Quali sono i punti essenziali del surrealismo?

Gli artisti che più rappresentano il movimento Surrealista nel campo delle arti visive sono Joan Mirò, Max Ernest, Magritte e naturalmente Salvador Dalì. Sviluppando le idee del teorico Breton, basate sull’automatismo psichico, si calano nella dimensione dell’inconscio per dar vita a un ‘arte libera da ogni convenzione culturale e sociale. In opposizione al Dadaismo, il nuovo movimento si muove tra le magiche visioni del sogno e la potenzialità dell’immaginazione dell’inconscio. Superano la razionalità e la realtà (sur-realtà) rappresentando lo stato in cui veglia e sogno coesistono dando accesso a ciò che sta oltre il visibile. L’Interpretazione dei sogni di Sigmond Freud e il cambiamento del mondo teorizzato da Marx sono le basi dalle quali il surrealismo si muove e dalle quali parte per esempio la ricerca dell’interiorità delle cose di Joan Mirò, nelle sue figure geometriche colorate, sospese in una dimensione poetica sempre più astratta e dalle quali prendono forma le figure fantastiche di Salvador Dalì, deformazione della realtà, proiettate direttamente dal sogno e dall’inconscio.

 

Introduzione alle equazioni differenziali

Equazioni differenziali del primo ordine

Definizione. Una equazione differenziale del primo ordine è una relazione tra una variabile indipendente $ x $, una funzione incognita $ y $ e la sua derivata prima $ y’ $: \[ f(x; y; y’) = 0 \]

Esempi di equazioni differenziali

Sono equazioni differenziali del primo ordine le seguenti equazioni

  • \( y’ + 2x = 1 \)
  • \( y’ = y\sin x + \sin x \)
  • \( y’ – y = 1 \)
  • \( y’ = 2xy – x \)

Osserviamo che non è necessario che compaia anche la funzione incognita $ y $.

Poiché la derivata di una funzione si può espremere come il rapporto di differenziali,  l’equazione differenziale:

\( y’ + 2x = 1 \)

diventa:

\( \frac{dy}{dx} + 2x = 1 \)

 

Equazioni differenziali del secondo ordine

Definizione. Una equazione differenziale del secondo ordine è una relazione tra una variabile indipendente $ x $, una funzione incognita $ y $, la sua derivata prima $ y’ $ e la sua derivata seconda $ y’’ $.

Un’equazione differenziale del secondo ordine, quindi, è del tipo: \[ f(x; y; y’; y”) = 0 \]

Esempi di equazioni differenziali del secondo ordine

  • \( 5x + y” = y’ \)
  • \( y” – 4y + 4x = 0 \)
  • \( y” – 3y = e^{3x} \)

Notiamo che, anche in questo caso, non è necessaria la presenza del termine $ y $, affinché si possa parlare di equazione differenziale del secondo ordine; è invece necessario, ovviamente, che compaia la derivata seconda della funzione da cercare.

 

Equazioni differenziali dell’ennesimo ordine

In generale, possiamo definire equazioni differenziali di qualsiasi ordine come relazioni tra una variabile indipendente x, una funzione incognita $ y $ e le sue derivate successive fino a quella di ordine $ n $: \[ f(x; y; y’; \ldots; y^{(n)}) = 0 \]

Notiamo, quindi, che l’ordine di un’equazione differenziale è dato dall’ordine della derivata di ordine massimo che vi compare.

In particolare, un’equazione differenziale è considerata del primo ordine se al suo interno compare il termine $ y’ $, mentre non è necessario che compaiano anche $ x $ e $ y $; allo stesso modo, un’equazione del secondo ordine è tale se vi compare $ y’’ $, mentre i termini $ x $, $ y $, $ y’ $ possono non comparire.

Inoltre, come nelle equazioni algebriche, anche nelle equazioni differenziali possono comparire, oltre alle lettere che indicano la variabile indipendente e le incognite, altre lettere, che costituiscono dei parametri, cioè delle costanti il cui valore può non essere specificato.

 

Integrale di una equazione differenziale

Consideriamo una generica equazione differenziale di ordine $n$: \[ f(x; y ; y’; \ldots; y^{(n)}) = 0 \]

Una funzione di equazione $ y = f(x) $ si dice soluzione, o integrale particolare dell’equazione se, sostituendo la sua espressione a quella delle derivate nell’equazione differenziale, si ottiene un’identità.

Esempio di soluzione di una equazione differenziale

L’equazione differenziale \( y’ – 6x = 0 \) ha per soluzione la funzione \( y = 3x^2 \). Infatti \( y = 3x^2 \rightarrow y’ = 6x \), andando a sostituire questo $ y’ $ nella equazione assegnata si ha che l’equazione è verificata.

Tuttavia, la soluzione non è unica, infatti sono soluzione anche le funzioni \( y = 3x^2 + 1 \), \( y = 3x^2 + 2 \), ecc. Sono, cioè, soluzioni tutte le funzioni del tipo \( y = 3x^2 + c \) con $ c $ un numero reale qualsiasi.

La soluzione generale, o integrale generale, di un’equazione differenziale è un’equazione del tipo: \[ y = f(x; c_1; c_2; \ldots; c_n) \]

per la quale, qualunque siano i valori reali che si sostituiscono ai parametri $ c_1, c_2, \ldots, c_n $, l’equazione che si ottiene da essa è quella di una funzione che è soluzione dell’equazione differenziale di partenza, e viceversa: se l’equazione di ogni funzione dell’equazione differenziale si può ottenere dalla precedente per determinati valori dei parametri $ c_1, c_2, \ldots,  c_n $.

In generale, per esprimere le soluzioni di un’equazione differenziale di ordine n, occorrono $ n $ parametri.

In particolare, l’integrale generale di un’equazione differenziale del primo ordine si può esprimere da un’equazione del tipo: \[ y = f(x; c) \]

mentre, per quanto riguarda le equazioni differenziali del secondo ordine, le soluzioni generali sono della forma: \[ y = f(x; c_1; c_2) \]

Osserviamo che la soluzione generale di un’equazione differenziale è data in funzione di alcuni parametri. Per individuare i valori numerici di questi parametri e di conseguenza trovare la funzione specifica per risolvere l’equazione, sarà necessario conoscere delle condizioni cui deve soddisfare la soluzione. In particolare, poiché per gli integrali del primo ordine vi è un solo parametro, si ha bisogno di una sola informazione, mentre per quelli del secondo ordine, in cui sono presenti due parametri, sono necessarie almeno due condizioni.

Si dice che la curva del grafico di una funzione che è soluzione di un’equazione differenziale è una curva integrale di tale equazione.

 

Il Dadaismo fu la più radicale delle avanguardie; spiegane il motivo e indica il tema unificante di questo movimento artistico

Il Dadaismo nasce a Zurigo nel 1915, animato da Tristan Tzara, estensore del Manifesto, e poi diffuso da Duchamp e Picabia in America. Tra le avanguardie artistiche è certamente la più radicale, per la particolare predisposizione a uno “spirito provocatorio” nei confronti della società. Si sviluppa all’interno di una realtà bellicosa, ostile, frenetica; quella della I Guerra Mondiale, e pertanto contesta la cultura della società moderna, in quel passaggio così rapido e traumatico per l’uomo, dall’ambiente naturale a quello tecnologico. Il tema dell’alienazione dell’uomo, che passa da organismo vivente allo “stato di macchina” è ben visibile ad esempio, in Nudo che scende le scale di Duchamp, nel quale viene rappresentato il movimento ripetitivo di un uomo che discende le scale, un movimento meccanico, non dissimile da quello della macchina. L’atteggiamento provocatorio e scandalistico è spesso vissuto anche in chiave ironica ed esteso a tutta la cultura dell’epoca: i Dadaisti furono antiartistici e antiletterari, rifiutarono l’arte del passato, negando addirittura qualsiasi tecnica pittorica. Fecero ricorso all’utilizzo di nuovi materiali, all’impiego di oggetti, i cosiddetti ready made, dove l’oggetto già pronto viene presentato come opera d’arte. La Gioconda con i baffi di Duchamp del 1921, per esempio, non è altro che l’immagine già esistente della Gioconda di Leonardo, ritoccata, oppure l’Orinatorio, ideato a New York nel 1917, si tratta di un orinatorio maschile in maiolica capovolto e collocato su un piedistallo di legno). “Ciò che conta nell’arte è il gesto, non l’opera d’arte”: la provocazione dei Dadaisti contro il buon senso è insuperabile, non si era mai visto prima un atteggiamento così estremo.

 

Sotto quale aspetto il surrealismo si richiama alla psicoanalisi di Freud?

Con il Manifesto del Surrealismo del 1924, redatto da Andrè Breton (1896-1966), l’arte rinasce sotto l’influsso del pensiero freudiano. Nell’Interpretazione dei sogni” Freud concentra la propria critica sul sogno, considerando inammissibile il fatto che su una parte così importante dell’attività psichica ci si sia soffermati ancora così poco. Il Surrealismo porta alla luce, attraverso un linguaggio artistico di nuove immagini, i meccanismi dell’inconscio e tutte quelle attività animate dall’inconoscibile, dallo strano e dal meraviglioso (per esempio l’immagine multipla, l’immagine doppia, quella che si rifà ai fenomeni paranoici e quella delle allucinazioni oniriche) . Le immagini surrealiste sono il risultato di una mediazione tra la fantasia e la realtà e si basano sui concetti propri della filosofia e psicologia; sempre nel Manifesto Surrealista, Andrè Breton riprende una formulazione di Pierre Reverdy enunciata in Nord-Sud nel 1918: “l’immagine è una creazione pura dello spirito. Non può nascere da un paragone ma, dall’accostamento di due realtà più o meno distanti. Più le due realtà saranno distanti e più l’immagine sarà forte e più grande sarà la sua potenza emotiva”. Il sogno e l’inconscio sono pertanto i principi con i quali l’arte surrealista libera l’io interiore per esprimerlo senza l’intervento della ragione e aldilà di ogni preoccupazione estetica e morale: è il metodo appunto della psicanalisi (automatismo psichico). L’arte, poiché formula immagini, è il mezzo più adatto per portare in superficie i contenuti profondi dell’inconscio. E’ una forma di libertà vissuta incondizionatamente che i surrealisti propongono, poiché le cose sensibili non suscitano più emozioni e consolazione all’uomo moderno.

 

Quali elementi caratterizzano la scultura e la pittura futurista?

“In scultura come in pittura non si può rinnovare se non cercando lo stile del movimento”. E’ il principio sul quale si basa il rinnovamento della pittura e scultura nel primo decennio del ‘900, a seguito della rivoluzione culturale animata dal Futurismo. L’artista moderno incarna tutti i fondamentali ideali del Futurismo: l’arte diventa espressione del progresso tecnologico e della percezione della velocità e dinamismo della macchina. In pittura come nella scultura gli stimoli provengono da un comune impulso, quello del nuovo mezzo meccanico e del fascino sorprendente del funzionamento degli ingranaggi. La percezione della velocità è data dalle linee e dalla scomposizione delle forme. L’energia del moto è come se si materializzasse, viene resa visibile nella rappresentazione mentre, la forma originaria dell’oggetto, va annullandosi a poco a poco (si pensi a Ritmi del violinista del 1912 e Dinamismo di un cane a guinzaglio di Giacomo Balla). Ciò che accade nella scultura futurista è ancor più sorprendente poiché, lo stesso concetto di dinamismo e simultaneità, viene applicato su un oggetto apparentemente immobile. Umberto Boccioni, che come gli altri futuristi, affronta la questione della dinamicità, riesce, ad esempio, nelle Forme uniche della continuità nello spazio del 1913, e nella serie dei Dinamismi a “materializzare l’energia direzionale del moto”, annullando la forma reale, ma senza dirigersi verso l’astratto totale; Nel Manifesto della Scultura Futurista del 1912, Boccioni, predica infatti l’affermazione di una plastica totalmente spaziale: L’oggetto viene realizzato nella sua forma reale e poi trasformato, plasmato man mano dallo spazio che visibilmente – invisibilmente occupa.

 

Descrivi “Impressione: levar del sole” di C. Monet

Impressione: Levar del sole, realizzato da Claude Monet nel 1872 ed esposto al Salon del 1874, fu l’opera che diede il nome al movimento impressionista. Il termine Impressionismo viene infatti attribuito sarcasticamente dal critico d’arte Louis Leroy, pittore fallito, proprio in quella occasione, vedendo l’opera di Monet. Per gli impressionisti, che con lui, formavano “l’ècole de en plain air”, era una necessità vitale dipingere in natura e Monet più di tutti ne fece il suo atelier. Catturato dalla sensibilità atmosferica, ispirato dalla luminosità del luogo e dei riflessi dell’acqua, descrive questo paesaggio utilizzando tratti brevi e virgole di colore, giungendo al dissolvimento delle forme nella luce: all’impressione appunto. E’ un vedere la natura per sentirla attorno a sé, è il coinvolgimento con essa che si ottiene soltanto dipingendo “en plain air”. Il risultato della sua opera Impressione:Levar del sole è quello di una veduta atipica nel quale il paesaggio è appena percettibile, immerso in una foschia di colore azzurro. La straordinaria potenza innovativa che ne deriva è l’invito a guardare la natura attraverso “le emozioni suscitate dalle armonie dei colori”.

 

Descrivi “Forme uniche della continuità nello spazio”

La scultura di Umberto Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio del 1913 è l’opera che più di tutte evidenzia lo studio di quella ricerca plastica tanto proclamata dal futurismo, che stravolse l’arte della tradizione accademica. Nel Manifesto della Scultura Futurista del 1912, Boccioni parla proprio di uno “stile in movimento”, negando qualsiasi concetto di “linea finita e di statua chiusa”. L’opera di Boccioni è la rappresentazione del corpo in movimento di una figura umana, ottenuta dallo stravolgimento dell’anatomia stessa. È l’esaltazione dell’uomo nuovo, calato in una civiltà dinamica, proiettato in un futuro sempre più tecnologico. Alla base della sua ricerca di dinamismo c’è infatti la simultaneità di spazio-figura-moto-forma, volta a esprimerne “la continuità nello spazio delle forme nel loro infinito svolgersi”, la forma unica, dinamica non è altro che il suggerimento di una forma del moto che appare in un istante per poi perdersi nell’infinito succedersi delle sue varietà. Le sembianze della figura umana, sono pertanto ricavate dall’alternarsi di curve concave e convesse, da piani e da vuoti, da parti più in rilievo, che producono affascinanti effetti di chiaroscuro. È una figura che si plasma al passaggio nello spazio e che si modella a seconda dello spazio che la circonda. Il risultato finale è quello di tante spirali, effetto della velocità e del dinamismo, come se si trattasse più che di un uomo, di un ingranaggio meccanico.

 

L’impressionismo come modo diverso di affrontare il problema del rapporto con la realtà

L’Impressionismo nasce in Francia tra il 1860 e il 1870, da un gruppo di artisti, Monet, Renoir, Degas, Cezanne, Pissarro e Sisley, che vollero segnare una profonda frattura con l’arte del passato, aprendo la via alla realtà artistica moderna. Nell’Esposizione Ufficiale, che dava credito agli artisti emergenti, gli impressionisti esposero le loro opere per la prima volta, sconvolgendo gli artisti e il pubblico. Non fu soltanto per una questione di tecniche artistiche non codificate, ma del modo come essi affrontarono il tema della realtà. Superando le eredità del classico e del romantico, il pittore impressionista, analizza e descrive la realtà con occhio nuovo, passando da una “visione oggettiva” ad una “visione soggettiva” della realtà, grazie alla quale riesce a cogliere l’impressione, l’immediatezza di ciò che lo circonda. Il rapporto degli impressionisti con la realtà è dunque totalizzante e continuo. Gli oggetti della realtà vivono in un contesto generale, non vi è una gerarchia delle cose, tutto è sotto gli occhi degli impressionisti: la realtà così com’è, quella propriamente umana, cittadina, la vita moderna, la vita dei cafè e più di tutto l’uomo tra le incantevoli atmosfere della natura.

 

Il futurismo più del Cubismo non è stato solo un movimento artistico ma un modo nuovo e provocatorio di percepire la realtà e di immaginare il futuro. Discutere questa tesi

Il Futurismo, nei confronti del Cubismo, e delle rivoluzioni stilistiche attuate dalle avanguardie in genere, si impone sullo scenario storico-artistico del XX secolo, prima di tutto come ideologia, atteggiamento culturale e politico, nonché “stile di vita”. Il Cubismo attua la sua rivoluzione esclusivamente all’interno del linguaggio formale dell’arte; riprendono la lezione di Cezanne, che giunge a una pittura concreta, solida, che arginasse “il provvisorio” degli impressionisti. Al contrario, il Futurismo nasce prima di tutto come movimento letterario, con il Manifesto Futurista del 1909, redatto dal suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti, nel quale ne descrive i contenuti principali. L’esaltazione della realtà tecnologica e dinamica portarono a una vera e propria rivoluzione culturale, che, nell’ambito artistico, provocarono irrimediabilmente il crollo decisivo di tutti i codici formali dell’arte in genere. L’artista doveva rivolgersi alla nascente realtà in movimento: tema dominante, è fin dall’inizio l’idolo-simbolo della macchina, che incarnerà tutti gli ideali, non solo dell’arte ma della vita e del pensiero. La base concettuale del Futurismo riprende infatti “la teoria dell’intuizionismo” del filosofo Henry Bergson, il quale afferma che la realtà è un continuo fluire di elementi spazio-temporali, pertanto la nuova realtà dei futuristi è data proprio dalla sensazione della velocità del dinamismo :“il mondo si è arricchito di una bellezza nuova: la bellezza della velocità” (“un automobile da corsa è più bella della Vittoria di Samotracia”). L’esaltazione della modernità spinge i futuristi a uno spirito nazionalistico estremo, che incita all’audacia, al coraggio, al pericolo. Il culto dell’azione e lo spirito combattente tanto proclamato, portarono molti dei futuristi ad arruolarsi e a partire per il fronte con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915: battaglie reali e battaglie ideali sembrano aver segnato la sorte dei Futuristi.

 

G. Seurat, “La Grande Jatte”, 1884-1886, questa tela sconcertò critici e artisti sia per la tecnica che per il modo di rappresentare il soggetto

La Grande Jatte di George Seurat, è l’opera che più di tutte rappresenta il superamento della poetica impressionista. Alla descrizione della realtà come riflesso di una “visione soggettiva”, nella quale lo studio della luce, serve a catturare un’impressione, G. Seurat, impone una visione del tutto “oggettiva” affermando il bisogno, nella pittura, di un fondamento scientifico: “il quadro è un campo di forze interagenti che formano l’immagine e non uno schermo dove si proietta l’immagine”. Il clima culturale, nel quale G. Seurat si imbatte per riscattare l’arte, è quello di una realtà sempre più tecnologica, che mette in secondo piano il lavoro degli artisti, in una condizione di inferiorità; si pensi, all’invenzione in quegli anni della fotografia. Le “forze interagenti” che costruiscono l’immagine, di cui parla G. Seurat, non sono altro che i colori puri accostati agli “innumerevoli fenomeni di irradiazione e riflessione della luce” (essendo la luce il risultato della combinazione di più colori). La tecnica pittorica utilizzata da G. Seurat per la sua grande opera è quella del puntinismo : i toni (luce-colore) sono il risultato dell’accostamento di tanti puntini colorati). Ripensa in maniera totalmente diversa, una giornata di sole sulle rive della Senna. Nonostante che lo spazio della rappresentazione sia quello empirico degli impressionisti, non prospettico ma, espresso nel rapporto di luce e colore, non dà però quella “sensazione improvvisa”. La composizione è invece, il risultato di orizzontali e verticali, nella quale “i corpi sono manichini geometrizzati e disposti sull’erba come pedine su una scacchiera in un ritmo di intervalli calcolato”. Non riproduce la brillantezza tipica impressionista, razionalizza, riportando regolarità e omogeneità, tant’è che le figure umane sono fatte dello stesso “pulviscolo multicolore” che pervade lo spazio.

Confronta le tecniche degli impressionisti con quelle dei post-impressionisti, fai riferimento a delle opere specifiche

Rispettivamente le tecniche pittoriche impressioniste e quelle postimpressioniste si originano da un unico punto di partenza: tutte e due proclamano il contatto diretto con la natura, vissuta però in maniera assai diversa. Lo studio della luce degli impressionisti li porta a catturare l’impressione, di un oggetto, di un paesaggio o di una figura umana, “nell’immediatezza di un attimo”. Le opere di Monet, per esempio, (Impressione. Levar del sole, 1872 o nella serie di Cattedrali,1894), sono il risultato dello studio che il pittore rivolge ai riflessi luminosi sull’acqua, e al soggetto colto in momenti luminosi diversi. La tecnica pittorica, è quella del tratto rapido e delle virgole di colore, che accostate e sovrapposte, creano le vibrazioni. I pittori che si affacciano sulla scena della realtà delle apparenze, della bella epoche (pur consapevole dell’effimero e di ciò che non è per sempre), ripensano invece, alle possibilità concettuali dell’arte: l’arte non è una riproduzione ma una produzione delle sensazioni. Pittori come Cezanne, Gauguin e Van Gogh, seppur in maniera diversa, spostano la loro ricerca artistica, indagando la struttura profonda dell’essere. Gauguin, andrà a cercare nelle isole del Pacifico una società ancora capace “di contemplare e di vivere il senso mitico, intrinsecamente misterioso e sacro del reale”. Le Donne Polinesiane di Gauguin sono infatti simbolo della natura incontaminata: la tecnica pittorica cambia radicalmente. Cercando l’armonia dei colori, è attento nella scelta degli accostamenti. I colori, spesso innaturali, sono stesi con ampie pennellate, e le forme sono contornate da linee nere. Così in Van Gogh, le forme e i colori non vengono più immaginati come ritrattanti un’espressione della natura ma esprimenti uno stato d’animo: i colori diventano caldi e accesi, la pennellata è più marcata e violenta: per esempio I Girasoli del 1888 sono il simbolo della ricerca del sole, dell’amore per la vita o la La Sedia e la Pipa del 1889, gli oggetti vengono ritratti in un angolo della stanza, per diventare i simboli stessi della solitudine.

 

Esponi il rapporto con l’antichità classica che A. Canova esprime nelle sue opere

A. Canova è tra i massimi esponenti del Neoclassicismo. Consapevole e vicino alle vicende storiche dell’epoca, costruisce intorno a sé un ideale artistico piuttosto originale ed esclusivo. Come i pittori dell’epoca, è attratto dal mondo antico e dal classico, tant’è che le sue opere incarnano la bellezza eterna delle antiche statue greche. Questa corrispondenza, di stile ma soprattutto di ideale la si evince, non solo dalla perfezione con cui modella l’anatomia dei corpi ma, anche dal sentimento di leggerezza, dolcezza e incanto che gli conferisce. Realizza la morbidezza del marmo che accarezza il silenzio vivente, composto delle sue opere. Dopo un breve periodo di apprendistato nella sua città natale, giunge a Roma, città nella quale gli echi del seicento berniniano facevano ancora da padrona. I temi ai quali Canova si ispira spesso sono quelli mitologici (si ricordi Amore e Psiche del 1788, Teseo e il minotauro del 1783) e i monumenti funebri (si ricordi la tomba a Papa Clemente XIV e a Papa Clemente XVIII). Il tema del monumento funebre è molto sentito, la morte non è più vista come” il dramma della vita ma, come il sonno che calma i dolori”, e pertanto A. Canova, a dispetto delle stravaganze pittoriche e teatrali barocche, dà all’opera “un tono di calma e nobile bellezza”. Una bellezza che non ha bisogno di travestimenti preziosi ma, della forma pura simmetrica e solida. Anche quando si tratta di glorificare un eroe, lo coglie sempre nel momento della quiete, dello sforzo superato, nel riposo dalle fatiche del corpo e della mente.

 

L’architettura della fine Ottocento viene denominata “degli ingegneri”, spiegane il motivo

La rivoluzione industriale, che si diffuse in tutta Europa a partire dall’Ottocento, trasformò inevitabilmente il modo di vivere e di pensare le città. A partire da questo fenomeno tipicamente storico-culturale, anche l’arte cercò di adeguarsi alle nuove esigenze. Soprattutto l’architettura, che non restò indifferente all’utilizzo dei nuovi materiali, come il ferro, il cemento armato e il vetro ma, si adoperò ingegneristicamente per la soluzione e realizzazione di opere urbane.

Architettura e ingegneria si fondono insieme, tant’è che il lavoro dell’architetto è rivolto non solo alla costruzione delle chiese, dei palazzi ma, anche a tutte quelle strutture funzionali per lo sviluppo delle nuove metropoli: si pensi a Parigi e a Londra. Anche in Italia l’architettura ingegneristica fa il suo ingresso. Tra il 1863 e il 1880, Alessandro Antonelli realizza la Mole Antonelliana, una cupola appoggiata su di una base di metallo e sormontata da un’altissima guglia. Ciò che emerge è la struttura e l’assenza di superflue decorazioni: la funzionalità appunto. La tour Eiffel del 1887-1889 di Gustave Eiffel, è un altro esempio di come l’architettura di fine ‘800 si sia spinta nel portare all’estrema soluzione le teorie ingegneristiche. È  interamente realizzata in ferro ed è il frutto di calcoli che le permettono di rimanere in equilibrio su quattro piedi. Fu motivo di critiche e scandali, e oggi è tra i monumenti più famosi al mondo.

 

Venezia città-museo e patrimonio dell’umanità

Venezia, è una delle città più visitate al mondo. E’ una tappa obbligatoria per chi ama l’arte, e non solo, l’effetto che questa città produce è unico e indimenticabile. Venezia, città lagunare, conserva intatto l’aspetto che aveva nel 1500, ed è interamente percorribile a piedi; cresce l’entusiasmo e lo stupore passeggiando nelle stradine del centro storico che portano a Piazza San Marco: “il più bel salotto d’Europa”. I canali che attraversano l’intero centro storico, si alternano ai ponti che collegano le stradine, e la bellezza del paesaggio e le bellezze artistiche si fondono insieme per restituire allo spettatore un’ esperienza irripetibile. Piazza San Marco è il più importante complesso architettonico della città, che comprende la celebre Basilica di San Marco, costruita in stile bizantino, simbolo dell’antica potenza marittima e commerciale della Repubblica veneziana, il Campanile del 1447, la Torre dell’orologio del 1477 e il Palazzo Ducale del 1340, di grande importanza storica, sede dei dogi durante la Repubblica di Venezia. L’architettura del centro storico si intreccia con i ponti, dai quali si assiste il continuo fluire dei turisti. Ponte dei Sospiri e il Ponte di Rialto, sono tra i più importanti, da quest’ultimo si gode una delle più belle prospettive sul Canal Grande, è il ponte più antico e più celebre di Venezia, ed è diventato oggi uno dei simboli architettonici della città. Il Canal Grande attraversa tutta la città, divide in due parti il centro storico e sulle quali sponde si affacciano meravigliosi palazzi in stile veneziano. Gli edifici principali accolgono i capolavori dell’arte a Venezia, quali la Galleria dell’Accademia (che conserva dipinti della pittura veneziana del XIV al XVIII: Bellini, Carpaccio, Tintoretto, Veronese e Tiepolo), il museo del Settecento di Cà Rezzonico, la scuola Grande di San Rocco, (che custodisce il meraviglioso ciclo di teleri di Tintoretto, realizzato nelle tre Sale tra il 1564 e il 1588). Così come l’ arte moderna e contemporanea, si può ammirare all’interno di Palazzo Grassi, che ospita periodicamente mostre di respiro internazionale, nella Collezione Peggy Guggenheim che ospita l’arte del XX secolo e mostre temporanee, o nelle avanguardie artistiche durante la Biennale di Venezia.

 

In un’opera di Caravaggio a tua scelta metti in evidenza il realismo e l’uso della luce

La crocifissione di San Pietro è un’opera del Caravaggio del 1600, commissionatagli dal tesoriere del Papa Clemente VIII, monsignor Tiberio Cerasi. Quella che oggi ammiriamo nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma, è la seconda versione della crocifissione che Caravaggio realizza, dopo il rifiuto della prima edizione, preventivamente scartata per il troppo realismo. Ciò che caratterizza l’opera di Caravaggio è senza dubbio la carica emotiva che scaturisce dall’inquietudine del realismo con cui rappresenta le figure e dall’uso drammatico della luce. Le figure a grandezza naturale, emergono dall’oscurità, in esse sono anatomicamente descritti i segni della sofferenza e della stanchezza morale e fisica. In quest’opera Caravaggio racconta un episodio biblico come un evento di vita, in un clima popolare e i personaggi, tra i quali il Santo, hanno le sembianze di persone qualunque. Non c’è l’espressione “del divino”, effetto della luce, che caratterizzava le prime opere di Caravaggio. Il martire viene rappresentato come un anziano qualunque e i tre aguzzini sono tratti come semplici manovali, che faticosamente sollevano la croce del martire. La luce “ divina”, che illuminava nella penombra i soggetti, ora è un elemento negativo, non schiarisce le figure con un fascio, non le pone in uno spazio scenico, ma le colpisce facendole emergere dall’oscurità impenetrabile. La luce investe la croce e il santo e carica la scena di drammaticità realistica.

 

Descrivi “Il sonno della ragione genera i mostri” di Goya

Francisco Goya (1746-1828), pittore spagnolo, appassionato del colore e dell’ombra, si pone come antitesi della pittura neoclassica, della quale rifiuta i modelli della bellezza e la visitazione dell’antichità. La progressiva trasformazione del suo linguaggio pittorico, è influenzata dall’ambiente illuminista, tant’è che rivolge particolare attenzione allo studio “ dei mali dell’intelletto che ostacolano la ragione”. Il linguaggio pittorico di Goya è sempre più drammatico, man mano che affronta temi, quali quelli delle superstizioni, degli errori del potere e dell’ignoranza. Anche quando descrive apparenti scene di festosità, come nelle sue prime opere (cartoni e arazzi), si cela la malinconia e la disperazione. Ad esempio in La Moscaceca, si assiste alla trasposizione ludica di un supplizio, oppure nel Il Fantoccio, il burattino presenta l’aspetto della disperazione. L’elemento inquietante fino ad allora dissimulato affiorirà nelle sue opere con la malattia che lo colpì nel 1782 e che lo rese sordo in concomitanza del grande sconvolgimento politico del tempo. Los Fusiliamentos per esempio, è la rappresentazione di una tragica esecuzione: emblema degli orrori della guerra che nel 1814 vedono la restaurazione della monarchia spagnola. Chiuso nella sua solitudine, la realtà viene osservata e trasfigurata in maniera fantastica ed emergerà sempre più la forza visionaria dell’inconscio. “Il sonno della ragione genera mostri” è pertanto significativo di questo pezzo di storia, oltre che della propria vita. C’è un doppio principio al quale le opere di Goya obbediscono: la lotta contro le tenebre (“l’uomo della ragione, mostrerà le figure grottesche che nascono dal sonno della ragione”) e il ritorno all’origine. L’origine non è la condizione necessaria per il raggiungimento del bello, come per i suoi contemporanei. Non è un principio ideale ma un’ energia vitale che si rivolge alle fonti profonde della vita, quell’origine oscura in quell’idea della vita fiancheggiata dalla morte. Il punto di arrivo della sua cupa visionarietà la ritroviamo nella Quinta del sordo” (la serie delle cosiddette pitture nere del 1820). Dipinge le pareti di una sua casa con scene violente e allucinate (Saturno che divora i suoi figli) dove “l’ombra sembra aver vinto sulla luce”: il riferimento è senza dubbio politico e molto probabilmente si riferisce al tirannicidio di FerdinandoVII.

 

Le rivoluzionarie innovazioni tecniche e tematiche che hanno fatto di Picasso uno dei più importanti pittori del secolo

Gli esordi di Pablo Picasso (1881-1973), come pittore, scultore, genio dell’arte cubista, si possono annoverare intorno al 1907, anno in cui termina l’opera più significativa e più famosa della sua carriera artistica: Les Demoiselles D’Avignon. In esso sono definite quelle che in generale saranno le nuove interpretazioni di forma-spazio-colore-tecnica da lui attuate; sebbene sarà sempre alla ricerca di nuovi linguaggi da sperimentare e diversi caratteri da ritrovare. Giunge infatti a realizzare una sintesi intellettuale, a riportare nelle sue opere una “soggettività di natura mentale”, che riapre la polemica, già attuata dalle avanguardie del’ 900, contro l’impressionismo, al quale si rimproverava di essere “solo retina e niente cervello”, accentuando la dimensione cézaniana, fa vedere gli oggetti da più lati, aumenta la volumetria, che finisce paradossalmente a dissolvere l’immagine, a scomporla nella sua unità. Forme geometriche taglienti e spigolose si incastrano per dare forma a personaggi scomposti, contorti, dove i piani e gli oggetti sembrano ribaltarsi verso lo spettatore. Profili duri come i dipinti egizi, volti simili alle maschere dell’arte negra: uno stile sintetico dove linee chiare e scure segnano i contorni laddove non c’è illusione spaziale, non c’è sfondo. Les Demoiselles D’Avignon, rappresentano pertanto il risultato al quale Picasso giunge dopo il cosiddetto periodo blu (1902-1904) e il periodo rosa (1904-1906). Temi dominanti di questo periodo sono figure malinconiche e silenziose, accentuate dalla freddezza del colore blu, che si va sostituendo ad una monocromia più luminosa e serena del colore rosa: Arlecchino pensoso del 1901, I due Saltimbanchi del 1901, Famiglia acrobati con scimmia del 1905. L’originalità di Picasso, si manifesta anche quando, durante i soggiorni nella capitale parigina, riprende i temi cari ai postimpressionisti: la povertà della vita moderna, la solitudine dei personaggi all’interno dei caffè, nei quali, il senso del dramma viene vissuto diversamente: non c’è un aspetto confortevole e non c’è bellezza, ma una solitudine che investe anche l’ambiente (Bevitrice di assenzio 1909). Siamo agli inizi del Cubismo, successivamente, i periodi che seguiranno e cioè quello analitico e quello sintetico, vedranno sempre più la scomposizione analitica appunto dei soggetti, per giungere poi di nuovo ad opere realistiche: ricordiamo il monumentalismo delle opere degli anni venti di Tre donne alla fontana del 1921(si ispirò a Raffaelo e Michelangelo durante un viaggio in Italia nel 1917), e approdare in ultimo a motivi vicino al Surrealismo, come in Guernica del 1937: descrive il bombardamento tedesco che aveva raso al suolo Guernica, cittadina spagnola: visi stravolti, corpi sfatti, il nitrito di un cavallo agonizzante. Il senso drammatico è reso dalla deformazione dei corpi e dall’assenza del colore ed è manifesto politico, simbolo della protesta universale contro la guerra.

 

L’ideologia futurista

Assai complesso e storicamente significativo, il Futurismo si impone sulla scena del XX secolo prima di tutto come ideologia, atteggiamento culturale e politico, nonché stile di vita. “Futurismo” fu il termine usato per indicare il rifiuto delle poetiche del passato (dei modi di pensiero, di sentimento e di costume), in una proiezione rumorosa verso il futuro. Le origini remote, che in qualche modo hanno influenzato i futuristi, si possono annoverare in quel clima positivista dell’avanguardia europea ottocentesca. Inizialmente, infatti a caratterizzare gli esordi del Futurismo fu proprio una certa impostazione anarchica e socialista, causa di quella spinta antiborghese, per cui spesso gli operai lo appoggiavano, mentre la borghesia lo contrastava ferita e sdegnata. Il movimento futurista, andò diffondendo le proprie ragioni attraverso una serie di Manifesti, estendendosi dalla letteratura alle arti figurative. Il primo Manifesto Futurista, fu redatto nel 1905 dal suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti. I futuristi si proponevano, in esso, di voler liberare l’Italia dalla sua “fetida cancrena di professori, archeologi e ciceroni; di voler esaltare in letteratura, il movimento aggressivo, la bellezza della velocità, la lotta, la guerra e il disprezzo della donna (miti che più tardi alimentarono fascismi e nazionalismi, e che coinvolsero in prima persona gli stessi letterati e pittori futuristi, chiamati al fronte nel 1915 durante la I Guerra Mondiale). L’esposizione di temi nuovi e moderni, metafore, immagini, l’invenzione del “verso libero” che si sostituì alla metrica tradizionale e nella pittura e scultura, l’esaltazione della realtà tecnologica e dinamica, inevitabilmente portarono al crollo decisivo di tutti i codici formali dell’arte in genere.

 

La ripetizione di un medesimo soggetto in Claude Monet consente all’artista una continua rielaborazione dell’opera. Spiega questa concezione di pittura e i principi fondamentali che caratterizzano la tecnica impressionista

Per gli Impressionisti, che con Claude Monet, formavano l’ecole de en plain air, dipingere in natura era una necessità. Catturato dalla sensibilità atmosferica, ispirato dalla luminosità del luogo e dei riflessi dell’acqua, Monet, descrive il paesaggio utilizzando tratti brevi e virgole di colore, giungendo al dissolvimento delle forme nella luce: all’impressione. Nelle opere di Monet, come nella Serie di Cattedrali del 1894, la ripetizione di un medesimo soggetto è dettata dalla velocità di cogliere un soggetto appunto, “nell’immediatezza di un attimo irripetibile”, quindi non è altro che il soggetto colto in momenti luminosi diversi. Per tutta la vita, Monet, uscì a dipingere immerso nella natura: per dipingerla aveva bisogno non solo di vederla ma, di sentirla in tutti i suoi fenomeni attorno a sé. Fa della natura il suo atelier, quell’atelier diverso ogni volta che cambiava il paesaggio, il soggetto, il punto di vista. “Mentre il pittore dipinge, il paesaggio varia ad ogni ora, varia con la mobilità della luce, dell’aria e delle nuvole”. L’invenzione delle Serie, sembra nascere proprio dalla consapevolezza e malinconia della caducità e dell’effimero, che si cela dietro la bellezza catturata in un attimo. Tenta così di vincere la caducità con la “durata” nella rielaborazione di uno stesso soggetto. Ottiene dalla medesima scena, dalla medesima visione, risultati differenti. C’è pertanto una implicazione soggettiva. Non è una descrizione oggettiva, come nei pittori naturalisti. Il ciclo delle Cattedrali, per esempio, comprende oltre 50 dipinti, nei quali Monet indaga il variare dei punti e delle ore di osservazione, dimostrando la mutabilità e relatività della visione (Cattedrale di Rouen del 1894). Nelle Ninfee, (il grande stagno che ospita le ninfee) è osservato e ripreso a tutte le ore del giorno, per cui, ne studia i riflessi dell’acqua, delle luci e delle intonazioni (Ninfee rosa del 1898, Ninfee bianche del 1899, Lo stagno delle ninfee, armonia verde del 1899, Lo stagno delle ninfee, armonia rosa del 1900).

 

“Le muse inquietanti” di G. De Chirico: i principali aspetti iconografici dell’opera

L’iconografia dell’opera Le muse inquietanti (1916), è ripresa più volte nel corso della carriera artistica di Giorgio de Chirico. Definito un pittore enigmatico, i suoi quadri rappresentano ognuno un punto d’arrivo filosofico e non solo pittorico. Momento di straordinaria potenza evolutiva della sua arte, è il decennio che va dal 1909 al 1919. È il periodo della pittura cosiddetta metafisica, nella quale gli oggetti più comuni si presentano avvolti di un mistero, pieni di poesia e malinconia: sembrano giungere da lontano, da un passato di “preistoria”. Fonte ispiratrice delle sue opere, è la lettura di Nietzsche, per quella atmosfera enigmatica, col quale rappresenta le cose, insieme al sentimento estetico per l’architettura italiana dell’antichità (derivatogli da un viaggio che lo porterà da Roma a Firenze). L’opera è alquanto bizzarra, evoca un’atmosfera remota ma, nello stesso tempo è attuale, per la presenza di oggetti, che non compaiono tipicamente nell’iconografia dell’arte classica. Anche le statue in primo piano, non sono iconograficamente inquadrabili, sono due manichini, posizionati al centro di una piazza, su di un pavimento di legno in prospettiva, in fondo al quale è rappresentato la mole del Castello Estense, simbolo di Ferrara. A sinistra si scorge una fabbrica con due ciminiere e una torre bianca. Le figure sono rappresentate con la stessa monumentalità delle statue antiche, corrose dal tempo, attorno alle quali, ci sono oggetti che ricordano l’infanzia: un bastoncino di zucchero colorato, scatole colorate, in cui solitamente i bambini ripongono i giochi, mentre un’altra figura, misteriosamente si scorge nella penombra prodotta dall’edificio. Sembrerebbe anch’essa una statua antica dai lineamenti poco percettibili, quasi un abbozzo.

 

Quale opera è considerata il manifesto della pittura neoclassica?

L’affresco del Parnaso a Villa Albani (1761) è il “manifesto” di questo colossale rinnovamento. Autore dell’opera fu Anton Raphael Mengs, nato in Boemia nel 1728 e morto a Roma nel 1779. Pittore e teorico del movimento, il suo dipinto-manifesto è ispirato all’omonima opera di Raffaello. Il Neoclassicismo rappresenta il superamento del barocco e rococò, in cui l’arte vuole realizzare una “filosofia del bello”. Il concetto di estetica nasce appunto nel XVIII sec., sotto l’influenza illuminista, cosicché, l’arte adotta metodi di ricerca scientifica, si fonda come scienza autonoma, cioè scienza del bello. Fondamentale per l’interesse rivolto all’arte antica, fu il contributo dell’archeologo, storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann, che teorizzava il ritorno alla classicità, rivista però con uno spirito del tutto nuovo: è il concetto di bello ideale a porre le basi dello stile Neoclassico. L’imitazione dei grandi del passato è per Mengs fondamentale per raggiungere la bellezza perfetta (“la bellezza è la rappresentazione senza difetti di un’idea, poiché l’arte ha la potenzialità di superare la natura. La cosa più desiderabile nella pittura, consiste nel saper riconoscere le cose belle della natura e depurarle da tutte le carenze”). Nell’opera di Mengs, sono ben visibili i contenuti neoclassici: la composizione è perfettamente composta e semplificata, quasi priva di profondità e movimento, tipico degli affreschi ercolanesi e dei dipinti di Raffaello. E’ assente la prospettiva illusionistica barocca e le manifestazioni sfarzose. Al centro la figura del cardinale rappresentato come Apollo, protettore delle arti, è circondato dalle nove muse. Ogni figura assume la posizione che più gli si aggrazia, in armonia e bellezza ideale. Tutto si svolge con compostezza e austerità, l’unico elemento più dinamico è costituito da due danzatrici, che riprendono scene degli affreschi pompeiani, che in quegli anni vedono la luce, grazie all’inizio dei lavori di scavo.

 

Caratteristiche essenziali dei Macchiaioli

Il movimento artistico dei Macchiaioli, nasce a Firenze, intorno al 1850. Il rinnovamento culturale, che politicamente impegnava gli intellettuali dell’epoca, proiettati per l’unità d’Italia, si accompagnava all’orientamento in senso realistico, della pittura dei Macchiaioli. La tecnica pittorica di questo gruppo di artisti, consisteva nel dipingere dal vero, utilizzando macchie di colore. Nonostante che il risultato fosse simile a un abbozzo, piuttosto che a un quadro finito, l’impressione del vero catturata dai macchiaioli è pur sempre realista, lontana pertanto da quella impressionista. Sviluppano la loro poetica artistica sullo scenario risorgimentale, pertanto si impongono di rappresentare il linguaggio figurativo italiano, così come il toscano rivendicava il diritto storico di diventare lingua italiana. Il vero è per i Macchiaioli un contesto di macchie di colore e chiaroscuri, lo spazio è ridotto all’essenziale, formato da piani orizzontali e verticali, tipico della prospettiva quattrocentesca. Massimo esponente del movimento è Giovanni Fattori (1825-1908), rappresentante di primo piano nelle raffigurazioni delle battaglie risorgimentali.

 

Caratteristiche essenziali dell’astrattismo di Mondrian

Consideriamo l’astrattismo di Mondrian, a partire dal 1910-1914, anni in cui Mondrian sviluppa quel linguaggio artistico che lo caratterizzerà in maniera originale. Mondrian arriverà infatti, in modo graduale a quello che lui stesso definì “astrattismo intellettuale”. Lontano dagli impulsi lirici, di un’ emotività interiore, come per l’astrattismo di KandijsKi, Mondrian si libera dagli stimoli individuali, mediante un processo di spersonalizzazione di se stesso. “ Nel mondo futuro di Mondrian, l’uomo non sarà nulla di sé, non sarà che parte del tutto, ed è allora che, avendo perduto la vanità della sua piccola e meschina individualità, sarà felice in questo Eden, che avrà creato”. Tecnicamente, il processo di depurazione, che farà dell’arte la verità della coscienza interiore, avverrà spogliando gli oggetti delle loro particolarità, riducendoli a scheletri, togliendogli ogni elemento di individualità, per questo, giungendo al vero e all’essenza. Composizione in rosso, giallo, blu, del 1927, è per esempio caratteristico di una visione del reale nuova e originale: la superficie del quadro è fatta di quadrati e rettangoli, rossi, gialli, blu. Il colore è piatto e uniforme: è l’armonia e il rigore geometrico, che si oppone al disordine e al caos del mondo oggettivo.

 

Quali sono gli elementi di novità nello stile de “Il Cristo giallo” di Gauguin?

Il Cristo Giallo, opera realizzata da Gauguin nel 1889, è l’espressione tipica di quel “sintetismo” e “primitivismo” al quale Gauguin giunge guardando alla Bretagna, terra, della quale è fortemente attratto. Il luogo dove si trova la Cappella che custodisce il crocifisso policromo, al quale Gauguin si è ispirato per la sua opera, è Trèmolo, nei pressi di Pont-Aven. In questi luoghi della Bretagna, Gauguin, trova una terra selvaggia e misteriosa, fonte di ispirazione per la sua pittura. Non solo l’ambientazione e i paesaggi restituiscono i colori tipici ma, anche i soggetti hanno le sembianze rudimentali e arcaiche bretoni. Il Cristo Giallo, è pertanto una festa cromatica di tinte calde, di grande effetto, tale da porre in secondo piano la scena in sé. Il Cristo è grande, e simbolo della sofferenza e del dolore, è ancora una volta il colore, le sfumature del giallo che culminano in sempre più forti gradazioni dell’arancio. Gli spettatori, attenti alla scena, hanno i volti malinconici e l’espressione semplice, primitiva, così come lo schema dell’opera, semplice, regolare è fatto di leggere asimmetrie.

 

Esamina l’unità d’abitazione di Le Corbusier, evidenziando i cinque punti dell’architettura razionale

Teorico, polemista, architetto e scrittore, ha fatto del problema dell’architettura una vera e propria politica dell’urbanistica. Il fondamento del razionalismo di Le Corbusier, è cartesiano, funzionale, ed è fondamentale il suo legame con la natura: “lo spazio è costruito direttamente nell’ambiente naturale”. L’architetto deve interpretare i bisogni della società in cui vive, è pertanto un urbanista architetto che ha il dovere di procurare una condizione naturale di esistenza, senza però arrestare lo sviluppo tecnologico della società. L’edificio non disturberà l’aperta natura, entrerà nella casa. Lo spazio sarà continuo (come nella concezione cubista), la forma deve inserirsi come spazio della civiltà nello spazio della natura. Sono cinque gli elementi essenziali dell’organizzazione generale degli edifici: 1) “La casa deve essere sollevata su piloni in cemento armato e perciò essere lontana dal terreno, con il giardino che le passa sotto”; 2) “Il giardino deve trovarsi anche al di sopra, non più tetto a spiovente, ma tetto piano (cemento) anzi concavo perché sottoposto alle possibilità di fessurazione per gli sbalzi climatici, con umidità costante”; 3) “Cessa la funzione dei muri portanti, (pilastri in cemento), ogni piano è strutturato spostando liberamente le pareti”; 4) “ Le finestre che scorrono da un capo all’altro come una fascia continua immettendo luce e aria”; 5) “La facciata libera, sarà come una membrana leggera di muro o vetro”.

 

Quali tematiche sviluppate dal Futurismo sono presenti nel progetto di Antonio San’Elia “La città nuova”

“Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca”. Esasperando il dinamismo delle costruzioni, propri del Futurismo, Antonio Sant’Elia ideò la sua “Città Nuova” tra il 1913 e il 1914. Pubblicato nel Manifesto dell’Architettura Futurista, questo schizzo riassume il concetto di architettura e l’idea di città in movimento. La serie dei disegni (esposti alla mostra del gruppo delle Nuove Tendenze) per una “Città Nuova” non era altro che la visione futuristica di Milano, influenzata dalle città industriali statunitensi. Riguardavano la visione di una città del futuro industrializzata e meccanizzata, come un enorme agglomerato urbano, rappresentato da grattacieli monolitici con terrazzi, ponti e passerelle aeree. Il rifiuto della tradizione accompagna l’esigenza di modernità, e l’uso esclusivo di materiale nuovo (il cemento armato e il vetro), fondamentale per l’ architettura, determineranno gli aspetti di “caducità e transitorietà”, espressi nel Manifesto: “Le cose dureranno meno di noi; ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del Futurismo, che già si afferma con le parole in libertà, il dinamismo plastico, la musica senza quadratura e l’arte dei rumori e per il quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista”. Quest’opera, sintetizza pertanto gli elementi caratterizzanti delle metropoli, quali la monumentalità e la grandiosità delle forme. L’architettura è dunque al servizio della vita moderna, fatta di movimento e di velocità.

 

Esprimere le caratteristiche e il valore dell’opera “I giocatori di carte” di P. Cèzanne

‘I giocatori di carte’ di Paul Cezanne è un dipinto a olio su tela realizzato dal pittore nella maturità, tra il 1893 e il 1896. Le tele che rappresentano ‘I giocatori di carte’ sono ben cinque, e l’insistenza del pittore nell’affrontare questo tema, ha portato la critica a fare diverse ipotesi: secondo i più rappresenterebbero la disputa che il pittore dovette portare avanti col padre per fargli riconoscere la sua professione di pittore, rappresentata appunto dalle carte da gioco. Secondo altri, invece, l’impulso a dipingere ‘I giocatori di carte’ venne al pittore dopo aver visto lo stesso soggetto dipinto da un pittore francese del ‘600, Louis Le Nain. A parte una tela che è stata venduta nel 2011 alla famiglia reale del Qatar per ben 250 milioni di dollari, una cifra esorbitante per un unico dipinto, che ha eletto Cèzanne il pittore più quotato al mondo, le altre 4 versioni de ‘I giocatori di carte’ si trovano al Metropolitan Museum of Art di New York, al Musée d’Orsay di Parigi, al Courtauld a Londra e alla Barnes Foundation di Philadelphia. Il dipinto rappresenta, in una visione prospettica leggermente distorta per evitare che la scena sembrasse troppo artefatta, due personaggi seduti a un tavolo e disposti uno di fronte all’altro, in maniera perfettamente speculare; di profilo, entrambi con il cappello e nelle mani le carte da gioco aperte a ventaglio, intenti a seguire l’uno le mosse dell’altro. Al centro del tavolo troneggia una bottiglia di vino con una etichetta bianca, mentre lo sfondo, pur non essendo delineato fin nei minimi dettagli, è rappresentato molto probabilmente da uno specchio, e l’ambiente circostante sarebbe quello di un cafè. La gamma cromatica utilizzata da Cèzanne, se si eccettua il bianco delle carte e dell’etichetta della bottiglia di vino, è costituita da pochi colori, marrone e rosso, modulati in una varietà estrema di sfumature, a catturare non solo l’”impressione”, ma una scena di vita reale in un mondo reale.

 

Descrivi l’opera “La colazione sull’erba” di E. Manet

‘La colazione sull’erba’ di E. Manet è un olio su tela di grandi dimensioni (208×265 cm) conservato al Musèe d’Orsay di Parigi e dipinto nel 1863. L’opera non fu accolta come il pittore immaginava, anzi, fu oggetto di svariate critiche e prese di posizione da parte degli accademici. Eppure Manet era pienamente convinto di essersi ispirato a opere rinascimentali, come il Concerto campestre di Tiziano, oppure a La tempesta di Giorgione, ma aveva commesso delle sviste, che all’epoca furono considerate quasi delle eresie.
L’indignazione della borghesia dell’epoca era dovuta al fatto che il pittore aveva accostato, al nudo femminile, personaggi maschili in abiti contemporanei. Fino ad allora infatti, il nudo femminile aveva rappresentato figure mitologiche o allegoriche, ed era sempre stato accostato ad altri personaggi, anche maschili, ma sempre in ambienti classicheggianti, che mai avrebbero avuto un collegamento con la realtà del tempo.
A Manet fu rimproverato di aver dipinto una prostituta seduta licenziosamente sull’erba insieme a due figure maschili che conversano animatamente. Altro rimprovero che fu fatto a Manet, fu l’assenza totale di consistenza e di volume che scaturiva dalle figure che egli aveva rappresentato. I personaggi non hanno quasi nulla a che fare con il paesaggio che li circonda, privo di prospettiva, senza profondità, e dove ogni cosa è appena accennata, quasi fosse una bozza. L’assenza di chiaro scuri e l’uso di colori densi e contrastanti, faceva sembrare i personaggi in primo piano quasi come fossero stati ritagliati e incollati sul dipinto. Inoltre, man mano che ci si allontanava dal primo piano, gli oggetti diventavano delle macchie di colore dai contorni ben poco definiti. Cèzanne si trovò inaspettatamente ad essere il leader di un nuovo gruppo di pittori che volevano allontanarsi e distinguersi dall’arte ufficiale, i cui messaggi ideologici e politici erano sempre ben manifesti nelle loro opere.
Una delle critiche che gli furono rivolte diventò quasi il leit motiv del nuovo movimento pittorico, ossia la ‘mania di vedere tramite macchie’.

 

Edvard Munch irrompe nel panorama artistico europeo in modo lacerante ponendo l’accento sulle contraddizioni che percorrevano la società borghese del tempo. Si delinei la personalità artistica facendo riferimento ad uno tra i suoi dipinti più famosi

Edvard Munch (1863-1944) è un pittore norvegese precursore dell’espressionismo, i cui temi fondamentali sono la crisi esistenziale, dei valori politici e religiosi, la paura della morte, la solitudine. Pur essendo nato in un paese al di fuori delle principali correnti artistiche dell’epoca, viaggio molto, prima in Francia (dove poté ammirare la pittura impressionista), poi in Germania,dove entrò in contatto con gli artisti più importanti del tempo.
Le sue opere sono il frutto di una commistione di cultura nordica, non escluse letteratura e filosofia: i drammi di Ibsen e Strindberg, la filosofia di Kierkegaard, la psicanalisi di Freud. Nella sua opera la visione della morte è un tema che ricorre in maniera ossessiva: la sua intera esistenza è caratterizzata dall’attesa della morte. Nei suoi dipinti emerge l’incubo e il terrore che gli provocava il pensiero della morte, l’angoscia e la disperazione che non trova conforto, nemmeno nel suicidio.
Per Munch l’arte in tutte le sue forme non è puro godimento estetico; come disse egli stesso nel suo diario, ‘Non si possono ritrarre eternamente donne che lavorano a maglia e uomini intenti alla lettura; voglio rappresentare esseri che respirano, provano sentimenti, amano e soffrono’.
Il dolore è al centro della sua estetica, e ciò è dovuto principalmente alla perdita, quando era molto piccolo della madre e della sorella maggiore, ma anche al fatto che il padre, un medico dei poveri, lo portava spesso con sé durante le visite ai pazienti, e Munch poté vedere da vicino la sofferenza della vita e l’angoscia senza fine dei disperati.
Il quadro più conosciuto del pittore è senza ombra di dubbio “L’urlo”, che si ispira a un fatto realmente accaduto all’artista e che lui racconta nel suo diario: dice che mentre passeggiava con due amici, il sole tramontò e il cielo si tinse di rosso sangue. Si fermò in preda al terrore, vedendo la città permeata di sangue e lingue di fuoco, mentre un urlo infinito espandeva per ogni dove.
L’uomo in primo piano è l’artista stesso, mentre i due uomini che si vedono in lontananza sono i suoi amici. Il pittore si rappresenta in maniera molto sommaria, appena abbozzata, perché tutta la sua attenzione è concentrata nell’esprimere le sensazioni che scaturirono da quell’avvenimento, e non a rappresentarlo. La bocca aperta trasmette l’idea dell’urlo anche oltre la tela, mentre gli occhi sono due fori profondi lacerati dall’angoscia. “L’urlo” è un grido che rimane fine a se stesso, come si nota dal fatto che i due amici del pittore nemmeno se ne accorgono e continuano la loro passeggiata incuranti dell’amico. Il grido disperato di Munch sconvolge tutto l’ambiente circostante, riflettendosi attorno a lui come delle onde, facendo vibrare anche il cielo e il mare. I colori usati, tutti nella scala dei blu e dei rossi, modulati in infinite varianti, trasmettono anch’essi l’idea angosciosa del terrore e dell’angoscia che nulla può calmare, e contribuiscono a rafforzare l’idea di Munch che la pittura dovesse esprimere sentimenti ed emozioni.

 

Evidenzia i significati dell’opera “La libertà che guida il popolo” di E. Delacroix

‘La libertà che guida il popolo’ è un olio su tela dipinto da E. Delacroix ispirata alla rivolta popolare di Parigi del 1830, diventato il simbolo del Romanticismo. Fu un evento di grande portata, in quanto ancora una volta, dai tempi della Rivoluzione Francese, il popolo parigino insorse, rovesciando Carlo X e instaurando la monarchia costituzionale con Luigi Filippo d’Orleans.
La composizione piramidale e alcuni personaggi (i cadaveri, la figura culminante che agita qualcosa, il cadavere seminudo senza un calzino) fanno pensare a un dipinto di Géricault, un grande artista amico di Delacroix, e precisamente ‘La zattera della Medusa’; a differenza del dipinto di Géricault, che acquista in profondità, ne ‘La libertà che guida il popolo’ si ha la sensazione che le figure balzino in avanti raggiungendo lo spettatore.
La donna con la bandiera in primo piano è l’allegoria della patria e della libertà, rappresentata in parte come una dea, in parte come una donna del popolo. Nel quadro compaiono due autoritratti: uno è il volto dell’uomo borghese con il cilindro e il fucile, l’altro è il popolano con la spada alle sue spalle. Davanti a loro, prostrato ai piedi della libertà, un ragazzo che simboleggia le fede negli ideali, mentre a destra il ragazzino con due pistole, una in ogni mano, simboleggia il coraggio. La morte è tutto intorno a loro, e a rappresentarla i corpi senza vita delle vittime della rivoluzione. I personaggi non dialogano tra loro in alcun modo; sono figure isolate, simboliche, quasi fossero state ritagliate e incollate sulla medesima superficie.
‘La libertà che guida il popolo’ non è propriamente un quadro politico, in quanto esprime, in generale, l’idea di libertà che tutto il movimento romantico coltivava, in quanto ideale e in quanto ideologia.

 

Analizza brevemente “Il giuramento degli Orazi” di David, soffarmandoti soprattutto sul significato dell’opera

‘Il giuramento degli Orazi’ fu dipinto nel 1784 ed è ispirato ad un episodio legato alla leggendaria storia di Roma. La città era da tempo in lotta con la rivale Albalonga; per porre fine alla questione si decise di far combattere in duello tre campioni per parte, gli Orazi e i Curiazi. Il dipinto rappresenta gli Orazi che ricevono le armi dal padre. Tre archi con colonne tuscaniche scandiscono la scena che viene suddivisa in tre parti: da una parte i tre fratelli nell’atto di ricevere le spade dal padre, dall’altra il padre che alza al cielo le spade che consegnerà, di lì a breve ai figli, e infine, nell’estrema destra del dipinto le donne che piangono. La forza degli uomini, che si rileva dalla muscolatura tesa e dalle pose solenni, è contrapposta alla debolezza delle donne, abbattute e piangenti. Il dipinto è una delle massime espressioni del Neoclassicismo, un movimento artistico nato intorno alla metà del XVIII secolo, che si ispirava ai grandi modelli dell’arte greca e romana. La nuova poetica prediligeva rappresentare episodi mitologici, biblici e storici a fini educativi ed edificanti. David fu uno dei massimi esponenti del Neoclassicismo, e attraverso quest’opera egli volle comunicare gli ideali di eroismo e spirito di sacrificio. Alcuni hanno voluto vedere nell’opera espliciti riferimenti alla rivoluzione francese, come gli abiti degli Orazi che riproducono i colori della Francia, il loro abbraccio che si riferirebbe all’ideale di fraternità, mentre il fatto che abbiano tutti la stessa altezza si riferirebbe all’uguaglianza e il richiamo alla libertà sarebbe nel fatto che gli Orazi combatteranno per rendere Roma libera e al di sopra della rivale Albalonga.

 

Rapporti tra cubismo e futurismo

Il cubismo e il futurismo sono due correnti artistiche nate negli stessi anni, anche se in contesti completamente diversi, e, seppure accomunate da alcune linee, se ne differenziano per altre. L’atto di nascita del cubismo viene identificato nel dipinto realizzato da Picasso tra il 1906 e il 1907, ‘Les demoiselles d’Avignon’, anche se delinearne i confini sarebbe difficile, dal momento che non si costituì mai in un movimento. Il futurismo invece nacque nel 1909 in Italia ad opera del poeta e scrittore Filippo Tommaso Marinetti, che ne scrisse il ‘Manifesto del futurismo’. Mentre i cubisti scomponevano le immagini e le ricomponevano in una nuova rappresentazione, facendo in modo che quell’immagine venisse contemplata da tutte le angolazioni possibili, i futuristi facevano qualcosa di simile, partendo però da un concetto diametralmente opposto, ossia intersecare oggetti differenti in un ‘unicum’. Entrambi i movimenti trovavano fondamento nella simultaneità della visione: il cubismo nella visione delle diverse angolazioni di un oggetto, il futurismo nel suo movimento ed eterno divenire.

 

Guernica di Picasso è una sorta di manifesto per la condanna di cosa? Descrivi l’opera

‘Guernica’ è una delle opere più conosciute di Picasso e senza ombra di dubbio uno dei più grandi capolavori dell’arte contemporanea in assoluto. Fu dipinto nel 1937 e si riferisce a un momento della guerra civile spagnola, quando la città basca di Guernica fu bombardata dai tedeschi e trovarono la morte oltre 2000 persone. Guernica non era un obiettivo militarmente determinante, ma il suo attacco volle significare diffondere terrore tra la popolazione e i repubblicani. Tra le loro fila c’era anche Picasso,che dipinge il quadro appena due mesi dopo il massacro, quando la rabbia e il dolore erano ancora profondi. Ne scaturì un dipinto di dimensioni impressionanti: otto metri di lunghezza per tre di larghezza. Uno degli aspetti poco chiari è il significato dei vari personaggi, anche se ‘Guernica’ rappresenta l’orrore di tutte le guerre in senso generale, e l’episodio fu solo lo spunto che portò l’artista a dipingere questo quadro. Una sorta di condanna alla furia cieca e irrazionale di tutte le guerre, al dolore straziante che si portano dietro, alla devastazione dei corpi mutilati; il genio di Picasso non sta nel fatto che lui abbia raccontato la scena, ma nel fatto che lui è dentro la scena e coinvolge nell’orrore della guerra tutti gli spettatori. Il dipinto si sviluppa in senso orizzontale, e i colori pressocchè unici sono il bianco e il nero. La scena si svolge all’aperto, come si vede dagli edifici in fiamme sullo sfondo; a sinistra una donna piange il figlioletto morto che tiene tra le braccia, lanciando un urlo disperato verso il cielo; sopra di essa c’è un toro di non chiara interpretazione (potrebbe rappresentare il popolo spagnolo, oppure il nemico); al centro un cavallo ferito, sotto il quale c’è molto probabilmente un soldato repubblicano caduto. In alto una lampadina accesa, che potrebbe rappresentare il sole ma anche un occhio che vede, mentre la donna con la lampada in mano sembrerebbe essere la Verità che prima o poi verrà alla luce, o che mostra a tutti le atrocità che sono state commesse in Spagna. In basso a destra c’è un’altra donna che alza lo sguardo come per cercare la luce e capire cosa sta succedendo. All’estrema destra un’altra donna che alza le braccia al cielo in segno di disperazione, mentre viene avvolta dalle fiamme. Nel secondo dopoguerra ‘Guernica’ divenne il simbolo dell’orrore e della disperazione di tutte le guerre.

 

Che cosa intende Cézanne per trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono? Analizza l’opera che ritieni più significativa di questo pensiero.

Cézanne è uno dei massimi esponenti del postimpressionismo; il fine della sua ricerca era quello di analizzare in fondo la realtà, penetrando le cose, e darne una forma attraverso le figure geometriche. Non a caso il pittore diceva che ‘bisogna trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono, tutti messi in prospettiva’. Il suo tormento sarà quello di rappresentare la realtà sulla bidimensionalità della tela. La prospettiva non basta da sola a rappresentare la realtà, e Cézanne lavorerà fino alla morte cercando di analizzare la struttura e la composizione di ciò che si rappresenta; non a caso le estreme conseguenze del suo pensiero diventeranno poi la base per la successiva pittura di Picasso e Braque. Uno dei dipinti che meglio rappresenta la frase ‘bisogna trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono, tutti messi in prospettiva’ è ‘I giocatori di carte’ un dipinto realizzato nel 1896e custodito al Musée d’Orsay a Parigi. Il quadro rappresenta due uomini seduti ad un tavolo uno di fronte all’altro in un’osteria; sullo sfondo quello che sembra uno specchio. Tutto in questo dipinto può essere ricondotto a forme geometriche, i cappelli, le maniche, la bottiglia sul tavolo.

 

Descrivi globalmente il monumento a Maria Cristina d’Austria del Canova

Il monumento a Maria Cristina d’Austria del Canova è un monumento funebre custodito nell’Augustinerkirche di Vienna. Fu il risultato di un lavoro durato ben 7 anni dal 1798 al 1805, e Giulio Carlo Argan lo raffronta con quello che è il suo parallelo letterario, ossia “Dei sepolcri” di Ugo Foscolo, dove centrale è il tema della morte. Per quanto riguarda il nutrito corredo iconografico, questo fu imposto dal principe Alberto di Sassonia, marito della defunta, che scelse personalmente le allegorie e le virtù che avrebbero dovuto elogiare la persona di Maria Cristina. Il monumento, in marmo bianco, si presenta come una piramide posta su di un podio costituito da tre gradini, su cui, a destra e a sinistra, si radunano una serie di figure che incedono tutte verso il centro della composizione, ossia la bassa porta posta al centro della piramide, una sorta di passaggio fisico e ideale tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Sopra la porta la Felicità in compagnia di un putto regge l’effigie della defunta, mentre in basso a sinistra la Virtù, accompagnata da due fanciulli reca il vaso con le ceneri, seguita dalla Beneficenza che accompagna un cieco e una bambina. A destra due figure nell’atto di dormire: un genio funerario alato e un leone. Alcuni critici vogliono vedere nel corteo funebre una rappresentazione delle tre età della vita, dalla gioventù alla vecchiaia, a significare che la Morte non risparmia nessuno. La piramide (la cui figura geometrica è carica di significati allegorici) rappresenta l’Oltretomba, ed è un’immagine chiaramente Neoclassica.

Quali caratteri differenziano la pittura impressionista da quella postimpressionista.

Pur essendo il secondo la conseguenza del primo, impressionismo e postimpressionismo hanno delle differenze sostanziali.
La pittura impressionista è realizzata ‘en plein air’ (all’aperto) in poche ore con una tecnica rapida che cerca di catturare le percezioni visive che le scene comunicano, con immagini evanescenti al posto di una rappresentazione realista della realtà, ottenuta con il disegno, con la prospettiva, con lo studio degli oggetti da rappresentare. I quadri impressionisti sono quadri di piccole dimensioni, in cui gli oggetti e le persone vengono rappresentati con tratti veloci, pennellate simili a macchie, mentre scompare il chiaroscuro sostituito dall’accostamento di colori puri, che attraverso la nostra retina vengono percepiti come omogenei.
La pittura postimpressionista invece, recupera il concetto del contorno e del disegno (che la pittura impressionista aveva bandito), si ritorna a dipingere al chiuso, negli atelier, e i quadri ritornano ad avere dimensioni molto grandi. Inoltre tutto è degno di essere rappresentato e alla pittura spetta non solo la rappresentazione dell’attimo, la pittura comincia a essere vista come espressione di stati d’animo e comunicazione interiore (ovviamente in modi e tempi diversi per ogni pittore).

 

La provocazione di Marcel Duchamp nell’opera “L’orinatoio”

“L’orinatoio” è un ready-made (ossia un oggetto che viene spostato dal suo contesto fisico o logico assumendo una nuova denominazione, senza avere più a che fare con quello che l’oggetto era prima) che Marcel Duchamp presentò nel 1917 in una galleria di New York con il nome “La fontana”; attualmente è esposta a Centre Pompidou di Parigi. Si tratta dell’opera più provocatoria dell’artista, che tra l’altro la presentò alla Society of Indipendent Artists sotto lo pseudonimo Mr. Mutt, e la cui giuria, vedendo che si trattava di un orinatoio, decise di non esporre. Ciò nonostante, la fotografia dell’opera fu pubblicata su una rivista diretta dallo stesso Duchamp; egli fece finta di prendere le parti di Mr. Mutt, dicendo che non era importante se l’autore avesse fatto l’opera con le sue mani o avesse deciso di prendere un oggetto di uso quotidiano e farne un’opera d’arte apponendoci il proprio nome, dandole un nome e creando un nuovo modo di pensare l’oggetto. La provocazione sta nel fatto che un orinatoio doveva essere accettato come opera d’arte; questo per smuovere le coscienze, per far riflettere non solo gli addetti ai lavori, e per far riflettere sul fatto che era necessario staccare l’opera d’arte dal ‘fare’ e spostare l’attenzione sulla ‘scelta’ che ha portato l’artista a riconsiderare un determinato oggetto facendone un’opera d’arte. È questo il seme del Dada, che prende vita dal concetto che ‘chiunque può essere artista’, e quindi qualsiasi oggetto, anche di uso quotidiano può essere considerato arte.

 

“Peindre en plein air” è una delle tante caratteristiche di quale movimento pittorico? Che cosa voleva dimostrare e significare?

“Peindre en plein air”, letteralmente ‘dipingere all’aria aperta’ è una caratteristica dell’impressionismo, un movimento pittorico nato a Parigi intorno al 1860. E’ un movimento che deriva direttamente dal realismo, ma se ne distacca perché non vuole impegnarsi politicamente, ma tende a rappresentare solo il lato piacevole ed edonistico della vita. Lo scopo dell’impressionismo è quello di rappresentare la realtà sensibile così come la percepisce l’occhio umano. Tutti i soggetti sono degni di essere rappresentati, e la pittura impressionista si cala perfettamente nella realtà di quegli anni per rappresentare tutto ciò che vi era di piacevole e positivo. Gli impressionisti prediligono dipingere all’aria aperta, e ‘peindre en pleinair’ voleva dire iniziare e finire i quadri, generalmente di piccole dimensioni, direttamente sul posto; questo perché così facendo avrebbero potuto cogliere ogni vibrazione e ogni dettaglio cromatico direttamente dal vivo, mentre completare il dipinto nell’atelier avrebbe significato alterarne quella che era stata la prima reale impressione. L’occhio umano percepisce prima luce e colore, poi, solo in un secondo momento dà a quello che vede una forma: da qui la pratica degli impressionisti di eliminare del tutto il disegno preparatorio e la nitidezza dei contorni. La luce è una delle componenti fondamentali dei loro dipinti, e la ottengono utilizzando colori puri, eliminando il chiaroscuro ed evitando il nero.

 

Scomporre e ricomporre la realtà è la prerogativa di quale movimento pittorico? Quale novità introduce nella rappresentazione rispetto ai movimenti artistici precedenti?

Scomporre e ricomporre la realtà è prerogativa del cubismo, un movimento pittorico che si propone, per dirla con le parole di Picasso di dipingere ‘gli oggetti così come li vediamo’, ossia utilizzando diversi punti di vista, in modo che tutte le angolazioni e le sfaccettature siano visibili sul piano bidimensionale della tela. La prospettiva tradizionale imponeva di vedere l’oggetto esclusivamente da un unico punto di vista, mentre per ottenere una rappresentazione totale dell’oggetto, e quindi vedere anche le facce che non vediamo ad occhio nudo, l’oggetto andava scomposto in tanti piccoli frammenti di realtà, che si traducevano in immagini apparentemente incomprensibili, esclusivamente perché la nostra esperienza non è abituata a vederli così. Scomporre e ricomporre gli oggetti come meglio credevano, dava agli artisti la possibilità di rappresentare la realtà a loro piacimento. Le principali novità del cubismo rispetto ai movimenti artistici precedenti sono essenzialmente l’abolizione del principio che la pittura dovesse rappresentare in maniera realista le cose, dovesse ‘fotografare’ la realtà; inoltre l’assenza di un unico punto di vista porta a non avere un’unica prospettiva, come accadeva in tutti i dipinti dal rinascimento fino ad allora. L’immagine pittorica sino ad allora era sempre stata pensata in maniera naturalistica, ossia così come la vediamo, fedele alla realtà. L’assenza di chiaroscuro accentua questo distacco dalla realtà, così come l’assenza di un’unica prospettiva. Già l’impressionismo aveva abolito il chiaroscuro, puntando tutto sul colore; così successivamente il postimpressionismo aveva accettato che il colore diventasse espressione della sensibilità del pittore, e quindi non era necessario che un oggetto fosse necessariamente di quel colore solo perché nella realtà era effettivamente così. L’ultimo fondamento della pittura accademica era la prospettiva, che fu chiaramente demolita da Picasso, nel periodo della sua attività chiamato appunto ‘cubista’.

 

Descrivi “La stanza rossa” di H. Matisse

“La stanza rossa” rappresenta l’interno di una casa borghese dove una cameriera è intenta a sistemare la tavola con frutta, pane e bevande. Una finestra fa intravedere allo spettatore il mondo esterno, dove si intravede un paesaggio. Il rosso è il colore predominante, e lo ritroviamo sulle pareti della stanza e sulla tovaglia: è steso con pennellate larghe e decise, senza sfumature. Questo contribuisce ad intensificare la bidimensionalità del dipinto. Lo stesso accade con il tavolo che, pur essendo realizzato in una prospettiva piuttosto discutibile, segnata appena dalla linea di contorno dello stesso (ma anche dalla sedia e dal davanzale della finestra), sembra far scivolare in avanti tutti gli oggetti che sono stati sistemati sopra di esso. Se sul tavolo non ci fossero quegli oggetti, sembrerebbe quasi la continuazione della parete di fondo. Tutto è realizzato nelle sue forme essenziali, senza la ricerca realistica della rappresentazione; lo stesso paesaggio sullo sfondo è completamente bidimensionale, così come l’uso dei colori primari (rosso, blu e giallo) contribuisce ad amplificare questa sensazione. Il completo disinteresse per la rappresentazione realistica degli oggetti, mette in luce la funzione che Matisse vuole dare al colore, ossia quella di esprimere stati d’animo ed emozioni soggettive.

 

Cosa si intende per avanguardia artistica?

Per avanguardia artistica si intende un’opinione artistica audace, fuori dagli schemi convenzionali, quasi in anticipo sulle tendenze; si tratta di un fenomeno sviluppatosi nel primo Novecento, anche se affonda le sue radici negli eventi politici e culturali che si verificarono nel corso della seconda metà dell’Ottocento. Il termine Avanguardia viene utilizzato per individuare quei movimenti che nacquero ai primi del Novecento, come l’Espressionismo, l’Astrattismo, il Cubismo, il Surrealismo, il Dadaismo e il Futurismo. Gli artisti facenti parte delle avanguardie, ritenevano di doversi staccare sia nel modo di dipingere, che nel modo di pensare dagli artisti che si rifacevano alla tradizione, in particolare da quelli per i quali l’arte era solo imitazione dei classici. Pur essendo in contrasto tra di loro, gli artisti che aderivano alle avanguardie artistiche avevano dei caratteri distintivi comuni: erano molto attivi a diffondere il loro ‘credo’ artistico attraverso manifesti e riviste letterarie, senso dell’avventura, opporsi a tutto ciò che era stereotipato e governato da leggi immutabili. Altro tratto che accomuna molti movimenti delle avanguardia artistiche è la loro tendenza alla ‘morte dell’arte’, ossia un’opposizione alla cultura dominante attraverso il ribaltamente delle scale di valori fino ad allora utilizzate, l’uso improprio di oggetti di uso quotidiano che diventavano opere d’arte, il rifiuto di ogni canone, di ogni legame con la tradizione, ma anche dei ‘soggetti’ ad essa collegati. Le opere d’arte collegate alle avanguardie non sono chiaramente leggibili e decifrabili; si chiede al pubblico di fare uno sforzo in più per arrivare a capire l’opera e il suo significato, ma il fatto che un oggetto non sia dipinto con le sue sembianze non significa che non debba rappresentare qualcosa ed avere un significato. L’origine del termine avanguardia è da ascriversi al linguaggio militare, dove per ‘avanguardia’ si intende un gruppo di militari che precede, aprendo un varco, il grosso dell’esercito. Il primo ad utilizzare il termine ‘avanguardia’ scollegandolo dal suo significato originario, fu Baudelaire, con il quale indicò, in senso ironico, gli scrittori francesi di sinistra. Da qui, il termine raggiunse la sfera artistica cui è rimasto legato con le Avanguardie storiche: cubismo, espressionismo, surrealismo, dadaismo, futurismo, astrattismo.

 

Quali principi architettonici caratterizzano la famosa “Casa sulla cascata” costruita nel 1936 da F. Lloyd Wright?

La “Casa sulla cascata” (meglio conosciuta come Fallingwater o casa Kaufmann dal nome del proprietario) fu progettata da F.Lloyd Wright: costruita in una foresta proprio a ridosso di una cascata, è considerata uno dei migliori esempi dell’architettura del XX secolo. Presenta gli elementi verticali leggermente arretrati rispetto al verticale della cascata, mentre gli elementi orizzontali (terrazze) sono realizzati proprio sopra di essa. Il concetto dei muri come separazione tra ambiente esterno e interno viene completamente eliminato, a favore della continuità. L’ambiente esterno infatti si proietta anche negli ambienti interni, dove ritroviamo muri realizzati in pietra locale, o il camino incassato nella roccia. Lo stesso avviene all’esterno, dove gli elementi verticali sono realizzati in pietra a vista e gli elementi orizzontali in cemento. L’obiettivo di Wright era quello di fondere in un “unicum” l’edificio con gli elementi naturali (acqua, alberi, pietre), come se questi ne facesse parte. Gli elementi naturali si accordano perfettamente con quelli artificiali, dando vita a quella che lo stesso Wright chiamava “architettura organica”; un edificio che esprime l’equilibrio tra costruito e ambiente naturale, dove gli elementi naturali sono trattati come fossero elementi architettonici e viceversa.

 

I contenuti sociali, spesso drammatici, sono alla base della tematica artistica dell’espressionismo

L’espressionismo è una corrente artistica nata in Francia intorno al 1905 con i Fauves, e in Germania con il gruppo Die Brucke; ben presto si diffonde in tutta l’Europa nord-occidentale. La pittura espressionista riporta sulla tela sentimenti e stati d’animo; la realtà che dipingono i suoi esponenti è ricca di contenuti sociali, una realtà fatta di guerre, di perdita dei valori, di contraddizioni politiche, di lotte di classe. E’ questo il periodo in cui il capitalismo predomina, si instaurano nuovi metodi di produzione industriale, mentre la rottura contro la tradizione a favore di un modernismo sempre più incalzante, porterà gli artisti a riscoprire i linguaggi primitivi, dove l’immagine appare semplificata, deformata e stilizzata. L’espressionismo nordico, in particolare tedesco, ha connotati estremamente drammatici rispetto a quello francese; la violenza cromatica e la deformazione della figura umana tendono a sottolineare il disagio esistenziale, la critica della borghesia, del militarismo dello stato. Mentre fino ad allora la pittura era vista in senso edonistico, come diletto della classe borghese, ora viene rappresentato per la prima volta anche il ‘brutto’; da qui la deformazione quasi caricaturale ed estrema della figura umana, soprattutto nei pittori nordici.

 

 

Come si collega l’angoscia del “Campo di grano maturo con volo di corvi” di Van Gogh con il destino dell’autore?

Campo di grano maturo con volo di corvi” è probabilmente l’ultimo dipinto realizzato da Van Gogh prima di togliersi la vita nel 1890 proprio in un campo dove era solito recarsi a dipingere i suoi soggetti. Esprime a pieno tutta l’angoscia e la disperazione del pittore di fronte a un mondo che non lo capiva e che lui stesso rifiutava. E’ una sorta di testamento spirituale di Van Gogh, che passò gli ultimi due mesi di vita a dipingere in maniera continua e febbrile (ben 70 quadri), quasi a voler comunicare tutto ciò che ancora aveva da dire al mondo, e prepararsi alla morte, che lui sapeva essere vicina. La tavolozza si riduce a quattro colori (nero, blu, giallo e verde), declinati però in una varietà estrema di sfumature; il tratto è febbrile, le pennellate nette; sia il cielo che il ampo di grano sono quasi dei vortici che esprimono pienamente l’animo travagliato del pittore. Il dipinto di per sè non esprime quiete, ma un sentimento di angoscia, che diventa tormento se si guarda al sentiero delimitato da due linee verdi, che non ha nè inizio nè fine, forse a rappresentare la metafora di una vita senza direzione nè destinazione. Lo stesso pittore, in una delle ultime lettere al fratello scrisse: “Lavoro come un vero posseduto, ho più che mai un sordo furore di lavoro”; è proprio il suo stato d’animo che egli dipinge nei suoi quadri, soprattutto negli ultimi. Infine i corvi sembrano essere presagio di morte, non solo per come sono rappresentati, ma anche per il significato che assumono all’interno del contesto.

 

 

Caratteri fondamentali dell’ideologia e della poetica futurista

Il futurismo è un movimento di avanguardia il cui atto di nascita è considerato il ‘Manifesto’ che uscì su Le Figaro il 20 Febbraio 1909; il promotore di tale movimento fu Filippo Tommaso Marinetti. Il futurismo nacque in Italia ai primi del Novecento e si diffuse rapidamente in tutta Europa. L’Europa stava attraversando un periodo di grande fermento sotto tutti i punti di vista: la vita stessa degli uomini aveva subito profonde trasformazioni e cambiamenti erano in atto su tutti i fronti. Si pensi alle guerre, alle catene di montaggio, alle prime automobili, alle invenzioni tecnologiche (il telegrafo senza fili, la cinepresa, la radio, gli aeroplani). Si iniziava a respirare aria di futuro e modernità, e il concetto di velocità diventò uno dei punti cardine del nuovo movimento. I suoi caratteri distintivi erano l’irrazionalismo, l’esaltazione del capitalismo e della tecnologia, l’appoggio dei movimenti nazionalistici, l’amore per la rissa, l’esaltazione del modernismo e della ‘civiltà della macchina’. I temi del futurismo erano tutti espressi in maniera molto chiara nel Manifesto:

  • il culto del coraggio;
  • lo sprezzo per il pericolo;
  • la guerra, considerata ‘sola igiene del mondo’;
  • la velocità;
  • la lotta contro il passato (‘noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie);
  • fiducia nel progresso.

In campo artistico la poetica futurista si traduce quasi sempre nella ricerca del dinamismo a tutti i costi: un soggetto non viene mai rappresentato fermo o in quiete, ma esclusivamente in movimento; il movimento viene rappresentato proprio nel suo dispiegarsi, mentre l’azione si svolge; è per questo che è difficile avere contezza degli oggetti che vengono rappresentati sulle tele dei futuristi (vedi ad esempio “Il cavaliere rosso” di Carrà, “Velocità d’automobile” di Giacomo Balla, “Dinamismo di un ciclista”’ di Uberto Boccioni).

 

I caratteri peculiari della pittura simbolista dell’ultimo ventennio dell’Ottocento

Il simbolismo è una corrente artistica nata in Francia nel 1885 circa; l’anno successivo Jean Moréas, un letterato francese, fece pubblicare su “Le Figaro” il “Manifesto della poesia simbolista” (che valeva anche per le arti figurative). Da qui, il simbolismo si diffuse in vari paesi europei. L’arte, per i simbolisti, esprimeva l’idea, e si manifestava in una pittura raffinata ed elegante sia nel tratto che nella tavolozza, ricca di riferimenti mitologici o religiosi. Il fine dell’arte era quello di esplorare il confine tra arte e sogno; non a caso molti dipinti appartenenti a questa corrente artistica rappresentano personaggi nell’atto di sognare scene bibliche e mitologiche, e tutto viene riportato a un significato recondito, al simbolo. Il simbolo è ‘qualcosa che ne rappresenta un’altra attraverso complessi passaggi mentali’; esso può raggiungere l’essere umano in maniera più diretta rispetto ad altri contenuti, perché è più diretto e immediato. Uno dei principali pittori simbolisti fu Odilon Redon, mentre in Inghilterra il simbolismo fu portato avanti dal gruppo dei Preraffaelliti. Tra i loro principi, il rifiuto della copia dal vero, e l’importanza dell’immaginazione. Il simbolismo non fu un movimento che coinvolse tutta Europa, ma i suoi caratteri distintivi servirono da fondamento per la nascita di altri corrrenti artistiche ch poi si svilupparono in maniera autonoma. E’ per questo che in genere non si iscrive tutti i pittori dell’ultimo ventennio dell’Ottocento nella corrente del simbolismo. Fu comunque una tendenza generale che vide la pittura diventare un mezzo per esprimere sempre di più contenuti interiori.
I caratteri distintivi del simbolismo sono:

  • rifiuto della figurazione oggettiva e del naturalismo
  • rifiuto di rappresentare temi legati all’attualità
  • importanza del contenuto
  • importanza dell’irrazionalità, del mistero e del soprannaturale
  • importanza del simbolo, in grado di sintetizzare un concetto che non può essere spiegato a parole
  • non rappresentare gli oggetti, ma idee, che vengono tradottte in simboli
  • uso di colori scuri
  • linee e tratti delicati, leggeri

Il simbolismo si rivolge a un pubblico colto, dal momento che i contenuti della sua pittura non sono sempre facili da decifrare.

 

Dal grafico di una funzione a quello della sua derivata

In alcuni casi, è utile studiare il grafico della derivata di una funzione, studiandone il dominio, calcolandone i limiti nei suoi estremi, individuando i punti di discontinuità, ecc, per poter tracciare con precisione il grafico della funzione di partenza.

Definizione: Consideriamo la funzione $ F(x) $ e indichiamo la sua derivata con $ f(x) $, cioè abbiamo che $ F’(x) = f(x) $. La funzione $ F(x) $ si dice primitiva di $ f(x) $.

Dal grafico di una funzione a quello della sua derivata

Dato il grafico della funzione $ F(x) $, vogliamo tracciare il grafico di $ f(x) $, essendo $ F’(x) = f(x) $. Possiamo seguire le seguenti indicazioni:

  • poiché il segno della derivata prima indica la crescenza di una funzione, sappiamo che negli intervalli in cui $ F(x) $ è crescente (\ decrescente) , $ f(x) $ sarà positiva (\ negativa) ; in particolare, il valore della derivata (nel caso in cui sia negativa, si parla di valore assoluto) sarà tanto maggiore quanto maggiore è la pendenza di $ F(x) $;
  • nei punti in cui la funzione $ F(x) $ ha tangente orizzontale, $ f(x) $ è nulla, quindi interseca l’asse $ x $.

 

Per fare un’analisi ancora più accurata, possiamo calcolare anche la derivata seconda di F(x), e quindi abbiamo che:

\[ F'(x) = f(x) \rightarrow F”(x) = f'(x) \]

Da ciò derivano altre notevoli considerazioni:

  • negli intervalli in cui $ F(x) $ volge la concavità verso l’alto (basso), $ F’’(x) $ è positiva (\ negativa), e quindi anche $ f’(x) $ è positiva (\ negativa); la funzione $ f(x) $ è, quindi, crescente ( \ decrescente ) in tali intervalli;
  • nei punti di flesso di $ F(x) $ abbiamo che $ F’’(x) = 0 $, e quindi $ f’(x) = 0 $; la funzione $ f(x) $ avrà quindi tangente orizzontale.

 

Notiamo, poi, che se la funzione $ F(x) $ è pari, e quindi simmetrica rispetto all’asse $ y $, allora la sua derivata è dispari, ed è quindi simmetrica rispetto all’origine, e viceversa.

 

Dal grafico di una funzione a quello della sua primitiva

Consideriamo ora una funzione $ y = f(x) $; possiamo affermare che esistono infinite primitive $ F(x) $ di tale funzione, che differiscono tra loro per una costante. Dato che vogliamo tracciare il grafico solo di una di esse, darà sufficiente conoscerne il valore di un qualsiasi punto. Infatti, se $ F(x_0) = y_0 $, sappiamo che $ F(x) $ passa per il punto di coordinate $ (x_0 ; y_0) $.

Successivamente, possiamo basarci sulle seguenti considerazioni:

  • negli intervalli in cui $ f(x) $ è positiva (\ negativa), $ F’(x) $ è anch’essa positiva (\ negativa), e quindi $ F(x) $ sarà crescente (\ decrescente);
  • nei punti in cui la funzione $ f(x) $ si annulla abbiamo $ F’(x) = 0 $, e quindi $ F(x) $ avrà un punto a tangente orizzontale.

 

Possiamo, poi, ricavare ulteriori considerazioni calcolando anche la derivata seconda di $ F(x) $:

\[ F(x) = f(x) \rightarrow F'(x) = f'(x) \]

Notiamo quindi che:

  • negli intervalli in cui la funzione $ f(x) $ è crescente, abbiamo \( f’(x) \gt  0 \) , e quindi \( F’’(x) \gt  0 \), perciò il grafico di $ F(x) $ volge la concavità verso l’alto.
  • negli intervalli in cui la funzione $ f(x) $ è decrescente, abbiamo \( f’(x) \lt 0 \), e quindi \( F’’(x) \lt  0 \), perciò il grafico di $ F(x) $ volge la concavità verso il basso.

 

Vediamo un esempio, in cui vengono riassunte le proprietà che legano il grafico di una funzione a quello della sua derivata:

Proprietà del grafico di una funzione e della sua derivata

 

 

Concavità di una curva e flessi

Concavità di una curva in un punto

Consideriamo una curva di equazione $ y = f(x) $ derivabile nei punti interni di un intervallo $ I $, e consideriamo un punto $ c $ interno a tale intervallo.

Grafico di funzione con concavità nel verso positivo delle ordinateSi dice che la curva $ f(x) $ ha nel punto $ P $ di coordinate $ (c ; f(c)) $ concavità rivolta verso il semiasse positivo delle $ y $ se esiste un intorno del punto $ c $ per tutti i punti del quale (escluso il punto $ x = c $ ) le ordinate dei punti sulla curva sono maggiori delle ordinate dei corrispondenti punti sulla tangente in $ P $.

In riferimento alla figura precedente, considerando i punti $ P $ e $ Q $ sulla curva, e i punti $ P $ e $ T $ corrispondenti della retta tangente in $ P $ alla curva, e le loro proiezioni $ C $ e $ H $ sull’asse $ x $, abbiamo che \( HQ \gt HT \).

In questo caso, possiamo anche dire che la curva ha concavità rivolta verso l’alto.

In maniera analoga, possiamo definire la concavità verso il basso di una funzione:

Grafico di funzione con concavità nel verso negativo delle ordinateSi dice che la curva $ f(x) $ ha nel punto $ P $ di coordinate $ (c ; f(c)) $ concavità rivolta verso il semiasse negativo delle $ y $ se esiste un intorno del punto $ c $ per tutti i punti del quale (escluso il punto $ x = c $) le ordinate dei punti sulla curva sono minori delle ordinate dei corrispondenti punti sulla tangente in $ P $.

In questo caso, invece, considerando i punti $ P , Q, T, H $ e le loro proiezioni $ C $ e $ H $ sull’asse $ x $, abbiamo che \( HQ \lt HT \).

Vediamo, ora, il seguente teorema che mette in relazione la derivata seconda di una funzione con la concavità del suo grafico.

Teorema: Consideriamo la funzione di equazione $ y = f(x) $ derivabile due volte nei punti interni all’intervallo $ I $, e tale che la sua derivata seconda $ f’’(x) $ sia continua in $ I $; sia $ c $ un punto interno di $ I $. Allora, si ha che:

  1. se \( f’’(x) \gt 0 \), allora la curva di equazione $ y = f(x) $ volge, nel punto di ascissa $ c $, la concavità verso l’alto;
  2. se \( f’’(x) \lt 0 \), allora la curva di equazione $ y = f(x) $ volge, nel punto di ascissa $ c $, la concavità verso il basso.

 

Concavità di una curva in un intervallo

Se la funzione in questione volge la concavità verso l’alto o verso il basso in tutti i punti interni ad un intervallo $ I $, possiamo dire che la curva volge la concavità verso l’alto o verso il basso in tutto $ I $.

Definizione: Una funzione si dice concava verso l’alto in un intervallo $ I $, se il suo grafico volge la concavità verso l’alto in $ I $; la funzione si dice, invece, concava verso il basso in $ I $ se il suo grafico volge la concavità verso il basso in tutto $ I $.

Dal teorema precedente, riguardante la concavità di una funzione in un punto, si deduce il seguente teorema:

Teorema: Consideriamo la funzione di equazione $ y = f(x) $ derivabile due volte nei punti interni all’intervallo $ I $, e tale che la sua derivata seconda $ f’’(x) $ sia continua in $ I $. Allora, si ha che:

  1. se f’’(x) > 0, allora la funzione f(x) è, nell’intervallo I, concava verso l’alto;
  2. se f’’(x) < 0, allora la funzione f(x) è, nell’intervallo I, concava verso il basso.

 

Punti di flesso

Consideriamo una funzione $ y = f(x) $ che ammette derivata seconda in un punto $ c $, e tale derivata calcolata in $ c $ è nulla ( cioè, $ f’’(c) = 0 $ ), e che la derivata seconda abbia segni opposti a destra e a sinistra di $ c $.

Grafico di funzione con punto di flessoLa funzione in questione, quindi, nei due intorni di $ c $ (destro e sinistro), volge concavità differenti: verso il basso da una parte, e verso l’altro dall’altra. Il punto $ c $ che ha queste proprietà viene definito punto di flesso.

Possiamo, quindi, dedurre che, per determinare un punto di flesso, dobbiamo studiare il segno della derivata seconda della funzione, e verificare che la derivata seconda assuma valori di segno opposto nell’intorno sinistro e destro del punto

 

 

Ricerca dei massimi e minimi di una funzione

Punti stazionari

Consideriamo una funzione $ f(x) $, definita in un intervallo $ I $, e un punto $ c $ di tale intervallo. Il punto $ c $ si dice punto stazionario della funzione se la derivata prima della funzione, calcolata in $ c $, è nulla, cioè: \[ x = c \text{ punto stazionario } \Leftrightarrow f'(c) = 0 \]

Ricordiamo che la derivata in un punto rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente in quel punto al grafico della funzione. In questo caso, quindi, possiamo dire che il punto stazionario rappresenta anche il punto in cui si ha una tangente orizzontale.

I punti stazionari sono dei punti possibili in cui trovare i massimi, minimi o flessi di una funzione.

Ricerca dei massimi e minimi relativi

Il seguente teorema mostra una condizione necessaria per l’esistenza di un massimo o un minimo per la funzione $ f(x) $:

Teorema: Sia $ f(x) $ una funzione definita in un intervallo $ I $ e derivabile nei punti interni di $ I $. Se nel punto $ c $, interno ad $ I $, la funzione ha un massimo o un minimo relativo, allora $ c $ è un punto stazionario, e si ha che: $ f'(c) = 0 $.

Quindi, nei punti di massimo e minimo relativi al grafico di una funzione derivabile si ha una retta tangente parallela all’asse $ x $.

Benché l’annullarsi della derivata di una funzione in un punto è condizione necessaria per l’esistenza di un massimo o un minimo, essa non è anche condizione sufficiente affinché vi siano massimi o minimi.

Infatti, in alcuni casi, come accede per la funzione $ y = x^3 $, anche se la derivata della funzione calcolata in 0, che è punto stazionario, è zero ( $ y’ = 3x^2 $ , quindi $ f’(0) = 0 $), non si ha un punto né di massimo né di minimo.

Vediamo, quindi, un criterio sufficiente per stabilire se un punto stazionario è un punto di massimo o minimo:

Teorema: Sia $ f(x) $ una funzione continua in tutti i punti di un intorno \( I=(c – \delta; c + \delta) \) del punto \( c \) e derivabile in tutti i punti di \( I \), escluso al più \( x = c \).

Il punto $ c $ è un punto di massimo relativo per la funzione $ f(x) $ se accade che:

\[ f'(c) \gt 0 \text{ in } ( c – \delta; c ) \]

\[ f'(c) \lt 0 \text{ in } (c; c + \delta) \]

Il punto $ c $ è, invece, un punto di minimo relativo per la funzione $ f(x) $ se accade che:

\[ f'(c) \lt 0 \text{ in } ( c – \delta; c ) \]

\[ f'(c) \gt 0 \text{ in } ( c; c + \delta ) \]

Quindi, possiamo notare che se nel punto $ c $ la funzione ha un massimo relativo, essa risulterà crescente nell’intervallo \( (c – \delta ; c) \) e decrescente nell’intervallo \( (c ; c + \delta) \).

Al contrario, se essa ha nel punto c un minimo relativo, essa sarà decrescente nell’intervallo \( ( c – \delta ; c ) \) e crescente nell’intervallo \( ( c ; c + \delta ) \).

In particolare, possiamo riconoscere massimi e minimi nei punti stazionari per una funzione se la derivata prima della funzione cambia segno passando dalla sinistra alla destra del punto, cioè se la derivata cambia segno “attraversando” $ c $.

Una funzione, tuttavia, può avere massimi o minimi anche in punti in cui non esiste la derivata, ma i cui essa è continua, come nell’esempio seguente:

 

Grafico di funzione priva di derivata in un punto di massimo e minimo per la funzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricapitolando, per determinare i massimi e i minimi di una funzione, dobbiamo studiare il segno della derivata prima; in particolare, i passaggi da seguire sono i seguenti:

  • si calcola la derivata prima, $ f’(x) $, e se ne determina il dominio per individuare gli eventuali punti in cui $ f(x) $ è continua, ma non derivabile;
  • si risolve l’equazione $ f’(x) = 0 $ per trovare i punti stazionari;
  • si studia il segno di $ f’(x) $, deducendo gli eventuali massimi e minimi, e i flessi a tangente orizzontale della funzione.

 

Massimi e minimi assoluti

Consideriamo una funzione $ f(x) $ continua in un intervallo chiuso e limitato $ [a;b] $. Possiamo calcolare i massimi e minimi relativi interni all’intervallo con i metodi visti in precedenza; confrontando, poi, questi valori con $ f(a) $ e $ f(b) $, possiamo determinare il massimo e il minimo assoluti della funzione, che sono, rispettivamente, il più grande e il più piccolo valore che troviamo nel confronto. Ricordiamo che, per il teorema di Bolzano-Weierstrass, il massimo e il minimo di una funzione in un intervallo chiuso e limitato esistono sempre.