significato di “pavimento”. Essa associa a ogni numero reale \( x \) il più grande numero intero minore o uguale ad \( x \), in maniera tale che ad esempio \( \text{floor}(2.5) = 2 \), \( \text{floor}(3) = 3 \), \( \text{floor}(-0.47) = -1 \). Vogliamo verificare che la parte intera di \( x \) possiede infinite discontinuità di prima specie, corrispondenti a tutti i punti \( z \in \mathbb{Z} \); a questo scopo fissiamo un intero \( z \) e applichiamo le formule in (1):

\[ l_1 = \lim_{x\rightarrow z^{-}} \text{floor}(x) = z – 1 \]

\[ l_2 = \lim_{x\rightarrow z^{+}} \text{floor}(x) = z \]

\[ l_1 = z – 1 \ne z = l_2 \Rightarrow |l_1 – l_2| = |(z – 1) – (z)| = |-1| = 1 \]

Il primo dei due limiti considerati dà come risultato \( z – 1 \) perché qualsiasi successione che converga a \( z \) da sinistra dovrà definitivamente avere valori \( x \) tali che \( z – x \lt 1 \), e per tutti quegli \( x \) risulta \( \text{floor}(x) = z – 1 \). Un ragionamento del tutto analogo spiega il risultato del secondo limite.

Ancora una volta il risultato è stato ottenuto indipendentemente dal valore della funzione nella discontinuità, secondo quanto detto nell’osservazione 1. In questo caso \( D = \mathbb{R} \) e le discontinuità appartengono dunque al dominio: per ogni numero intero \( z \in \mathbb{Z} \) vale infatti \( \text{floor}(z) = z \).

Esempio 3: Funzione non definita nella discontinuità.

Osserviamo infine il grafico della funzione \( y = \arctan(1/x) \), rappresentato qui di seguito:

 

 

Il suo dominio è \( D = \mathbb{R} – \{0\} \), e in esso la funzione risulta continua; dal momento che \( 0 \) non appartiene al dominio, in tal punto la funzione non assume valore. Verifichiamo come al solito l’esistenza di una discontinuità di prima specie nel punto, e calcoliamo il salto della funzione:

\[ l_1 = \lim_{x\rightarrow 0^{-}} \arctan(\frac{1}{x}) = \lim_{z \rightarrow -\infty} \arctan z = -\frac{\pi}{2} \]

\[ l_2 = \lim_{x\rightarrow 0^{+}} \arctan(\frac{1}{x}) = \lim_{z \rightarrow +\infty} \arctan z = \frac{\pi}{2} \]

\[ l_1 = – \frac{\pi}{2} \ne \frac{\pi}{2} = l_2 \Rightarrow |l_1 – l_2| = \Big|\Big(-\frac{\pi}{2}\Big)-\Big(\frac{\pi}{2}\Big)\Big| = |-\pi| = \pi \]

Nella risoluzione dei due limiti è intervenuto un cambio di variabile: in entrambi i caso si è posto \( x = \ / z \).

 

Altro materiale utile

 

Gli effetti economici generali della Grande Guerra sui vari Paesi

La prima guerra mondiale portò al collasso le economie degli stati belligeranti, con la sola esclusione degli Usa. Il prolungato drenaggio di risorse economiche a favore dell’impegno bellico aveva indotto i governi ad aumentare la pressione fiscale e a varare, puntando sul patriottismo dei risparmiatori, sottoscrizioni e prestiti nazionali che, assieme ai prestiti provenienti dagli Usa, aumentarono il debito pubblico. Un altro metodo per far fronte alle spese crescenti fu l’aumento della stampa di moneta, che però ingenerò fenomeni inflazionistici assai duri da sopportare per una popolazione già provata dalla guerra. La pesante inflazione si ripercosse soprattutto su dipendenti pubblici e proprietari di beni; gli Stati cercarono di tamponare l’emergenza mantenendo il blocco dei prezzi vigente durante la guerra e sostenendo le grandi industrie mediante commesse statali. Nel biennio successivo alla fine della guerra quindi si ebbe una moderata ripresa dell’economia, proprio grazie al pesante intervento pubblico, che terminò però con il periodo depressivo che si aprì nel 1920.

 

I fattori che permisero alla fine degli anni cinquanta il cosiddetto miracolo economico in Italia

Alla base del cosiddetto “miracolo economico” che investì l’Italia a cavallo tra gli anni 50 e 60 vi furono numerosi fattori, di ordine nazionale e internazionale. Innanzitutto, non bisogna sottovalutare il contributo dato dalla favorevole congiuntura economica internazionale e dalla nuova fase nei rapporti commerciali tra gli stati europei inaugurata dalla Cee. Vi fu poi la vivacità del mercato interno, grazie alla bassa pressione fiscale che consentiva agli italiano di destinare quote crescenti delle loro entranti all’acquisto di nuovi beni di consumo, sostenendo così le industrie nazionali. Il principale motore della crescita economica fu però l’aumento della produttività, combinato con il basso livello dei salari, determinato dalla vasta offerta di forza lavoro e dal suo conseguente basso costo. I bassi salari quindi consentivano alle aziende di generare ampi profitti, che potevano così essere reinvestiti nell’impresa, aumentandone. la loro produttività.

 

 

Le motivazioni del delitto Matteotti

Matteotti, deputato socialista, nel 1924 aveva pronunciato in parlamento una dura requisitoria nei confronti del regime, di cui aveva denunciato le violenze, spingendosi anche a contestare la validità delle elezioni svoltesi il 6 aprile in un clima di intimidazione. In un paese che non aveva dato segni di rivolta nei confronti del regime, che era rafforzato dal successo elettorale e dalla messa a tacere del movimento socialista e operaio, grazie alla repressione portata avanti dagli apparati statali fascistizzati, lo squadrismo fascista si ritenne forte e sicuro a tal punto da decidere di mettere a tacere una delle poche voci di protesta che ancora si levavano. Fu così che, nel giugno di quello stesso anno, un gruppo di squadristi rapì il deputato del partito socialista unitario e lo assassinò. Tale evento, con la successiva presa di responsabilità da parte di Mussolini, rappresentò uno spartiacque nella storia del fascismo, inaugurando una dittatura a viso aperto.

Nonostante l’Italia fosse uscita dalla guerra rafforzata, vasta eco ebbe tra l’opinione pubblica borghese l’espressione dannunziana “vittoria mutilata”. Spiega perché

All’apertura delle trattative di pace dopo la prima guerra mondiale, nel 1919, l’Italia tenne un atteggiamento contraddittorio, avanzando rivendicazioni territoriali che non trovarono ascolto presso le maggiori potenze europee e gli Stati Uniti. Dinnanzi alla frustrazione delle pretese italiane, D’Annunzio coniò la definizione di “vittoria mutilata”. In base al trattato di Londra, in virtù del quale l’Italia era entrata in guerra, in caso di vittoria avrebbe ricevuto la penisola della Dalmazia mentre Fiume sarebbe rimasta all’impero austriaco; una volta vinta la guerra però, il governo Orlando rivendicò anche Fiume, senza però ottenere alcun risultato; costretto poi a rassegnare le dimissioni, fu sostituito da Nitti. In un clima nazionale molto acceso, con un’opinione pubblica che covava risentimento nei confronti delle altre nazioni europee, D’Annunzio ebbe buon gioco a diffondere lo slogan di una vittoria mutilata dalla mancata annessione di Fiume, riuscendo anche, nel settembre 1919, a occupare la città di Fiume, che tenne per 15 mesi.

Quali furono le principali vicende della Rivoluzione russa dell’ottobre del 1917?

Nel mese di ottobre, in seguito a contrasti tra il governo provvisorio del socialista rivoluzionario Kerenskij e il comandante dell’esercito, il generale Kornilov, in Russia aumentarono le quotazioni dei bolscevichi, che conquistarono la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e Mosca e poterono avvalersi del ritorno in patria di Lenin. IL 23 ottobre, in una riunione del comitato centrale del partito, Lenin ottenne l’approvazione di un rovesciamento armato del governo di Kerenskij, screditato dagli insuccessi sul fronte bellico e dalla sua politica eccessivamente personalistica. Il 25 ottobre, guardie rosse e soldati rivoluzionari presero il Palazzo d’Inverno, sede del governo, mentre si riuniva il Congresso panrusso dei soviet di tutto l’impero; il governo fu presieduto da Lenin, con la carica di presidente del consiglio dei commissari del popolo. Primo atto del governo fu l’uscita della Russia dalla guerra e l’abolizione della proprietà privata.

I caratteri fondamentali della resistenza

La resistenza fu un fenomeno eterogeneo, in cui si incontrarono varie componenti che, partendo da posizioni ideologiche anche lontane, avevano in comune l’opposizione al fascismo; con tale termine generalmente indichiamo quei gruppi armati che si raccolsero nelle montagne del centro-nord all’indomani dell’armistizio. Ai militanti antifascisti si aggiunsero soldati che rifiutarono di consegnare le armi ai tedeschi. Ai gruppi che operavano in montagna e che attaccavano i reparti tedeschi, si accompagnavano i Gap (gruppi di azione patriottica), che agivano in città, con attentati contro tedeschi o esponenti della Repubblica sociale di Salò. I gruppi che operavano tra le montagne si organizzarono ben presto in base al loro orientamento politico: accanto ai comunisti della Brigata Garibaldi, vi erano i socialisti delle Brigate Matteotti, gli appartenenti a Giustizia e Libertà, gruppi cattolici, liberali e anche monarchici.

Le organizzazioni internazionali operaie tra Ottocento e Novecento: idee ispiratrici e ragioni del fallimento

Nel 1864, per iniziativa di una delegazione di lavoratori francesi in visita all’esposizione universale di Londra e dei dirigenti britannici delle Trade Union, nacque la Prima Internazionale, ossia un’organizzazione di coordinamento dei lavoratori. Non si giunse però a una struttura che fosse effettivamente rappresentativa a livello internazionale, in quanto le uniche delegazioni a vantare una certa consistenza erano quelle inglese e francese; al suo interno, inoltre, vi erano posizioni eterogenee e in alcuni casi inconciliabili, come quella che opponeva i socialisti agli anarchici. Ciò portò, nel 1876, allo scioglimento dell’organizzazione. Nel 1889 i maggiori partiti operai europei, in Francia, diedero vita alla seconda Internazionale, da cui stavolta i comunisti riuscirono a escludere gli anarchici; si trattò in questo caso di una sorta di federazione tra i vari partiti europei d’ispirazione marxista, in cui furono dibattuti i principali problemi oggetto di discussione in campo socialista e marxista.

Perché la seconda rivoluzione industriale trovò nel meridione italiano degli ostacoli?

La seconda rivoluzione industriale in Italia si tradusse nel decollo del cosiddetto triangolo industriale, i cui vertici erano occupati da Milano, Torino e Genova, aumentando il divario tra Nord e Sud. Nel Sud continuò a essere l’agricoltura il principale settore dell’economia, ma nemmeno questa subì dei processi di modernizzazione, a causa delle sfavorevoli condizioni climatiche e della sterilità dei suoli; la massiccia ondata migratoria, inoltre, privò il sud di gran parte della forza-lavoro giovanile, e quindi di quel settore della popolazione che avrebbe potuto dimostrare più intraprendenza economica. Non intaccarono in maniera profonda la situazione stagnante dell’economia del Sud nemmeno le leggi speciali varate dal governo Giolitti nel 1904, destinate a Napoli, alla Basilicata, alla Calabria e alle isole: anche se furono attuate in tempi brevi e permisero la nascita di moderni impianti industriali, come a Bagnoli, esse non incisero sulla struttura sociale del Sud.

Definisci gli accordi presi dagli alleati in occasione della conferenza di Yalta (1945)

Churchill, Roosvelt e Stalin si incontrarono a Yalta, in Crimea, per cercare di delineare il nuovo assetto internazionale da costruire dopo la definitiva sconfitta della Germania, che sarebbe capitolata nel mese di maggio. I tre capi di governo si accordarono per la spartizione della Germania in quattro zone, affidate rispettivamente all’amministrazione statunitense, inglese, russa e francese; fu ribadito il principio dell’autodeterminazione per i popoli sottomessi al Reich e si presero accordi in merito alla Polonia, con la previsione dell’instaurazione di un governo che riscuotesse il consenso tanto dei sovietici quanto degli occidentali. Sempre in tale occasione l’Urss prese l’impegno di dichiarare guerra al Giappone. L’importanza di tale conferenza fu tale che, ancora oggi, è considerata l’emblema della divisione in sfere d’influenza dell’Europa.

Presenta le differenze tra prima e seconda guerra mondiale, come emergono dalle maggiori tesi storiografiche

Le due guerre si differenziano innanzitutto per l’ampiezza dello scenario e per la diversa tipologia di armamenti impiegati, fattori che hanno fatto sì che le conseguenze del secondo conflitto avessero una portata maggiore e ripercuotessero la loro onda lunga per un periodo di tempo più esteso. Innanzitutto, la nuova tecnologia bellica, basata su bombardamenti aerei e armi di distruzione di massa, a cui dobbiamo aggiungere lo sterminio nei lager nazisti, provocò un crollo demografico senza precedenti; sempre a causa dei bombardamenti, inoltre, i sacrifici patiti dai civili furono assai maggiori, con la distruzione di intere città. Non bisogna dimenticare inoltre che il secondo conflitto mondiale ebbe una spiccata connotazione ideologica: da una parte il totalitarismo nazista e fascista e dall’altra la democrazia degli Usa; con l’entrata in guerra dell’Urss, poi, le componenti ideologiche in campo subirono un ulteriore sviluppo, con la lotta interna ai due alleati, Usa e Urss, per la diffusione al loro esterno delle rispettive ideologie: il comunismo sovietico e il liberalismo americano.

In che cosa consisteva “la soluzione finale” dei nazisti? In quali modi essi cercarono di metterla in atto

Con tale operazione Hitler intendeva avviare una sistematica operazione di “purificazione razziale”, in conseguenza al mito, elaborato già agli albori del nazismo, della purezza della razza ariana, minacciata dagli ebrei. Fu insomma un’escalation che, a partire dalle leggi discriminatorie di Norimberga nel 1935 alla notte dei cristalli del 38, portò allo sterminio di massa. Hitler progettò la “soluzione finale” a partire dal 41, prevedendo l’eliminazione sistematica in primo luogo degli ebrei, e in secondo degli zingari, degli omosessuali e degli handicappati; progettò quindi un articolato sistema, basato sul lager, in cui dapprima i deportati erano sfruttati come forza lavoro e, una volta giunti allo stremo, eliminati nelle camere a gas. Hitler affidò l’organizzazione dello sterminio degli ebrei alle SS e installò i lager principalmente in Polonia e in Germania; i più tristemente famosi sono quelli di Auschwitz, Dachau e Buchenwald. Si stima che in tali campi di concentramento abbiano trovato la morte tra i 5 e i 6 milioni di ebrei.

Spiega cosa si intende con le espressioni “guerra fredda”, “bipolarismo” o “sistema dei blocchi”.

All’indomani della seconda guerra mondiale, il mondo si ritrovò diviso in due sfere d’influenza: da una parte c’erano i paesi del blocco occidentale, sotto l’egida statunitense, dall’altra i paesi del blocco comunista, controllati più o meno strettamente dall’Urss; fu il giornalista Walter Lippmann a coniare il fortunato termine di “guerra fredda”, con cui si descriveva in maniera efficace la forte tensione che si creò nei rapporti tra Usa e Urss, che non sfociò in un confronto bellico vero e proprio, ma si combatté attraverso l’equilibrio del terrore, la corsa agli armamenti nucleari e i conflitti nelle aree del Terzo mondo (soprattutto America Latina e Medio Oriente) per imporre la propria influenza. Il primo motivo di scontro si ebbe nel 1946, quando Truman intervenne nello scontro che opponeva l’Urss alla Turchia per il controllo dello Stretto di Dardanelli; più delicato fu il contrasto sorto nel 1948 in seguito alla decisione di Inghilterra, Usa e Francia di integrare le zone della Germania sottoposte alla loro protezione: a tale atto l’Urss rispose con il blocco degli accessi a Berlino, superato dagli Usa grazie a un ponte aereo con cui riuscirono a rifornire la loro zona della città.

Ricostruisci gli aspetti politici e militari essenziali della guerra del golfo.

La guerra del golfo fu innescata nell’agosto 1990, dall’invasione del Kuwait, un paese schierato nel blocco occidentale, da parte di Saddam Hussein per il controllo della produzione petrolifera; il dittatore proclamò l’annessione unilaterale dello stato, suscitando la pronta condanna dell’Onu, che decretò l’embargo nei confronti dell’Iraq. Furono gli Usa a prendere l’iniziativa di una risposta armata all’aggressione, inviando in Arabia un nutrito contingente militare, rinforzato da reparti inglesi, francesi e, in misura minore, italiani; tale intervento ottenne l’egida dell’Onu, che approvò anche una risoluzione che intimava il ritiro dai territori occupati a Saddam Hussein. La guerra terminò nel gennaio ‘91, in seguito a un’intensificazione delle operazioni militari da parte degli Usa, che scatenarono anche violenti attacchi aerei contro l’Iraq.

Delinea gli aspetti più caratterizzanti della seconda rivoluzione industriale

La seconda rivoluzione industriale abbraccia un periodo corrispondente agli ultimi trent’anni dell’Ottocento. L’intero comparto industriale conobbe, in questo trentennio, un’accelerazione senza eguali, reso possibile non solo dalle innovazioni tecnologiche che modificarono i macchinari utilizzati fino ad allora,ma anche dalla rivoluzione dell’acciaio, una lega formata da ferro e carbonio, che comportò notevoli cambiamenti nel mondo moderno. Le innovazioni più innovative della seconda rivoluzione industriale sono il petrolio, l’elettricità e la chimica.

Il petrolio consentì lo sviluppo dei motori a combustione interna, e di conseguenza diede una spinta notevole al perfezionamento dell’automobile, ma anche di altri mezzi di trasporto come il sistema ferroviario, e la cantieristica navale. Questo innescò un miglioramento complessivo dei trasporti, e quindi una maggiore circolazione delle merci, soprattutto agricole. Le produzioni agricole provenienti dai paesi extraeuropei costavano meno, e i contadini europei, per fronteggiare la situazione, chiesero ed ottennero dal potere politico, non solo dazi doganali per le merci in entrata, ma anche una politica che facilitasse il progresso tecnologico, favorendo l’utilizzo di macchinari all’avanguardia e di ultima generazione.

In campo industriale, la sovrapproduzione provocò una crisi cui fu difficile far fronte. L’emergere di potenze economiche quali gli Stati Uniti, la Germania e il Giappone, contribuì a far scomparire le piccole

industrie che furono costrette a chiudere o a fondersi con realtà più importanti, accentrando il monopolio di alcuni settori nelle mani di pochi capitalisti. Nacquero nuove classi sociali, come la classe operaia che riceveva un salario per il proprio lavoro.

All’indomani dell’unificazione territoriale, i governi si confrontano con il difficile compito di dare unità all’amministrazione, alla legislazione e alle istituzioni del nuovo Regno. Delineate i problemi che il primo governo dello Stato unitario si trovano a dover affrontare

Uno dei primi problemi che si trovò ad affrontare l’Italia unita fu, per dirla con le parole di d’Azeglio ‘fare gli italiani’; infatti la volontà di uno stato unitario fu espressione di una fetta assai limitata di popolazione (soprattutto professionisti e studenti). Mancava nella popolazione, e soprattutto tra gli operai e i contadini il senso e il concetto di ‘patria’ e di ‘nazione’. I problemi che l’Italia dovette affrontare all’indomani dell’unificazione, furono di natura interna ma anche esterna.

Problemi interni:

  • migliorare la rete delle infrastrutture (costruire scuole, ospedali, rete ferroviaria);

  • arretratezza economica (agricoltura e industria);

  • analfabetismo diffuso (nonostante la Legge Casati che aveva istituito la frequenza obbligatoria per i primi due anni di scuola);

  • organizzazione di un esercito unico;

  • deficit finanziario (in quanto raccolse i problemi economici di tutte le regioni d’Italia);

  • brigantaggio (nel meridione);

  • malattie da debellare (pellagra, malaria, colera, tifo);

  • problema linguistico (la maggior parte della popolazione parlava il dialetto locale, mentre l’italiano lo parlava soltanto una parte assai ristretto della popolazione);

  • monete e misure diverse;

  • non esisteva un unico codice di leggi.

Problemi esterni:

  • rapporti difficili con le grandi potenze;

  • tensioni con la Chiesa.

 

Le leggi fascistissime del 1926 smantellarono anche gli ultimi residui dello stato liberale dando fondamento legislativo al nuovo regime. Elencate quelle che indicano l’avvenuto passaggio ad un nuovo modello di Stato

Le leggi fascistissime furono emanate tra il 1925 e il 1926 e decretarono l’ascesa al potere del fascismo in Italia. Di seguito quelle che indicano il passaggio a uno stato totalitario:

  • il Parlamento era un semplice strumento di rappresentanza nelle mani del capo dello Stato, sul cui operato nessuno poteva vigilare;
  • il potere esecutivo si concentrò nelle mani del Presidente del Consiglio, mentre la figura del Re diventava puramente formale;
  • furono soppressi i giornali che non avevano un responsabile riconosciuto dallo Stato, e comunque tutta la stampa fu sottoposta a controllo, e non poteva avere contenuti anti-nazionalistici e/odi critica verso il governo;
  • lo sciopero fu proibito e si stabilì che solo i sindacati fascisti potevano stipulare contratti collettivi;
  • il partito fascista era l’unico ammesso; tutti gli altri furono sciolti;
  • le leggi fastiscissime decretavano il confino di polizia per tutti gli antifascisti, istituirono l’OVRA ossia la polizia segreta, e un tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, che aveva il compito di vigilare sui reati contro la sicurezza dello Stato.

 

Cosa fu la “notte dei lunghi coltelli” (30 giugno 1934), quale fu l’obiettivo politico di Hitler?

Quella che è passata alla storia come ‘La notte dei lunghi coltelli’ fu organizzata per volontà del Fuhrer, e nelle sue intenzioni esclusivamente con lo scopo di eliminare ogni ostacolo alla propria ascesa al potere. In tale occasione nella notte tra il 30 giugno e il primo luglio del 1934 furono massacrati i capi delle SA (Squadre d’Assalto) e gli avversari di Hitler interni al partito stesso. Dietro tale massacro, in realtà, si nascondeva, la volontà di due luogotenenti di Hitler, Hermann Goring e Heinrich Himmler, che convinsero Hitler di avere le prove che i capi delle SA stessero organizzando un colpo di stato contro il governo del Reich. I due in questo modo poterono sbarazzarsi di molti nemici personali, tanto che si premurarono di compilare una lista dettagliata di tutte le persone da eliminare. Tra queste anche Ernst Rohm, uno degli uomini politici e militari che era stato molto vicino a Hitler. I dati ufficiali raccontano che furono uccise 71 persone, ma la risonanza che ebbe l’episodio fa ritenere che i morti di quella tragica notte furono molti di più.

I concetti chiave dell’ideologia hitleriana e le sue strutture organizzative

L’ideologia hitleriana non è altro che un’esasperazione dell’ideologia nazista, che ebbe origine dal clima di malcontento diffusosi in Germania all’indomani della prima guerra mondiale, da cui il paese era uscito sconfitto. Tra i soldati nacque il desiderio di nuovi ideali, che si concretizzarono nella nascita del partito nazionalsocialista, al quale si iscrisse anche Hitler.

L’idea su cui trova fondamento l’ideologia hitleriana deriva dalle teorie darwiniane; infatti Hitler diceva che il più forte avrebbe trionfato, per cui non bisognava aver compassione degli altri. Da ciò nacque poi l’idea della razza superiore, ariana appunto, l’unica degna di vivere ma anche di governare. Il disprezzo verso tutto ciò che non rientrava nei canoni della razza ariana si esplicò in modo più violento vero gli ebrei, che era la razza considerata in assoluto inferiore per natura. L’ideologia hitleriana è descritta in maniera puntuale nel “Mein Kampf” (La mia battaglia) dettato dallo stesso Hitler a Rudolf Hoss, mentre era in carcere; essa non è altro che una estensione del programma del partito nazionalsocialista già reso noto nel 1920.

Uno dei punti fondamentali su cui si basa lo scritto è l’idea di riunire il paese in un’unica grande Germania, seguito dall’abolizione dei trattati di Versailles e di Saint-Germaine en Laye. L’abolizione dei due trattati, che avevano segnato la sconfitta definitiva della Germania nella prima guerra mondiale con la corrispondente perdita di molti territori, avrebbe permesso al paese di recuperarli, ma anche riunire sotto l’egida di un unico capo tutti i paesi di lingua tedesca.

I punti successivi dell’ideologia hitleriana sono chiaramente razzisti: solo i tedeschi hanno diritto alla cittadinanza, mentre gli altri devono essere soggetti a leggi create ad hoc per gli stranieri.

La democrazia non trova posto nell’ideologia hitleriana, che la considera un’idiozia; tutto sarà organizzato in una gerarchia assoluta e immodificabile. A capo di tutto il Fuhrer, seguito dagli ariani tedeschi, i quali non saranno tutti uguali, e la cui posizione sulla scala gerarchica varierà a seconda delle proprie capacità.

Delinea gli aspetti più caratterizzanti della seconda rivoluzione industriale

La seconda rivoluzione industriale abbraccia un periodo corrispondente agli ultimi trent’anni dell’Ottocento. L’intero comparto industriale conobbe, in questo trentennio, un’accelerazione senza eguali, reso possibile non solo dalle innovazioni tecnologiche che modificarono i macchinari utilizzati fino ad allora,ma anche dalla rivoluzione dell’acciaio, una lega formata da ferro e carbonio, che comportò notevoli cambiamenti nel mondo moderno. Le innovazioni più innovative della seconda rivoluzione industriale sono il petrolio, l’elettricità e la chimica.

Il petrolio consentì lo sviluppo dei motori a combustione interna, e di conseguenza diede una spinta notevole al perfezionamento dell’automobile, ma anche di altri mezzi di trasporto come il sistema ferroviario, e la cantieristica navale. Questo innescò un miglioramento complessivo dei trasporti, e quindi una maggiore circolazione delle merci, soprattutto agricole. Le produzioni agricole provenienti dai paesi extraeuropei costavano meno, e i contadini europei, per fronteggiare la situazione, chiesero ed ottennero dal potere politico, non solo dazi doganali per le merci in entrata, ma anche una politica che facilitasse il progresso tecnologico, favorendo l’utilizzo di macchinari all’avanguardia e di ultima generazione.

In campo industriale, la sovrapproduzione provocò una crisi cui fu difficile far fronte. L’emergere di potenze economiche quali gli Stati Uniti, la Germania e il Giappone, contribuì a far scomparire le piccole industrie che furono costrette a chiudere o a fondersi con realtà più importanti, accentrando il monopolio di alcuni settori nelle mani di pochi capitalisti. Nacquero nuove classi sociali, come la classe operaia che riceveva un salario per il proprio lavoro.

In merito ai Patti Lateranensi rispondi: guadagnò più il fascismo o la chiesa? Perché si può dire che i Patti Lateranensi rappresentano un grave arretramento per la concezione democratica dello Stato?

Risposta 1

Nell’immediato, a riscuotere maggiori vantaggi dalla stipula dei Patti Lateranensi fu il fascismo, in quanto poté presentarsi agli italiani, un popolo per la quasi totalità cattolico, come il soggetto che era riuscito, dopo un sessantennio di trattative sterili, a risolvere la controversia che era sorta tra Papato e Stato italiano all’indomani della presa di Roma, nel 1870; nelle elezioni che si tennero poco dopo la stipula dei Patti, infatti, il fascismo registrò un consenso plebiscitario. Nel lungo periodo, però, la Chiesa poté vantare risultati dalle conseguenze più durature e più importanti, infatti i Patti prevedevano la libertà della Chiesa nella gestione delle proprie organizzazioni collaterali, soprattutto in quelle riservate ai ragazzi; in tal modo la Chiesa si presentava come l’unico soggetto, oltre al fascismo, a poter vantare una discreta autonomia nel campo delle organizzazioni giovanili e ciò le permise, alla caduta del regime, di proporre al Paese una classe dirigente nuova e preparata, formatasi proprio in tali organizzazioni. Dal punto di vista della laicità, però, tali accordi rappresentarono un passo indietro, in quanto non erano più marcati i confini tra Stato e Chiesa, con l’accettazione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e con il riconoscimento civile del solo matrimonio di rito cattolico.

 Risposta 2

I Patti Lateranensi furono firmati nel 1929 tra il primo ministro del Regno d’Italia B. Mussolini e il segretario del Vaticano, il Cardinale Gasparri. Si può affermare che a guadagnarne di più fu la Chiesa in quanto essi prevedevano: il riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità della Santa Sede che fondava lo Stato della Città del Vaticano; il riconoscimento della religione cattolica come sola religione dello stato italiano; il riconoscimento allo Stato Vaticano di privilegi tributari e convenzioni finanziarie. In cambio la Chiesa riconosceva lo Stato italiano con capitale Roma legittimando di conseguenza il regime fascista. I Patti Lateranensi del ’29 costituiscono un pericolo per la democrazia in quanto essi, rafforzando la presenza e l’influenza della Chiesa nella società e fondando lo Stato sul suo riconoscimento, minavano la libertà religiosa, fondamentale a garantire la democrazia in uno stato moderno.

 

Il ruolo della resistenza italiana del 1943-1945

Risposta 1

Dopo la caduta del fascismo, le forze sociali che da tempo si opponevano clandestinamente al regime uscirono allo scoperto, si organizzarono e si allearono dando vita ad un movimento di resistenza partigiana che combatté eroicamente contro l’occupazione nazista dando vita ad una vera e propria guerra civile. Infatti, i partigiani erano costituiti oltre dai partiti e movimenti politici, soprattutto da gente del popolo proveniente da ogni classe sociale, unita dal desiderio di combattere il fascismo e di realizzare l’ideale di giustizia. La resistenza italiana ebbe un ruolo fondamentale nella guerra contro i nazifascisti condotta dalle forze alleate. In realtà essa si concretizzò in varie manifestazioni: nel rifiuto di collaborare con le forze occupanti, nell’aiuto ai prigionieri e ai perseguitati, in varie azioni di boicottaggio come in vere operazioni militari contro l’esercito tedesco. L’azione fondamentale della resistenza, fu quella del ’45, quando, mentre gli alleati entravano nella Pianura Padana, i partigiani conducevano una insurrezione generale nel Nord Italia, liberando il 25 aprile Torino, catturando e giustiziando Mussolini.

Risposta 2

Nel biennio 1943-45 sulle montagne e nelle città del Nord fu organizzata un’accanita resistenza da parte delle brigate partigiane nei confronti dei tedeschi e dei repubblichini; con azioni di guerriglia e di sabotaggio le bande dei partigiani riuscirono a contenere l’avanzata tedesca verso sud, creando un cordone sanitario, in attesa che gli anglo-americani, sbarcati in Sicilia nel 1943, risalissero la penisola. Nelle zone poste sotto il loro controllo, inoltre, i partigiani si lanciarono in ardite sperimentazioni di nuove forme di autogoverno popolare, con l’istituzione di repubbliche partigiane; tali esperimenti ebbero però più che altro un valore simbolico e non riuscirono a ostacolare in maniera incisiva le truppe tedesche e quelle di Salò, sia per le divisioni interne nello stesso movimento partigiano che per il tiepido appoggio della maggior parte della popolazione, ancora traumatizzata dagli orrori bellici.

 

Descrivi l’organizzazione scientifica del lavoro detta “taylorismo” e indica la principale differenza con l’impostazione marxista del lavoro industriale

Risposta 1

Il taylorismo si fonda sul principio per cui la migliore produzione si ottiene solo quando a ogni lavoratore è assegnato un compito specifico da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo. E’ il manager che deve stabilire il compito specifico di ogni lavoratore, in quanto tempo e in che modo lo deve svolgere. Così, scomponendolo e studiandolo, si razionalizza il ciclo produttivo: per ottimalizzare l’economica, si eliminano gli sforzi inutili, si introducono l’incentivazione economica, la gerarchizzazione interna e la minuziosa selezione del personale. L’operaio non può più scegliere i tempi e i modi del suo lavoro, ma deve adeguarsi a quanto deciso dai dirigenti. Per Marx l’uomo realizza se stesso attraverso il lavoro, inteso come rapporto attivo con la natura, che gli procura sussistenza, per questo critica l’economia borghese. In un contesto come quello del lavoro industriale infatti, l’operaio si trova scisso a causa della divisione del lavoro e alienato dalla sua attività e da se stesso in quanto non è più in possesso del prodotto del suo lavoro, egli diviene solo uno strumento per fini esterni ed il suo lavoro diventa ripetitivo e costrittivo.

Risposta 2

La nuova organizzazione del lavoro che si impose con la seconda rivoluzione industriale deve il nome di taylorismo all’ingegnere americano Taylor che, nel suo Principi di organizzazione scientifica del lavoro, nel 1911, elaborò in maniera organica il nuovo processo produttivo, basato sulla catena di montaggio, applicato nello stabilimento automobilistico di Detroit di proprietà di Ford. Adottando il sistema della produzione in serie, l’azienda era in grado di ridurre i costi di produzione e, parallelamente, di incrementare i salari; inoltre la semplificazione del processo produttivo ridusse il costo dei beni prodotti e ne favorì una maggior diffusione; fu merito di tale innovazione se si cominciò a parlare per la prima volta di consumi di massa. Rispetto alla concezione marxista del lavoro, quella taylorista non vede in insanabile conflitto profitto e salari ma concilia la crescita di entrambi grazie alle innovazioni tecnologiche che, abbassando il prezzo dei prodotti, le rende acquistabili da parte degli stessi operai.