Problemi sulla circonferenza

Esempi di problemi sulla circonferenza

Esempio 1: Equazione della circonferenza dati il centro e il raggio

L’esercizio più semplice che ci possa capitare di risolvere consiste nello scrivere l’equazione di una circonferenza di dati raggio e centro. Un punto ? appartiene a detta circonferenza se e solo se la sua distanza dal centro ? è pari a ?, per la definizione stessa di circonferenza come luogo geometrico. Dunque impostando $ PC = r $, o il che è lo stesso $ PC^2 – r^2 = 0 $, avremo la soluzione.

Siano dati ad esempio \( r=\frac{\sqrt{7}}{2} \) e \( C\Big( \frac{\sqrt{3}}{2} \Big) \), e seguiamo il ragionamento precedente onde trovare l’equazione della circonferenza \( \Gamma \). Se ? è il generico punto $ (x, y) $ del piano, dalla scrittura $ PC^2 – r^2 = 0 $ otteniamo

\( (x-2)^2 + \Big( y – \frac{\sqrt{3}}{2} \Big)^2 – \frac{7}{4} = 0 \Rightarrow x^2 + + 4 – 4x + y^2 + \frac{3}{4} – \sqrt{3} y – \frac{7}{4} = 0 \)

Da cui infine \( x^2 + y^2 – 4x – \sqrt{3}y + 3 \). Come si vede, questo metodo fornisce sempre l’equazione della circonferenza Γ direttamente in forma canonica.

 

Esempio 2: Determinare centro e raggio data l’equazione della circonferenza

Se ne abbiamo l’equazione, è possibile determinare qualsiasi informazione riguardo alla circonferenza Γ da essa descritta, in particolare il centro e il raggio. Basta infatti ricordare le formule

\( C\Big( -\frac{\alpha}{2}, -\frac{\beta}{2} \Big) \,\,\, \text{ e } \,\,\, r = \sqrt{\frac{\alpha^2+\beta^2}{4}-\gamma} \)

per applicare le quali è però necessario prima portare l’equazione di \( \Gamma \) in forma canonica.

Si consideri ad esempio la circonferenza di equazione \( \Gamma: x^2+y^2-\frac{3}{2}x-7y+\frac{9}{16} = 0 \). In essa si ha \( \alpha=-\frac{3}{2}, \beta=-7 \text{ e } \gamma = \frac{9}{16} \), dunque applicando le formule precedenti avremo

\( C\Big( -\frac{\alpha}{2}, -\frac{\beta}{2} \Big) \Rightarrow C\Big( \frac{3}{2}, \frac{7}{2} \Big) \,\,\, \text{ e } \,\,\, r = \sqrt{\frac{\alpha^2+\beta^2}{4}-\gamma} = \)

\( = \sqrt{\frac{\Big( -\frac{3}{2} \Big)^2+(-7)^2}{4}-\frac{9}{16}} = \sqrt{\frac{9}{16}+\frac{49}{4}-\frac{9}{16}} = \frac{7}{2} \)
Esempio 3: Equazione della circonferenza dati il centro e un punto

Supponiamo adesso di aver fissato un punto ? appartenente alla circonferenza, e di sapere che il suo centro è il punto ?; vogliamo, sulla base di questi dati, determinare l’equazione della circonferenza \( \Gamma \). Un modo semplice di risolvere questo esercizio è ridursi all’esempio 1, determinando preventivamente la lunghezza del raggio. Ciò non pone alcuna difficoltà, in quanto l’appartenenza di ? a \( \Gamma \) implica che ??=?, e la lunghezza di ?? si determina senza problemi.

A titolo d’esempio si scelgano \( P(-1, 4) \text{ e } C\Big( 0, \frac{13}{8} \Big) \). Usando la formula della distanza tra due punti e il ragionamento appena esposto, calcoliamo il raggio:

\( r = PC = \sqrt{(-1-0)^2+\Big(4-\frac{13}{8} \Big)^2} = \sqrt{1+\Big(\frac{19}{8}\Big)^2} = \sqrt{1+\frac{361}{64}} = \sqrt{\frac{425}{64}} = \frac{5\sqrt{17}}{8} \)

Come nell’esempio 1 la circonferenza è allora data dall’equazione

\( (x-0)^2+\Big( y-\frac{13}{8} \Big)^2 = \Big( \frac{5\sqrt{7}}{8} \Big)^2 \Rightarrow x^2+y^2-\frac{13}{4}y+\frac{169}{64}-\frac{425}{64} = 0 \)

\( x^2 + y^2 – \frac{13}{4}y – 4 = 0 \)

 

Esempio 4: Posizione di un punto rispetto a una circonferenza

Alle volte può essere utile riuscire a determinare la posizione di un punto dato rispetto a una circonferenza, ovvero dire se esso è interno alla circonferenza, esterno ad essa o le appartiene. Teoricamente l’esercizio è semplice: poiché per definizione la circonferenza è il luogo dei punti che si trovano alla distanza ? dal centro ?, sarà sufficiente determinare la distanza del punto dato ? da ?. Se ??=? il punto appartiene alla circonferenza per definizione; qualora invece \( PC \lt r \) o \( PC \gt r \), diremo che il punto è, rispettivamente, interno o esterno alla circonferenza.

Si prendano ad esempio la circonferenza \( \Gamma: x^2 + y^2 = 4 \)  e i tre punti \( P_1(1, 0), P_2(2,0) \) e \( P_3(3,0) \). Applicando il metodo visto nell’esempio 2, concludiamo subito che il centro e il raggio di \( \Gamma \) sono rispettivamente ?(0,0) e ?=2; è anche facile dire, visto che il centro e i tre punti si trovano tutti sulla stessa ordinata, che \( OP_1 = 1, OP_2 = 2, \text{ e } OP_3 = 3 \). È allora chiaro che

\( OP_1 \lt r \rightarrow  P_1 \text{ interno a } \Gamma \)

\( OP_2 = r \rightarrow P_2 \in \Gamma \)

\( OP_3 \gt r \rightarrow P_3 \text{ esterno a } \Gamma \)

 

Esempio 5: Circonferenza per tre punti non allineati

Siano fissati tre punti ?,? e ?; il problema consiste nel trovare, se esiste, la circonferenza cui tutti e tre i punti dati appartengono. Si vede subito che ciò è impossibile se ?, ? e ? giacciono sulla stessa retta, quindi per prima cosa troveremo la retta passante per ? e ? e verificheremo che ? non le appartiene. Dopodiché, se il riscontro sarà positivo, scriveremo l’equazione della circonferenza generica

\[ x^2 + y^2 + \alpha x + \beta y + \gamma = 0 \]

e sostituiremo la coordinate di ?,? e ? alle incognite $ x $ e $ y $, ottenendo tre equazioni in \( \alpha, \beta \) e \( \gamma \) che andranno messe a sistema. La soluzione del sistema consentirà di trovare in modo unico i tre parametri che definiscono la circonferenza, e il problema sarà risolto.

Prendiamo il caso, ad esempio, dei punti ?(−2,−1), ?(1, 4) e ?(−1,−1). Come si vede, i tre punti non possono essere allineati; infatti ? e ? giacciono entrambi sulla retta $y = 1 $, cui ? non appartiene avendosi $ y_B = 4 $. Allora esiste effettivamente una circonferenza passante per i tre punti dati, ed essa è unica. Troviamola risolvendo il sistema

\( \begin{cases} 4+1-2\alpha-\beta+\gamma = 0\\ 1+16+\alpha+4\beta+\gamma = 0 \\ 1+1-\alpha-\beta+\gamma = 0 \end{cases} \Rightarrow \begin{cases} -2\alpha – \beta+\gamma = – 5 \\ \alpha+4\beta+\gamma = -17 \\ -\alpha-\beta+\gamma = -2 \end{cases} \)

Il sistema si risolve facilmente, poiché \( \gamma \) si può eliminare da due qualsiasi delle equazioni date; questa eventualità si verifica sempre, qualunque siano i punti ?, ? e ? iniziali. La soluzione è

\( \alpha = 3, \beta = -\frac{21}{5}, \gamma = -\frac{16}{5} \Rightarrow x^2+y^2+3x-\frac{21}{5}y-\frac{16}{5} = 0\)

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di geometria analitica

 

Equazione della circonferenza

Definizione di circonferenza

Definizione 1: Definizione di circonferenza

Fissati un punto $ C(x_0, y_0) $ e un numero reale \( r \gt 0 \), si definisce circonferenza di centro $ C $ e raggio $ r $ il luogo geometrico dei punti del piano cartesiano la cui distanza da $ C $ è pari a $ r $.

Osservazione 1: Se nella definizione 1 si diminuisce sempre di più il raggio della circonferenza, si vede che il luogo geometrico descritto è una circonferenza di misura via via minore, che si restringe attorno al suo centro $ C $. Se poi $ r = 0 $, il luogo si riduce al solo centro $ C $ della circonferenza, che in questo caso viene appunto detta degenere nel suo centro.

Osservazione 2: Se nella definizione 2 si aumenta sempre di più il raggio della circonferenza, si vede che il luogo geometrico descritto è una circonferenza di misura via via maggiore. Si può anche notare che la curvatura del grafico diventa sempre più piccola, cioè la curva stessa finisce con l’assomigliare localmente a una retta. Se poi \( r = \infty \), il luogo si riduce appunto a una retta, e la circonferenza viene detta degenere di raggio infinito.

Osservazione 3: Ci si potrebbe domandare come mai gli strani luoghi geometrici definiti dalle osservazioni 1 e 2 vengano considerati circonferenze; ebbene, questa convenzione torna utile allorché si studiano i fasci di circonferenze, perché consente di considerare come tali anche curve che non verificano esattamente la definizione 1.

 

Ceometria analitica: circonferenza

 

 

 

 

 

 

 

 

Equazione della circonferenza

Metodo per ricavare l’equazione: In questa sezione vogliamo adoperare la definizione 1 per ottenere l’equazione della circonferenza di centro $ C $ e raggio $ r $ fissati, ovvero quella relazione che è soddisfatta da tutti e soli i punti appartenenti al luogo descritto. Sia dunque

$ P(x, y) $ un punto qualsiasi appartenente alla nostra circonferenza. Poiché la sua distanza dal centro $ C $ è nota, deve senza dubbio valere

\[ \begin{equation} \sqrt{(x-x_0)^2+(y-y_0)^2} = r \label{eq1} \end{equation} \]

Questa equazione, che adopera al primo membro la ben nota formula per ricavare la distanza di due punti, non dice altro che la distanza tra il punto $ P $ e il punto $ C $ è pari a $ r $. Poiché dalla definizione 1 sappiamo che \( r \gt 0 \) (oppure \( r \ge 0 \) se vogliamo includere anche quanto aggiunto dall’osservazione 1), non lediamo le generalità prendendo il quadrato di entrambi i membri della (\(\ref{eq1}\)):

\[ \begin{equation} (x – x_0)^2 + (y – y_0)^2 = r^2 \label{eq2} \end{equation} \]

Questa è l’equazione cercata.

Osservazione 4: Notiamo subito che se poniamo, come da osservazione 1, $ r = 0 $, avremo

\[ (x-x_0)^2 + (y-y_0)^2 = 0 \]

Poiché un quadrato di un numero reale è sempre non negativo, la relazione su scritta afferma che la somma di due numeri maggiori o uguali di 0 è 0; ciò è possibile solo allorché entrambi i quadrati risultano nulli, cioè se e solo se si ha contemporaneamente $ x-x_0 = 0 $ e $ y – y_0 = 0 $. Questo è equivalente a dire che l’unico punto ? appartenente alla nostra circonferenza è $ P(x_0, y_0) = C $, e quindi come avevamo annunciato la circonferenza si è ridotta al suo solo centro.

Definizione 2: Equazione in forma canonica

L’equazione di una circonferenza si dice essere in forma canonica allorché essa si presenta scritta come

\[ \begin{equation} x^2 + y^2 + \alpha x + \beta y  + \gamma = 0 \label{eq3} \end{equation} \]

in cui \( \alpha, \beta \) e \( \gamma \) sono numeri reali.

Osservazione 5: Ogni circonferenza può essere scritta in forma canonica. Infatti in (\( \ref{eq2} \)), che è l’equazione generale di una circonferenza, possiamo espandere i quadrati è scrivere

\[ x^2 – 2xx_0 + x^2_0 + y^2 – 2yy_0 + y^2_0 = r^2 \]

Da questa è facile ottenere la seguente:

\[ x^2 + y^2 + (-2x_0) x + (-2y_0)y + (x^2_0 + y^2_0 – r^2) = 0 \]

che si riduce subito alla (\( \ref{eq3} \)) imponendo \( \alpha = -2x_0, \beta = -2y_0 \) e \( \gamma = x^2_0 + y^2_0 -r^2 \). Da queste tre relazioni possiamo inoltre ricavare le inverse:

\[ \begin{equation} C\Big(-\frac{\alpha}{2}, -\frac{\beta}{2} \Big), r = \sqrt{x^2_0+y^2_0 – \gamma} = \sqrt{\frac{\alpha^2}{4}+\frac{\beta^2}{4}-\gamma} \label{eq4} \end{equation} \]

Le relazioni (\(\ref{eq4}\)) ci consentono di ottenere, quando necessario, le coordinate del centro e la misura del raggio di una circonferenza la cui equazione è scritta in forma canonica.

Osservazione 6: Nell’osservazione 5 abbiamo visto che ogni circonferenza si può scrivere in forma canonica; non è d’altra parte vero il contrario, cioè non ogni possibile scelta di tre numeri reali \( \alpha, \beta \text{ e } \gamma \) è tale che la (\(\ref{eq3}\)) sia l’equazione di una circonferenza. Questa asimmetria si deve alla seconda delle relazioni (\(\ref{eq4}\)):

\[ r = \sqrt{\frac{\alpha^2}{4}+\frac{\beta^2}{4}-\gamma} \]

Perché questa abbia senso, è necessario che \( \frac{\alpha^2}{4}+\frac{\beta^2}{4}-\gamma \ge 0 \), ovvero che \( \gamma \le \frac{\alpha^2+\beta^2}{4} \); se infatti \( \gamma \) è maggiore di tale quantità, il radicando della (\(\ref{eq4}\)) è un numero negativo e non è possibile trovare il raggio della circonferenza. Comunque, la limitazione riguarda solo \( \gamma \): i valori di \( \alpha \) e \( \beta \) possono essere invece scelti liberamente, com’è ovvio dalla prima delle relazioni (\( \ref{eq4} \)): se alcuni valori di \(\alpha \text{ o } \beta \) fossero vietati, non si potrebbero infatti considerare circonferenze di centro qualsiasi.

 

Altro materiale di supporto

Test sulla circonferenza

 

 

 

 

 

 

 

 

Videolezione sulla circonferenza

 

 

 

 

 

 

 

Momento torcente di un campo magnetico su una spira percorsa da corrente elettrica

Se poniamo una spira di superficie S (per semplicità di forma rettangolare) all’interno di un campo magnetico uniforme (ad esempio le espansioni di un magnete) e se nella spira passa una corrente i la spira ruoterà. Infatti il campo magnetico agirà con forze opposte sui due lati perpendicolari al campo (essendo gli altri due lati soggetti ad una forza nulla in quanto l’angolo tra la superficie e il campo è 0) .

Tale rotazione genera un momento torcente \( M=i S B \sin \alpha \) dove \( \alpha \) è l’angolo tra il campo e la direzione della superficie (la superficie orientata è un vettore perpendicolare alla superficie). Naturalmente quanto detto vale per qualunque tipo di spira. Con questo esperimento è possibile misurando un angolo misurare la corrente passante nella spira. Quando l’angolo raggiunge la posizione di equilibrio la rotazione invertirà la direzione . Si crea così un moto armonico che per attrito tenderà a smorzarsi. Se si inverte la corrente ad ogni rotazione la spira continuerà a ruotare senza smorzarsi. Questo è il principio di funzionamento del motore elettrico che converte una corrente generata da una forza elettromotrice nella rotazione di un asse tanto più forte quanto più la corrente è ampia e la superficie della spira è grande.

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di fisica

 

Permeabilità magnetica: sostanze dia-para e ferromagnetiche. Classificazione della materia

Si chiama permeabilità magnetica \( \mu = \frac{B}{B^0} \) dove \( B^0 \) è campo magnetico nel vuote e B il campo in materiale specifico.

La permeabilità ci permette di classificare i materiali in:

  • diamagnetici in cui la permeabilità è indipendente da campo e inferiore all’unità (il campo indotto si oppone a \( B^0 \) sparisce quando \( B^0 \) viene tolto) tali materiali non hanno un momento magnetico proprio;
  • paramagnetici in cui il campo è indipendente da \( B^0 \) ma varia con la temperatura ed è leggermente maggiore di 1 essi hanno un proprio momento magnetico ma posto in modo disordinato, il campo risultante sarà maggiore e sparirà quando viene rimosso \( B^0 \);
  • ferromagnetici (ferro,nichel, cobalto) in cui il momento e da \( B^0 \) e dalla temperatura e può raggiungere valori molto elevati. La struttura dei materiali ferromagnetici è costituita da domini con momento magnetico proprio che in presenza di campi esterni si orientano fortemente nella direzione del campo. Molti di essi permangono in tale orientamento anche in assenza del campo esterno costituendo elementi di memoria (usati nei primi calcolatori elettronici) e ritornano allo stato iniziale solo con un campo esterno di verso opposto.

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di fisica

 

Il principio di funzionamento dello spettrografo di massa

Lo spettrografo serve a calcolare il rapporto q/m. Esso è costituito da una prima parte in cui le particelle da studiare sono soggette ad un campo elettrico e uno magnetico posti in modo da essere antagonisti; in tal caso la forza elettrica è qE e quella magnetica qvB se le forze sono uguali le particelle non vengono deviate ed hanno tutte la stessa velocità \( v = \frac{E}{B} \). Tale fascio di particelle viene poi fatto passare attraverso un campo magnetico costante B’ perpendicolare alla velocità del fascio e questo devierà il fascio su una circonferenza di raggio dato da \( qvB’ = mv^2 / r \) ovvero \( r = \frac{mv}{qB} \) sostituendo v abbiamo che \( \frac{q}{m} = \frac{E}{rBB’} \). Tutti i termini a destra sono noti ed r è misurato raccogliendo il fascio su uno schermo sensibile.

Questo strumento ha permesso di trovare che elementi di uguale carica elettrica avevano masse diverse ovvero si sono trovati gli isotopi dei vari elementi, i quali potevano anche essere selezionati raccogliendo i vari fasci su circonferenze di raggio diverso.

Allo stesso modo se si conosce la carica di particolari ioni è possibile riconoscere la massa egli stessi e selezionarli con uno spettrografo di massa.

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di fisica

 

Descrivi le varie situazioni che danno origine a un campo magnetico, indica per ciascuna di essere direzione e verso del vettori induzione magnetica B

Il campo magnetico può essere generato da magneti, da cariche in movimento o da correnti elettriche. Nel caso dei magneti le linee del campo magnetico escono dal polo nord e entrano nel polo sud (esempio la terra è un magnete che ha il polo sud magnetico in prossimità di quello nord geografico e viceversa per il polo sud.

Il caso delle cariche in movimento è analogo a quello delle correnti.

Configurazioni tipiche sono :

  • filo percorso da corrente: il campo generato è tale da essere tangente a circonferenze concentriche con centro nel filo esso sarà pari a \( \mu i / 2 \pi r \) e avrà verso definito dalla mano destra con il pollice in direzione della corrente e le dita che avvolgono il filo.
  • Spira percorsa da corrente: il campo lungo l’asse della spira sarà \( B = \frac{\mu_0}{2} i \frac{R^2}{(R^2+z^2)^{\frac{3}{2}}} \) dove z è l’altezza rispetto alla spira del punto considerato. Se siamo nel centro della spira z=0 e quindi \( B = \mu i / 2r \) la direzione del campo è indicata dal dito pollice di una mano destra che avvolge la spira nel verso della corrente.
  • Solenoide: per un solenoide (ipotizzato infinito) con n spire per unità lunghezza possiamo trovare che \( B = \mu ni\) basta prendere un percorso rettangolare con un lato interno e uno esterno alla spira, il contributo è solo per il lato interno e applicare il teorema di Ampere) il campo avrà direzione definita dalla mano destra con il pollice in direzione del campo e le dita che abbracciano il solenoide in direzione della corrente.

 

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Videolezioni di fisica

 

Il potenziale elettrico e la relazione che esso ha con il campo elettrico

Il campo elettrico può essere descritto da un vettore ma anche da uno scalare infatti possiamo considerare il lavoro per spostare una carica di prova da un punto A ad un punto B e definire la differenza di potenziale tra i due punti come lavoro/carica (tale unità di misura si chiama Volt). Se uno dei punti è preso come riferimento (ad esempio una distanza infinita) il potenziale in un punto è il lavoro per spostare una carica unitaria dall’infinito al punto A. per convenzione il potenziale presso una carica positiva è positivo perché il lavoro per avvicinare una carica positiva ad A è positivo.

Le superfici equipotenziali sono superfici tali che non si compie lavoro per spostare una carica da un punto all’altro. Se abbiamo un campo costante per spostare una carica faremo un lavoro W=qEd dove d è lo spostamento per cui la relazione tra potenziale e campo è V=Ed (tale definizione dota il campo di un’altra unità di misura V/m)

Se il campo non è uniforme e il percorso è qualsiasi si opererà con l’integrale fra infinito e il punto A del campo E.

Nel caso di una carica puntiforme il potenziale dalla legge di Coulomb sarà V=q/4πεr e quindi le superfici equipotenziali sono delle sfere con centro nella carica che origina il campo.

 

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Videolezioni di fisica

 

La corrente di spostamento nel teorema di Ampère

Variando il flusso di un campo magnetico possiamo ottenere un campo elettrico così pure simmetricamente se variamo il flusso del campo elettrico otteniamo un campo magnetico. Quindi si può ottenere un campo magnetico sia da una corrente sia dalla variazione del flusso del campo elettrico. Questo secondo contributo non è legato al passaggio di cariche elettriche come per la corrente ma generando un campo magnetico ed avendo le dimensioni di una corrente viene chiamata corrente di spostamento. Questa teoria riesce a spiegare bene quel che avviene in un circuito con un condensatore. Infatti se applichiamo il teorema di Ampere lungo un percorso che contiene il filo percorso da corrente otteniamo che il campo è uguale a mui mentre se lo facciamo tra le armature risulta uguale a 0. Questo contraddice la continuità del circuito mentre se consideriamo anche la corrente di spostamento si conserva la continuità Quindi il teorema di Ampere può essere scritto come \( \int dl = \mu\epsilon / dt + \mu i \) e in questa forma compare nelle equazioni di Maxwell che sono alla base delle onde elettromagnetiche.

 

Descrivi le modalità di creazione e di propagazione delle onde elettromagnetiche

Un’onda trasversale si ha quando le particelle del mezzo di trasmissione oscillano in direzione perpendicolare alla direzione del moto (esempio onde sismiche secondarie, onde di un filo che vibra). Anche le onde elettromagnetiche sono onde trasversali, naturalmente non ci sono particelle che si muovono perpendicolarmente al moto ma sono i campi a farlo, in cui il campo elettrico e quello magnetico sono perpendicolari tra di loro in un piano a sua volta perpendicolare alla direzione di propagazione. La variazione del campo magnetico in ogni punto è legata alla variazione del campo elettrico nel tempo e così pure la variazione del campo elettrico in ogni punto è legata alla variazione del campo magnetico nel tempo secondo la legge di Ampere. La velocità di propagazione dell’onda è legata al rapporto tra la componente elettrica e quella magnetica dei campi e si può dimostrare che essa è pari a \( \frac{1}{\sqrt{\mu\epsilon}}\) ovvero a 300000 Km/s. Questo valore è lo stesso di quello della luce e dimostra che la luce non è altro che un’onda elettromagnetica la quale si propaga con una velocità massima nel vuoto e può essere classificata secondo le varie frequenze.

 

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Videolezioni di fisica

 

Come si calcola la temperatura superficiale del Sole attraverso misure di intensità spettrale e la legge di Stefan-Boltzmann?

Se onde elettromagnetiche colpiscono un corpo o vengono riflesse determinando il colore di un corpo o vengono assorbite provocando un riscaldamento del corpo. Superfici nere assorbono tutte le radiazioni e si scaldano quelle bianche riflettono tutto e non si scaldano. Un corpo nero è una cavità capace di trattenere tutte le onde elettromagnetiche che la raggiungono. Le stelle (come tutti i corpi molto caldi) si comportano come corpi neri (per quanto riguarda l’assorbimento) ed è stato trovato sperimentalmente che la massima emissione si ha per un a lunghezza d’onda inversamente proporzionale alla temperatura λT=C così a partire dal colore delle stelle è possibile risalire alla loro temperatura (per il sole circa 6000 K) apparendo blu le stelle più calde e rosse quelle più fredde. L’energia totale emessa per unità di superficie e per unità di tempo viene detta irradianza e la legge di Stefan-Boltzmann dice che essa è proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta. Le due leggi suscritte sono state studiate dal punto di vista teorico da Plank dal punto di vista quantistico e da Einstein che ne dette una dimostrazione in ambito classico.

 

Il modello atomico di Bohr

Lo studio di Plank sull’emissione del corpo nero e l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico portarono a considerare le onde luminose come composte da unità minime indivisibili la cui energia era proporzionale alla frequenza secondo una costante h detta di Plank. Bohr a partire dal fatto che gli atomi scambiavano energia con la luce ne dedusse che i livelli energetici dell’atomo erano essi stessi quantizzati e ogni elemento aveva un proprio specifico spettro di energia. Questa interpretazione risolve il problema della stabilità degli elettroni intorno all’atomo che non possono cadere sul nucleo perdendo energia per emissione elettromagnetica. I livelli erano determinati da multipli interi della lunghezza d’onda di De Broglie per l’elettrone. Gli elettroni si posizionano sulle orbite a minor energia (con delle regole che saranno poi successivamente scoperte) e questo costituisce lo stato fondamentale dell’atomo, se l’atomo assorbe energia tale da portare l’elettrone in un altro livello si parlerà di stato eccitato e se l’elettrone assorbe energia sufficiente ad allontanarsi anche dall’ultimo livello l’atomo sarà ionizzato. Si verifica anche il processo inverso e l’elettrone nel tornare allo stato fondamentale restituisce energia pari al livello saltato e quindi ad una frequenza precisa.

 

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Videolezioni di Fisica

 

L’interpretazione di Einstein dell’effetto fotoelettrico

Quando una superficie metallica viene colpita da un’onda elettromagnetica emette elettroni, tale emissione non dipende dall’energia dell’onda incidente ma dalla sua frequenza mentre l’energia incidente determinerà il numero di elettroni coinvolti nel fenomeno. Einstein nel 1905 con un lavoro che gli fruttò il premio Nobel spiegò tale fenomeno ipotizzando che la luce possiede una energia quantizzata proporzionale alla frequenza.

Il fenomeno viene messo in evidenza da un comune tubo a raggi catodici dove il catodo non viene riscaldato ma illuminato da un raggio luminoso a varie frequenze. Si può misurare una corrente se si supera una frequenza minima, ed anche il potenziale di arresto (ovvero il potenziale necessario per bloccare la corrente) dipende dalla frequenza. La corrente aumenta all’aumentare dell’energia della luce che colpisce il catodo. La spiegazione di Einstein, che attribuiva alla luce una energia quantizzata proporzionale alla frequenza, spiegava la soglia di frequenza sotto alla quale gli elettroni non possono assorbire energia sufficiente a sfuggire all’atomo e spiegava perché all’aumentare della frequenza era necessario un campo più grande per bloccare la corrente.

 

La nascita della meccanica quantistica tra il 1900 e il 1930: situazione sperimentali e ipotesi formulate dalla nuova fisica

La meccanica quantistica che unifica la descrizione della materia e della radiazione in particolare per dimensioni atomiche e subatomiche coincidendo con la meccanica classica per dimensioni elevate. La meccanica quantistica si basa sul fatto che grandezze fisiche come l’energia, il momento possono variare solo per valori discreti proporzionali secondo una costante h (costante di Plank) e rappresenta la materia sia in modo corpuscolare che ondulatorio e tale natura viene alla luce secondo gli esperimenti realizzati. Quindi si rappresenta la materia con una funzione d’onda il cui comportamento non può che essere descritto che in forma probabilistica e non deterministico come in meccanica classica non riuscendo a definire lo stato meccanico di un corpo se non a meno di una intrinseca indeterminazione che lega le varie caratteristiche di un sistema materiale.

La base sperimentale che portò alla elaborazione della meccanica quantistica si sviluppò alla fine del XX secolo sino agli inizi del XXI con le varie teorie sulla struttura dell’atomo e con gli esperimenti sul corpo nero, sull’effetto fotoelettrico e l’effetto Compton e le conseguenze della meccanica quantistica sono ora alla base della fisica moderna.

 

Perché in un circuito elettrico è bene inserire un fusibile?

Quando si progetta un circuito elettrico si tiene conto del range di funzionamento dello stesso e si dimensionano i vari elementi secondo l’uso ovvero secondo la massima corrente che può attraversare una resistenza o tensione per un condensatore etc. questo determina anche il costo del circuito. Si tiene anche conto delle temperature di funzionamento e di come smaltire il calore onde non danneggiare il circuito elettronico stesso. Può però capitare che per un uso improprio o per il danneggiamento di uno o più elementi del circuito il circuito non funzioni correttamente e funzioni in range non previsti dal progetto e questo può danneggiare irreversibilmente il circuito elettronico oltre a poter determinare problemi di sicurezza (circuiti e apparati che prendono fuoco) o danneggiamenti ai circuiti a valle. Per tale motivo è utile avere un circuito di controllo, il più semplice dei quali è il fusibile ovvero un filo sottile dimensionato secondo la legge di Ohm in modo da poter sopportare il passaggio fino ad una corrente massima dopo la quale per effetto Joule il filo raggiunge una temperatura tale da fondersi ed interrompere il circuito salvaguardando così i circuiti a valle.

 

Il principio di funzionamento del forno a microonde

Il forno a microonde si basa sull’effetto termico delle microonde. Nel forno c’è un circuito detto magnetron che emette un campo magnetico variabile a 2,45 GHz che amplifica le oscillazioni delle molecole di acqua contenute nei cibi (ed anche di proteine, lipidi, zuccheri di dimensioni simili) agendo sul dipolo magnetico di queste molecole. Tale meccanismo è opposto al forno tradizionale in cui c’è assorbimento di calore per irraggiamento e conduzione dagli strati esterni a quelli interni. Nel forno a microonde quindi le molecole interne oscillano più rapidamente perturbate dall’oscillazione del campo esterno e questo si traduce in calore.

La camera del forno sarà una sorta di gabbia di faraday per non far uscire le onde elettromagnetiche ed anche il vetro frontale avrà una griglia che impedisce alle microonde di uscire ma permette alla luce di penetrare.

La realizzazione del campo magnetico variabile è ottenuta raddrizzando la tensione di rete e caricando un condensatore. Un circuito elettronico provvederà all’accensione e allo spegnimento del circuito (carica e scarica del condensatore) modulando così anche la potenza del segnale emesso.

 

L’effetto termoelettronico

Se facciamo passare corrente in un metallo esso si riscalderà per effetto Joule ed emetterà elettroni: questo effetto si chiama termo elettronico o termoionico questo perché l’aumento della temperatura aumenta l’energia cinetica degli elettroni tanto da vincere la forza che li trattiene agli atomi. La particella emessa tenderà a rimanere in prossimità della superficie emettitrice, che si sarà caricata di una carica opposta nel segno ma uguale in magnitudine al totale delle cariche emesse.

Un esempio è quello che avviene in un tubo a vuoto dove il catodo è riscaldato fino a raggiungere temperature superiori ai 1000K e gli elettroni strappati ai nuclei vengono poi accelerati dalla differenza di potenziale tra catodo e anodo.

Oggi questo fenomeno si realizza non solo nei tubi a vuoto (oscilloscopi, televisori a tubo catodico, valvole) ma anche nei semiconduttori. Gli elettroni strappati nella loro corsa all’interno del tubo potranno incontrare altri atomi eccitandoli e successivamente questi restituiranno l’energia sotto forma di luce con fenomeni di luminescenza a seconda della pressione del gas contenuto nel tubo.

 

La corrente elettrica continua e le sue leggi

Quando ai capi di un conduttore applichiamo una differenza di potenziale si genera un moto ordinato di elettroni di conduzione che vanno verso il polo positivo della differenza di potenziale creando quindi una corrente misurabile in ampere = Coulomb /secondo ovviamente il moto degli elettroni potrà essere più o meno facile a secondo che gli elettroni siano più o meno legati ai nuclei (conduttori o isolanti). La corrente può essere anche realizzata nei liquidi (elettrolisi) o nei gas.

La corrente sarà direttamente proporzionale alla differenza di potenziale (prima legge di Ohm) e la costante di proporzionalità si chiama resistenza misurata in Ohm.

Se abbiamo a che fare con un conduttore metallico la resistenza sarà proporzionale alla lunghezza e inversamente proporzionale alla sezione del conduttore (seconda legge di Ohm) la costante di proporzionalità si chiama resistività la quale varia con la temperatura aumentando all’aumentare della temperatura. Nei semiconduttori invece diminuisce al variare della stessa.

In circuiti elettronici complessi sono utili le leggi di Kirchhoff le quali stabiliscono che in un nodo la somma delle correnti entranti è uguale a quelle uscenti (prima legge) e che in una maglia la somma di tutte le cadute di potenziale e delle differenze di potenziale è nulla (seconda legge).

 

Fenomeno fisico reversibile e fenomeno irreversibile

Per trasformazione reversibile in termodinamica si intende una trasformazione che può essere invertita riportando il sistema nelle condizioni iniziali senza scambio di energia con l’ambiente esterno. Ovviamente è irreversibile se non è possibile tornare allo stato iniziale se non con uno scambio di energia. Una trasformazione reversibile non è possibile in natura ma la si può approssimare con una trasformazione che evolva per infiniti stadi di equilibrio termodinamico, in natura le trasformazioni sono irreversibili in quanto coinvolgono attrito, viscosità, effetto Joule etc. Il secondo principio della termodinamica fissa teoricamente le regole per le trasformazioni reversibili. Possiamo evidenziare che non è possibile una trasformazione che produca lavoro prendendo calore da una sola sorgente ovvero una parte di calore sarà definitivamente persa (se non recuperandolo con un lavoro) in una sorgente a temperatura inferiore. Questo trova evidenza in una variabile termodinamica detta entropia pari Q/T dove Q è il calore assorbito da una sorgente alla temperatura T. Ebbene solo per le trasformazioni reversibili l’entropia rimane costante mentre aumenta in tutte quelle irreversibili, ovvero in tutte quelle che avvengono nella realtà. Quindi tutti i sistemi evolvono verso stadi ad entropia maggiore. Questo è vero per sistemi che non scambiano calore con l’esterno ed è quindi vero per l’universo nel suo complesso.

 

La legge di Faraday-Neumann relativa al fenomeno dell’induzione elettromagnetica

La legge nasce da una serie di esperimenti in cui un campo magnetico variabile (o per valore o verso o direzione) provoca su un circuito una differenza di potenziale indotta. Lo stesso fenomeno avviene muovendo il circuito in un campo magnetico costante variando la superficie e quindi il flusso magnetico che l’attraversa. La legge dice che \( V = \frac{d\phi}{dt} \) dove \( \phi \) è il flusso e V la forza elettromotrice indotta, il segno meno (legge di Lenz) indica che la forza elettromotrice indotta genererà un campo che si oppone alla variazione del flusso. Sperimentalmente possiamo verificare tale legge avvicinando un magnete a una spira, e si noterà che dobbiamo fare uno sforzo tanto maggiore quanto più rapidamente avviciniamo il magnete e viceversa quando lo allontaniamo veniamo attratti dal circuito. Lo stesso si verificherà se muoviamo il circuito in un campo magnetico fisso in modo da portare nel tempo una parte sempre maggiore del circuito fuori del campo magnetico e viceversa .Si può osservare che se muoviamo un conduttore all’interno di un campo in modo da modificare il flusso e in tal caso avremo delle correnti parassite nel conduttore tali da scaldare lo stesso per effetto Joule.

 

Il secondo principio della termodinamica e l’entropia

Il secondo principio della termodinamica ha due formulazioni equivalenti: nella prima si stabilisce che non si può portare calore da una sorgente a temperatura inferiore ad una a temperatura superiore (se non con un lavoro esterno al sistema) la seconda che non si può avere una macchina termica ciclica che produca lavoro assorbendo calore da una sola sorgente. In questa ultima formulazione si comprende che in una trasformazione reale una parte del calore assorbito viene perso in una sorgente a temperatura inferiore (rendendo impossibile un rendimento unitario ad una macchina termica) ovvero esistono in natura forze dissipative che non sono eliminabili (si pensi all’attrito). L’entropia è una variabile termodinamica che esprime bene il secondo principio. Infatti essa è il rapporto tra Q/T, dove Q è il calore assorbito da una sorgente ad una temperatura T; la somma di tutte queste quantità durante una trasformazione è nulla solo per le trasformazioni reversibili mentre nelle trasformazioni in natura l’entropia cresce se il sistema è isolato, e l’universo in quanto sistema isolato evolve verso stadi ad entropia maggiore. Un sistema isolato evolve verso uno stadio di entropia massima (quando esiste un’unica sorgente di calore) che equivale ad un sistema che non può più evolvere.

 

Cambiamenti nei concetti di spazio, tempo e gravitazione da Newton ad Einstein

Nella visione classica della meccanica di Galilei le trasformazioni delle leggi fisiche nel passare da un sistema di riferimento inerziale all’altro lasciano inalterato il tempo e modificano lo spazio con semplici traslazioni che non modificano la misura della lunghezza degli oggetti. La nascita dell’elettromagnetismo portò a nuove leggi di trasformazione dello spazio e del tempo per cui se misuro una lunghezza in un sistema di riferimento solidale con il corpo da misurare essa risulterà più lunga della misura in un sistema in cui l’oggetto risulta in moto, e la distanza tra due eventi risulterà più lunga in un sistema in cui i due eventi sono in moto rispetto al tempo calcolato in un sistema in cui gli eventi sono fermi. La stessa massa dipende dalla velocità del sistema di riferimento aumentando rispetto alla massa a riposo calcolata in un sistema in cui la massa è ferma. Le leggi della relatività generale affermano che la forza di gravità è equivalente ad un sistema di riferimento in moto accelerato. Pertanto il concetto di forza diviene equivalente a un sistema di riferimento per ogni punto dello spazio in cui variano le coordinate spazio temporali. Graficamente è come uno spazio che in presenza di masse si curva tanto più quanto più è grande la massa e le traiettorie dei corpi cambiano non per effetto della forza ma dello spazio modificato.

 

Problemi sulle rette

Esempi

Esempio 1: Dire quali delle rette date sono parallele e quali ortogonali:

\( a: y = x + 4\,\, , \,\, b: y = – x – 2 \,\, , \,\, c: y = \frac{x}{2} + 1 \,\, , \,\, d: y = 5 -x \,\, , \,\, e: y = 2 – 2x \)

Per risolvere questo esercizio potremmo certamente intersecare tutte le rette due a due e constatare così se ci sono punti d’intersezione; ma questo metodo è molto lungo e inutilmente complicato, dal momento che non ci è stato richiesto di scoprire le coordinate degli eventuali punti d’intersezione. Troviamo i coefficienti angolari delle rette:

\( m_a = 1, \,\, m_b = -1, \,\, m_c = \frac{1}{2}, \,\, m_d = -1, \,\, m_e = -2 \)

Poiché due rette parallele devono avere lo stesso coefficiente angolare, l’unica coppia di parallele presente è quella costituita dalle rette ? e ?. Dal momento che inoltre

\( m_am_b = m_am_d = m_cm_e = -1 \)

le coppie di rette \( \{a, b\}, \{a, d\}, \{c, e\} \) sono costituite da rette ortogonali. Tutte le altre coppie di rette possibili non sono parallele, ma nemmeno perpendicolari: ne consegue che sono semplicemente incidenti.

Esempio 2: Si trovino i punti d’intersezione delle coppie di rette {?,?},{?,?},{?,?}

Dall’esempio precedente risulta che la prima coppia è costituita da rette ortogonali, la seconda da parallele e la terza da rette incidenti. Per determinare le intersezioni, che questa volta ci sono state richieste esplicitamente, risolviamo i tre sistemi seguenti:

\( \begin{cases} y = x+4 \\ y = -x – 2 \end{cases} \,\,\,\, \begin{cases} y=-x-2 \\ y = 5-x \end{cases} \,\,\,\, \begin{cases}y = 5-x \\ y = 2 -2x \end{cases} \)

Essi si risolvono tutti facilmente. Il primo e il terzo danno rispettivamente $ (−3,1) $ e $ (−3,8) $, mentre il secondo è impossibile: sottraendo membro a membro abbiamo infatti $ 0 =−7 $, che è naturalmente falsa. Quindi mentre le intersezioni della prima e della terza coppia di rette sono $ (−3,1) $ e $ (−3,8) $, la seconda coppia non ha punti d’intersezione; ciò non sorprende, poiché come già sapevamo essa è formata da rette parallele.

Esempio 3: Si trovi la retta passante per i punti \( A\Big( -1, \frac{2}{3}\Big) \) e \( B\Big( \frac{1}{3}, 2 \Big) \).

Per questo semplice esempio basta applicare la formula per la retta tra due punti:

\( \frac{y-y_A}{y_B-y_A} = \frac{x-x_A}{x_B-x_A} \Rightarrow \frac{y-\frac{2}{3}}{2-\frac{2}{3}} = \frac{x-(-1)}{\frac{1}{3}-(-1)} \Rightarrow \)

\( \Rightarrow \frac{3}{4} \Big( y-\frac{2}{3}\Big) = \frac{3}{4} (x+1) \Rightarrow y = x + \frac{5}{3} \)

Dunque l’unica retta che passa per ? e ? è quella di equazione \( y = x + \frac{5}{3} \).

Alternativamente, avremmo potuto trovare l’equazione del fascio proprio di centro ? e quindi cercare quell’unica sua retta passante per ?: questo metodo ci avrebbe portato, attraverso una strada più lunga, al medesimo risultato.

Esempio 4: Si trovi l’asse del segmento i cui estremi sono i punti \( A \Big(-1, \frac{2}{3}\Big) \) e \( B\Big( \frac{1}{3}, 2\Big) \).

Cominciamo col trovare il punto medio del segmento ??: per definizione le sue coordinate sono le medie di quelle dei punti ? e ?, cioè

\( M\Big( \frac{x_A+x_B}{2}, \frac{y_A+y_B}{2} \Big) \Rightarrow M\Big( \frac{-1+\frac{1}{3}}{2}, \frac{\frac{2}{3}}{2} \Big) \Rightarrow M\Big( -\frac{1}{3}, \frac{4}{3} \Big) \)

L’asse del segmento ?? è l’unica retta passante per ? che sia ortogonale ad ??; bisogna quindi calcolare l’equazione del fascio proprio di punto base ?, cioè

\( \Phi: \Big( y – \frac{4}{3} \Big) = m \Big( x + \frac{1}{3}\Big) \Rightarrow 3y – 4 = 3mx + m \)

e richiedere che il parametro ? sia esattamente −1/???, il che assicura l’ortogonalità. Dall’esempio precedente sappiamo che la retta passante per ? e ? ha coefficiente angolare \( m_{AB} = 1 \), col che l’? da sostituire sarà −1, e l’asse del segmento avrà equazione

\( 3y – 4 = -3x – 1 \Rightarrow 3y = -3x + 3 \Rightarrow y = 1 – x \)

Esempio 5: Si trovino le equazioni delle bisettrici degli angoli formati dalle rette incidenti di equazioni \( r_1: y = \frac{x}{\sqrt{3}} + 1, \,\, r_2: y = \sqrt{3}x + 3 \).

Scriviamo le equazioni delle due rette date in forma implicita attraverso semplici passaggi:

\( r_1: x – \sqrt{3}y + \sqrt{3} = 0 \,\,\,\, , \,\,\,\, r_2: \sqrt{3}x – y + 3 = 0 \)

Non ci resta che applicare la formula trovata in teoria per le bisettrici di due rette date in forma implicita; le loro equazioni possono essere scritte insieme nel modo seguente

\( \frac{a_1x + b_1y + c_1}{\sqrt{a^2_1+b^2_1}} = \pm \frac{a_2x + b_2y + c_2}{\sqrt{a^2_2+b^2_2}} \)

nel quale i numeri ?,?,? indiciati che compaiono sono naturalmente i coefficienti delle rette. Sostituendo, avremo

\( \frac{x-\sqrt{3}+\sqrt{3}}{\sqrt{1^2(-\sqrt{3})^2}} =  \pm \frac{\sqrt{3}x-y+3}{\sqrt{(\sqrt{3})^2+(-1)^2}} \Rightarrow \frac{x-\sqrt{3}y+\sqrt{3}}{\sqrt{4}} = \pm \frac{\sqrt{3}x-y+3}{\sqrt{4}} \)

\( x – \sqrt{3}y + \sqrt{3} = \pm (\sqrt{3} x – y + 3) \)

 

il che ci dà le due rette di equazioni

\( b_1: (1-\sqrt{3})x + (1-\sqrt{3})y + \sqrt{3}(1-\sqrt{3}) = 0 \Rightarrow x + y + \sqrt{3} = 0 \)

\( b_2: (1+\sqrt{3})x – (1+\sqrt{3})y + \sqrt{3}(1+\sqrt{3}) = 0 \Rightarrow x – y + \sqrt{3} = 0 \)

Esse sono le bisettrici ricercate. Potremmo verificare senza difficoltà che la loro unica intersezione coincide con quella delle rette $ r_1 $ ed $ r_2 $, come anche che $ b_1 _|_ b_2 $: queste sono proprietà geometriche sempre verificate dalle bisettrici degli angoli di due rette incidenti, e non dipendono dai particolari coefficienti scelti per le rette di questo esempio.

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di geometria analitica

 

Perché la superficie di un conduttore carico in condizioni di equilibrio è una superficie equipotenziale?

Un conduttore elettrico è un materiale dove le cariche elettriche negative sono libere di muoversi con facilità all’interno del conduttore stesso. Il teorema di Gauss prova che il flusso del campo elettrico uscente da una superficie chiusa è pari alla carica contenuta nella superficie (diviso ε). Da questo teorema è possibile ricavare varie configurazioni del campo elettrico ed anche la stessa legge di Coulomb. Esso ci dice anche che un eccesso di cariche posto su un conduttore isolato ed in equilibrio (ovvero le cariche non sono in movimento) si distribuisce sulla superficie esterna del conduttore. Se si prende una superficie interna al conduttore vicina alla superficie in tutti i punti di tale superficie il campo elettrico deve essere nullo in quanto se non lo fosse le cariche si muoverebbero contraddicendo la condizione di equilibrio. Per il teorema di gauss questo vuol dire che il flusso è 0 e che quindi le cariche all’interno della superficie sono nulle. Potendo fare la superficie quanto più prossima alla superficie esterna possiamo dire che tutte le cariche all’equilibrio si sono disposte sulla superficie del conduttore. Sperimentalmente è possibile provare tale dimostrazione caricando una sfera e immergendola in un recipiente isolato toccando la parte interna del recipiente la carica si trasferirà tutta sul recipiente esterno.

 

Il significato del segno “meno” nella legge di Faraday-Neumann-Lenz

La legge di Faraday stabilisce che variando il flusso magnetico che attraversa un circuito elettrico (una spira, un solenoide etc) sia che cambi il valore del campo magnetico sia la direzione o il verso ottengo una forza elettromotrice indotta tanto più grande quanto più rapida è la variazione del flusso. La corrente indotta che sarà generata dalla forza elettromotrice genererà essa stessa un campo magnetico il cui verso e direzione si può calcolare con la regola della mano destra. La legge di Lenz stabilisce che il verso è tale da opporsi alla variazione del campo.

Sperimentalmente possiamo verificare tale legge avvicinando un magnete a una spira, e si noterà che dobbiamo fare uno sforzo tanto maggiore quanto più rapidamente avviciniamo il magnete e viceversa quando lo allontaniamo veniamo attratti dal circuito. Lo stesso si verificherà se muoviamo il circuito in un campo magnetico fisso in modo da portare nel tempo una parte sempre maggiore del circuito fuori del campo magnetico e viceversa . In questo caso la corrente indotta è I = V/R = Blv/R (dove v è la velocità di estrazione e l la lunghezza della spira) e la forza sarà F = IBl e quindi vi sarà una potenza meccanica per muovere la spira che si trasformerà in potenza elettrica.

 

Il potenziale di doppio strato di Poltier e l’effetto volta nei conduttori

L’effetto volta spiega che fra conduttori metallici alla stessa temperatura ma a differente potenziale di estrazione (ovvero l’energia necessaria per strappare gli elettroni all’atomo) si crea una differenza di potenziale. Le leggi che regolano tale effetto sono: la differenza di potenziale è tipica dei due conduttori e non dipende dalla superficie di contatto,se si hanno più conduttori diversi la differenza di potenziale è relativa al primo e ultimo conduttore,si può avere una differenza di potenziale anche tra due conduttori della stessa specie se si interpone tra essi una soluzione di acidi,basi e sali.

L’effetto Peltier è un fenomeno che avviene tra due metalli o semiconduttori differenti posti a contatto che quando sono percorsi da una corrente trasferiscono calore da un metallo all’altro. In pratica è l’opposto dell’effetto Seebeck. La quantità di calore è proporzionale alla corrente secondo un coefficiente specifico per ogni coppia di materiali risultando negativa o positiva per i conduttori n o p. L’effetto Peltier trova applicazione sia in sistemi di raffreddamento per computer,o in frigo e caldaie dove ci sia la necessità di smaltire calore (cella di Peltier).

 

La legge di Faraday-Neumann e la produzione della corrente alternata

La legge nasce da una serie di esperimenti in cui un campo magnetico variabile (o per valore o verso o direzione) provoca su un circuito una differenza di potenziale indotta. Lo stesso fenomeno avviene muovendo il circuito in un campo magnetico costante variando la superficie e quindi il flusso magnetico che l’attraversa. La legge dice che \( V = – \frac{d\phi}{dt} \) dove \( \phi \) è il flusso e V la forza elettromotrice indotta, il segno meno (legge di Lenz) indica che la forza elettromotrice indotta genera un campo che si oppone alla variazione del flusso.

Se si pone une spira in un campo magnetico costante, il campo agirà solo sui lati perpendicolari al campo e quindi si creerà una coppia che farà girare la spira (con un sistema di spazzole si fa in modo che raggiunta la rotazione massima la spira possa continuare a girare) con una velocità angolare omega per cui ai capi del circuito si ottiene una forza elettromotrice indotta  \( V = V \cos \phi t \).

La corrente nel circuito seguirà la forza elettromotrice indotta e quindi avremo una corrente alternata di valore efficace \( I = \frac{I^0}{\sqrt{2}} \) e una forza elettromotrice \( V = \frac{V^0}{\sqrt{2}} \).

 

Contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi nella relatività di Einstein

Nella visione classica della meccanica di Galilei le trasformazioni delle leggi fisiche nel passare da un sistema di riferimento inerziale all’altro lasciano inalterato il tempo e modificano lo spazio con semplici traslazioni che non modificano la misura della lunghezza degli oggetti. Quando però si scoprì la forza di Lorentz ci si accorse in in sistemi inerziali diversi la legge cambiava ovvero non era invariante (questo è dovuto alla dipendenza della forza dalla velocità) e questo valeva per tutte le leggi dell’elettromagnetismo. Lorentz propose delle nuove trasformazioni dello spazio e del tempo che rendevano invarianti le leggi dell’elettromagnetismo. Tali trasformazioni coincidevano con quelle galileiane per velocità molto piccole rispetto a quelle della luce ma erano molto diverse man mano che la velocità aumentava. Queste trasformazioni non solo cambiavano le misure degli oggetti in sistemi di riferimento inerziali ma anche il tempo. Per cui se misuro una lunghezza in un sistema di riferimento solidale con il corpo da misurare essa risulterà più lunga della misura in un sistema in cui l’oggetto risulta in moto, e la distanza tra due eventi risulterà più lunga in un sistema in cui i due eventi sono in moto rispetto al tempo calcolato in un sistema in cui gli eventi sono fermi.

 

Fasci di rette

Definizioni

Definizione 1: Fascio improprio di rette

Data una retta ? passante per l’origine, si chiama fascio improprio di rette di retta base ? l’insieme costituito da tutte le rette del piano parallele a ?. Se ?: ?=??, l’equazione del fascio è \[ \Phi: y = mx + k \]

con ? parametro reale.

 

Geometria analitica: fascio improprio di rette

 

 

 

 

 

 

 

 

Definizione 2: Fascio proprio di rette

Dato un punto ? fissato, si chiama fascio proprio di rette di punto base (o centro) ? l’insieme costituito da tutte le rette del piano passanti per ?. Se $ C(x_0, y_0) $, l’equazione del fascio è \[ \Phi: (y-y_0) = m (x-x_0) \]

con ? parametro reale.

 

Geometria analitica: fascio proprio di rette

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione 1: L’equazione data nella definizione 1 è inadatta a rappresentare il fascio di rette parallele all’asse delle ?, poichè in questo caso ? non può essere scritta nella forma $ y = mx $. D’altro canto tale fascio ha naturalmente equazione $ x = k $, con ? reale.

Osservazione 2: L’equazione data nella definizione 2 è inadatta a rappresentare una delle rette del fascio, quella passante per ? e parallela all’asse delle ?, avente equazione \( x = x_0 \). Questo fatto, di cui occorre tenere conto nel corso della risoluzione degli esercizi, è dovuto al fatto che in questo caso dovrebbe essere \( m = \infty \).

Osservazione 3: Mentre tutte le rette appartenenti a un fascio proprio condividono un punto, tutte quelle di un fascio improprio condividono una direzione. La denominazione “improprio” data al secondo tipo di fascio è dovuta al fatto che la direzione di una retta, nell’ambito della geometria proiettiva, viene identificata con un punto della retta stessa posto all’infinito, detto appunto punto improprio. Con tale convenzione, in qualche modo anche le rette di un fascio improprio condividono un punto, ma questo non appartiene al piano cartesiano.

Osservazione 4: Una retta che sia ortogonale (rispettivamente, parallela o incidente) a una retta di un fascio improprio e ortogonale (rispettivamente, parallela o incidente) anche a tutte le altre. Questo è conseguenza del fatto che tali proprietà dipendono solo dal valore del coefficiente angolare, che per un fascio improprio è fissato.

Osservazione 5: Data una qualsiasi retta non passante per il centro di un fascio proprio di rette, è possibile trovare una retta del fascio ad essa ortogonale ed una ad essa parallela. Quest’ultima retta è anche l’unica del fascio che non interseca la retta data all’inizio.

 

Esempi

Esempio 1: Si trovi la retta del fascio \( \Phi: y = 3x + k \) passante per il punto $ P(1, 34) $.

Dal momento che le rette appartenenti a un fascio, proprio o improprio, ricoprono tutto il piano, è sempre possibile risolvere un esercizio di questo tipo. In questo caso il fascio è improprio, quindi stiamo cercando la retta parallela alla $ r: y = 3x $ passante per ?. Posto $ x = 1, y = 34 $ avremo

\( \frac{3}{4} = 3 + k \Rightarrow k = \frac{3}{4} – 3 = – \frac{9}{4} \)

cosicché la retta ricercata ha equazione \( y = 3x – \frac{9}{4} \).

Esempio 2: Si trovino le rette del fascio \( \Phi = \frac{x}{2} + k \) distanti 1 dall’origine.

In questo caso adoperiamo la formula per calcolare la distanza di un punto da una retta:

\[ d = \frac{|ax_0+by_0+c|}{\sqrt{a^2+b^2}} \]

Come si ricorderà, in essa $ (x_0, y_0) $ sono le coordinate del punto in questione, nel nostro caso l’origine; i numeri ?,?,? sono invece i coefficienti della retta scritta in forma implicita, dunque per una generica retta del fascio \( \Phi \) essi sono $ a = 12, b = -1, c = k $. Sostituendo

\( 1 = \frac{|k|}{\sqrt{\frac{1}{4}+1}} = \frac{2|k|}{\sqrt{5}} \Rightarrow |k| = \frac{\sqrt{5}}{2} \Rightarrow k = \pm \frac{\sqrt{5}}{2} \)

Le rette trovate sono perciò due: \( y = \frac{x}{2} + \frac{\sqrt{5}}{2} \) e \( y = \frac{x}{2} – \frac{\sqrt{5}}{2} \) . Questo è un risultato generale: se infatti una retta si trova a distanza ? da un punto fissato ?, certamente anche la sua simmetrica rispetto a ? si trova alla stessa distanza; le due rette ottenute sono inoltre parallele, quindi appartengono allo stesso fascio improprio.

Esempio 3: Si trovi il centro del fascio proprio \( \Phi: y = mx + 3 \) e la retta di \( \Phi \) ortogonale a quella di equazione \( r: y + 5 = \frac{x}{3} – 9 \).

Per trovare il centro del fascio possiamo agire in due modi diversi. Il primo di essi consiste nello scegliere due valori qualsiasi di ?, trovare le rette risultanti e intersecarle: il punto ottenuto sarà certamente il centro del fascio, poiché esso è l’unico punto condiviso da tutte le rette di \( \Phi \). Un metodo più semplice consiste invece nel cercare di trasformare l’equazione del fascio in una avente la forma data dalla definizione 2, onde dedurre $ x_0 $ e $ y_0 $. Per far ciò separiamo gli addendi con ? da quelli senza ?, e mettiamo in evidenza:

\( y – 3 = mx \Rightarrow y – 3 = m (x – 0) \Rightarrow C(0, 3) \)

Una retta che sia ortogonale a ? avrà coefficiente angolare \( m = – \frac{1}{m_r} = -\frac{1}{\frac{1}{3}} = -3 \). Così, la retta del fascio ad essa perpendicolare sarà \( y = -3x + 3 \).

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di geometria analitica

Videolezione geometria analitica: rette perpendicolari e parallele

 

 

 

 

 

 

 

 

Formule notevoli sulla retta

Retta passante per due punti dati

Formula: Siano fissati due punti distinti $ A(x_A, y_A) $ e $ B(x_B, y_B) $, non allineati nè in verticale nè in orizzontale. Esiste allora una e una sola retta passante sia per ? che per ?, la cui equazione in forma implicita è

\[ \begin{equation} \frac{y-y_A}{y_B-y_A} = \frac{x-x_A}{x_B-x_A} \label{eq1} \end{equation} \]

Dimostrazione: Consideriamo la retta generica $ y = mx + q $, e imponiamo che passi sia per ? che per ?; otterremo così il sistema

\[ \begin{cases} y_A = mx_A + q \\ y_B = mx_B + q \end{cases} \Rightarrow \begin{cases}y_A -mx_A = y_B – mx_B \\ q = y_B – mx_B \end{cases} \Rightarrow \begin{cases} m = \frac{y_B-y_A}{x_B – x_A} \\ q =  y_B – \Big( \frac{y_B-y_A}{x_B-x_A} \Big) x_B \end{cases} \]

nel quale il secondo passaggio si ottiene sottraendo membro a membro, mentre il terzo è lecito perché \( x_B – x_A \ne 0 \) per ipotesi. La retta è dunque

\[ y = \Big( \frac{y_B-y_A}{x_B-x_A} \Big)x + \Big[ y_B – \Big( \frac{y_B-y_A}{x_B-x_A} \Big) x_B \Big] \Rightarrow \frac{y}{y_B-y_A} = \frac{x}{x_B-x_A} + \frac{y_B}{y_B-y_A} – \frac{x_B}{x_B-x_A}  \]

che si trasforma facilmente nella (\( \ref{eq1} \)) con pochi passaggi algebrici.

Osservazione 1: Se ? e ? sono allineati verticalmente o orizzontalmente, la (\( \ref{eq1} \)) non vale perché, siccome $ x_A = x_B $ oppure $ y_A = y_B $, uno dei due quozienti presenti non ha senso. In quei casi però è facile determinare la retta che passa per ? e ?, coincidendo o con la loro comune ascissa, o con la loro comune ordinata.

 

Retta passante per un punto dato avente dato coefficiente angolare

Formula: Siano fissati un punto $ P(x_0, y_0) $ e un numero reale ?. Esiste allora una e una sola retta passante per ? avente coefficiente angolare ?, la cui equazione in forma implicita è

\[ \begin{equation} y – y_0 = m (x-x_0) \label{eq2} \end{equation} \]

Dimostrazione: Dal momento che la retta ricercata ha un ben determinato coefficiente angolare, essa può essere scritta nella forma esplicita $ y = mx + q $, e dunque non resta che trovare ?. Imponendo il passaggio per ?, scriviamo

\[ y_0 = mx_0 + q \Rightarrow q = y_0 – mx_0 \]

Cosicché la retta è \( y = mx + (y_0 – mx_0) \), o il che è lo stesso $ y – y_0 = m(x -x_0) $.

 

Applicazione: Asse di un segmento

Ci proponiamo adesso di utilizzare la formula appena trovata per calcolare l’equazione dell’ asse di un segmento ?? di cui siano note le coordinate degli estremi $ A(x_A, y_A) $ e $ B(x_B, y_B) $. Ricordiamo dalla geometria piana che l’asse di un segmento è il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da ? e da ?; si dimostra però che esso è anche l’unica retta passante per il punto medio di ?? che sia ortogonale al segmento.

 

Geometria analitica: asse di un segmento

 

 

 

 

 

 

 

Per risolvere il problema vogliamo trovare in primo luogo la retta ??, e in particolare il suo coefficiente angolare ?, quindi rintracciare il punto medio ? di ?? e infine trovare quella retta di coefficiente angolare −1/? che passa per ?: ciò ci garantisce infatti che sia perpendicolare ad ??. In virtù di (\( \ref{eq1} \)), la retta per ? e per ? è

\[ y = \Big( \frac{y_B-y_A}{x_A – x_B} \Big) x + \Big[ y_B – \Big( \frac{y_B – y_A}{x_B-x_A} \Big) x_B \Big] \Rightarrow m = \frac{y_B-y_A}{x_B-x_A} \Rightarrow -\frac{1}{m} = \frac{x_A-x_B}{y_B-y_A} \]

Il punto medio di ?? ha invece coordinate \( M \Big( \frac{x_A+x_B}{2}, \frac{y_A+y_B}{2} \Big) \). Quindi dalla formula (\(\ref{eq2} \)) si ha infine che l’asse è

\[ y – \frac{y_A+y_B}{2} = \Big( \frac{x_A-x_B}{y_B-y_A} \Big) \Big( x – \frac{x_A+x_B}{2} \Big)  \]

 

Distanza di un punto da una retta

Formula: Siano fissati una retta ? la cui equazione in forma implicita è $ ax+by+c=0 $ e un punto ? di coordinate $ (x_0, y_0) $. La distanza tra il punto ? e la retta ? si calcola come

\[  \begin{equation} d(r, P) = \frac{|ax_0+by_0+c|}{\sqrt{a^2+b^2}} \label{eq3} \end{equation} \]

Dimostrazione: Consideriamo le rette per ? parallele agli assi coordinati; è chiaro che esse avranno equazioni $ x = x_0 $ e $ y = y_0 $ e che, detti ? e ? i loro punti d’intersezione con ?, si ha che \( A \Big( x_0, -\frac{c+ax_0}{b} \Big) \) \( B \Big(-\frac{c+by_0}{a}, y_0 \Big) \). Ciò presuppone che la retta ? non sia parallela a nessuno degli assi; d’altro canto in questo caso sarebbe semplice verificare che la (\( \ref{eq3} \)) vale.

Calcoliamo le distanze ?? e ??:

\[ PA = -\frac{c+ax_0}{b} – y_0 = \frac{ax_0+by_0+c}{b} \,\,\,\,\, , \,\,\,\,\, PB = -\frac{c+by_0}{a} -x_0 = -\frac{ax_0+by_0+c}{a} \]

Detto ora ? il piede della perpendicolare condotta da ? a ?, adoperando il primo teorema di Euclide possiamo dire che \( PA^2 = AB \cdot AH \) e \( PB^2 = AB \cdot BH \). Ciò implica pure che \( AH \cdot BH = \frac{PA^2PB^2}{AB} = \Big( \frac{PA\cdot PB}{AB} \Big)^2\), e per il secondo teorema di Euclide si ha \( PH^2 = AH \cdot BH \); dunque utilizzando il teorema di Pitagora per calcolare ?? avremo

\[ PH = \frac{PB\cdot PB}{AB} = \frac{\Big( \frac{ax_0+by_0+c}{b} \Big)\Big( \frac{ax_0+by_0+c}{a} \Big)}{\sqrt{\Big( \frac{ax_0+by_0+c}{b} \Big)^2 + \Big( \frac{ax_0+by_0+c}{a} \Big)^2}} = \]

\[ = \frac{(ax_0+by_0+c)^2}{ab} : \Big( \frac{|ax_o+by_0+c| \sqrt{a^2+b^2}}{ab} \Big) = \frac{|ax_0+by_0+c|}{\sqrt{a^2+b^2}} \]

che è la formula ricercata.

 

Applicazione: Bisettrici degli angoli formati da due rette incidenti

Supponiamo di avere due rette ? ed ? incidenti in un punto ?, non necessariamente l’origine del sistema di coordinate. Esse, come sappiamo, formano quattro angoli opposti al vertice; il problema che ci proponiamo di risolvere consiste nel trovare le equazioni delle rette ? e ?′ rosse in figura, ovvero delle bisettrici degli angoli formati dalle rette incidenti.

 

Geometria analitica: bisettrici degli angoli formati da rette incidenti

 

 

 

 

 

 

 

È noto dalla geometria piana che esse costituiscono, quando considerate insieme, il luogo geometrico dei punti ? del piano equidistanti dalle due rette date. Detti ? e ? i piedi delle perpendicolari condotte da $ P(x, y) $ ad ? ed ?, e dette $ r: a_1x + b_1y + c_1 $ e $ s: a_2x + b_2y + c_2 = 0 $ le equazioni in forma implicita delle due rette, avremo

\[ PA = PB \Rightarrow \frac{|a_1x+b_1y +c_1|}{\sqrt{a^2_1+b^2_1}} = \frac{|a_2x+b_2y +c_2|}{\sqrt{a^2_2+b^2_2}} \]

come facilmente risulta dalla formula (\( \ref{eq3} \)). Considerando i valori assoluti in tutte le possibili combinazioni di segno, l’equazione appena scritta si esplicita nelle seguente

\[ \frac{a_1+b_1y+c_1}{\sqrt{a^2_1+b^2_1}} = \pm \frac{a_2x+b_2y +c_2}{a^2_2+b^2_2} \]

che è l’equazione di due rette: la prima si ottiene scrivendola con il segno più, e la seconda con il meno. Esse sono naturalmente le equazioni delle rette ? e ?′ ricercate.

 

Altro materiale di supporto

Formulario di geometria analitica

Videolezioni di geometria analitica

 

Posizioni reciproche di due rette

Definizioni

Definizione 1: Rette incidenti

Due rette ? ed ? si dicono incidenti quando si intersecano in uno e in un solo punto.

Definizione 2: Rette parallele

Due rette ? ed ? si dicono parallele quando la loro intersezione è vuota. Questa eventualità si indica con il simbolo \( r \parallel s \).

Definizione 3: Rette coincidenti

Due rette ? ed ? si dicono coincidenti quando si intersecano in più di un punto.

Definizione 4: Rette ortogonali o perpendicolari

Si considerino due rette incidenti ? ed ?. Esse si dicono ortogonali quando i quattro angoli da esse formati nell’unico punto d’intersezione sono tutti retti. Questa eventualità si indica con il simbolo $ r _|_ s $.

 

Geometria analitica: rette ortogonali

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione 1: Le definizioni 1 – 3 tengono in considerazione tutti i casi possibili: infatti non solo due rette, ma più in generale due qualsiasi curve o non si intersecano, o si intersecano in un solo punto, o si intersecano in più di un punto. Vale però la pena di notare che, poiché per due punti passa una e una sola retta, allorché due rette hanno due o più punti in comune esse si sovrappongono completamente. I punti d’intersezione sono allora infiniti, e le due rette coincidono.

Osservazione 2: Nell’immagine precedente, le rette ? e ? sono parallele, poiché come si vede non hanno punti in comune; invece la retta ? e ortogonale alla retta ?, e di conseguenza anche alla sua retta parallela ?, come segue da un noto teorema di geometria piana. La retta ?, infine, è incidente sia con ? che con ?; si noti che, benché il punto d’intersezione non sia mostrato, ? è evidentemente incidente anche con ?.

 

Condizioni di parallelismo e ortogonalità

Numero di intersezioni: Siano date due rette ? ed ? le cui equazioni in forma esplicita sono

\[ r: y = m_rx + q_r \,\,\,\,\,\, , \,\,\,\,\,\, s: y = m_sx + q_s \]

con $ m_r, m_s, q_r, q_s $ numeri reali fissati. Vogliamo trovare delle relazioni tra questi quattro valori che siano in grado di dirci se ? ed ? sono coincidenti, parallele o incidenti, e in questo caso vogliamo distinguere anche l’eventualità che ? ed ? siano ortogonali. Analizziamo a questo proposito il sistema

\[ \begin{cases} y = m_rx + q_r \\ y = m_sx + q_s  \end{cases} \Rightarrow \]

\[ \Rightarrow \begin{equation} m_rx + q_r = m_sx + q_s \Rightarrow (m_r – m_s)x = q_s – q_r \label{eq1} \end{equation} \]

La ? contenuta nell’ultima equazione è l’ascissa dell’eventuale punto d’intersezione. Dal momento che la (\( \ref{eq1} \)) è un’equazione di primo grado, o è impossibile, o è indeterminata, o è dotata di una e una sola soluzione. Il caso d’impossibilità si ottiene allorché

\[ m_r – m_s = 0 \,\,\,\,\,\, , \,\,\,\,\,\,\, q_s – q_r \ne 0 \]

cioè se e solo se \( m_r = m_s \) e \( q_r \ne q_s \). In questo caso le rette, che avendo intercette diverse sono necessariamente distinte, non hanno intersezioni e sono perciò parallele. Il caso d’indeterminazione si ha invece allorché

\[ m_r – m_s = 0 \,\,\,\,\,\, , \,\,\,\,\,\,\, q_s – q_r = 0 \]

In questo caso le soluzioni sono tutte le ? reali, e infatti senza sorpresa ci accorgiamo che richiedere \( m_r = m_s \) e \( q_r = q_s \) equivale a considerare due rette coincidenti. Se invece infine abbiamo \( m_r \ne m_s \), allora la (\( \ref{eq1} \)) si può riscrivere nella forma

\[ x = – \frac{q_r – q_s}{m_r – m_s} \]

la quale evidenzia l’esistenza di una e una sola soluzione. Le rette ? ed ? saranno allora incidenti. Ricapitolando:

\[ m_r = m_s \text{ e } q_r \ne q_s \Rightarrow r \text{ ed } s \text{ sono parallele} \]

\[ m_r = m_s \text{ e } q_r = q_s \Rightarrow r \text{ ed } s \text{ sono coincidenti} \]

\[ m_r \ne m_s \Rightarrow r \text{ ed } s \text{ sono incidenti} \]

Condizione di ortogonalità: Se due rette ? e ? sono ortogonali, allora è anche vero che tutte le rette parallele ad ? sono ortogonali a tutte le rette parellele a ?; poiché le relazioni di parallelismo e orotogonalità sono simmetriche, per mostrare che $ a _|_ b $ ci basta fare vedere che esistono $ r || a, s || b $  tali che $ r _|_ s $.

Siano dunque ? e ? due rette fissate, e siano ? ed ? le uniche rette passanti per l’origine del sistema di coordinate rispettivamente parallele ad ? e a ?, tra loro ortogonali. Siccome ? ed ? passano per l’origine, esse avranno forma $ y = mx $; poiché inoltre vale il parallelismo con ? e ?, in virtù della conclusione del paragrafo precedente abbiamo $ m_r = m_a $ e $ m_s = m_b $. Le equazioni di ? ed ? sono perciò

\[ r: y = m_a x\,\,\,\, s: y = m_b x \]

 

Geometria analitica: rette perpendicolari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Siano ora ? e ? i punti di ascissa 1 di ? ed ?, cioè risulti come nell’immagine $ A(1, m_a) $ e $ B(1, m_b) $. La distanza tra ? e ? è $ |m_a – m_b | $, dal momento che essi sono verticalmente allineati; inoltre dal per il teorema di Pitagora abbiamo \( OA = \sqrt{1+m^2_a} \) e \( OB = \sqrt{1+m^2_b} \). Applicando ancora il teorema di Pitagora,

\[ |m_a – m_b | = AB = \sqrt{OA^2 + OB^2} = \sqrt{1+m^2_a+1+m^2_b} \]

ed elevando al quadrato il primo e l’ultimo membro

\[ m^2_a + m^2_b – 2m_am_b = 2 + m^2_a + m^2_b \Rightarrow m_a m_b = -1 \]

L’ultima ottenuta è la desiderata relazione di ortogonalità tra le rette ? e ?.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione sulle rette perpendicolari e parallele

Videolezione geometria analitica: rette perpendicolari e parallele

 

 

 

 

 

 

 

 

La retta

Definizione di retta

Definizione 1: Equazione in forma implicita della retta

Siano dati tre numeri reali ?,?,?, di cui almeno uno tra ? e ? non nullo. Si chiama retta il luogo geometrico dei punti del piano soddisfacenti l’equazione

\[ \begin{equation} ax + by + c = 0 \label{eq1} \end{equation} \]

detta equazione della retta in forma implicita.

Osservazione 1: La retta definita dall’equazione (\( \ref{eq1} \)) è lo stesso oggetto matematico di cui si fa uso normalmente nella geometria piana: è infatti possibile dimostrare che, comunque presi tre punti ?,? e ? soddisfacenti (\( \ref{eq1} \)), risulta che $ AB + BC = CA $, e quindi i tre punti sono allineati. Effettivamente, se $ A(x_A, y_A), B(x_B, y_B), C(x_C, y_C) $ abbiamo

\[ AB = \sqrt{(x_A-x_B)^2+(y_A-y_B)^2} \]

Ma in virtù dell’equazione (\( \ref{eq1} \)), supposto \( b \ne 0 \), si ha che

\[ y_A = \frac{ax_A+c}{b}\,\,\, , \,\,\, y_B = \frac{ax_B+c}{b}\,\,\, , \,\,\, y_C = \frac{ax_C+c}{b} \]

E dunque sostituendo possiamo dire che

\[ AB = \sqrt{(x_A-x_B)^2+(\frac{ax_B+c}{b}-\frac{ax_A+c}{b})^2} = \sqrt{(x_A-x_B)^2+\frac{a^2}{b^2}(x_A-x_B)^2} = (x_A-x_B) \sqrt{} \]

Similmente risulterà \( CA = (x_C – x_A) \sqrt{\sqrt{1+\frac{a^2}{b^2}}} \) e \( (x_B-x_C) \sqrt{1+\frac{a^2}{b^2}}\), da cui segue naturalmente $ AB + BC = CA $ per semplice sostituzione.

Osservazione 2: Preso un qualsiasi numero reale \( k \ne 0 \), la (\( \ref{eq1} \)) può essere riscritta nella forma equivalente $ kax + kby +kc = 0 $. Ciò significa che non esiste una sola equazione di una determinata retta in forma implicita, ma ad ogni retta corrispondono infinite equazioni.

Definizione 2: Equazione in forma esplicita

Si supponga che nell’equazione (\( \ref{eq1} \)) risulti \( b \ne 0 \). Allora essa può essere riscritta come

\[ \begin{equation} y = -\frac{a}{b}x – \frac{c}{b} \Rightarrow y = mx + q \label{eq2} \end{equation} \]

detta equazione della retta in forma esplicita. I numeri reali \( m = -\frac{a}{b} \) e \( q = – \frac{c}{b} \) che in essa compaiono sono a loro volta chiamati coefficiente angolare e intercetta della retta.

Osservazione 3: Visto che nell’equazione della retta in forma esplicita il coefficiente della ? è fissato pari a 1, per la (\( \ref{eq2} \)) non vale un’osservazione analoga alla 2: per ogni determinata retta esiste al più una sola equazione in forma esplicita.

Osservazione 4: L’equazione in forma (\( \ref{eq2} \)) è detta “esplicita” poiché essa esplicita, ovvero fornisce direttamente senza bisogno di ulteriori calcoli, il valore di ? corrispondente a ogni determinata ?. Per contro, la (\( \ref{eq1} \)) è detta in forma implicita.

 

Rette particolari

 

Geometria analitica: rette particolari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione 5: Se nell’equazione (\(\ref{eq1}\)) imponiamo ?=0, o se equivalentemente poniamo nella (\(\ref{eq2}\)) ?=0, otteniamo le equazioni

\[ ax + by = 0 \,\,\,\,\, , \,\,\,\,\, y = mx \]

È facile vedere che, indipendentemente dai valori di ?,? e ?, il punto $ O(0, 0) $ soddisfa entrambe le equazioni ottenute. Dunque esse rappresentano, la prima in forma implicita e la seconda in forma esplicita, una retta passante per l’origine del piano cartesiano. Nella figura in alto una tale retta è indicata in blu.

Osservazione 6: È chiaro dall’equazione $ y = mx $ che le rette passanti per l’origine si distinguono l’una dall’altra solo in base al coefficiente angolare ?, che dunque ne indica la pendenza. Se in particolare ?=1, allora anche i punti $ (1,1), (2,2), … (n,n) $ appartengono alla retta, che dunque divide il primo e il terzo quadrante in due parti uguali: essa è detta bisettrice del primo e terzo quadrante, e ha equazione $ y = x $.

Similmente, se ?=−1, allora anche i punti $ (1,−1),(2,−2),…(n,−n) $ appartengono alla retta: essa divide il secondo e il quarto quadrante in due parti uguali, ed è quindi detta bisettrice del secondo e quarto quadrante. La sua equazione è $ y = -x $.

Osservazione 7: Se nell’equazione (\(\ref{eq1}\)) poniamo ?=0, o se equivalentemente poniamo nella (2) ?=0, otteniamo le equazioni

\[ by=c, y = q \]

Esse sono equazioni di primo grado nella sola ?, dunque esiste un solo valore di ? che le risolve. Ciò significa che tutti i punti dei luoghi geometrici da esse descritti dovranno avere la stessa ordinata, cioè che essi formano una retta orizzontale. Questa eventualità è rappresentata nella figura precedente da una retta rossa.

Osservazione 8: Se accade contemporaneamente che ?=0 e ?=0, ci troviamo allo stesso tempo sia nel caso di una retta orizzontale, sia in quello di una retta passante per l’origine: ciò significa che il luogo geometrico descritto deve per forza essere l’asse delle ascisse, che dunque ha equazione ?=0.

Osservazione 9: Consideriamo infine l’eventualità che si verifichi ?=0. In questo caso, in virtù della definizione 2, le rette corrispondenti non hanno un’equazione in forma esplicita; quella in forma implicita è invece semplicemente

\[ ax = c \]

Con ragionamento del tutto analogo a quello svolto nel corso dell’osservazione 7, è lecito concludere che la retta risultante è verticale, cioè parallela all’asse delle ?. Questo spiega anche l’inesistenza dell’equazione in forma esplicita: il grafico di tale retta associa infiniti valori di ? a un solo valore di ?, e dunque non si tratta di una funzione. Una simile retta è rappresentata in verde nell’immagine precedente.

Osservazione 10: Ragionando come nell’osservazione 8, osserviamo infine che l’equazione dell’asse delle ordinate è necessariamente ?=0.

 

Altro materiale di supporto

 

 

  • Altre videolezioni di geometria analitica

 

Esempi di esercizi elementari con i punti

Esempio 1: Si dimostri che i punti di coordinate ?(?,?),?(?,?),?(?,?) e ?(?,?) possono essere i vertici di un rombo.

Come sappiamo dalla geometria elementare, un rombo è un quadrilatero convesso avente tutti i lati di uguale lunghezza. Per risolvere l’esercizio occorrerà allora in primo luogo rappresentare i punti in un piano cartesiano, onde convincersi visivamente che il risultato del loro consecutivo congiungimento non sia un quadrilatero concavo, quindi dovremo calcolare le lunghezze dei lati e verificare che esse sono tutte uguali. A questo proposito usiamo la formula per la distanza tra due punti:

\( AB = \sqrt{(x_A – x_B)^2+(y_A – y_B)^2} = \sqrt{(1-4)^2+(1-2)^2} = \sqrt{9+1} = \sqrt{10} \)

\( BC = \sqrt{(x_B – x_C)^2+(y_B – y_C)^2} = \sqrt{(4-5)^2+(2-5)^2} = \sqrt{1+9} = \sqrt{10} \)

\( CD = \sqrt{(x_C – x_D)^2+(y_C – y_D)^2} = \sqrt{(5-2)^2+(5-4)^2} = \sqrt{9+1} = \sqrt{10} \)

\( DA = \sqrt{(x_D – x_A)^2+(y_D – y_A)^2} = \sqrt{(2-1)^2+(4-1)^2} = \sqrt{1+9} = \sqrt{10} \)

Ne consegue che il quadrilatero risultante è effettivamente un rombo.

 

Esempio 2: Si dimostri che il triangolo ??? di vertici ?(?,?),?(?,?) e ?(?,?) è isoscele, quindi se ne determini l’area.

Come nell’esempio 1, adoperiamo la formula della distanza tra due punti per calcolare le lunghezze dei tre lati del triangolo:

\( AB = \sqrt{(x_A – x_B)^2+(y_A – y_B)^2} = \sqrt{(2-3)^2+(1-5)^2} = \sqrt{1+16} = \sqrt{17} \)

\( BC = \sqrt{(x_B – x_C)^2+(y_B – y_C)^2} = \sqrt{(3-6)^2+(5-2)^2} = \sqrt{9+9} = \sqrt{18} = 3\sqrt{2} \)

\( CA = \sqrt{(x_C – x_A)^2+(y_C – y_A)^2} = \sqrt{(6-2)^2+(2-1)^2} = \sqrt{16+1} = \sqrt{17} \)

A quanto pare i lati ?? e ?? hanno uguale lunghezza, e dunque il triangolo ??? è isoscele di base ??. Per trovare l’area del triangolo possiamo adesso agire in due modi: o usiamo la formula di Erone, che consente il calcolo dell’area di un triangolo a partire dalle lunghezze dei tre lati, o cerchiamo di calcolare la lunghezza di una delle altezze. Il primo metodo è in questo caso piuttosto scomodo, in quanto le misure dei lati sono espresse attraverso dei radicali: troveremo quindi, detto ? il piede dell’altezza relativa a ??, la lunghezza di ??.

Dal momento che come abbiamo visto il triangolo è isoscele di base ??, l’altezza e la mediana relative a questo lato coincidono; ciò implica che ? non è solamente il piede dell’altezza, ma anche il punto medio di ??. Possiamo quindi trovare ? usando la formula per le coordinate del punto medio di un segmento:

\( H \Big( \frac{x_B+x_C}{2}, \frac{y_B+y_C}{2} \Big) \Rightarrow H \Big( \frac{3+6}{2}, \frac{5+2}{2} \Big) \Rightarrow H \Big( \frac{9}{2}, \frac{7}{2} \Big) \)

Avendo tanto ? quanto ?, possiamo facilmente determinare la misura di ??:

\( HA = \sqrt{(x_H-x_A)^2+(y_H-y_A)^2} = \sqrt{\Big( \frac{9}{2} – 2\Big)^2+\Big( \frac{7}{2}-1 \Big)^2} = \sqrt{\Big( \frac{5}{2} \Big)^2+\Big( \frac{5}{2} \Big)^2} = \sqrt{\frac{25}{2}} = \frac{5\sqrt{2}}{2} \)

Ricordando adesso che l’area di un triangolo si trova come la metà del prodotto della base e dell’altezza, avremo \( \text{Area} = \frac{BC \cdot AH}{2} = \frac{3\sqrt{2} \cdot 5\sqrt{2}}{4} = \frac{15}{2} \).

 

Esempio 3: Si trovino il perimetro, l’area e il baricentro del triangolo ??? i cui vertici sono ?(?,?),?(?,?) e ?(?,?).

Dopo aver rappresentato i punti in un piano cartesiano, passiamo a calcolare le lunghezze dei lati del triangolo con la formula della distanza tra due punti:

\( AB = \sqrt{(x_A – x_B)^2+(y_A – y_B)^2} = \sqrt{(3-1)^2+(1-3)^2} = \sqrt{4+4} = \sqrt{8} = 2\sqrt{2} \)

\( BC= \sqrt{(x_B – x_C)^2+(y_B – y_C)^2} = \sqrt{(1-7)^2+(3-5)^2} = \sqrt{36+4} = \sqrt{40} = 2\sqrt{10} \)

\( CA = \sqrt{(x_C – x_A)^2+(y_C – y_A)^2} = \sqrt{(7-3)^2+(5-1)^2} = \sqrt{16+16} = \sqrt{32} = 4\sqrt{2} \)

Potremo così subito dire che il perimetro è \( 2p = AB + BC + CA = 2\sqrt{2} (3+\sqrt{5}) \).

Al contrario di quanto accadeva nel caso dell’esempio 2, questa volta non sappiamo se il triangolo in esame è di qualche tipo particolare; siamo dunque costretti a calcolarne l’area con l’ausilio della formula di Erone:

\( \text{Area} = \sqrt{p(p-AB)(p-BC)(p-CA)} = \)

\( \sqrt{\sqrt{2}(3+\sqrt{5})(3\sqrt{2}+\sqrt{10}-2\sqrt{2}) (3\sqrt{2}+\sqrt{10}-2\sqrt{10}) (3\sqrt{2}+\sqrt{10}-4\sqrt{2})} = \)

\( \sqrt{(3\sqrt{2}+\sqrt{10})(\sqrt{2}+\sqrt{10})(3\sqrt{2}-\sqrt{10})(\sqrt{10}-\sqrt{2})} = \)

\( \sqrt{(18-10)(10-2)} = \sqrt{8 \cdot 8} = 8 \)

Per il baricentro adopereremo invece la formula che ci consente di calcolare le coordinate di ? come media aritmetica di quelle dei vertici del triangolo:

\( G \Big( \frac{x_A+x_B+x_C}{3}, \frac{y_A+y_B+y_C}{3} \Big) \Rightarrow G \Big( \frac{3+1+7}{3}, \frac{1+3+5}{3} \Big) \Rightarrow G \Big( \frac{11}{3}, 3\Big) \)

Osservazione 1: Come già detto in tutti e tre gli esempi, il primo, fondamentale passo nella risoluzione di un esercizio di geometria analitica consiste nel rappresentare tutte le informazioni dateci dall’enunciato in un piano cartesiano. Questa operazione, se effettuata con accuratezza, consente spesso di trovare soluzioni altrimenti difficili da immaginare.

Osservazione 2: A dimostrazione di quanto detto nell’osservazione 1, si consideri ancora l’esempio 3: se avessimo rappresentato opportunamente i tre vertici del triangolo, ci saremmo probabilmente accorti che esso è rettangolo in ?. Ciò ci avrebbe risparmiato il tedio di calcolarne l’area attraverso la formula di Erone, poiché avremmo semplicemente

 

Altro materiale di supporto

Videolezioni di geometria analitica

 

Punti nel piano

Distanza tra due punti

Osservazione 1: Comunque consideriamo due punti distinti $ A(x_A, y_A) $ e $ B(x_B, y_B) $ di un piano cartesiano risulta definito il segmento ?? avente i due punti come estremi. Esso si può vedere come appartenente alla retta orientata passante per ? e ?, avente ? come origine, ?? come unità di misura e verso crescente da ? a ?.

 

Geometria analitica: segmenti sulla retta orientata

 

 

 

 

 

 

 

 

Vogliamo risolvere il problema di determinare la lunghezza di tale segmento note solo le coordinate dei suoi estremi.

Metodo risolutivo: Si considerino le perpendicolari agli assi coordinati passanti per ? e ?. Si vede che esse devono necessariamente intersecarsi in un punto ?, il quale in certi casi particolari potrebbe coincidere con uno dei due punti ? e ?; questa eventualità, ad ogni modo, non ci crea alcun problema. Dall’ortogonalità degli assi coordinati segue quella dei segmenti ?? e ??: il triangolo ??? è dunque rettangolo in ?. Per il teorema di Pitagora si avrà allora \[ AB^2 = AC^2 + BC^2 \Rightarrow AB = \sqrt{AC^2 + BC^2} \]

pertanto per determinare la lunghezza di ?? non ci resta che conoscere quelle dei segmenti ?? e ??. Osserviamo che il punto ? è allineato verticalmente con ? e orizzontalmente con ?. Allora le distanze sono

\[ AC = | x_B – x_A |\,\,\,\, , \,\,\,\, BC = | y_B – y_A | \]

I valori assoluti che appaiono nelle formule precedenti sono d’obbligo; infatti la lunghezza di un segmento è sempre positiva, e se per esempio scrivessimo $ AC = x_B – x_A $ senza valore assoluto, nel caso possibile in cui $ x_B \lt x_A $ avremmo $ AC \lt 0 $. Ne consegue che la lunghezza di ?? si può calcolare come

\[ AB = \sqrt{AC^2 + BC^2} = \sqrt{|x_B-x_A|^2+|y_B-y_A|^2} \Rightarrow \]

\[ AB = \sqrt{(x_B-x_A)^2+(y_B-y_A)^2} \]

Questa volta i valori assoluti si possono eliminare: infatti vale che \( (x_B – x_A)^2 = (x_A – x_B)^2 \) e ciò significa che possiamo ignorare il segno.

Osservazione 2: Se ? e ? sono allineati verticalmente, cioè hanno la stessa ascissa, ci è già nota una formula ovvia per calcolare la loro distanza: \( AB = |y_B – y_A| \). Questa risulta anche come caso particolare da quella appena ottenuta per ? e ? in posizione generica, in quanto da $ x_A = x_B | segue

\[ AB =\sqrt{(x_B-x_A)^2+(y_B-y_A)^2} = \sqrt{0 + (y_B-y_A)^2} = |y_B – y_A| \]

Un discorso analogo vale allorché ? e ? sono punti nel piano allineati orizzontalmente.

Osservazione 3: La formula per la distanza tra due punti ci consente, com’è ovvio, anche di trovare la distanza di un punto ? dall’origine. Avendosi in questo caso $ x_0 = y_0 = 0 $, sarà

\[ OP = \sqrt{(x_P-x_0)^2+(y_P-y_o)^2} = \sqrt{(x_P-0)^2+(y_p-0)^2} = \sqrt{x^2_P+y^2_P} \]

Questa formula tornerà utile durante lo studio della circonferenza nel piano cartesiano.

 

Segmenti di una retta orientata aventi dato rapporto

Osservazione 4: Siano dati ancora due punti ? e ? e la retta orientata ?? così com’è stata definita nell’osservazione 1. Comunque si prenda un punto ? appartenente al segmento ??, sulla retta orientata ad esso corrisponderà un numero reale ? compreso tra 0 e 1: ciò equivale a dire che $ (AP)/(AB) = k $. Il problema che ci proponiamo di risolvere adesso consiste nel trovare le coordinate del punto ? noti il numero ? e le coordinare di ? e ?.

 

Geometria analitica: distanza di due punti nel piano

 

 

 

 

 

 

 

 

Metodo risolutivo: Tramite un’applicazione del teorema di Talete, risulta subito chiaro che valgono le proporzioni seguenti:

\[ AP:AB = (y_p-y_A):(y_B-y_A)\,\,\,\, , \,\,\,\, AP:AB = (x_P-x_A):(x_B-x_A) \]

Dal momento che per ipotesi abbiamo che $ (AP) / (AB) = k $ le relazioni date si riscrivono come

\[ y_P – y_A = k (y_B – y_A) \Rightarrow y_P = y_A + k (y_B – y_A) \]

\[ x_P – x_A = k (x_B – x_A) \Rightarrow x_P = x_A + k (x_B – x_A) \]

Per cui le coordinate di ? sono $ P(x_A + k (x_B-x_A), y_A + k(y_B-y_A)) $.

Osservazione 5: La formula ottenuta per le coordinate di ? è capace di fare più di quello per cui è stata scritta. Come sappiamo se sostituiamo a ? un numero compreso tra 0 e 1 otteniamo un punto ? appartenente al segmento ??; in particolare ponendo ?=0 sarà \( P \sim A \), mentre con ?=1 sarà \( P \sim B \). Se però sostituiamo a ? un numero reale minore di 0 o maggiore di 1, otteniamo altri risultati interessanti: in entrambi i casi avremo che ? appartiene alla retta orientata ??, ma per $ k \lt 0 $ esso sarà posizionato alla sinistra di ?, mentre per $ k \gt 1 $ ? sarà alla destra di ?.

 

Punto medio di un segmento

Tra tutti i punti del segmento ?? ce n’è uno notevole: il punto medio ?. Essendo esso l’unico punto tale che ????=12, sostituendo ?=12 nella formula ricavata alla fine del metodo risolutivo otterremo le coordinate di ?:

\[ M \Big(x_A + \frac{1}{2}(x_B-x_A), y_A + \frac{1}{2}(y_B-y_A) \Big) \Rightarrow M\Big( \frac{x_A+x_B}{2}, \frac{y_A+y_B}{2} \Big) \]

Si vede così che le coordinate del punto medio di un segmento ?? coincidono con la media aritmetica delle coordinate degli estremi del segmento.

 

Il baricentro di un triangolo

Ricordiamo dalla geometria classica che il baricentro di un triangolo ??? è definito come punto d’incontro delle sue mediane, ovvero delle rette che congiungono ciascun vertice del triangolo con il punto medio del lato opposto. Per trovare le coordinate del baricentro ? di un triangolo qualsiasi utilizzeremo un’altra sua proprietà: il baricentro di un triangolo divide ciascuna delle sue mediane in due segmenti le cui lunghezze stanno tra loro come 1 sta a 2. Stando alla figura che segue, siamo alla ricerca di un punto ? tale che ??=2 ??, o il che è lo stesso \( \frac{CG}{CM} = \frac{2}{3} \).

Per trovare ? adoperiamo ancora la stessa formula dell’esempio precedente, ma stavolta \( k = \frac{2}{3} \) e gli estremi del segmento sono ? ed ?:

\[ G\Big(x_C+\frac{2}{3}(x_M-x_C) , y_C + \frac{2}{3}(y_M-y_C) \Big) \Rightarrow G\Big( \frac{2}{3}x_M+\frac{x_C}{3}, \frac{2}{3} y_M + \frac{y_C}{3} \Big) \]

 

Geometria analitica: baricentro di un triangolo

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci resta che sostituire a $ x_M $ e $ y_M $ le coordinate del punto medio di ?? trovate nell’ esempio 1 per ottenere la soluzione:

\[ G \Big( \frac{2}{3} \cdot \Big(\frac{x_A+x_B}{2}\Big) + \frac{x_C}{3}, \frac{2}{3} \cdot \Big(\frac{y_A+y_B}{2}\Big) + \frac{y_C}{3} \Big) \Rightarrow \]

\[ G \Big( \frac{x_A+x_B+x_C}{3}, \frac{y_A+y_B+y_C}{3} \Big) \]

 

Altro materiale di supporto

Formulario completo di geometria piana

 

Il piano cartesiano

Definizioni

Definizione 1: Sistema di riferimento monometrico ortogonale.

Siano date due rette orientate ortogonali $ x $ ed $ y $, la prima disposta orizzontalmente con verso positivo a destra e la seconda disposta verticalmente con verso positivo in alto, tali da avere la stessa unità di misura e origini coincidenti. Allora si dice che il piano è stato dotato di un sistema di riferimento monometrico ortogonale, o cartesiano.

Definizione 2: Piano cartesiano.

Prende il nome di piano cartesiano un piano geometrico dotato d’un sistema di riferimento cartesiano. La comune origine $ O $ delle due rette orientate è detta origine del piano, il quale a sua volta è indicato con uno dei simboli $ xOy, Oxy $.

Definizione 3: Assi e quadranti.

Sia dato un piano cartesiano; la retta $ x $ è detta asse delle ascisse, mentre la retta $ y $ è detta asse delle ordinate. I quattro angoli in cui il piano risulta diviso dalle due rette sono detti primo, secondo, terzo e quarto quadrante; essi sono numerati in verso antiorario a partire da quello in alto a destra.

 

Geometria analitica: assi e quadranti

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione 1: Comunque si prenda un punto $ P $ appartenente a un piano cartesiano, è possibile determinare in maniera univoca le sue proiezioni ortogonali $ H $ e $ K $ sull’asse delle ascisse e delle ordinate. Poiché il punto $ H $ appartiene alla retta orientata $ x $, esisterà un numero reale che lo individua su tale retta, diciamo $ x_P$; nello stesso modo è possibile trovare un numero reale, diciamo $ y_P $, che individua il punto $ K $ sulla retta orientata $ y $.

Osservazione 2: Comunque si prendano due numeri reali $ x_P $ e $ y_P $, esisteranno due punti $ H $ e $ K $ da essi individuati rispettivamente sulle rette orientate $ x $ e $ y $. Se tracciamo la retta perpendicolare all’asse delle $ x $ passante per $ H $ e quella perpendicolare all’asse $ y $ passante per $ K $, l’ortogonalità di $ x $ e $ y $ implica che anche le nuove rette saranno ortogonali, e in particolare avranno un solo punto d’intersezione. Chiamato $ P $ tale punto, potremo dire che $ P $ è univocamente determinato dai numeri reali $ x_P $ e $ y_P$.

Osservazione 3: In virtù dell’osservazione 1 e dell’osservazione 2 è dimostrata l’esistenza di una corrispondenza biunivoca tra le coppie di numeri reali $ (x_P, y_P) $ e i punti $ P $ del piano cartesiano. Ha dunque senso la definizione seguente:

Definizione 4: Coordinate di un punto appartenente a un piano cartesiano.

Sia dato un punto $ P $ appartenente a un piano cartesiano; vengono chiamati ascissa e ordinata di $ P $ i numeri $ x_P $ e $ y_P $ che ne individuano la posizione nel sistema di riferimento. Assieme esse sono dette coordinate di $ P $, e ciò si indica con il simbolo $ P(x_P, y_P) $.

Osservazione 4: Grazie alla definizione 4, un’entità geometrica come un punto è ricondotta a una coppia di numeri che ne riassume tutte le proprietà. Ciò dà la possibilità generale di trattare in maniera analitica, cioè adoperando l’algebra e altre tecniche numeriche, quei problemi che normalmente sono trattati solo in maniera geometrica. A questo scopo torna utile la seguente definizione:

Definizione 5: Luogo geometrico di un’equazione.

Sia data un’equazione nelle due incognite $ x $ ed $ y $, dalla forma generale $ F(x, y) = 0 $. Si definisce luogo geometrico dell’equazione $ F(x, y) = 0 $ l’insieme costituito da tutti i punti $ P(x_P, y_P) $ del piano cartesiano le cui coordinate soddisfano l’equazione, cioè tali che sia $ F(x_P, y_P) = 0 $.

Osservazione 5: Se assumiamo che tutte le proprietà di cui vogliamo trattare possono essere espresse attraverso un’equazione, allora la definizione 5 coincide con quella di luogo geometrico che viene data in geometria classica. Essa infatti definisce un luogo geometrico come l’insieme dei punti aventi una data proprietà. Nei casi più comuni tali insiemi sono costituiti da punti allineati a formare delle rette o delle curve.

 

Geometria analitica: luogo geometrico

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione 6: La definizione 5 rende molto semplice trovare l’intersezione di due luoghi geometrici. Infatti un punto $ P(x_P, y_P) $ che appartenga all’intersezione dovrà verificare entrambe le equazioni, ovvero dovrà essere tale che $F_1(x_P, y_P) = 0 $ e $ F_2(x_P, y_P) = 0 $. Ciò significa che le coordinate di ? saranno soluzione del sistema

\[ \begin{cases} F_1(x, y) = 0 \\ F_2(x, y) = 0 \end{cases} \]

 

Traslazione di un sistema di riferimento

Osservazione 7: Sia dato un piano cartesiano $ xOy $. Detto $ O'(a, b) $ un punto qualsiasi ad esso appartenente, consideriamo quelle rette $ x’ $ ed $ y’ $ passanti per $ O $ che sono parallele agli assi $ x $ ed $ y $ e ne hanno lo stesso orientamento. Abbiamo in questo modo dotato il piano di un nuovo sistema di riferimento $ x’O’y’ $, detto traslato rispetto al primo.

 

Geometria analitica: traslazione di un sistema di riferimento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione 8: Sia adesso $ P $ un punto qualsiasi del piano. Ad esso corrispondono due diverse coppie di coordinate, una nel primo sistema di riferimento e una nel secondo, che indichiamo rispettivamente come $ ( x_P, y_P) $ e $ (x’_P, y’_P) $; siamo interessati a trovare una legge che ci consenta di passare da un set di coordinate all’altro. D’altro canto dall’immagine si vede subito che \[ \begin{cases} x_P = x_P’ + a \\ y_P = y_P’ + b  \end{cases} \]

o il che è lo stesso \[ \begin{cases} x_P’ = x_P – a \\ y_P’ = y_P – b  \end{cases} \]

Queste utili formule sono dette formule di cambiamento di coordinate, e vengono spesso usate in geometria analitica per semplificare alcuni problemi.

 

Dai la definizione di capacità di un conduttore indicando le unità di misura. Calcola la capacità nel caso di un condensatore piano indicando i passaggi

Un condensatore è un dispositivo formato da due conduttori isolati in grado di accumulare energia e carica elettrica. La capacità è una proprietà dei condensatori che dipende esclusivamente dalla loro conformazione geometrica, ed è la costante di diretta proporzionalità fra la carica accumulata sulle piastre del conduttore e la differenza di potenziale applicata ai capi del condensatore ($Q=C\cdotV$). Nel caso di un condensatore piano, applicando il teorema di Gauss, sappiamo che

  • \( \Phi = E \cdot A = \frac{q}{E_0} \rightarrow E \cdot A \cdot E_0 \)
  • \( V = E \cdot d \)

Conseguentemente: \( C = E_0 \cdot E \cdot \frac{A}{E} \cdot d \rightarrow E_0 \cdot \frac{A}{d} \) dove \( E_o \) è la costante dielettrica del vuoto (una costante misurata sperimentalmente che si misura in \( C^2/(N\cdot m^2) \)), $ A $ è l’area di una piastra del condensatore e $ d $ è la distanza fra le piastre. La capacità si misura in Farad=Coulomb/Volt.

 

 

 

 

Scrivi la seconda legge di Ohm, dai poi una breve descrizione della resistività

La seconda legge di Ohm \( R=r \cdot l/A \) afferma che la resistenza di un materiale dipende dalla sua sezione (maggiore è la sezione maggiore è lo “spazio” che gli elettroni hanno a disposizione per passare), dalla lunghezza (maggiore è la distanza che gli elettroni devono percorrere, maggiore è la resistenza complessiva), e da r, la resistività (si misura in Ohm*Metro): una costante specifica del materiale che dipende dalla sua natura e dalla temperatura. La resistività è dunque la resistenza di un materiale di sezione e lunghezza unitaria. Essa dipende dalla temperatura nel seguente modo: \( r_T=r_T_0+r_T_0\cdot \alpha \cdot(T-T_0) \) dove \( T_0=273,15K \), $ r_t $ è la resistenza alla temperatura T e $ rT_o $ è la resistenza alla temperatura $ T_0 $ mentre \( \alpha \) è un coefficiente che si ricava sperimentalmente.

 

Descrivi la traiettoria di una carica elettrica in moto in un campo magnetico uniforme

Una carica elettrica in moto in un campo magnetico uniforme viene sottoposto ad una forza (chiamata forza di Lorentz) che è uguale al prodotto vettoriale fra carica*velocità e spostamento. \( F=qv\cdot B \). Essendo un prodotto vettoriale, la direzione e il verso si calcolano con la regola della mano destra, ed in particolare, la direzione è perpendicolare ai vettori della velocità e del campo magnetico, ed il verso può essere entrante ed uscente. La carica immersa in un campo magnetico uniforme, essendo sottoposto ad una forza perpendicolare allo spostamento, si muoverà di moto circolare uniforme, dove la forza centripeta è la forza di Lorentz. Uguagliando le due forze: \( F = \frac{mv^2}{r} = qv \cdot B \) possiamo calcolare il raggio della circonferenza \( r = mv/qB \).

 

Analizza le principali differenze ed analogie che esistono fra la forza di Gravitazione Universale e la forza elettrica Coulombiana.

La forza di Gravitazione universale dipende da una costante di gravitazione chiamata \( G=6.67384 × 10 m^3kg^{-1}s \), dalle masse dei due corpi presi in considerazione e dal quadrato della distanza che separa i due corpi \( F = G \cdot \frac{m_1 \cdot m_2}{d^2} \).

La forza elettrica Coulombiana dipende da una costante dielettrica del vuoto, dalle cariche dei due corpi presi in considerazione e dal quadrato della distanza che separa i due corpi \( F = K \cdot \frac{q_1 \cdot q_2}{d^2} \) dove \( k=1/4 \pi E_0 \)

\( E_0 = 8.854 \cdot 10^{-12} \text{ Coulomb/Newtown} \cdot m^2 \)

\( k = 8.99 \cdot 10^9 N \cdot m^2 / \text{Coulomb} \)
Le due formule sono molto simili, entrambe dipendono da una costante, dalle quantità misurate e dal quadrato della distanza, entrambe le interazioni viaggiano alla velocità della luce e hanno un raggio d’azione infinito ed inoltre, sia il campo elettrico che il campo gravitazionale rispettano il principio di sovrapposizione, tuttavia le due forze presentano importanti differenze.

La forza gravitazionale può essere solamente attrattiva, poiché non esistono masse negative. La forza elettrica al contrario può essere sia attrattiva che repulsiva, poiché esistono cariche positive e negative. In particolare, cariche dello stesso segno si respingono mentre cariche di segno opposto si attraggono.

La forza elettrica è enormemente più forte della forza gravitazionale: L’attrazione gravitazionale fra due elettroni è \( 8.22 \cdot 10^{-37} \) della forza elettrostatica che agisce fra gli stessi.

 

Illustra brevemente quali fenomeni riguardanti la luce possono essere spiegati con il “modello corpuscolare” e quali possono essere spiegati con il “modello ondulatorio”. In quale modo vengono conciliati i due modelli nei primi decenni del 1900?

L’effetto fotoelettrico consiste nell’emissione di elettroni da parte di un metallo bombardato da radiazioni luminose di opportuna frequenza. Questo fenomeno dimostra la natura corpuscolare della luce: consideriamo infatti la luce composta da “pacchetti” o “quanti” di energia, chiamati fotoni. L’energia di un fotone è uguale alla costante di planck per la frequenza dello stesso. (Maggiore la frequenza, maggiore l’energia $ E=hf $). Se l’energia posseduta dal fotone è maggiore o uguale al lavoro di estrazione che bisogna compiere per estrarre un elettrone dal metallo allora si avrà emissione di elettroni.

L’esperimento della doppia fenditura dimostra la natura ondulatoria della luce. Infatti, proprietà come la diffrazione e l’interferenza sono proprie delle onde (elettromagnetiche nel nostro caso). Si osserva sperimentalmente che frapponendo un ostacolo con due fenditure di lunghezza comparabile con la lunghezza d’onda della luce emessa, fra una sorgente ed un rilevatore, è possibile osservare il fenomeno dell’interferenza, dovuto alla diffrazione dell’onda che supera le fenditure e che si compone secondo il principio di sovrapposizione causando interferenza costruttiva o distruttiva a seconda della differenza di cammino percorso.

Questi esperimenti porteranno alla formulazione della nuova teoria della meccanica quantistica, grazie a Max Planck, con la teoria dei quanti, Albert Einstein, con la spiegazione e dimostrazione dell’effetto fotoelettrico, Heisenberg, con la formulazione del principio di indeterminazione e Schrodinger, con il nuovo modello atomico definito “ondulatorio”, e la funzione d’onda che descrive la probabilità di distrubuzione di un elettrone all’interno del nucleo atomico a partire da quattro numeri quantici che definiscono il livello di energia, la conformazione degli orbitali e lo spin delle particelle.

 

Una bobina quadrata di lato L e resistenza elettrica R, viene estratta con velocità costante v, da una zona in cui è presente un campo magnetico B uniforme, orientato perpendicolarmente al piano della bobina, ed entrante nel piano del foglio. Durante l’operazione di estrazione passa nella bobina una corrente indotta. Motivare quest’ affermazione, disegnando la situazione descritta e indicando il verso della corrente, fornire il valore della fem indotta in funzione dei parametri assegnati

La legge di Faraday-Newman-Lenz afferma che la forzaelettromotrice indotta in un conduttore immerso in un campo magnetico è: \( \epsilon = -\Delta\phi/dt \) dove il flusso viene definito come il prodotto scalare del vettore campo magnetico e del vettore area (che è un vettore che ha per modulo l’area considerata, direzione perpendicolare alla superficie e verso scelto arbitrariamente) \( \phi = B \ast A \). In questo caso si ha una variazione dell’area del conduttore immerso nel campo magnetico, mentre l’intensità di quest’ultimo è costante. In particolare, la variazione dell’area, sarà uguale alla velocità v per il tempo t per il lato L. Poiché il flusso diminuisce di una quantità \( B \ast \Delta A\), e la f.e.m si oppone alla variazione di flusso, il verso della corrente (senso orario) è tale da generare un campo magnetico con verso uguale a B, ovvero entrante nel foglio. La corrente indotta sarà uguale alla forza elettromotrice indotta diviso la resistenza del materiale \( I= \epsilon/R \).

 

Spiega l’affermazione: “un orologio in moto modifica il proprio ritmo” (tratto da Einstein-Enfield: L’evoluzione della fisica) a partire dai postulati della teoria della relatività

I postulati della teoria della relatività ristretta sono due:

  • Le leggi della meccanica, del’ottica e dell’elettromagnetismo sono le stesse in ogni sistema di riferimento inerziale;
  • La luce viaggia alla velocità c=299 792,458 km/s indipendentemente dal Sistema di riferimento.

A partire da queste considerazioni, si possono effettuare degli esperimenti che hanno dei risultati strabilianti. Prendiamo in considerazione due orologi “a luce” che segnano il tempo grazie ad un impulso luminoso che parte da una sorgente, si riflette su uno specchio e torna indietro colpendo il sensore. Poniamo sorgente e rivelatore su una lastra, e ad una distanza D, poniamo lo specchio. Quando questo apparato è fermo, il tempo sarà scandito da un impulso luminoso, che impiega un tempo 2D/c per percorrere lo spazio fino allo specchio più il ritorno. Supponiamo che l’apparato sia posto in movimento, ad una velocità v. Supponendo che c rimane costante, abbiamo che la velocità verticale sarà uguale a \( c \cdot \sqrt{1-\frac{v^2}{c^2}} \) che la il tempo t è scandito da \( \frac{2D}{\Big( \sqrt{1-\frac{v^2}{c^2}} \Big)} \).

Il rapporto fra i due tempi dipenderà dalla velocità dell’orologio in moto, ed in particolare il tempo dell’osservatore fermo, sarà uguale al tempo dell’osservatore in moto per un fattore correttivo \( \gamma = \frac{\}{\sqrt{1-\frac{v^2}{c^2}}} \).

Essendo il fattore \( \gamma \) sempre \( \lt 1 \forall v \lt c \)  si assiste ad una vera e propria contrazione del tempo, ed incredibilmente, l’orologio in moto, modifica il suo ritmo scandendo gli impulsi più lentamente rispetto a quello fermo.

 

Le materie plastiche sono utilizzate anche in campo artistico, descrivi cosa differenzia una plastica termoplastica da una plastica termoindurente

In base al loro comportamento nei confronti della temperatura, le plastiche si classificano in termoplastiche e in termoindurenti. Le termoplastiche sono delle resine polimeriche che diventano morbide se sono trattate termicamente e possono essere rimodellate. Quando si raffredda, la termoplastica s’indurisce assumendo una nuova forma. Durante questo processo le trasformazioni sono puramente fisiche, non si verifica nessuna rottura o formazione di legami chimici. Un nuovo trattamento termico della termoplastica consente un totale riutilizzo e rimodellamento del materiale.
Una plastica termoindurente è un materiale (come la gomma) che assume una data forma, in seguito a un trattamento termico. Questo è un processo chimico irreversibile in cui si formano dei legami permanenti tra le catene molecolari del materiale. Questi ponti chimici danno al polimero una struttura tridimensionale, così come un maggior grado di rigidità rispetto a prima. Un nuovo trattamento termico della plastica termoindurente non romperebbe i legami, ma sarebbe la causa della distruzione del materiale. Questa è la ragione che rende questi materiali non riciclabili.

 

Descrivi sinteticamente la composizione chimica delle vernici utilizzate per la finitura dei manufatti in legno e le loro principali caratteristiche e funzioni

Le vernici sono prodotti liquidi o in polvere capaci di formare un film solido, continuo e aderente quando applicati come strato sottile sulla superficie di un substrato; il loro impiego ha scopo protettivo o decorativo e mira a fornire alla superficie particolari proprietà di lucentezza, durezza, resistenza all’abrasione, resistenza chimica ecc. Chimicamente sono costituite da: leganti, sostanze filmogene che a seguito di essiccazione o indurimento originano il film continuo capace di inglobare eventuali pigmenti inorganici o organici; solventi che hanno funzione di fluidificare il sistema e renderne possibile l’applicazione sul substrato. Esso viene poi allontanato dal sistema per evaporazione dopo l’applicazione stessa; additivi, classificati a seconda dell’azione che esercitano:
antipelle: consentono che l’essiccazione del film avvenga omogeneamente in tutto il suo spessore e non solo in superficie;
anti ingiallenti: assorbono le radiazioni UV, evitando che esse vadano a degradare e ingiallire il film;
acceleranti: accelerano l’essiccazione ad aria, catalizzando la reazione con l’ossigeno; etc.
Le proprietà principali di una vernice sono: la viscosità che indica la consistenza di un prodotto a una temperatura fissata e ne suggerisce la modalità di applicazione; il grado di dispersione che valuta le dimensioni delle particelle di pigmenti dispersi nella vernice; la brillantezza, misura la quantità di luce incidente che viene riflessa; il tempo di essiccazione che indica quale è il tempo minimo affinché si formi uno strato di un dato spessore di una data vernice a una data temperatura e umidità.

 

Il 2,4-esandione presenta idrogeni acidi su alcuni atomi di carbonio in posizione alfa. Indicare e motivare quale carbonio presenta gli idrogeni più mobili sulla base della stabilità della relativa base coniugata

Il 2,4-esandione è un dichetone che possiede atomi di idrogeno acidi sull’atomo di carbonio in posizione 3 grazie alla presenza dei gruppi carbonilici in posizione 2 e 4. Infatti in seguito alla perdita del protone (H+) appartenente all’atomo di carbonio in posizione 3 si forma la corrispondente base coniugata (anione) la cui carica negativa può essere delocalizzata su entrambi gli atomi di ossigeno dei gruppi carbonilici (gruppi elettron attrattori), riuscendo così a scrivere ben tre strutture limite di risonanza. La delocalizzazione elettronica della carica negativa conferisce quindi particolare stabilità alla base coniugata del 2,4-esandione.

 

Dichetone: 2,4 esandione

 

 

 

 

Scrivi una generica reazione di polimerizzazione illustrandone il meccanismo

I polimeri sono macromolecole ad elevato peso molecolare formati da un elevato numero di unità ripetitive a più basso peso molecolare. Un esempio di polimero di condensazione è il polietilentereftalato (PET), un particolare tipo di poliestere che può essere ottenuto mediante la reazione di polimerizzazione di due monomeri (i reagenti della reazione di polimerizzazione) acido tereftalico e glicole etilenico (la reazione conduce alla produzione di acqua come sottoprodotto):

 

Polimerizzazione acido tereftalico glicole etilenico

 

 

 

 

La reazione di polimerizzazione inizia con la formazione di un gruppo estereo mediante una reazione di condensazione fra un gruppo carbossilico dell’acido tereftalico ed un gruppo ossidrilico del glicole etilenico:

 

Reazione di polimerizzazione glicole etilenico

 

 

 

Il prodotto di questa reazione porta ad una stremità un gruppo carbossilico libero ed all’altra un gruppo ossidrilico libero. Entrambi questi gruppi funzionali sono in grado di reagire con ulteriori unità monomeriche e la lunghezza della catena polimerica può accrescersi. Le seguenti reazioni si ripetono fino al completo esaurimento dei monomeri.

 

 

Formula una definizione di alcheni e specifica quali reazioni li caratterizzano

Gli alcheni sono idrocarburi a catena aperta caratterizzati dalla presenza di un doppio legame. Essi sono anche noti come olefine. Gli atomi di carbonio coinvolti nel doppio legame presentano ibridazione di tipo sp2. Gli alcheni possono dare reazioni di addizione al doppio legame e reazioni di rottura ossidativa.
In una reazione di addizione, due molecole di reagente si combinano per dare una sola molecola di prodotto. Tra le più note reazioni di addizione degli alcheni ci sono le reazioni di addizione di idrogeno (idrogenazione), di molecole di alogeno (alogenazione), di acidi alogenidrici, di acqua (idratazione):

 

Reazioni di addizione degli alcheni

 

 

 

 

Y e Z rappresentano due atomi o gruppi che si addizionano al doppio­ legame carbonio-carbonio. È possibile che Y e Z siano identici (ad esempio nella reazione di addizione di idrogeno).
Le reazioni di rottura ossidativa del doppio legame possono verificarsi in seguito alla reazione di un alchene con alcuni agenti ossidanti. I prodotti di queste reazioni sono composti contenenti un doppio legame carbonio-ossigeno, cioè aldeidi, chetoni, acidi carbossilici o anche anidride carbonica. In ogni caso gli atomi di carbonio del legame olefinico originario non sono più legati l’uno all’altro portando alla formazione di due differenti composti di ossidazione.

 

Applicazioni delle equazioni differenziali alla fisica

Le equazioni differenziali possono essere applicate in molti campi, e in particolare trovano notevole riscontro nella fisica; riportiamo diverse applicazioni che esse possono avere.

Moto armonico semplice

Consideriamo un corpo di massa m, soggetto a una forza elastica F, proporzionale all’ascissa x, misurata dalla posizione di equilibrio.

Moto armonico semplice: forza elastica

 

 

 

 

 

Poiché l’intensità della forza elastica è $ F= -kx $, dove $ k $ è la costante elastica della molla, l’equazione differenziale che caratterizza il moto è la seguente:

\[ \begin{cases} F = ma \\ F = -kx \end{cases}  \Rightarrow m \cdot \frac{d^2x}{dt^2} = -kx \Rightarrow \frac{d^2x}{dt^2} + \frac{k}{m}x = 0 \]

Le soluzioni della precedente equazione differenziale lineare omogenea del secondo ordine possono essere scritte nella forma:

\[ x(t) = c_1 \cos \sqrt{\frac{k}{m}}t + c_2 \sin \sqrt{\frac{k}{m}}t \]

definendo, poi, delle opportune costanti $ A $ e \( \phi \), che si determinano in base alle condizioni iniziali, nel seguente modo:

\[ A = \sqrt{c_1^2 + c_2^2} \,\,\, , \,\,\, \begin{cases} \cos \phi = \frac{c_1}{A} \\ \sin \phi = \frac{c_2}{A} \end{cases} \]

possiamo scrivere la soluzione nel seguente modo:

\[ x(t) = A \cos\Big( \sqrt{\frac{k}{m}t} – \phi\Big) \]

Ora, facendo alcune considerazioni riguardo le condizioni iniziali, e sostituendo i valori noti nella precedente equazione, la soluzione diventa:

\[ x(t) = x_0 \cos \sqrt{\frac{k}{m}} t \]

Osserviamo che, effettivamente, il periodo del moto armonico è dato proprio dalla formula:

\[ T = 2 \pi \sqrt{\frac{m}{k}} \]

 

Equazioni differenziali e circuiti elettronici

Circuito con induttanza, resistenza e capacità

Consideriamo ora un circuito di resistenza R, induttanza L, ed un condensatore di capacità C, e supponiamo che nell’istante iniziale $ t = 0 $, in cui il circuito è chiuso, sia presente la carica q0 sulle armature dl condensatore.

Per studiare l’intensità $ i = i(t) $ della corrente di scarica del condensatore, chiamiamo V1-V2 la differenza di potenziale tra le armature; si ha quindi che:

\[ q = q(t) = C(V_1 – V_2) \]

dove $ q $ è la carica dell’armatura a potenziale maggiore. l’intensità $ i $ della corrente è data, quindi, da:

\[ i = -\frac{dq}{dt} \]

e, ricordando la legge di Ohm generalizzata, possiamo scrivere:

\[ V_1 – V_2 – L\frac{di}{dt} = Ri \]

da cui possiamo ottenere la seguente equazione differenziale lineare omogenea di secondo ordine, a coefficienti costanti:

\[ L\frac{d^2q}{dt^2} + R \frac{dq}{dt} + \frac{1}{C} q = 0 \]

Risolvendo l’equazione differenziale, si può studiare il modo in cui varia l’intensità di corrente che circola a spese della scarica del condensatore.

In particolare, se l’equazione differenziale ammette due soluzioni reali distinte (\( \Delta \gt 0 \)), allora l’intensità di corrente ammette un picco massimo, e poi tende asintoticamente a zero, per t che tende all’infinito.

Se l’equazione differenziale ammette due soluzioni reali coincidenti (\( \Delta = 0 \)), allora la corrente di scarica è una corrente alternata, con intensità decrescente in modo esponenziale.

Se, invece, l’equazione differenziale non ammette soluzioni (\( \Delta \lt 0 \)), l’intensità di corrente tende asintoticamente a zero.

 

Modello per la crescita di una popolazione

Una popolazione di conigli cresce in modo proporzionale al numero di conigli in vita secondo la costante $ k=0,25 $ al mese. Se la popolazione iniziale è costituita da 2 conigli, quanti conigli ci saranno dopo 1 anno? Dopo quanti anni saranno stati generati 1.000.000 di conigli?

L’equazione del tasso di crescita è $ y’ = 0.25y $  dove $ y’ $ è il tasso di crescita, quindi la derivata della funzione $ y $ che esprime la popolazione di conigli.

A questa equazione si aggiunge la condizione iniziale $ y(0)=2 $.

Risolviamo l’equazione differenziale

\( y’ = \frac{1}{4} y \rightarrow \frac{dy}{dt} = \frac{1}{4} y \rightarrow \frac{1}{y} dy = \frac{1}{4} dt \rightarrow \log |y| = \frac{1}{4} t + c \rightarrow \)

\( |y| = e^{\frac{1}{4}t+c} \rightarrow y = \pm e^c \cdot e^{\frac{1}{4}t} \)

L’integrale generale è allora \( y = ce^{\frac{1}{4}t} \)

Tenendo conto della condizione iniziale

\( y(0) = 2 \rightarrow c \cdot e^{\frac{1}{4}\cdot 0} = 2 \rightarrow c = 2 \)

La funzione $ y $ che esprime la quantità di conigli generati è data da \( y = 2e^{\frac{1}{4}t} \)

Dove $ t $ indica il numeri di mesi, in quanto il tasso di crescita indicato è mensile.

Pertanto dopo 12 mesi si hanno \( t = 12 \rightarrow  y(12) = 2e^{\frac{12}{4}} = 2 \cdot e^3 \cong 40.17 \).

Per rispondere alla seconda domanda, dopo quanti anni saranno stati generati 106 conigli, risolviamo la seguente equazione

\( 2e^{\frac{1}{4}t} = 10^6 \rightarrow e^{\frac{1}{4}t} = \frac{10^6}{2}  = 5 \cdot 10^5 \rightarrow \frac{1}{4}t = \log(5 \cdot 10^5) \rightarrow \)

\( t = 4 \cdot \log(5 \cdot 10^5) \cong 52.49\,\, \text{mesi} \)

 

Altro materiale di supporto

Equazioni differenziali ordinarie

 

Equazioni differenziali del secondo ordine

Le equazioni differenziali del secondo ordine sono quelle in cui compare una relazione tra una variabile indipendente $ x $, una funzione incognita $ y $, la sua derivata $ y’ $ e la sua derivata $ y” $.

Tra le equazioni differenziali del secondo ordine vi sono quelle a coefficienti costanti, cioè quelle del tipo: \[ y” + ay’ + by = p(x) \]

dove, $ a $ e $ b $ sono costanti mentre $ p(x) $, detto termine noto, è una funzione continua in un opportuno intervallo.

Nel caso in cui $ p(x) $ sia nulla, l’equazione assume la forma: \[ y” + ay’ + by = 0 \]

e viene definita equazione differenziale lineare omogenea del secondo ordine a coefficienti costanti.

 

Equazioni differenziali del secondo ordine lineari omogenee a coefficienti costanti

Vediamo come possiamo risolvere le equazioni differenziali del tipo \[ y” + ay’ +by = 0 \]

Per determinare l’integrale generale, si comincia risolvendo rispetto all’incognita ausiliare k, l’equazione caratteristica della equazione: \[ k^2 + ak + b = 0 \]

che è una semplice equazione algebrica di secondo grado, che si ottiene sostituendo $ k $ alla funzione $ y $, in modo che il grado di $ k $ sia uguale all’ordine della derivata di $ y $.

Distinguiamo tre casi, in base al segno del discriminante dell’equazione:

  • 1° caso : \( \Delta \gt 0 \):In questo caso, l’equazione in $ k $ ammette due radici reali distinte, che chiamiamo $ k_1 $ e $ k_2 $; l’integrale generale dell’equazione differenziale lineare omogenea di partenza si ottiene in questo modo: \[ y = c_1 \cdot e^{k_1x} + c_2 \cdot e^{k_2x} \]dove, $ c1 $ e $ c2 $ sono due costanti arbitrarie.
  • 2° caso: \( \Delta = 0 \):

    In questo caso, l’equazione ammette due soluzioni reali coincidenti, e si ha in particolare: \[ k_1 = k_2 = -\frac{a}{2} \]

    L’integrale dell’equazione differenziale lineare omogenea di partenza è quindi: \[ y = e^{-\frac{a}{2}x} (c_1 + c_2 \cdot x) \]

  • 3° caso: \( \Delta \lt 0 \):In questo caso, l’equazione caratteristica non ammette radici reali ma due soluzioni complesse coniugate \[ \alpha \pm i\beta \,\,\,\,\, \text{ con }\,\,\,\,\, \alpha = -\frac{a}{2}\,\,\, , \,\,\, \beta = \frac{\sqrt{4b-a^2}}{2} \]

L’integrale dell’equazione differenziale lineare omogenea di partenza è dato quindi dalla seguente funzione: \[ y = e^{\alpha x} (c_1 \cdot \cos \beta x + c_2 \cdot \sin \beta x) \]

 

Esempio: Risolviamo la seguente equazione differenziale:

\( y” – 7y’ + 12y = 0 \)

Determiniamo l’equazione caratteristica, sostituendo $ k $ alla funzione incognita $ y $ e uguagliando l’esponente $ k $ con l’ordine di $ y $:

\( k^2 – 7k + 12 = 0 \)

Determiniamo le soluzioni di questa equazione:

\( k = \frac{7 \pm \sqrt{49-48}}{2} = \frac{7\pm 1}{2} \rightarrow k_1 = 4, k_2 = 3 \)

Poiché il discriminante è positivo, e abbiamo ottenuto due soluzioni reali distinte, ci troviamo nel primo caso, applicando la formula vista precedentemente, determiniamo l’integrale generale dell’equazione differenziale:

\( y = c_1 e^{3x} + c_2 e^{4x} \)

 

Equazioni differenziali del secondo ordine lineari non omogenee a coefficienti costanti

Le equazioni differenziali del secondo ordine lineari non omogenee a coefficienti costanti sono equazioni differenziali della forma: \[ y” + ay’ + by = p(x) \]

dove $ p(x) $ è una funzione continua in un intervallo opportuno ed è non nulla.

Si definisce equazione differenziale lineare omogenea associata alla precedente l’equazione della forma: \[ y” + ay’ + by = 0 \]

che si ottiene dalla prima ponendo uguale a zero il secondo membro.

Definiamo l’integrale generale dell’equazione associata il seguente: \[ Y(x; c_1; c_2) \]

Supponiamo di conoscere un qualsiasi integrale particolare $ q(x) $ dell’equazione differenziale di partenza. Con queste ipotesi, l’integrale generale di tale equazione è espresso da: \[ y = Y(x; c_1; c_2) + q(x) \]

Notiamo quindi che, la ricerca dell’integrale generale di un’equazione differenziale lineare non omogenea a coefficienti costanti è ridotta alla determinazione di un suo integrale particolare: infatti, se conosciamo tale integrale, basterà sommarlo all’integrale generale dell’equazione omogenea associata per calcolare l’integrale generale dell’equazione differenziale di partenza.

 

Esempio di equazione differenziale lineare del secondo ordine non omogenea

\( y” – y = e^x \)

Prima risolviamo l’equazione omogenea associata

\( y” -y = 0 \)

Equazione caratteristica associata

\( k^2 – 1 = 0 \)

Le soluzioni dell’equazione caratteristica sono \( k = \pm 1 \)

L’integrale dell’equazione omogenea è

\( y = c_1 e^x + c_2 e^{-x} \)

Ora cerchiamo un integrale particolare della equazione non omogenea.

Poiché il termine noto è \( e^x \) cerchiamo una soluzione del tipo \( q(x) = Axe^x \) con $ A $ costante da determinare.

Per determinare la costante $ A $, calcoliamone la derivata seconda e sostituiamo tutto nell’equazione assegnata.

\( q(x) = Axe^x \rightarrow \)

\( q'(x) = Ae^x + Axe^x \rightarrow \)

\( q”(x) = Ae^x + Ae^x + Axe^x = 2Ae^x + Axe^x \)

Sostituendo nell’equazione di partenza si ha

\( 2A^x + Axe^x – Axe^x = e^x \)

Da cui si ottiene che \( A=1/2 \).

\( q(x) = \frac{1}{2} xe^x \)

L’integrale generale è allora

\( y = c_1e^x + c_2e^{-x} + \frac{1}{2}xe^x \)

 

Equazioni differenziali del primo ordine

Le equazioni differenziali del primo ordine sono quelle in cui compare una relazione tra una variabile indipendente $ x $, una funzione incognita $ y $, e la sua derivata $ y’ $.

Le equazioni differenziali del primo ordine più semplici sono della forma: \[ y’ = f(x) \]

Notiamo che una funzione \( y = \phi(x) \) è soluzione di questa equazione differenziale se e solo se la funzione è una primitiva di $f(x)$; quindi, per calcolare l’integrale dell’equazione differenziale è sufficiente calcolare l’integrale indefinito di $ f(x) $: \[ y’ = f(x) \Leftrightarrow y = \int f(x)\, dx \]

Esempio: Risolviamo la seguente equazione differenziale:

\( e^x \cdot y’ = 3 \)

determinando il suo integrale generale, e il suo integrale particolare, sapendo che $ y(0) = 5 $.

Per risolvere l’equazione differenziale dobbiamo scrivere l’equazione in forma normale, cioè nella forma  $ y’ = f(x) $:

\( e^x \cdot y’ = 3 \rightarrow y’ = \frac{3}{e^x} \rightarrow y’ = 3e^{-x} \)

Ora, sappiamo che se esiste una soluzione dell’equazione, essa deve essere una funzione primitiva di \( 3e^{-x} \); quindi, calcoliamo l’integrale indefinito di tale funzione:

\( y = \int 3e^{-x} dx \)
Applicando le proprietà degli integrali, possiamo portare la costante fuori dal simbolo di integrale:

\( \int 3e^{-x}\, dx = 3 \int e^{-x} \, dx \)

Procediamo calcolando l’integrale:

\( 3 \int e^{-x} \, dx = -3 \int -e^{-x} \, dx = -3e^{-x} + c \)

La primitiva che abbiamo trovato rappresenta l’integrale generale dell’equazione differenziale di partenza. Sapendo che la funzione in $ 0 $ vale $ 5 $, cioè che $ y(0) = 5 $, possiamo risalire all’integrale particolare dell’equazione:

\( y(0) = 5 \Rightarrow -3e^{-0} + c = 5 \Rightarrow -3 + c = 5 \Rightarrow c = 8 \)

Quindi, l’integrale particolare dell’equazione differenziale di partenza è rappresentato dalla funzione:

\( y = -3e^{-x} + 8 \)

 

Equazioni differenziali a variabili separabili

Un’equazione differenziale del primo ordine si dice a variabili separabili se, posto $ y’ $ come rapporto differenziale, possiamo scrivere l’equazione nel seguente modo: \[ y’ = f(x), \,\,\,\,  y’ = \frac{dy}{dx} \rightarrow q(y) \cdot dy = p(x) \cdot dx \]

dove $ q(y) $ e $ p(x) $ sono funzioni continue in opportuni intervalli. Con queste ipotesi, $ q(y) $ e $ p(x) $ ammettono ciascuna almeno una primitiva, che definiamo, rispettivamente, $ Q(y) $ e $ P(x) $.

Essendo quindi:

\[ dQ(y) = q(y) \cdot dy \,\,\,\, , \,\,\,\, dP(x) = p(x) \cdot dx \]

possiamo ricavare che:

\[ dQ(y) = dP(x) \]

Da questa uguaglianza, possiamo dedurre che le funzioni $ Q(y) $ e $ P(x) $ differiscono per una costante, cioè che:

\[ Q(y) = P(x) + c \]

Quindi, concludiamo che l’integrale dell’equazione differenziale di partenza, a variabili separabili, si ottiene determinando le primitive delle funzioni $ q(y) $ e $ p(x) $, rispettivamente delle variabili $ y $ e $ x $, cioè calcolandone l’integrale indefinito:

\[ q(y) \cdot dy = p(x) \cdot dx \rightarrow \int q(y)dy = \int p(x) dx \]

 

Esempio di risoluzione di un’equazione differenziale a variabili separabili

  • \( y’ = \frac{x^2}{y} \)

Si può scrivere nella forma

\( \frac{dy}{dx} = \frac{x^2}{y} \)

\( y \cdot dy = x^2 dx \)

\( \int y\, dy = \int x^2\, dx \)

\( \frac{y^2}{2} = \frac{x^3}{3} + c \)

\( y^2 = \frac{2}{3} x^3 + 2c \)

\( y = \pm \sqrt{\frac{2}{3}x^3 + 2c} \)

Equazioni differenziali lineari del primo ordine

Le equazioni differenziali che sono di primo grado rispetto alla funzione incognita e alle sue derivate si dicono lineari.

Le equazioni differenziali lineari del primo ordine possono, quindi, essere ridotte alla forma: \[ y’ = a(x) \cdot y + b(x) \]

dove $ a(x) $ e $ b(x) $ sono funzioni continue in un opportuno intervallo. Nel caso in cui si ha $ b(x) = 0 $, l’equazione differenziale si dice omogenea, e prende la forma:

\[ y’ = a(x) \cdot y \]

Equazioni differenziali lineari omogenee a variabili separabili

Possiamo facilmente risolvere un’equazione differenziale lineare omogenea a variabili separabili, infatti possiamo scriverla nella forma: \[ \frac{dy}{dx} = a(x) \cdot y \rightarrow \frac{dy}{y} = a(x) dx \]

Ora, essendo $ A(x) $ una qualsiasi primitiva della funzione $ a(x) $, e $ c $ una costante arbitraria, le soluzioni possono determinarsi nel seguente modo:

\[ \log |x| = A(x) + c \rightarrow y = \pm e^{A(x)+c} \rightarrow y = \pm e^c e^{A(x)} \]

Metodo di Lagrange

Il metodo di Lagrange permette di risolvere le equazioni differenziali lineari del tipo: \[ y’ = a(x) \cdot y + b(x) \]

e viene anche definito metodo della variazione delle costanti.

Si procede, calcolando una qualsiasi primitiva $ A(x) $ della funzione $ a(x) $; l’integrale generale cercato può essere ottenuto applicando la seguente formula:

\[ y = e^{A(x)} \cdot \int b(x) \cdot e^{-A(x)}\, dx \]
Esempio di risoluzione di un’equazione differenziale lineare del primo ordine

\( y’ = y \sin x + \sin x \)

Osserva che \( a(x)= \sin x \)  e \( b(x)=\sin x \)

Determiniamo la primitiva di $ a(x) $

\( A(x) = \int \sin x \, dx = -\cos x \)

L’integrale generale è

\( y = e^{A(x)} \int b(x) \cdot e^{-A(x)}\, dx \)

Quindi

\( y = e^{-\cos x} (-e^{\cos x} + c) \)

moltiplicando

\( y = -1 + ce^{-\cos x} \)

 

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Esercizi sulle equazioni differenziali