Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica

fototozzi1.jpgMario Tozzi èil Presidente della Giuria scientifica dell’edizione 2011. Il 21 gennaio selezione della cinquina finalista in seduta pubblica; il 5 maggio proclamazione del vincitore.

Giunge quest’anno alla 5a edizione il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica. Al suo primo lustro il Premio ha insegnato a oltre 13000 giovani delle quarte superiori di tutta Italia ad appassionarsi agli argomenti scientifici. Li ha incoraggiati ad avere un approccio razionale ai temi della medicina, della fisica, della matematica e delle altre discipline, provando passione per il rigore del metodo scientifico.

Un Premio fortemente voluto dal Sindaco di Padova Flavio Zanonato, convinto che “l’interesse per le scienze e il pensiero razionale sono il presupposto per essere cittadini del mondo e che un modo di pensare rigoroso e fondato sui fatti aiuta l’esercizio della democrazia”.

Per questa nuova edizione il Premio conferma l’originaria impostazione con una Giuria scientifica che seleziona una cinquina di opere da sottoporre alla Giuria popolare degli studenti, ma presenta anche alcune importanti novità.

La prima di queste ce la illustra Andrea Colasio, Assessore alla Cultura del Comune di Padova. “Quest’anno – afferma – il Premio Galileo entra a far parte di “Universi Diversi” il nuovo contenitore culturale della primavera 2011 che si affianca all’Estate Carrarese e al RAM completando la triade dei tre grandi format entro i quali si sviluppa la proposta culturale padovana. Di “Universi Diversi” il Premio Galileo è uno dei due capisaldi.

L’altro evento centrale sarà la grande mostra sul Guariento. Si profila in questo modo una sorta di dialogo tra “sacro e profano”, appunto tra “Universi Diversi”.

La seconda novità riguarda la Giuria scientifica del Premio. Dopo gli scienziati Umberto Veronesi, Carlo Rubbia, Margherita Hack e lo storico della scienza Paolo Rossi, la Presidenza tocca quest’anno ad un grande divulgatore, oltre che primo ricercatore del CNR. Si tratta di Mario Tozzi, il popolare conduttore della fortunata trasmissione televisiva “La Gaia scienza”. Drastica è la sua opinione sulla situazione della divulgazione scientifica in Italia. “E’ disastrosa. – afferma – Stavamo meglio qualche tempo fa. Oggi, se togliamo Quark, in Tv non vedo altro. Le televisioni commerciali non fanno nulla, noi, su la7, con poche risorse, proviamo a fare qualcosa. Va un po’ meglio l’editoria, ma per quanto riguarda la comunicazione di massa il panorama è tragico.”

“I giovani non leggono di scienza. Nel nostro Paese – continua Tozzi – se uno non conosce l’inizio dei Promessi Sposi si deve vergognare a morte, ma se gli dici Watson e Crick al massimo possono associare il primo all’assistente di Sherlock Holmes, non pensano certo agli scopritori della struttura della molecola del DNA.”

Un contributo importante per accrescere l’interesse per questo aspetto del sapere viene certamente dal Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica che sempre più si è radicato nel panorama culturale italiano, nell’interesse delle case editrici, nell’attenzione dei lettori, soprattutto giovani. Una pregevole iniziativa promossa dal Comune di Padova e che gode del sostegno della Regione del Veneto e della Provincia di Padova e della collaborazione dell’Università degli Studi di Padova, di ANCI, UPI e di Turismo Padova Terme Euganee e dei patrocini del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Fondazione Il Campiello e dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti di Padova.

Il Premio Galileo per la divulgazione scientifica 2011 viene assegnato a un’opera di diffusione scientifica pubblicata in lingua italiana dall’1 gennaio 2009 al 31 dicembre 2010, secondo una formula che si ispira a quella già ampiamente sperimentata del Premio Campiello. Una Giuria Scientifica, quest’anno presieduta da Mario Tozzi e composta da scienziati, ricercatori e giornalisti, seleziona una cinquina di opere che saranno sottoposte al giudizio di una Giuria Popolare composta da una classe di studenti per ciascuna Provincia italiana, scelta fra le quarte classi delle scuole superiori.

Sono due, quindi, i momenti principali previsti dal Premio. La riunione della Giuria Scientifica, costituita da sedici componenti, che si terrà a Padova venerdì 21 gennaio per la selezione della cinquina, scelta tra circa 70 opere, e la proclamazione del vincitore, risultante dalla votazione della Giuria Popolare degli studenti, che si terrà giovedì 5 maggio 2011 nel Salone del Palazzo della Ragione alla presenza di delegazioni rappresentanti le 110 classi di tutte le province italiane che partecipano alle votazioni.

Tra questi due momenti una serie di incontri degli autori della cinquina finalista con gli studenti e la cittadinanza.

Definito il “Campiello delle Scienze”, il Premio Galileo per la divulgazione scientifica è nato per stimolare nei ragazzi il desiderio di studiare e capire regole e contenuti del sapere scientifico – dalla fisica all’evoluzione, dalle teorie sulla meccanica celeste ai misteri dell’Universo – per provare la forza e il fascino del sapere razionale ed ha visto una costante crescita della partecipazione da parte delle scuole italiane e analoga crescita nell’attenzione delle case editrici.

I precedenti. Vincitore delle precedenti edizioni: 2007 – Perché la Scienza? di Luigi Luca e Francesco Cavalli Sforza (Mondadori 2007); 2008 – Se l’uomo avesse le ali di Andrea Frova (ed. RCS libri – BUR 2008); 2009 – Energia per l’astronave terra di Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani (ed. Zanichelli); 2010 I vaccini dell’era globale di Rino Ruppoli e Lisa Vozza (Zanichelli 2009). Il 21 gennaio conosceremo la cinquina che si contenderà la vittoria della quinta edizione.

Il Premio Galileo ha il sostegno di Fondazione Antonveneta. Sponsor: Consorzio Venezia Nuova, Safilo, Morellato – Gioielli da vivere, Coveco, Schüco, APS Advertising, Società delle Autostrade Venezia e Padova, C.C.I.A.A. Padova, Net – Telerete, Telecom. Con la collaborazione di: Consorzio di Promozione Turistica di Padova, Noleggiami.eu, Bookstore. Media sponsor: il Mattino di Padova, la Tribuna di Treviso, la Nuova di Venezia e Mestre, Focus.

Talete

Talete (Mileto, 640 a.C./624 a.C. – circa 547 a.C.) fu un pensatore dell’antica Grecia. E’ generalmente ritenuto il primo pensatore della storia occidentale. Secondo quanto riporta la fonte Diogene Laerzio, Talete fu figlio di Examio e Cleobulina, di origine fenicia; non è sicuro se egli fosse nato a Mileto, probabilmente nell’anno della trentanovesima olimpiade del 624 a.C., queste notizie le apprendiamo da Apollodoro di Atene nella sua Cronologia, secondo altri autori è datato nel periodo della trentacinquesima Olimpiade nel 640 a.C. circa. Al di là delle incertezze sulla sua data di nascita, una cosa è sicura, Talete è stata una figura rilevante per la cultura del mondo greco ed alcune testimonianze lo provano, come quella di Apuleio che nel suo scritto Florida dirà: «Talete di Mileto fu senza dubbio il più importante tra quei sette uomini famosi per la loro sapienza – e, infatti, tra i Greci fu il primo scopritore della geometria, l’osservatore sicurissimo della natura, lo studioso dottissimo delle stelle». (Apuleio, Florida, 18).

Anche Aristotele nell’opera Metafisica traccia un profilo abbastanza netto sulla figura di Talete: "La maggior parte di coloro che per primi filosofarono pensò che princìpi di tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti, essi affermano che ciò di cui tutti gli esseri sono costituiti e ciò da cui derivano originariamente e in cui si risolvono da ultimo, è elemento ed è principio degli esseri, poiché è una realtà che rimane identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni. E, per questa ragione, essi credono che nulla si generi e che niente si distrugga, giacché una tale realtà si conserva sempre. E come non diciamo che Socrate si genera in senso assoluto quando diviene bello o musico, né diciamo che perisce quando perde questi modi di essere, perché il sostrato – ossia Socrate stesso – continua ad esistere, così dobbiamo dire che non si corrompe, in senso assoluto, nessuna delle altre cose: infatti deve esserci qualche realtà naturale (o una sola o più di una) dalla quale derivano tutte le altre cose, mentre essa continua ad esistere immutata. Tuttavia, questi filosofi non sono tutti d’accordo circa il numero e la specie di un tale principio. Talete, caposcuola di questo tipo di filosofia, dice che quel principio è l’acqua (per questo afferma anche che la Terra galleggia sull’acqua), desumendo indubbiamente questa sua convinzione dalla constatazione che il nutrimento di tutte le cose è umido, e che perfino il caldo si genera dall’umido e vive nell’umido. Ora, ciò da cui tutte le cose si generano è, appunto, il principio di tutto. Egli desunse pertanto questa convinzione da questo fatto e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è il principio della natura delle cose umide". (Aristotele, Metafisica 983 b).

Platone, ad esempio, dichiara che Talete era stato molto abile nell’ideare espedienti tecnici, mentre lo storico Erodoto ci riporta che Talete ideò e costruì un canale per consentire la deviazione di un fiume dal suo corso e farlo tornare più avanti nel suo letto. Inoltre lo storico greco gli attribuisce la previsione di un’eclissi solare, più esattamente quella del 585 a.C., tale notizia si apprende dalla fonte Plinio il Vecchio che nel brano qui sotto, parla altresì dell’eclisse di Luna annunciata da Sulpicio Gallo nel 168 a.C. il giorno precedente allo scontro di Pidna contro il sovrano macedone Perseo.

Si riporta il testo originale del brano in latino e la corrispondente traduzione in italiano.

Latino 53. Et rationem quidem defectus utriusque primus Romani generis in vulgum extulit Sulpicius Gallus, qui consul cum M. Marcello fuit, sed tum tribunus militum, sollicitudine exercitu liberato pridie quam Perses rex superatus a Paulo est in concionem ab imperatore productus ad praedicendam eclipsim, mos et composito volumine. Apud Graecos autem investigavit primus omnium Thales Milesius Olympiadis XLVIII anno quarto praedicto solis defectu, qui Alyatte rege f a.C.tus est urbisconditae anno CLXX. post eos utriusque sideris cursum in sexcentos annos praececinit Hipparchus, menses gentium diesque et horas a.C. situs locorum et visus populorum complexus, aevo teste haut alio modo quam consiliorum naturae particeps. (Plinio il Vecchio).

Italiano 53. E, primo tra i Romani, corredò di illustrazioni la ragione dell’eclissi di tutti e due Sulpicio Gallo, che fu console con M. Marcello ma in seguito tribuno militare, rendendo libero l’esercito dall’ansia il giorno prima che Perseo fosse piegato da Paolo, con una conversazione nella quale, invitato dal condottiero, prevedeva l’eclissi in base ad una sovrapposizione dell’orbita. Tra i Greci le studiò primo fra tutti Talete di Mileto che previde l’eclissi di sole dell’anno quarto della XLVIII (48) Olimpiade, che a.C. cadde durante il regno di Aliatte nell’anno CLXX (170) ab urbe condita. Dopo di loro, Ipparco predisse il corso di ambedue gli astri per seicento anni, indicando mesi, giorni, ore, e riassumendo il punto strategico dei luoghi e l’aspetto visto dalla gente, testimoniando la perpetuità in nessun’altra maniera che secondo le leggi della natura.

Lo sviluppo del suo pensiero è datato verso l’anno 585 a.C. e grazie al suo contributo, proprio in quegli anni fu creata la scuola ionica, il cui pensiero si discosta dalle correnti precedenti, segnando una svolta, perché è il primo che a sviluppare un’analisi oggettiva e laica del mondo reale senza farsi influenzare da storie riportate da altri autori del passato, o da principi della religione.

Infatti, l’osservazione dei pensatori della scuola ionica è rivolta allo studio dell’elemento indispensabile (archè), che rappresenta tutto quello che ci attornia (monismo), la scuola di Mileto va alla ricerca nel mondo della risposta delle proprie domande poiché ritiene che l’individuo sia un elemento del mondo e pertanto vuole identificare, “al di là delle sembianze molteplici e di continuo mutevoli della natura, l’unità che fa della natura medesima un mondo” (ilozoismo).

I pensatori ionici vanno alla ricerca dell’unità nelle difformità del mondo; qualche cosa che producesse totalità e fosse il principio di tutto quello che è natura. Per la filosofia di Talete l’archè collima con l’acqua perché essa è l’elemento dal quale scaturisce la vita, e senza il quale la vita sarebbe impossibile avere qualche forma di vita, pensiero che raggiunge il suo culmine con l’affermazione: “Tutto è acqua, criticatemi”.

Aristotele ritiene che Talete sia giunto a tale punto d’arrivo dopo aver esaminato accuratamente che tutto quello che è vita ha un fondamento umido, e l’acqua è l’origine naturale delle cose umide.

Pure Platone ci ha trasmesso un’immagine di Talete astronomo, anche se un po’ ironica: tutto preso a osservare accuratamente il cielo, viene giù in un pozzo, tirando a sé la battuta di una servetta trace. A tale tradizione doveva fare parte un altro fatto, narrato da Aristotele. A Talete era stata rimproverata la povertà che lo straziava; e lui, per fornire prova che la filosofa fosse utile, fece utilizzo delle proprie conoscenze astronomiche per migliorare la sua posizione.

Malgrado Platone avesse adoperato il tono spiritoso, non disdegna per niente la distrazione di Talete, che era considerato uno dei Sette Sapienti. I quali «tutti, o quasi, non sembra si siano occupati della vita politica»: rigorosi come spartani, spiegano la religiosità delfica e l’etica tradizionale, fatta di brevi principi ed estranea da qualunque interessamento per la natura.

Platone mette vicino ai Sette Sapienti Aristotele e Anassagora, quest’ultimo considerato la tipica persona colta nuova, votata al sapere naturalistico imparziale che fece la sua comparsa ad Atene nel V secolo. La cosa dovette causare discussioni e pure rigetti; Platone e Aristotele ripigliarono e riadattarono la dottrina della conoscenza intellettuale imparziale, e l’ombra di Anassagora si riflesse su Talete. E Talete arrivò a impossessarsi il primo posto nella storia della filosofia dell’antica Grecia.

Questo rappresenta una deduzione della confutazione del naturalismo’, che costituisce una parte di rilevante interesse della cultura filosofica fra V e IV secolo e delle dottrine di Platone e Aristotele.

In opposizione ad un naturalismo che faceva scaturire gli esseri umani dal fango e pensava i corpi celesti come corpi naturali, Platone e Aristotele consideravano che l’effettivo principio del mondo fosse un essere soprannaturale non materiale; ma, per screditarlo, Platone e Aristotele diedero vita ad un’immagine ipotetica del naturalismo. L’acqua pareva il principio più distante dalla vera divinità, quello più prossimo alla materia: per tale ragione Aristotele diede al principio della vicenda filosofica una spiegazione che faceva ricorso all’acqua e l’assegnò a Talete. I

n verità Aristotele riconosceva allo stesso “pensiero primitivo” uno sviluppo interno. In principio c’era uno strato, che egli riteneva «popolare», pronunciato da Esiodo e da altri poeti antichi, i quali riconoscevano entità importantissime come il Caos, la Terra, la Notte, il Cielo, l’Oceano, antecedenti al governo ultraterreno del mondo. Solamente dopo sarebbe affiorata una cosmologia ‘colta’ vera e propria, che avrebbe indicato come principio l’acqua. I suoi inizi si potevano scorgere in Omero e in Esiodo o più chiaramente nelle cosmogonie di genere orfico, che indicavano una divinità acquatica, l’Oceano, emblema dell’acqua considerato come principio ed elemento. Ciò permetteva di unire Talete e la sua cosmologia d’acqua a quei pensatori «antichissimi» che «rappresentarono Oceano e Teti come genitori del divenire».

Nella documentazione di Aristotele l’acqua di Talete diventava un «principio», era «materia», quello da cui tutte le cose fanno scaturire e in cui tutte si disperdono, un «soggetto» che rimane costante, mentre si modificano le sue proprietà, e unitamente un «elemento» costitutivo delle cose. La maniera di esporre i concetti è tipicamente aristotelica. Del resto Aristotele non ha avuto modo di conoscere in maniera diretta Talete, e si limita a raccontare la tradizione secondo la quale la terra «rimarrebbe ferma perché galleggerebbe» sull’acqua «come un legno o alcunché altro di simile». Nel quadro generale dei modi di pensare sulla terra quella di Talete appariva in Aristotele come la posizione più antica.Talete si sarebbe fatto condurre dall’equivalenza della terra con i corpi che stanno a galla, e l’avrebbe sistemata sull’acqua, mediante l’aria non è capace di sorreggere corpi solidi. Ad Aristotele l’analogia non pareva granché: difatti non si comprende che cosa dovrebbe poi tenere su l’acqua che, anch’essa, ha bisogno di un sostegno. E rivolgeva a Talete un altro genere d’inferenze: egli avrebbe cominciato da analogie di tipo biologico, guardando in modo attento che l’umidità è importante nei cibi e nei semi. Aristotele non nascondeva che questa era una sua spiegazione personale del pensiero di Talete; ma in seguito, Teofrasto assegnò in maniera esplicita a Talete la similitudine biologica.

La rilevazione di temi biologici e vitalistici in Talete poteva riallacciarsi a un’altra facciata della leggenda taletiana’. Difatti, prima di Aristotele anche Ippia di Elide aveva fatto riferimento a Talete. Secondo quanto riportato da Diogene Laerzio: «Aristotele e Ippia dicono che dette una parte di anima anche alle cose inanimate, arguendolo dalla calamità e dall’ambra». Tale documentazione dà prove che già prima di Aristotele si conferivano a Talete delle riflessioni sul magnetismo; ma non siamo al corrente della circostanza nella quale Ippia dava la notizia. Aristotele assegnava a Talete l’opinione che «l’anima sia qualcosa atto a muovere, se ha detto che la pietra è dotata di anima in quanto muove il ferro». A quest’argomento metteva in rapporto anche la massima «tutte le cose son piene di divinità», riferita a Talete, considerandola come un modo allegorico per identificare un’anima in tutte le cose. Difatti se si riconosce l’essenza di un’anima persino in una pietra come il magnete, si è leciti a formulare un’ipotesi circa l’esistenza pure in altre cose che a prima vista sembrerebbero essere sprovviste di anima. L

’interpretazione aristotelica non ci aiuta, e anzi rende tutto più difficile. Aristotele ha difatti posto due cose separate, che potrebbero fare parte di ambiti diversi, come le accorte stime sul magnetismo e il principio sugli dèi, entro un modello di dottrina dell’animazione dell’universo.

Per quanto concerne la matematica, la leggenda lega alla sua persona, Talete, contributi tutti attinenti alla geometria eccetto uno di natura solamente aritmetica: la prima enunciazione di numero come "complesso di unità". Essa è simile a quella che rinverremo negli Elementi di Euclide "il numero è una pluralità composta di unità". A proposito dei contributi in geometria nel commento di Proclo indichiamo le seguenti dichiarazioni: "Si dice che egli (Talete) fu il primo ad aver dimostrato che il cerchio è dimezzato dal suo diametro". "Fieri grazie all’amico Talete per la scoperta di questo come di molti altri teoremi. Si dice, infatti, che egli fu il primo a porlo e a dire che gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali chiamandolo nel modo arcaico "simili" gli angoli uguali".

"Eudemo nella sua storia della geometria gli attribuisce questo teorema: quando due rette si tagliano gli angoli opposti al vertice sono uguali". "Se due triangoli hanno due angoli dell’uno uguale a due angoli dell’altro ed un lato dell’uno uguale a un lato dell’altro, sia questo adiacente ed opposto ad angoli uguali, allora essi avranno uguali gli altri lati nonché il terzo angolo.

Eudemo attribuisce a Talete il presente teorema, perché egli dice esso esser necessario per determinare la distanza dei vascelli in mare secondo il metodo usato da Talete in questa ricerca". Nel nostro sistema di esposizione, "dimostrare" un teorema significa fare vedere che esso è una deduzione dei postulati oppure che è conseguenza dei teoremi antecedenti.

Per quanto riguarda la prima e la terza assegnazione, si osserva che l’uguaglianza di due angoli opposti al vertice sono fatti chiari, intuitivi e verosimilmente ben conosciuti già in età precedente a quella in cui visse Talete, sia perfino l’ipotesi che in quei momenti fosse stata avvisata l’ esigenza di una similare dimostrazione.

Per quanto concerne la seconda attribuzione, Proclo potrebbe benissimo aver preferito individuare un riscontro pratico che Talete avrebbe potuto attuare effettivamente esaminando, per esempio, due triangoli isosceli uguali e facendo corrispondere a uno di essi l’altro capovolto come sosterremo noi attualmente; avendo pensato che l’eguaglianza degli angoli alla base si riscontrava per qualunque triangolo preso in considerazione purché isoscele, Talete sarebbe poi andato a testimoniare la validità della stessa proprietà senza alcuna incertezza proibitrice.

Nel quarto conferimento non si afferma con quale metodo Talete avrebbe calcolato la distanza di una nave dalla spiaggia e tale insufficienza di notizie sicure ha proposto agli storici diverse teorie. In ogni modo la leggenda si muove più in là e gli dà una specie di prova del suo teorema. Per tale ragione Talete è stato annunciato come il primo vero matematico, vale a dire come il promotore dell’impostazione logica della geometria.

Nella geometria, il teorema di Talete riguarda i legami fra i segmenti creati su due trasversali da un fascio di rette parallele. Il teorema di Talete, si fonda sulla seguente proposizione di geometria elementare: se un fascio di rette parallele è segato da due trasversali t e t’; a segmenti uguali (MN = PQ) della retta t corrispondono segmenti uguali (M’N’=P’Q’) della retta t’, e in generale, coppie di segmenti corrispondenti formano una proporzione (ad esempio MN:QR=M’N’: Q’R’). Il teorema si estende allo spazio considerando un fascio di piani intersecati da due trasversali.

Il nome di Talete restò legato al noto teorema, e Proclo, l’interprete di Euclide, attribuisce a Talete cinque teoremi di geometria elementare:
1) "Un cerchio è diviso in due aree uguali da qualunque diametro".
2) "Gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali".
3) "In due rette che si taglino fra loro, gli angoli opposti al vertice sono uguali"
4) "Due triangoli sono uguali se hanno un lato e i due angoli adiacenti uguali".
5) "Un triangolo iscritto in una semicirconferenza è rettangolo".

Panfilo pensa che Talete avrebbe dato in sacrificio un bue agli dei per esprimere riconoscenza di quest’ultima scoperta. Scoperta che però il matematico Apollodoro assegna a Pitagora.

L’architettura del computer [J. von Neumann]

von-nemann.jpg"…le scienze non cercano di spiegare, a mala pena tentano di interpretare, ma soprattutto fanno dei modelli. Per modello si intende un costrutto matematico che, con l’aggiunta di certe interpretazioni verbali, descrive dei fenomeni osservati. La giustificazione di un costrutto matematico del genere è soltanto e precisamente che ci si aspetta che funzioni – cioè descriva correttamente i fenomeni di un’area ragionevolmente ampia. Inoltre esso deve soddisfare certi criteri pratici ed estetici – cioè in relazione con la quantità di descrizione che fornisce, deve essere piuttosto semplice". John Von Neumann (1903 -1957)

Opere, vol 6, pag 492

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Verso la metà dello scorso secolo, si trovarono a lavorare insieme tre geni della fisica e della matematica provenienti da diverse parti del mondo: R. Feynman, E. Fermi e J. Von Neumann. Tutti e tre, bravissimi nei calcoli, si sfidavano per gioco a chi per primo fosse riuscito a trovare la soluzione a complessi problemi di fluidodinamica. Naturalmente ciascuno era libero di lavorare con lo strumento preferito (Von Neumann non aveva ancora inventato i computer). La storia racconta che Feynman era imbattibile con la calcolatrice, Fermi era di una straordinaria velocità nell’eseguire i calcoli con il solo ausilio del regolo calcolatore e Von Neumann preferiva effettuare tutti i calcoli a mente. Arrivavano tutti e tre molto velocemente agli stessi risultati, ma molte volte il più veloce era Von Neumann.

Lo schema riportato in figura illustra la vastità degli interessi e dei risultati ottenuti da Von Neumann sia nella matematica pura che in quella applicata, più vicina al problem solving. Sono quattro i contributi (idee, metodi e strumenti) di Von Neumann alla soluzione dei problemi delle organizzazioni cui si farà brevemente cenno nel seguito: il concetto di modello, la simulazione e in particolare il metodo Montecarlo, la teoria dei giochi e lo sviluppo dello hardware e delle logiche di funzionamento dei computers.

La citazione sopra riportata delinea un concetto di modello che oltre a servire le scienze è anche prezioso per le problematiche delle organizzazioni. Sino ai tempi di Galilei e Newton (ma anche oltre) si pensava che il linguaggio della natura fosse di tipo matematico. Oggi sappiamo che a fronte di un fenomeno da comprendere e descrivere (ad esempio la gravitazione universale) sono possibili diversi modelli interpretativi (ad esempio le leggi di Newton o quelle di Einstein) che hanno diversi gradi di approssimazione: non esiste una corrispondenza biunivoca tra modello e realtà. Ancor più nelle organizzazioni, una situazione problematica può essere descritta, interpretata e normata con modelli anche molto diversi; l’importante, come afferma Von Neumann è che questi modelli siano utili (funzionino in accordo con criteri pratici), che siano abbastanza generali (area sufficientemente ampia) e che non contengano inutili complicazioni (siano piuttosto semplici).

Von Neumann, assieme ad Ulam e Fermi nell’ambito delle ricerche svolte a Los Alamos per il progetto Manhattan, diede un contributo determinante allo sviluppo delle tecniche di simulazione. La simulazione è considerata da qualcuno come l’ultima spiaggia della modellistica matematica nella risoluzione dei problemi delle organizzazioni, nel senso che quando tutto il resto fallisce (in particolare i modelli analitici di ottimizzazione) non resta che simulare sul computer il comportamento del sistema in studio. In particolare, la tecnica Montecarlo consente, ad esempio, di sperimentare/prevedere l’esito di un progetto complesso sulla base di un possibile ventaglio dei dati di input. In concreto, facendo (mediante generazione automatica di numeri casuali) variare, entro fasce opportune, durate delle singole attività e costi delle singole risorse, si può stimare tempi, costi e redditività al completamento dell’intero progetto. Il metodo consente di ottenere le curve di probabilità di terminare i lavori entro certe date e certi costi o, se si preferisce, il rischio di non riuscire a rispettare i tempi e il budget di costo.

Nelle organizzazioni la teoria dei giochi (sviluppata da Von Neumann assieme a Morgenstern) può essere utile all’esterno per risolvere problemi relativi al mercato e alle strategie dei concorrenti e all’interno per studiare i conflitti e l’insorgere della cooperazione o della competizione nei gruppi di lavoro. L’idea di von Neumann è quella che un gioco può essere descritto attraverso il comportamento delle coalizioni che si possono formare tra i partecipanti. I due autori contribuirono anche ad estendere la teoria dell’utilità da strumento di lavoro della macroeconomia (Jevons, Walras, Marshall, Pigou, Pareto etc.) a strumento della moderna teoria delle decisioni con applicazioni pratiche ai problemi delle imprese e della pubblica amministrazione. Von Neumann, nell’ambito della ricerca operativa e teoria delle decisioni, fu sostenitore e campione dell’approccio razionale, normativo e ottimizzante (approccio ‘hard’) alla soluzione dei problemi. In anni successivi sarebbe stato sviluppato un approccio ‘soft’ per l’analisi dei processi organizzativi e decisionali (Herbert Simon) e per i problemi ad obiettivi multipli (Bernard Roy).

Con il progetto denominato EDVAC (Electronic Discrete Variable Automatic Computer ) Von Neumann diede, tra il 1945 ed il 1949, un grande contributo allo sviluppo dei computers. Nel rapporto preliminare venivano descritte cinque unità di base del calcolatore: l’unità di ingresso (per l’introduzione dei dati e dei programmi), l’unità di memoria (che immagazzina i dati numerici e le istruzioni in codice binario), l’unità aritmetica (che provvede ad eseguire i calcoli previsti dal programma), l’unità centrale di governo (che controlla la sequenza delle operazioni e coordina il funzionamento delle altre quattro unità), l’unità di uscita (per l’emissione dei risultati). Questa impostazione denominata ‘architettura di Von Neumann’ costituisce ancor oggi, indipendentemente dal progresso tecnologico (tubi elettronici, transistors, circuiti integrati, microchip etc.) la struttura di base dei computers.

Per quanto riguarda lo sviluppo del software Von Neumann pubblicò tra il 47 ed il 48 il rapporto Planning and Coding Problems for an Electronic Computing Instrument che forniva due potenti metodi per affrontare l’analisi dei problemi e l’approntamento dei programmi. I diagrammi di flusso (o schemi a blocchi) consentono di analizzare il problema in studio indipendentemente dal linguaggio di programmazione che si sarebbe poi utilizzato; di fatto questi diagrammi, magari con qualche modifica nella notazione, sono usati nelle organizzazioni anche per problemi che non implicano necessariamente un’implementazione su computer (ad esempio l’analisi dei processi aziendali).

L’uso delle subroutine nella programmazione consente di evitare di dover ogni volta riprogrammare dall’inizio un problema già risolto: se ad esempio per risolvere un problema è necessario invertire una matrice ci si limiterà, nel programma, a richiamare la subroutine INVERT approntata una volta per tutte. Questo modo di procedere che possiamo chiamare programmazione modulare (o strutturata) potrebbe essere adottato anche nelle organizzazioni indipendentemente dall’uso del computer: troppo spesso ogni problema è affrontato ex novo mentre, per alcuni aspetti, si potrebbero utilizzare passi di problemi già risolti (oggi queste problematiche rientrano nel più ampio capitolo del knowledge management).

Von Neumann non fu un bravo futurologo. Egli pensava che i computers installati nel mondo non sarebbero neanche arrivati alle poche decine; riteneva inoltre che quei pochi sarebbero stati utilizzati solo per applicazioni militari, ricerca, università e previsioni metereologiche. Oggi si stupirebbe nel constatare che i computers sono diventati indispensabili non solo per i singoli individui, ma sopratutto per il funzionamento di qualunque organizzazione grande o piccola, privata o pubblica.

Gli Elementi di Euclide

articoli16.jpgIl libro completo degli Elementi di Euclide (XV libri) tradotti da Federico Commandino da Urbino, dal libro orginale del 1575. Fotografie dal libro originale a cura di Carlo Sintini http://www.matematica-fisica.it/

Gli Elementi di Euclide a cura di F.Commandino Introduzione (6MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro I (24 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro II (7 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro III (13 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro IV (5 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro V  (13 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro VI (16 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro VII (12 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro VIII (7 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro IX (11 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro X (68 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro XI (20 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro XII (17 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro XIII (15 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro XIV (7 MB)

Euclide, Gli Elementi, Libro XV (6 MB)

La matematica nella storia dell’Italia unita, corso di formazione

Il Centro PRISTEM dell’Università Bocconi di Milano organizza presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino dall’8 al 10 aprile il corso di aggiornamento/formazione “La Matematica nella storia dell’Italia unita”. In linea con le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità, che si prospettano come un importante appuntamento storico e culturale per riflettere insieme sulla moderna storia italiana, sarà l’occasione per discutere il ruolo svolto da scienza e scienziati per lo sviluppo del Paese.

Il Convegno ripercorrerà nelle diverse fasi storiche successive all’Unità – i primi decenni del nuovo Stato, gli anni della prima guerra mondiale, quelli del fascismo, la repubblica e la seconda metà del secolo – il cammino percorso dalla Matematica italiana: le sue acquisizioni, i contatti internazionali, i rapporti con la Fisica e le altre discipline, la partecipazione dei suoi esponenti alla vita scientifica e sociale del Paese. La descrizione costituirà l’occasione per ribadire l’importanza della Matematica nella vita sociale e culturale del Paese.

Verranno sottolineati i momenti “forti” di questa storia ma anche, in una prospettiva che vuole tenersi accuratamente lontana dai toni agiografici, le occasioni mancate per radicare ulteriormente la presenza scientifica nella realtà italiana. L’analisi si sposterà allora sulle responsabilità della classe politica, sulla composizione della nostra classe dirigente, sulla consistenza dell’apparato industriale, sul dialogo tra le diverse culture, sull’atteggiamento tenuto dagli stessi matematici nei confronti del contesto sociale. Le riflessioni sullo sviluppo scientifico – quello che si è concretizzato e quello che è mancato, quello che poteva essere e non è stato – sono una chiave preziosa per comprendere molte situazioni in cui la nostra società si trova immersa anche oggi.

Ore 15.00 Indirizzo di saluto del Rettore dell’Università di Urbino, Stefano Pivato (docente di Storia contemporanea)
Ore 15.15 Angelo Guerraggio (Università “Bocconi” di Milano e Università dell’Insubria di Varese): “Uno sguardo d’insieme sulle vicende della Matematica italiana”
Ore 16.15 Rossana Tazzioli (Université de Lille 1): “I matematici del Risorgimento”
Ore 18.00 Mauro Moretti (Università per Stranieri di Siena): “Organizzazione e governo della scienza. L’opera degli scienziati italiani dopo l’unità”.

Sabato 9 aprile
Ore 9.00 Laurent Mazliak (Université Paris 6): “La matematica di Émile Borel nella transizione tra ‘800 e ‘900”
Ore 10.00 Enrico Rogora (Università “La Sapienza” di Roma “Il periodo d’oro della Geometria algebrica italiana”
Ore 11.30 Giulio Maltese (Società Italiana degli Storici della Fisica e dell’Astronomia, Roma): “Ascesa, splendore e rovina della fisica italiana tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento”
Ore 12.30 Enrico Gamba: “Scienza e tecnica nell’Urbino rinascimentale”
Ore 15.00 Pietro Nastasi (Università di Palermo): “I matematici italiani di fronte al fascismo”
Ore 16.00 Luisa Bonolis (Deutsches Museum, Monaco) “La fisica italiana alla riconquista dell’eccellenza. Dalla ricostruzione del dopoguerra agli anni del boom.”
Ore 17.30 Mimmo Franzinelli (scrittore, storico, Brescia) “L’epurazione mancata. Politici, magistrati, poliziotti e scienziati dal fascismo alla democrazia (1944-46)”
Ore 18.30 proiezione del film “Ludwig Boltzmann, Il genio del disordine” di Giuseppe Mussardo e Petra Scudo. Regia di Enrico Agapito.

Domenica 10 aprile
Ore 8.30 Visita a Palazzo Ducale
Ore 10.30 Settimo Termini (Università di Palermo): “La rivoluzione informatica del secondo dopoguerra”
Ore 11.30 Gian Italo Bischi (Università di Urbino): “Bruno de Finetti: un matematico a tutto tondo”
Ore 12.30 Dibattito finale conclusione dei lavori.

Tutte le informazioni sono reperibili sul sito: http://matematica.unibocconi.it.

Per ulteriori indicazioni ci si può rivolgere alla segreteria del Centro PRISTEM tel 02 58362670; fax 02 5836.5617; e-mail [email protected] .

 

Socrate

Socrate è stato uno dei più grandi pensatori greci (Atene, 470 o 469-399 a.C.). Figlio di uno scultore e di una levatrice, dovette godere di un certo benessere economico, come è provato dal fatto che passò tutta la sua vita trascurando qualunque interesse economico e dal fatto che combatté, eroicamente, come oplita, prendendo parte alle battaglie di Potidea nel 429, di Delio nel 424 e di Amfipoli del 422, nella prima fase della guerra del Peloponneso.

Furono queste, pare, le sole occasioni in cui il filosofo abbandonò la sua città, passando tutto il resto della vita a esercitare sui suoi concittadini quell’arte "maieutica" che la madre esercitava sui corpi. Quest’attività lo assorbì completamente, né egli volle mai, per proprie convinzioni filosofiche, prendere parte alla vita politica del suo tempo (Socrate si giustificava dicendo che tale attività era proibita dal suo "demone", cioè la personificazione in parte ironica, in parte seria, della voce della sua coscienza).

Soltanto in due circostanze si trovò nella necessità di assumere responsabilità pubbliche: una volta, in regime democratico, quando, come Pritano, si contrappose alla condanna sommaria dei generali vittoriosi delle Arginuse (406 a. C.), incolpati di non aver raccolto i superstiti. La seconda volta, sotto i Trenta Tiranni, quando rifiutò di rendersi corresponsabile dell’assassinio politico di un certo Leonzio di Salamina. In entrambi i casi, Socrate corse un grave pericolo e si salvò solo per i cambiamenti politici che intervennero.

Tale frattura tra il pensatore e la vita politica della città (a prescindere dal regime politico) si approfondì e divenne definitiva con il restaurato regime democratico: fu mossa contro di lui l’accusa di non credere negli dei della città e di corrompere i giovani. Riconosciuto colpevole, fu condannato a bere la cicuta.

Platone nell’Apologia , nel Critone e nel Fedone ha immortalato le fasi del processo, il rifiuto di Socrate di sottrarsi alla condanna e i suoi ultimi istanti, facendone il paradigma del modo in cui il pensatore affronta la morte per amore della giustizia e della propria coscienza.

Un fatto così incredibile, a prima vista così scorretto da apparire assurdo (tanto più se si pensa alla tendenza moderata e conciliatrice che, in generale, fu seguita dal regime che lo condannò), deve poter trovare la sua spiegazione, se non una vera e propria giustificazione, nei rapporti di Socrate con la sua città, vale a dire nelle sue convinzioni etico – politiche e, in una parola, nella sua filosofia.

Ma proprio qui sta il problema: Socrate non ha scritto niente e tutto quello che conosciamo di lui, lo sappiamo da altri, principalmente da Platone, che ha fatto di Socrate il personaggio principale di quasi tutti i suoi dialoghi filosofici.

Inoltre, abbiamo notizie del nostro filosofo riportate da Senofonte, il quale gli ha dedicato alcuni scritti, per esaltarne le virtù private, pubbliche e religiose; da Aristotele, che in certe indicazioni desumibili dalle sue opere tende a presentarlo come l’autore dei ragionamenti induttivi e della teoria della definizione, vale a dire della logica; e da Aristofane, che nelle Nuvole ne ha fatto una pungente e radicale caricatura, accomunandolo con i teoretici della nuova scienza e ai sofisti.

Si tratta di presentazioni spesso divertenti in ogni modo non precisamente conciliabili, aggravate dalla diversità di tendenza riscontrabile fra gli immediati discepoli, i così chiamati "socratici minori".

Si comprende allora come il "problema socratico" abbia affascinato le menti e stimolato le discussioni di storici e saggi dai tempi di Aristotele ai nostri giorni. Infatti, ogni età ha dato un’immagine ben precisa di Socrate passando dalle celebrazioni più accese (si pensi al Sancte Socrates, ora pro nobis di Erasmo da Rotterdam), alle svalutazioni più radicali: oscillazioni di fatto rese possibili dal criterio di mettere in risalto le differenze tra le fonti e di sceglierne una contro le altre.

Onde si comprende pure come qualcuno sia arrivato alla conclusione che è impossibile raggiungere il Socrate "storico" e che ci è dato solo di conoscere la molteplicità delle “leggende socratiche".

Tuttavia un simile scetticismo è con ogni probabilità da scartare secondo quanto la critica storica e filologica è riuscita ad acquisire: la testimonianza di Aristotele dipende in sostanza da un’interpretazione di quel che dichiara Platone e dalle discussioni in seno all’Accademia.

La testimonianza di Senofonte, ad eccezione dei primi due capitoli dei Memorabili, risale quasi certamente a un trentennio dopo la morte di Socrate e il suo autore non si fa certo apprezzare per intelligenza di problemi filosofici; nella testimonianza di Aristofane, infine, Socrate è un simbolo, anche se certi tratti dovevano renderlo riconoscibile.

Non resta pertanto che Platone e più precisamente il Platone dei dialoghi " giovanili " o “ socratici ": certo si tratta, ancora una volta, di un Socrate "interpretato", ma un’interpretazione che implica pure un’adesione e una difesa ed è perciò attendibile storicamente.

I discorsi che Platone mette in bocca a Socrate in tribunale e in prigione non possono essere invenzioni (molte persone li avevano ascoltati né ebbero mai ritrattazioni) e in tali discorsi è possibile rinvenire la filosofia di Socrate.

Il filosofo ateniese prende parte a quello stesso soggettivismo tipico dei sofisti. Ognuno ritiene vero solo ciò che appare tale alla sua riflessione; Socrate medesimo dichiarava di lasciarsi persuadere solamente da quel ragionamento che gli apparisse il migliore dopo un adeguato esame critico. Tuttavia è proprio in tale esigenza di un adeguato esame critico che Socrate supera l’atteggiamento sofistico; giacché essa esclude che le opinioni altrui siano ritenute solo difficoltà da superare in qualunque maniera, e che coloro che le sostengono siano valutati solo come avversari da vincere in una gara oratoria o come inetti da affascinare con dei bei discorsi.

Non si può in altre parole, essere certi della propria verità sino a quando non si sia confrontata con le verità altrui. Ecco, così, che accanto al diritto al rispetto del proprio punto di vista nasce il dovere di comprendere il punto di vista altrui: quel dovere di esaminare e di discutere, di dialogare che Socrate attuò per tutta la sua esistenza e che considerava il dovere supremo per l’essere umano e al tempo stesso vuol dire collaborare a una comune ricerca della verità.

Socrate è certo che solo da un vero dialogo filosofico possono scaturire valori e verità comuni cioè universali; allo stesso tempo non ha la presunzione dogmatica di possedere già questi valori e verità. Egli sa solamente, in tal senso, di non sapere e proprio per questo motivo vuole ricercare, esaminare, discutere; e fronteggiare la sapienza apparente ma non reale dei suoi interlocutori.

Il “sapere di non sapere” diviene la forma più efficace dell’ironia socratica, che é dissimulatrice, né scherzosa, né ingannevole, bensì maieutica della propria ignoranza. Attorno a tale atteggiamento importantissimo si dispongono e prendono senso le altre dottrine che possiamo con maggior certezza attribuirgli.

Prima di tutto quella per cui "nessuno fa il male volontariamente" cioè per il gusto di fare il male; ognuno agisce in funzione dei propri convincimenti e fa ciò che ritiene sia il bene per se stesso. Se fa il male, ciò é dovuto solamente al fatto che egli ignora quale sia il vero bene per lui, giacché, se lo conoscesse, la sua volontà e il suo desiderio ne sarebbero irresistibilmente attratti, non potendo il bene non presentarsi che come ciò che è massimamente preferibile.

Tale motivo dell’attraenza del bene da un lato non è altro che la riaffermazione del dovere di comprendere e dall’altro è il fondamento della dottrina socratica dell’identità di scienza e di virtù, di consapevolezza e di azione, e della riduzione di tutte le virtù particolari a scienza del bene e del male in generale.

Secondo Socrate è meglio subire che compiere le ingiustizie, infatti, con tale affermazione giustificò il suo fermo rifiuto a sottrarsi al processo e alla condanna. Per queste sue idee, per la sua coerenza con cui le tradusse in pratica, Socrate é sempre stato una delle figure centrali della storia del pensiero, un ideale di saggezza e di spirito critico, cui la coscienza dell’uomo non ha mai finito di richiamarsi.

La fondamentale preoccupazione di Socrate fu di ricercare un sapere che fosse sicuro, una conoscenza che si potesse considerare valida e vera. Egli polemizzò con i sofisti, i quali proclamavano l’impossibilità di giungere a una qualsiasi verità, la filosofia pareva difatti caduta nel precipizio di un individualismo incapace, nell’empasse di un relativismo che non donava più nessun sostegno.

Socrate aveva l’intenzione invece di indagare l’occasione di una vera conoscenza, una conoscenza che potesse oltrepassare lo scetticismo dei sofisti. Egli pertanto, si è fatto interprete della volontà di rifondare la filosofia prendendo il via da piattaforme sicure. Socrate affermava spesso di non sapere cosa fosse la verità: "so di non sapere" (egli lo dichiarò persino al processo). All’apparenza pareva una specie di captatio benevolentiae, uno slogan ispirato all’umiltà, in verità voleva esprimere un qualche cosa di più dirompente.

Socrate si era avveduto che attorno a lui, fra i saggi della sua epoca e fra le persone che incrociava nell’agorà, tutti erano sicuri di conoscere la verità. I sofisti, ad esempio, erano convinti di aver capito che la sola verità era l’incapacità di giungere a una verità, molti altri credevano di conoscere il significato di "azione giusta", ma in verità, incalzati da Socrate, si rendevano conto di non conoscerlo con esattezza.

Socrate si è reso conto che tutti "credevano di sapere", invece lui dichiarava con convinzione di "sapere di non sapere". Con questo voleva dire che le probabili verità che si davano per certe e sulle quali la filosofia, la società e gli attori politici costruivano i loro principi, erano in realtà verità valide, la verità si doveva ancora raggiungere.

Tutto questo era motivo di volubilità sociale e politica e fu capace di attrarre su di sé la satira e il disprezzo della società, e l’azione conseguente delle autorità politiche, tanto che fu condannato a morte per le sue idee. L’elemento principale ma altresì incredibile del pensiero socratico è l’ignoranza, innalzato a movente indispensabile del desiderio di conoscere.

L’immagine del saggio secondo Socrate è del tutto differente a quella del sapientone, vale a dire del sofista. Le fonti storiche che ci sono giunte riferiscono di Socrate come una personalità animata da una grande sete di verità e di conoscere, che però parevano continuamente sottrarsi. Egli affermava di essersi persuaso a tal punto di non sapere, e di non ritenersi un dotto. Platone, nella sua opera “l’Apologia di Socrate” ,ci viene descritto come egli abbia preso consapevolezza di ciò a partire da una particolare vicenda.

Un suo amico, Cherofonte, aveva domandato alla Pizia, la vestale dell’oracolo di Apollo a Delfi, chi fosse la persona più sapiente e lei rispose che era Socrate. Egli era a conoscenza del fatto di non essere il più dotto e perciò intendeva provare come l’oracolo si fosse sbagliato dialogando con quelli che erano noti alla collettività, per essere molto colti, in particolar modo gli attori politici. Ma al termine del raffronto, riferisce Socrate, questi, messi dinanzi alle proprie incoerenze (l’aporia socratica) e incapacità, si stupirono ed ebbero un senso di smarrimento, facendosi vedere per quello nella realtà erano: dei presuntuosi ignoranti che non erano al corrente di esserlo. «Allora capii, dice Socrate, che veramente io ero il più sapiente perché ero l’unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante. In seguito quegli uomini, che erano coloro che governavano la città, messi di fronte alla loro pochezza presero ad odiare Socrate». «Ecco perché ancora oggi io vo d’intorno investigando e ricercando… se ci sia alcuno… che io possa ritenere sapiente; e poiché sembrarmi che non ci sia nessuno, io vengo così in aiuto al dio dimostrando che sapiente non esiste nessuno».

Egli pertanto "investigando e ricercando", conferma l’oracolo del dio, mostrando in questo modo l’insufficienza della classe politica dirigente. Da qui le accuse dei suoi rivali: egli avrebbe suscitato la contestazione giovanile insegnando con l’utilizzazione critica della ragione a rifiutare tutto quello che si vuole imporre per la forza della tradizione o per una valenza religiosa.

Socrate in verità (sempre secondo la testimonianza di Platone) non intendeva per nulla contestare la religione tradizionale, né corrompere i giovani incitandoli alla sovversione. Il metodo socratico dell’elenchos è formato di domande e risposte che riguardano le definizioni o logoi (singolare logos), cercando di identificare le peculiarità generali condivise da varie istanze particolari. Poiché tale metodo punta ad estrarre le spiegazioni implicite nelle idee e convinzioni dell’interlocutore, o a sostenerlo nel rendere migliore la sua comprensione, fu chiamato metodo della maieutica.

Aristotele assegnò a Socrate l’invenzione del metodo della definizione e induzione, che era vista come l’essenza del metodo scientifico. Inspiegabilmente tuttavia, Aristotele dichiarò anche che questo metodo non fosse idoneo all’etica. Socrate ha applicato il suo metodo all’esame dei concetti morali indispensabili del tempo, come ad esempio le virtù di pietà, saggezza, temperanza, coraggio, e giustizia. Attraverso tale esame sfidò le assunzioni sottintese nei convincimenti morali degli interlocutori, mettendone alla luce le incoerenze e le carenze, e creando in loro in maniera naturale la meraviglia e lo scombussolamento conosciuto come aporia. Per quanto concerne tali mancanze, Socrate da sempre proclamò la propria ignoranza, invece altri proseguirono nel ritenere di essere dotti. Socrate ribatté che, essendo cosciente della propria ignoranza, egli era più saggio di quelli che, essendo ignoranti, continuavano nel proclamare la propria conoscenza. La coscienza del “sapere di non sapere” è una conoscenza e una verità lampante e indiscutibile, che fornisce la prova che la verità e la coscienza esistono e sono possibili. Socrate pose il “sapere di non sapere” a principio di qualunque altra verità e conoscenza. Il nostro filosofo adoperò tale dichiarazione come fondamento dei propri incitamenti morali.

Il pensatore greco riteneva che la fondamentale virtù fosse la cura della propria anima mediante la verità e conoscenza, che la ricchezza non conduce alla virtù, invece la virtù conduce alla ricchezza e ad ogni altra riconoscenza, sia all’individuo, sia allo stato, e che una vita senza indagine non valesse la pena di essere vissuta. Il filosofo ateniese riteneva pure che patire un torto fosse meglio che farlo. Ci si domandava come condurre alla luce la verità che qualunque individuo tiene chiusa nella propria coscienza? Socrate si considerava un ostetrico di anime (difatti, la maieutica è "arte dell’ostetricia"), il suo dovere non era tanto chiarire la verità (del resto egli "sapeva di non sapere"), quanto invece quello di sostenere l’interlocutore nel far uscire fuori la verità da sé, poiché ciascun singolo, come si è detto, viene a contatto con la verità nell’intimità non interposta della propria coscienza.

Socrate si aggirava perciò per l’agorà a prima vista indifferente, ma competentemente e intelligentemente s’inseriva nei discorsi delle persone e faceva vedere loro come la maggior parte delle convinzioni che pensavano di avere fossero in verità mendaci o false, facendo vedere come in realtà non sapessero ancora di non sapere. Una volta privata delle immoralità la cattiva coscienza e dall’immodestia di sapere, Socrate cominciava a fare all’interlocutore una domanda, e ad ogni risposta prendeva spunto per farne una nuova, fino a quando tutti e due si attestavano su una verità condivisibile.

Socrate non era tanto un messaggero di verità in sé, ma il messaggero di un procedimento attraverso il quale favorire il conseguimento della verità. Mediante la tecnica del dialogo e della dialettica, che era la forma che Platone utilizzava nelle sue medesime opere, Socrate era in grado di conseguire dall’interlocutore quel parto della verità che costituiva il significato ultimo della maieutica. Per la tanta serafica tenacia, che il pensatore Ateniese ostentò, giustamente gli fu dato lo pseudonimo di "tafano di Atene".

Il processo a Socrate ebbe luogo nel 399 a.C. e il pensatore ateniese lo affrontò “a modo suo”. L’accusa era di deviare gli adoloscenti e di non credere agli dei. La votazione dei giurati fu a lui sfavorevole. Socrate affrontò i giudici ritenendo che invece di condannarlo la comunità avrebbe dovuto mantenerlo a spese della città. Tale affermazione ovviamente irritò tutti i presenti. Quando venne data lettura del verdetto, come riferisce Platone nel dialogo del Critone Socrate rifiutò di cedere agli inviti degli amici che volevano preparagli una fuga corrompendo le guardie carcerarie. Socrate non fuggirà alla sua condanna giacché «è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che farla». Bevve la cicuta e morì, sembrando piuttosto sereno.

Nel corso del processo affermò spiritosamente di sé: «Sono stato come un tafano, un insetto che punge un animale sonnacchioso». Poi, aggiunse un po’ presuntuosamente: «Io sono stato l’insetto che vi ha tenuto svegli, se me ne vado, voi vi addormenterete e finirete nell’ottusità».

Considerando l’opera educativa di Socrate, pare misteriosa la sua condanna a morte. L’accusa, che come abbiamo visto fu d’irreligiosità e di corruzione dei giovani sembra non convincere. Infatti, egli nella concezione religiosa accoglie la tradizione e ammette il culto degli dei, anche se sceglie il monoteismo. Sul terreno del confronto politico egli è nemico della democrazia ateniese, della quale condanna i sistemi inconcepibili, come quello di affidare a sorte le cariche pubbliche, invece, egli è a favore della costituzione di un governo aristocratico retto dagli uomini migliori e capaci. Ma questi non possono essere elementi sufficienti per una sentenza di morte. Piuttosto lo spirito nuovo di Socrate non fu percepito dai suoi pubblici accusatori: l’indagine che si basa sugli approfondimenti e mai soddisfatta, il dubbio e la critica contro i nemici e i sistemi comuni e tradizionali di vita, la disapprovazione di una virtù meramente esteriore, si opponevano chiaramente ai metodi e alla concezione dell’antica civiltà greca e sradicavano le basi dell’autorità costituita, delle leggi, dei costumi. Per tale ragione l’insegnamento di Socrate fu giudicato colpevole, perché considerato causa di corruzione delle nuove generazioni. Il nostro filosofo, al contrario, si dichiarò incolpevole e benefattore dei concittadini e addirittura avanzò la pretesa del mantenimento a carico dello stato per i suoi meriti, che evidentemente, anche se riconosciuti, di certo non potevano essere premiati da parte di chi lo riteneva una pedina scomoda in grado scardinare l’intero sistema sociale che invece bisognava mantenere inalterato.

Aristotele

Vita e opere Aristotele, pensatore greco (Stagira 384 – Calcide 322 a. C.), figlio di Nicomaco, medico del re di Macedonia Aminta II, si recò diciottenne ad Atene per proseguire gli studi e frequentò l’Accademia platonica per circa vent’anni (dal 366 al 347). Alla morte di Platone si allontanò da Atene e visse presso Ermia, despota di Atarneo, ad Asso nella Misia, dove vi era una comunità filosofico – politica di vocazione platonica, poi a Mitilene e quindi di nuovo in Macedonia, dove il sovrano Filippo gli affidò l’educazione di Alessandro.

Tornò ad Atene, famoso per sapienza e saggezza, quando Alessandro salì al trono, e aprì una scuola nei pressi del tempio di Apollo Licio, un ginnasio-palestra, dotato, come al solito, di un giardino e di un luogo per la passeggiata (perìpatos). Peripatetica fu chiamata la scuola di Aristotele, dato che il Maestro teneva almeno una parte dei suoi corsi passeggiando.

Alla morte di Alessandro (323) il partito nazionalista accusò di empietà Aristotele, il quale, lasciato il liceo nelle mani di Teòfrasto, si ritirò a Calcide, dove si spense l’anno successivo.

Attualmente, abbiamo circa una cinquantina di opere e di trattati scientifici — detti acromatici, perché esposti a voce, non sempre tuttavia nella forma e nella composizione originaria, e pochi frammenti, spesso in forma dialogica degli scritti rivolti al gran pubblico (le così chiamate, opere esoteriche: Eatidemo, Salla jilosoyia, Protreptico).

Possiamo indicare quattro gruppi di scritti aristotelici secondo una divisione del sistema, alla quale accenna il pensatore medesimo.

1) Scritti di logica, noti col titolo non aristotelico di Organon, che comprendono: Sull’interpretazione, Categorie, Analitici, Topici, Elenchi sofistici, e i 14 libri della Metafisica (anche questo titolo non di Aristotele che chiamava questa scienza "‘ Filosofia prima " o " teologica ");

2) Scritti di filosofia della natura: Sull’anima, Sul cielo, Sulle meteore, 8 libri di Lezioni di Fisica e altri trattati sulla storia, la vita e le parti degli animali;

3) Scritti di filosofia pratica; Etica Nicomachea, Etica Eudemia, Politica , la Costituzione degli Ateniesi

4) Scritti di poetica: Poetica e Retorica.

Pensiero dell’autore Dopo aver ascoltato Platone per vent’anni, Aristotele si distacca dal pensiero del maestro. L’esigenza importantissima in lui é di rimuovere quel duplicato della realtà, che sono le idee, facendo di esse non solo l’essenza delle cose, ma altresì il principio che ne sancisce la vita e lo sviluppo.

Mentre crolla in tal modo la costruzione platonica del mondo iperuranio, si delinea la possibilità di conoscere in modo scientifico il mondo naturale e organico, che ubbidisce a sicure leggi. Ma si struttura altresì quella metafisica aristotelica della materia e della forma, come potenza e atto, che vede la realtà ordinata secondo gli stadi di una reale percezione e diretta verso un fine ultimo, che o nello stesso tempo causa motrice e motore immobile di tutto il processo: Dio.

La metafisica di Aristotele ha a suo fondamento l’idea di un Dio che nella sua essenza è ragione. Ma Dio è pure, indirettamente, causa della particolare strutturazione dell’universo, cioè del suo assetto fisico. Si ordinano, difatti, secondo il criterio della maggiore vicinanza a Dio, i cieli fatti di etere, poi il fuoco, l’aria e l’acqua. Nel punto più basso di questo unico cosmo, conchiuso e finito, al centro della sfera, gravita la Terra. I cieli l’avvolgono, e perifericamente a tutto vi è Dio, che perpetua, con l’attrazione che esercita, il movimento.

Tali dottrine fisiche aristoteliche rappresentano la base di quel sistema astronomico, detto tolemaico, che sarà demolito solo nel Rinascimento dalla rappresentazione eliocentrica di Copernico. Le quattro essenze sublunari (terra, acqua, aria, fuoco) compongono, mischiate, i corpi terreni, i quali si distinguono in: inorganici, organici, viventi, animati, intelligenti. Gli animali hanno senso e appetito, e in più una capacità di movimento, che li contraddistingue dai vegetali. Fra gli animali l’uomo è dotato di ragione, oltre che di sensibilità di memoria.

La ragione o la capacità di ricevere le idee, cioè le essenze delle cose, da parte di una intelligenza attiva che sola è in grado di fornirgliele in occasione delle attestazioni dei sensi (nihil est in intellectu quod prius non fuerit in senso). Quando però quel rapporto particolare di materia e forma, che rappresenta l’individuo, si rompe con la morte, e l’anima non ha possibilità di una sopravvivenza autonoma, l’intelligenza attiva, che è propria di Dio, non ha più modo di esercitare la sua funzione e si ritrae.

Aristotele, come esclude la possibilità di sopravvivenza dell’anima individuale, cosi nega un’autentica intelligenza attiva all’uomo. L’intelligenza non ha solamente funzione conoscitiva. Gliene è attribuita anche un’altra, che è quella di controllare gli affetti, tenendoli lontani da quelle oscillazioni in eccesso o in difetto, proprie di ciò che non è razionale.

Qui è il fondamento dell’etica aristotelica, che ha una base rigorosamente razionale. Pure se il fine dell’agire si presenta come ricerca della felicità, la felicità che compete all’uomo o quella che deriva dall’appagamento di quello che egli ha di peculiare, cioè la ragione. Questo però non implica che la felicità scaturente dalla soddisfazione degli appetiti naturali debba essere fuggita.

Aristotele non condivide il rigorismo etico di Platone, che respinge tutto quello che in etica sia mescolato di sensibile. L’operosità della ragione nel campo dell’etica dà origine a tre virtù da Aristotele definite dianoetiche: prudenza, sapienza, intelligenza. In quanto moderatrice degli affetti, la ragione realizza le virtù del giusto mezzo (etiche), equidistanti dagli eccessi: la forza d’animo (media tra temerarietà e paura), la temperanza (lontana sia dall’ingordigia che dall’astinenza), la liberalità (che non è prodigalità, nè avarizia). Tra queste virtù del giusto mezzo, quella che tutte le riassume è la giustizia, con cui a ciascuno é attribuito ciò che gli compete.

Avendo la giustizia come suo scopo, lo Stato è il luogo proprio dove può realizzarsi quella felicità a cui legittimamente aspira la natura dell’uomo mediante l’esercizio della virtù. Aristotele non indulge nella descrizione dello Stato ideale, ma analizza gli Stati reali e le loro costituzioni.

Lo Stato è propriamente esercizio del comando. Questo può essere indifferentemente esercitato da uno solo, dai migliori, da tutto il popolo, senza che nessuna delle corrispondenti forme di Stato (monarchia, aristocrazia, repubblica) possa pretendere di essere l’unica e l’ottima. E viceversa ciascuna di siffatte forme, quando perde di vista l’ scopo specifico del bene della comunità e a questo sostituisce l’utile particolare, decade in una forma degenerativa (tirannia, oligarchia, demagogia).

Appare connaturata alle teorie politiche di Aristotele quella tendenza sistematica, che già si era manifestata nel campo dell’etica, con l’elencazione delle virtù, e che si sarebbe espressa pure a proposito della retorica, con la distinzione dei generi dell’eloquenza (dimostrativa, deliberativa, giudiziaria), o a proposito dell’arte con la classificazione delle varie forme di poesia, o nell’ambito degli studi naturalistici.

In uqesto modo appare il genio sistematico del pensiero greco. Non si comprenderebbe a pieno tale aspetto del pensiero aristotelico e la funzione da esso per secoli esercitata qualora non lo si cogliesse nelle sue radici, nella logica, vale a dire nello strumento con il quale si opera l’analisi quel pensiero che fornisce teorie metafisiche, fisiche, etiche, politiche, estetiche. In questo modo la logica acquisisce carattere di pregiudizialità e diventa il fondamento di tutte le altre dottrine. Tale carattere formale spiega anche l’universale accettazione cui andò incontro la logica, la quale era utilizzabile, come di fatto é accaduto, anche per esperienze intellettuali differenti da quella aristotelica.

Aristotele parte da una indagine del discorso, le cui parole definiscono o sostanze, o proprietà delle sostanze. Fornisce in questo modo una tabella di dieci categorie sostanza (p. es.: l’uomo), quantità (p. es.: due cubiti), qualità (p. es.: bianco), relazione (p. es.: maggiore), il dove (p. es.: in Atene), il quando (p. es.: ieri), la situazione (p.es.: siede, giace), lo stato (p. es.: e armato), l’agire (p. es.: taglia), il patire (p. es.: è tagliato). Queste categorie, oltre a istituire i dieci essenziali modi dell’essere, rappresentano i dieci predicati essenziali del giudizio, che consiste appunto nella attribuzione o negazione di un predicato a una sostanza.

Il giudizio può essere affermativo negativo, vero falso, universale oppure particolare. I giudizi sono legati fra di loro in due modi. Vi e una forma di ragionamento che va dai particolari all’universale. Questo ragionamento si fonda principalmente sull’esperienza e mira a generalizzarne i risultati. Il suo livello di indubitabilità non è mai assoluto, e solo a poco a poco crescente in rapporto alla larghezza dell’esperienza su cui si fonda.

Vi è un’altra forma di collegamento, per cui dall’universale si passa al particolare il sillogismo. Esso e il metodo dimostrativo per eccellenza e consiste nella connessione di due giudizi mediante un termine medio: p. es. "Gli uomini sono mortali. Socrate è un uomo. Socrate è mortale". Il concetto di uomo, mentre é proclamato, (identico a quello di mortale, diventa predicato di Socrate, il che consente di concludere circa la mortalità di Socrate medesimo. La conclusione di un sillogismo può divenire premessa di uno successivo. La catena dei sillogismi è però connessa a degli assiomi, vale a dire principi subito certi e indimostrabili, sul cui fondamento di verità si fonda il pensiero.

Il sillogismo può a volte prendere il via da premesse che non sono probabili, e divenire in questo modo pura tecnica dell’inganno. Ma pure l’inganno sofistico presuppone il riconoscimento di principi logici (universali, cui sempre il pensiero ubbidisce nel suo procedere: il principio di identità e di non-contraddizione, per cui una cosa non può essere contemporaneamente se stessa e il suo contrario).

Il principio di identità, nella consapevolezza di Aristotele, è stato il principio logico supremo, cui si é ispirata per due millenni tutta quanta la civiltà occidentale: non solo la filosofia, ma pure la matematica e la scienza. Esso ripresenta limitata in termini logici la concezione parmenidea dell’essere immutabile. Per tale concezione il divenire era una irrazionale apparenza. Il pensiero moderno è stato invece nella sua essenza affermazione del divenire. Ha qui la sua ragione di essere quella opposizione ad Aristotele che contraddistingue il pensiero moderno, dal Cinquecento in poi.

Nel periodo ellenistico greco-romano il pensiero e la scuola di Aristotele non ebbero grande fortuna, ma la prima età cristiana se si eccettua il lavoro dei commentatori Alessandro, Temistio, Simplicio — mostrò molto interesse per Aristotele. Nella Scolastica le opere aristoteliche diventarono invece sia testi ufficiali (San Tommaso), in seguito alle traduzioni arabe sostenute da califfi illuminati e alle traduzioni latine, dall’arabo prima e dal greco poi, che da Toledo e dalla corte di Sicilia si diffusero in tutto il mondo cristiano.  Sono di tale periodo anche i grandi commenti ebrei e arabi di Avicenna e Maimonide.

Nell’Umanesimo e nel Rinascimento sono rilevanti la filologia aristotelica e la disputa fra averroisti (commentatori arabi di Aristotele) e alessandristi (commentatori greci) specialmente alle università italiane di Padova e di Bologna (Pomponazzi).

L’aristotelismo é inoltre al centro della polemica circa la nuova visione del mondo e della scienza. Nell’epoca moderna cadrà il sistema fisico e astronomico di Aristotele, ma la Filosofia e la scienza nelle loro parti e nella loro totalità, nei fondamenti e nel compito ad esse assegnato, sono creazioni aristoteliche e costituiscono ancor oggi il contenuto del nostro patrimonio filosofico e culturale.

Greco di ascendenza (Stagira era colonia jonica) Aristotele vede crollare la città-stato (polis) e assiste agli inizi della ellenizzazione del mondo mediterraneo, ma come precettore egli ha certamente trasmesso ad Alessandro l’essenza della civiltà della polis l’idea che "tutti" gli uomini possono diventare cittadini di un "solo" Stato, in quanto essi hanno una sola e stessa natura e che l’impero, d’altra parte, deve poter essere l’espressione non di una casta o popolo, ma di una civiltà.

Come fondatore del Liceo, Aristotele ha dimostrato in maniera definitiva che la ricerca specializzata (fisica, storica, naturalistica), vale a dire il lavoro dello scienziato, deve radicarsi nell’universalità dell’ideale, della filosofia, vale a dire nella visione che l’uomo ha di sé e del mondo in cui vive. Ogni pensatore è uomo del proprio tempo e pertanto presenta consapevolmente il suo sistema all’interno di una evoluzione culturale. Per tali motivi fondamentali oggi possiamo dire che Aristotele è il mediatore della cultura del mondo greco classico e il pensiero medievale e moderno.

L’aristotelismo era indirizzato, per la forza speculativa che lo caratterizza, a rimanere nei secoli il punto di riferimento indispensabile degli studiosi, sia per quanto concerne il mondo fisico che per quanto concerne i problemi della logica, della metafisica, dell’antropologia, dell’estetica, dell’etica e della politica.

Il prestigio scientifico di Aristotele riguardo allo studio della natura fisica (biologia, fisica, astronomia) entrò in crisi e cadde poi per sempre agli inizi dell’età moderna, principalmente con Galileo e con l’avvento delle scienze “positive”, viste come conoscenze differenti e spesso pure avverse alla filosofia della natura; invece, la logica, la metafisica e l’etica di Aristotele hanno sempre attraversato le crisi culturali accadutesi lungo la storia, e ancora adesso la proposta aristotelica trova persuasi ed interessati studiosi.

La logica Aristotelica fu sviluppata dai pensatori stoici prima dell’arrivo della religione cristiana; in seguito, il mondo cristiano latino entrò in possesso della logica di Aristotele grazie alle versioni in latino di Severino Boezio. Nel Medioevo la logica aristotelica fu mantenuta, studiata e irrobustita senza soluzione di continuità, principalmente a prendere il via da Abelardo e in seguito da Tommaso d’Aquino, per terminare con Giovanni Duns Scoto.

Nell’età moderna, come risposta all’abbandono della logica aristotelica da parte di Hegel, una nuova spinta agli studi aristotelici fu determinata dall’opera di Adolf Trendelenburg. In seguito, il pensatore tedesco Franz Brentano determinò una svolta nella filosofia europea del primo Novecento riprendendo dalla logica aristotelica e scolastica la concezione di ”intenzionalità. Similmente, nello stesso periodo, l’americano Charles Sanders Peirce sviluppò in maniera fondamentale gli studi di logica su basi aristoteliche.

Connessa alla logica, la retorica di Aristotele è stata di nuovo al centro degli studi di molti autori che nel Novecento si sono occupati alle scienze sociali (come Theodor Viehweg e Chaim Perelman), rinvenendo in Aristotele il metodo topico-dialettico.

La metafisica di Aristotele non fu nota nel mondo latino agli inizi del Medioevo, ma fu mantenuta dagli Arabi che la tramandarono in seguito ai latini nel secolo XIII, dando inizio ai sistemi di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino (vedi cap X). Nel Rinascimento la tradizione aristotelica, in parte combattuta ed discriminata, fiorisce nella scuola padovana (Pietro Pomponazzi).

Nell’Ottocento, come reazione alla filosofia idealistica di Hegel, Adolf Trendelenburg ripropone il pensiero di Aristotele. Nel ventesimo secolo hanno riesaminato con interesse le dottrine metafisiche di Aristotele autori rilevanti come Hans-Georg Gadamer e Joachim Ritter. L’etica di Aristotele viene nel nostro tempo riscoperta dai ricercatori europei e americani, specialmente grazie all’importante saggio sulla concezione di “virtù” a cura dello scozzese Alasdair MacIntyre negli anni Sessanta in America e prestissimo reso in tutte le lingue dell’occidente.

Per quanto concerne in particolare l’etica pubblica o politica, nella seconda metà del Novecento molti scrittori tedeschi (come ad esempio Leo Strauss, Hannah Arendt, Eric Voegelin, Wilhelm Hennis e Hans Maier) si sono rifatti ai principali principi dell’aristotelismo. La filosofia di Aristotele, alla stregua di quella di Platone, era destinato a restare per sempre una categoria fondamentale del filosofare, difatti Aristotele viene studiato e spiegato nell’età ellenistica e dai pensatori neoplatonici; rimane un pilastro fondamentale della filosofia cristiana, principalmente dopo Boezio e diviene il Filosofo per antonomasia nel XIII secolo e per tutto il periodo rinascimentale dove la il suo pensiero predomina sul piano della logica e del naturalismo.

Falsificare e corroborare le teorie [Karl Popper]

popper.pngIo ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall’esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che come criterio di demarcazione (tra scienza e non-scienza) non si deve prendere la ‘verificabilità’ ma la ‘falsificabilità’ di un sistema.

In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di esser scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dalla esperienza". Popper,K.R. (1902 – 1994), Logica della scoperta scientifica.

"Il mio problema è: come cresce la nostra conoscenza? La mia soluzione è uno schema tetradico molto semplificato del metodo di eliminazione per prove ed errori:
                                                              P1—>TP—>EE—>P2
P1 denota qui il problema dal quale partiamo e può trattarsi di un problema pratico o teorico;

  • TP è una teoria provvisoria che proponiamo per risolvere il problema;
  • EE denota un processo di eliminazione degli errori, attraverso controlli critici, o un processo di discussione critica;
  • P2 denota infine i problemi coi quali concludiamo: i problemi che emergono dalle discussioni e dai controlli.

L’intero schema indica che partiamo da un problema pratico o teorico. Tentiamo di risolverlo creando una teoria provvisoria come nostra soluzione: questa è la nostra prova. Sottoponiamo poi la nostra teoria al controllo, tentando di falsificarla: questo è il metodo critico di eliminazione degli errori. Il risultato di tutto questo è l’emergere di un nuovo problema P2 (o magari di svariati nuovi problemi). Il progresso compiuto, o la crescita della nostra conoscenza, può normalmente essere stimato in base alla distanza tra P1 e P2, e sapremo allora se abbiamo fatto qualche progresso. In breve il nostro schema dice che la conoscenza parte da problemi si conclude con problemi (se mai si conclude)." La conoscenza e il problema corpo mente.

"Questa … è la via più sicura per la perdizione intellettuale: abbandonare i problemi reali per i problemi verbali … La degenerazione delle scuole filosofiche è a sua volta la conseguenza della credenza erronea che si possa filosofare senza esservi spinti da problemi che sorgono al di fuori della filosofia … I problemi filosofici genuini sono sempre radicati in urgenti problemi esterni alla filosofia, e scompaiono se tali radici deperiscono … Tali radici vengono facilmente dimenticate dai filosofi che studiano la filosofia invece di essere costretti a ricorrere ad essa dalla pressione dei problemi non filosofici " La ricerca non ha fine.

“Quel che conta non sono i metodi o le tecniche, ma una certa sensibilità ai problemi e un’ardente passione per essi; o, come dicevano i Greci, la dote naturale di provare meraviglia … Possiamo dire che la nostra conoscenza si accresce man mano che procediamo da vecchi problemi a nuovi problemi per mezzo di congetture e di confutazioni, per mezzo della confutazione delle nostre teorie, o più in generale, delle nostre previsioni e attese”. Congetture e Confutazioni: la crescita del sapere scientifico.

Il primo pensiero di Popper, tratto dalla Logica della scoperta scientifica, è una presa di posizione in favore della falsificazione e discende dalla sua critica all’induzione, al principio di causa ed effetto e al principio di verificabilità dei positivisti logici (a favore dell’induzione vedi Bacone; contro Hume ).

Anche nelle organizzazioni quando si vuole sottoporre a controllo una ipotesi, candidata a spiegare certi eventi, si tenta di verificarne la validità effettuando degli esperimenti (ad esempio simulazioni, test di mercato, sondaggi, uso di prototipi ecc.); se un certo numero di esperimenti dà risultati concordi con quelli della ipotetica teoria questa viene accettata come valida: "… una teoria è la rete che noi gettiamo per catturare il mondo".

Popper mette però in guardia contro conclusioni affrettate: per quanto grande il numero delle verifiche fatte non si può mai essere certi della bontà di una congettura. Meglio sarebbe tentare di falsificare l’ipotesi, basterebbe infatti un solo caso negativo per confutarla definitivamente, d’altro canto quanti più test essa dovesse superare tanto più risulterà corroborata e potrà così ritenersi valida almeno sino a prova contraria. Albert Einstein, che aveva ben compreso l’importanza della falsificazione, scriveva: ’Nessuna sperimentazione potrà mai provare che ho ragione. Un singolo esperimento può da solo dimostrare che ho torto’.

Il secondo pensiero di Popper è specificatamente rivolto al problem-solving; l’importanza di questo tema è da lui ribadita nel seguente passo anch’esso tratto da La Conoscenza e il problema corpo mente: "… asserisco che tutti gli organismi affrontano problemi, e sono sempre problem-solving – anche quando si dorme si è problem-solving. Quando sto tranquillamente seduto come adesso, ci sono centinaia di muscoli attivi nel mio corpo che, attraverso una sorta di metodo per prova ed errore e retroazione (vedi Wiener), mi impediscono di andare troppo a destra e troppo a sinistra e così mi tengo dritto".

L’importanza del problem solving e dello schema tetradico (P1—>TP—>EE—>P2) per le organizzazioni è ben descritto dallo stesso Popper: "Il problema originario di Henry Ford era ‘come possiamo fornire trasporti adeguati ai vasti spazi degli Stati Uniti?’ . Questo era il suo P1. Egli propose la teoria: ‘costruendo un auto economica’. Questo portò attraverso variate prove ed errori a un nuovo problema: ‘come possiamo fornire le strade e i parcheggi necessari per le nostre automobili ?’. Il problema originario P1 era il problema del trasporto. Il nuovo problema P2 è il problema del traffico".

Il terzo pensiero, tratto dalla raccolta La ricerca non ha fine è anch’esso centrale per una pratica del problem solving. In polemica con Wittgenstein, che pensava di poter ridurre tutti i problemi ad aspetti o giochi linguistici, Popper ha sostenuto che esistono problemi reali alla cui soluzione la filosofia può dare contributo concreto. Forse questo può spiegare il successo di Popper al di fuori della filosofia, in particolare tra gli scienziati, i trader e coloro che prendono decisioni.

Nella vita delle organizzazioni le trappole dei problemi verbali, del linguaggio e della cattiva comunicazione non saranno mai sufficientemente considerate. Pensare però di ridurre tutti i problemi ai pur importanti problemi linguistici appare a chi scrive estremamente riduttivo. Nelle imprese e nei loro progetti esistono, oltre ai problemi di comunicazione, quelli connessi con lo scopo del lavoro, i relativi rischi, i tempi di realizzazione, i costi da sostenere, gli standard di qualità desiderati, gli approvvigionamenti e i contratti da gestire, le risorse umane e la valorizzazione del capitale intellettuale e in generale la sostenibilità economica, sociale e ambientale delle strategie di lungo periodo. Tutto questo va ben oltre i problemi di linguaggio e di comunicazione.

Platone

platone-berlino-by-hovistoninavolare.jpgBiografia. Nato ad Atene intorno al 427 a.C. da una nobile famiglia, intraprese l’attività politica fin da giovane, ma in seguito all’arresto e alla condanna a morte del suo maestro Socrate, si ritirò dal mondo della politica per dedicarsi alla filosofia. Probabilmente su questa decisione incise anche la parentela con Crizia, il più autorevole dei Trenta Tiranni.

Dopo la morte del suo maestro egli intraprese una serie di viaggi sia nell’area orientale dell’Africa che in Italia, di preciso a Taranto, dove ebbe modo di cominciare la stesura dei suoi “primi dialoghi” in cui l’autore riportava le discussioni di Socrate relative alla critica delle convinzioni erronee e che confutavano l’innovativo sapere dei sofisti.

Probabilmente Platone, nel 388 fu anche a Siracusa dove ebbe modo di stringere amicizia con Dione, cognato del tiranno. Un anno dopo, fatto rientro ad Atene, fondò l’Accademia, scuola di formazione politico-sociale di cui Aristotele più tardi diverrà componente. Si pensa che in questo periodo l’autore abbia scritto i dialoghi a carattere pedagogico come il Fedro, il Fedone e il Simposio, opere che trattano argomenti che rappresentano il focus della filosofia platonica, come l’immortalità dell’anima e la perennità di ciò che è bello.

Platone su richiesta dell’amico Dione, che approvava le idee politiche del filosofo ateniese, ritorna in Sicilia, a Siracusa, con la speranza di influenzare con la sua filosofia il governo locale del giovane Dionigi I, il quale avendo intuito le intenzioni di Dione lo fece mettere in prigione insieme a Platone, quest’ultimo fu reso servo. Per sua fortuna, il socratico Anniceride di Cirene lo liberò, ed il nostro filosofo fece ritorno ad Atene. Proprio in quel periodo si occupò della redazione di alcune opere come il Parmenide, il Teeteto, il Sofista, ed il Filebo.

Nel 361 a.C. Platone fece il suo ultimo viaggio in Sicilia. Non c’è tuttavia Dione, verso il quale Dionigi nutre un’aperta avversione; i tentativi di Platone di difendere l’amico causano la rottura delle relazioni con il tiranno siracusano che arriva a mettere in carcere il filosofo. Liberato grazie all’intervento di Archita, il pitagorico tiranno di Taranto, amico di tutti e due, nel 360 a.C. Platone lascia la Sicilia per rientrare ad Atene; nel corso del viaggio sbarca ad Olimpia per incontrare per l’ultima volta Dione.

Quest’ultimo preparava uno scontro armato contro Dionigi, del quale Platone tentò inutilmente di fargli cambiare idea: nel 357 a.C. sarà in grado di impossessarsi del potere a Siracusa ma verrà assassinato tre anni dopo.

Ad Atene Platone stese le sue ultime opere, il Timeo, il Crizia, il Politico, il Filebo e le Leggi.

Morì nel 347 a.C. ed il nipote Speusippo gli subentrò nella conduzione dell’Accademia.

Pensiero. Influenzato in maniera forte dalla filosofia di Socrate, Platone continua l’indagine del suo maestro sulla verità mediante una confutazione serrata delle convinzioni. Egli, diversamente da Socrate, va alla ricerca di una conoscenza universale ed essenziale. Tale indagine lo induce alla riscoperta del pensiero di Parmenide, il quale aveva tracciato una scienza dell’essere totalmente indubitabile.

La filosofia di Parmenide in quel periodo, era stata criticata pesantemente dai pluralisti, i quali ritenevano che questa penalizzasse la conoscenza dei fenomeni. Platone, al contrario, rifiuta tale impostazione ed afferma l’esistenza di due forme di realtà e di conoscenza.

Da un lato il nostro filosofo ci presenta la realtà e la conoscenza del mondo sensibile, costituita da cose materiali, dall’altra la realtà e la conoscenza di una dimensione posta al di là di tale mondo, fatto di idee di natura del tutto intelligibile. Affinché la nostra conoscenza delle idee sia efficace bisogna che le idee siano realtà universali e costanti e non soltanto criteri regolativi interni all’intelletto. Secondo il filosofo ateniese le idee sono oggetti di una “visione” tutta intellettuale, che coglie al di là dell’aspetto sensibile, e delle accidentalità individuali, l’universale, quello che ai giorni nostri chiamiamo concetto.

Platone nell’opera Eutifrone presenta un primo modello della teoria delle idee. In tale scritto il nostro filosofo cerca di discernere quello che è santo da ciò che è empio e arriva alla conclusione che quello che è santo deve esserlo sempre, in qualsiasi situazione. Le cose che restano identiche sono tali in quanto possiedono una loro forma, una loro conoscibilità, vale a dire se ne possiede un’idea ben precisa. Secondo la concezione platonica, chi vuole conoscere tutto quello che può essere considerato santo, deve andare alla ricerca del principio in base al quale tutte le cose sante sono tali.

Le idee secondo la filosofia platonica esistono separatamente e anteriormente agli individui materiali in cui si incarnano, esse vengono considerate dei modelli eterni che vengono osservati dal demiurgo il quale ha il compito di modellare la realtà corporea.

Tale visione filosofica del sapere è decisamente in contrasto all’arte della convinzione e della retorica suggerita dai sofisti. Parecchi discorsi platonici hanno l’obiettivo di demolire alcuni insegnamenti dei sofisti. Infatti, nel Gorgia Platone muove una critica alla retorica definendola una pratica della persuasione che si attua attraverso discorsi basati sulla credenza piuttosto che sulla conoscenza.

Nell’opera Menone invece, Platone prova che nell’individuo sono presenti delle idee acquisite fin primo momento che viene messo alla luce. La conoscenza si concretizza nel momento in cui tali idee vengono recuperate.

Il pensatore ateniese muove altresì una critica all’eristica, vale a dire l’arte della controversia che si pone l’obiettivo di far sì che la propria teoria, a prescindere dal fatto che sia errata o corretta, possa prevalere. Platone apertamente si scaglia contro tale arte nell’opera l’Eutidemo.

Riprendendo le dottrine religiose dell’orfismo, il filosofo ritiene che l’anima essendo immortale rinasca più volte, essa conosce molto bene il mondo, per cui il processo di apprendimento si basa sull’esercizio della memoria e del ricordo.

L’autore rigetta la concezione filosofica di Protagora che assegna un nome alle cose per convenzione, infatti nel Cratilo, discorso indirizzato al linguaggio, egli ritiene che tra le cose e i nomi vi è una correlazione di natura, in quanto le cose materiali possiedono una loro natura che di certo non può essere modificata dall’individuo. Assegnare dei nomi alle cose è un’attività di competenza esclusiva degli individui che conoscono, che sanno (i filosofi), dal momento che i nomi verranno attribuiti prendendo in considerazione la natura delle cose mediante l’analisi delle idee di ogni cosa.

L’idealismo platonico prende vigore anche mediante alcuni discorsi che hanno come tema centrale l’amore e l’estetica. Le idee rappresentano l’obiettivo finale cui tende l’anima, e l’anima acquisisce il carattere dell’ immortalità grazie alla sua connessione con le idee proprio per il suo legame con le idee.

Sia nell’opera Il Convivio che nel Simposio l’autore affronta il tema dell’amore. Platone vede l’amore come un’aspirazione che è presente in qualunque individuo, si prova amore sia per il bel corpo che per l’anima bella; esso rappresenta quella forza che spinge il singolo a superare i limiti della sua natura corporea e a rivolgersi verso ciò che è più perfetto e spirituale.

L’amore è aspirazione di avere il bello ed il bene. È intuizione dell’esistenza del bello e del buono da parte di chi non li ha ma li desidera. Mediante tale ambizione l’individuo supera i propri limiti, sale a poco a poco la scala delle cose belle e giunge ad ammirare il bello in sé.

Nel Fedro il pensatore ateniese dà una rappresentazione dell’anima, come principio di vita e di movimento, libera dal corpo e immortale, è raffigurata come un carro trainato da due cavalli con le ali, e quando il cavallo bianco che raffigura le forze del bene emerge su gli altri. Quando prevale il cavallo bianco, che guida gli impulsi buoni e razionali, l’anima spicca il volo nel mondo delle idee, invece quando predomina il cavallo nero che guida le passioni materiali e sessuali, l’anima casca sulla terra ed è indotta a riviversi in un nuovo corpo.

Per il filosofo ateniese l’anima tiene in serbo i ricordi del mondo sacro pure in seguito alla caduta nel corporeo e nel sensibile. La concezione delle cose belle nel mondo sensibile ravviva i ricordi delle essenze osservate nel mondo conoscibile ed infiamma l’anima di un delirio soprannaturale, la configurazione più alta dell’amore.

Nel Fedone Platone riporta le ultime ore del suo maestro Socrate, descrivendolo come uno che nel corso della sua vita era sottoposto ad una specie di morte, in quanto il mondo reale veniva visto come una prigione ed il corpo come un ostacolo per l’anima che non poteva essere liberato verso la scienza. Il momento della liberazione dell’anima si manifesta nel momento in cui egli muore, e così facendo riesce altresì a liberare la scienza dai vincoli del corpo, poiché il corpo dell’uomo in vita è un impedimento per l’anima che non può tendere verso la scienza.

Il filosofo virtuoso vuole cessare di vivere per rendere libero dalla prigione del corpo e per fare ritorno al puro mondo delle idee, in caso contrario raggiungibile solamente con la ricerca inflessibile e distaccata della verità e l’esercizio della virtù.

Nella Repubblica il pensatore ateniese mette in luce una nuova visione dello stato per conseguire l’ideale della conoscenza generale ed indispensabile. Infatti, per Platone lo stato si crea per il soddisfacimento delle proprie esigenze con l’appoggio degli altri, ma la smisurata smania di potere e le mire espansionistiche spesso sono causa di scontri continui con le altre civiltà. Bisogna perciò dare vita ad un esercito di soldati di professione per proteggere uno stato che sia espressione della condivisione dei valori da parte di tutti i consociati.

Platone vede nella abolizione di ogni forma di proprietà privata la massima realizzazione dell’ideale di condivisione che è elemento fondamentale per garantire la pacifica convivenza tra gli individui. Inoltre, lo stato secondo il nostro filosofo, si deve occupare della formazione dei bambini, deve tenere sotto controllo le unioni sentimentali e le donne dovranno essere formate per poter prendere parte con gli uomini alla cosa pubblica.

Per Socrate era rilevante occuparsi principalmente dell’anima, invece il suo allievo ritiene indispensabile prendersi cura anche dello stato. In questo passaggio si assiste ad un superamento dell’orientamento socratico che Platone realizza facendo la distinzione tra tre classi sociali che costituiscono lo stato sulla base di una dottrina dell’anima composta da tre parti. La parte concupiscibile, l’istinto, corrisponde alla classe dei lavoratori, definiti uomini di bronzo. La parte avversa, la forza emotiva, coincide invece con i custodi, considerati uomini d’argento, mentre la parte razionale, la ragione, compete ai governanti, che sono uomini d’oro.

A capo dello stato devono porsi i filosofi che sono depositari del sapere e che possiedono una potenza politica. La forma di governo ideale secondo il nostro autore è il governo aristocratico, l’unico che consente l’incontro fra dominio politico e vera conoscenza, tutte le altre forme come l’oligarchia, la democrazia o la tirannia rappresentano la degenerazione di questo modello considerato perfetto.

Le idee assicurano non solo l’accesso ad una forma di conoscenza vera e universale ma altresì l’unità essenziale e costante del molteplice e del divenire. Attraverso il mito della caverna Platone mostra le tappe della conoscenza umana. Secondo tale mito, gli individui sono bloccati all’interno di una caverna, con le spalle rivolte verso la luce e gli oggetti reali sono al di fuori della caverna, ma gli individui non si possono voltare per osservarli direttamente, loro possono soltanto guardare le ombre che gli oggetti gettano contro le pareti della caverna.

Secondo Platone l’uomo è condannato a poter cogliere mediante la sensazione soltanto le ombre delle idee, e solamente in pochi sono in grado di uscire dalla caverna e rendersi conto della bellezza del reale. È di competenza dei pensatori cercare di condurre gli esseri umani verso la conoscenza delle idee, attraverso lo studio della matematica e l’esercizio della dialettica che insegnano l’ammirazione del bello e del mondo reale.

Nel Parmenide Platone affronta i problemi che concernono la dottrina delle idee. Le difficoltà si incontrano nel momento in cui bisogna considerare insieme i processi di unificazione e di divisione, dato che le idee sono separate dalle cose (ad esempio l’idea di bellezza non collima con le cose, se no diventerebbe una e molteplice) ma allo stesso tempo assomigliano ad esse (sono difatti unificate da tale somiglianza).

Per dare una soluzione a tali problematiche, Platone enuncia la teoria della partecipazione: le cose prendono parte semplicemente alle idee, e il mondo dell’essere e il mondo sensibile coesistono nella medesima relazione in cui si trovano l’uno e il molteplice. È impensabile Il molteplice senza fare riferimento all’unità, poiché è anch’esso composto da unità, a sua volta l’uno è essere in quanto unisce il molteplice sensibile e pertanto è in collegamento con il non essere sensibile.

Secondo la filosofia di Platone, la divisione di Parmenide tra essere e non essere non può essere accettata, dato che implicherebbe l’impossibilità di stabilire relazioni cognitive fondate. Il filosofo ateniese critica aspramente altresì la dottrina eracliteo-protagorea della conoscenza vista come sensazione. Infatti, nel Teeteto ritiene che la sensazione non permette una conoscenza valida e vera fondata sul mondo delle idee.

Nel Sofista, presenta il metodo dicotomico della dialettica e ripresenta il problema dell’esistenza del non essere. Per trovare una intercessione tra mondo ideale dell’essere e conoscenza dell’uomo è indispensabile «uccidere Parmenide». Il non essere è definito in quanto rifiuto relativo e non come negazione assoluta, dato che la diversità è una forma basilare dell’essere medesimo. Solamente in tale modo ci si può rendere ragione del falso e dell’errore. Se si esclude qualunque relazione tra l’essere e il non essere si rende molto difficile sia la conoscenza che il linguaggio.

La dialettica conduce uno studio sulle forme dell’essere per stabilire tra loro la relazione di identità e di diversità. Spiegando quali forme della realtà si legano e quali si lasciano fuori, la dialettica è capace di definire la struttura del mondo reale, presentando tutte le sue determinazioni e articolazioni.

Nel Filebo, che è un dialogo della vecchiaia, ribadisce che i generi non devono essere visti come unità inflessibili ma in rapporto di partecipazione gli uni con gli altri. La ricerca dei generi si sposta sia nell’ambito dell’unità che nell’ambito della pluralità. I due generi principali sono il finito e l’infinito. Sempre in quest’opera rinveniamo un tema che ancora oggi possiamo considerare di grande attualità come il problema dell’origine dell’universo e della formazione del mondo. Platone respinge la rappresentazione meccanicistica del mondo enunciata dalla filosofia di Democrito e presenta un discorso sulla nascita e l’organizzazione del cosmo, migliorando il carattere qualitativo della fisica antica con schemi e proporzioni matematiche che gli assegnano una precisa struttura qualitativa che adopera per dare una dimostrazione del fine razionale dell’universo. Difatti, l’universo è visto come una cosa messa al mondo da un creatore, un artefice divino, che opera riproducendo i modelli del mondo delle idee e le proporzioni matematiche, ma non si tratta di un vero fondatore dato che le cose esistevano anche prima del suo avvento.

Platone fa emergere una sorta di parallelismo tra l’intero universo e la città-stato, quest’ultima pensata alla stregua dell’universo, come un ente dotato di un’anima intelligente e di un corpo. L’anima del mondo è principio universale della vita, intercessione tra il piano sensibile e il piano razionale-ideale del mondo reale, rappresentazione della compresenza di essere e divenire che contraddistingue i fenomeni.

Infine, nel Timeo enuncia un altro dei principi che stanno alla base della realtà corporea, che è la Chòra, principio indeterminato e in sé negativo che funge da “ricettacolo” delle forme e da “ostacolo” all’opera plasmatrice del Demiurgo, il quale guardando le idee ed i modelli archetipi di tutte le cose, dà forma e ordine al cosmo.

143. Scaffale dei libri

Presentiamo due libri che non devono mancare nella libreria del matematico appassionato: 10+ il genio sei tu è una novità editoriale di Anna Cerasoli, divulgatrice di successo della matematica tra i ragazzi; Il Pallino della matematica è un classico libro di successo, che Cortina Raffaello ha da poco ristampato

Cubo di Coppo n00410905152104

cubocoppo.pngIl cubo di Coppo è una variante del Sudoku inventata da Eugenio Coppo. Le regole sono abbastanza semplici e sono all’interno del file stampabile con il primo cubo che pubblichiamo. Una nuova sfida che sicuramente divertirà chi ama i rompicapo.

Soluzione del gioco n00410905152104

Martedì 4 gennaio 2011 la prima eclisse di Sole dell’anno

In Italia la Luna coprirà il disco solare per il 60% circa. I momenti principali: 07:54 Primo contatto: il bordo della Luna tocca quello del Sole (inizio eclisse); – 09:20 Centralità: la Luna copre la massima percentuale possibile del disco solare; – 10:47 (ora italiana) Ultimo contatto: la Luna abbandona il disco del Sole (fine eclisse).

Gli orari sono stati calcolati per il Parco Astronomico SIDEREUS (Salve, LECCE), con qualche piccola approssimazione vanno bene anche per il resto dell’Italia.

CONSIGLI:
non dimenticate che la luminosità del Sole è potenzialmente pericolosa per i nostri occhi, quindi NON guardatelo MAI senza una adeguata protezione. NON usate vetri anneriti sulla fiamma della candela, NON usate la parte annerita delle radiografie, NON usate la parte bruciata dei rullini fotografici, NON usate nessun altro tipo di filtro dalla dubbia efficacia. Questi sistemi infatti pur permettendovi una osservazione “comoda” tuttavia NON proteggono i vostri occhi dalla radiazione ultravioletta e infrarossa del sole, che causerebbe danni irreversibili alla vostra retina. Potete utilizzare invece filtri appositamente concepiti allo scopo oppure anche i vetrini per le maschere da saldatore, che potete trovare per circa 1 euro in qualsiasi ferramenta. Questo filtro vi permetterà di vedere il Sole di colore verde, potrete osservare tutte le varie fasi dell’eclisse in assoluta sicurezza.

Non ci rimane che sperare che le condizioni meteo ci permettano di osservare il fenomeno.

Vi auguro una BUONA OSSERVAZIONE. Vito Lecci

Per approfondimenti

http://www.sidereus-nuncius.info/2011/01/02/arriva-la-prima-eclisse-di-sole-del-2011/

 

Il pallino della matematica. Scoprire il genio dei numeri che è in noi, di Stanislas Dehaene

il-pallino-della-matematica.pngÈ con vero piacere che ho letto "Il pallino della matematica. Scoprire il genio dei numeri che è in noi" di Stanislas Dehaene. Inizialmente qualcuno può pensare che si tratti di un libro che, come tanti altri, espone in maniera semplice ed accattivamente alcuni concetti della matematica, la sua presenza o utilità nella realtà quotidiana, la sua bellezza, il piacere intelletuale che può dare o alcuni aneddoti relativi alla storia di questa disciplina da tante persone odiata e ritenuta ostica. In realtà, leggendolo si scopre tutt’altro: vengono indagati i motivi della diversa predisposizione verso la matematica da parte delle persone. L’autore, che insegna psicologia cognitiva sperimentale al Collège de France, espone qui i risultati delle sue ricerche sull’argomento in questione. Il libro collega così la matematica e la psicologia, molto distanti tra loro nell’immaginario comune (ma non mancano neanche riferimenti ad altre discipline, come la linguistica).

Nel corso della lettura si scopre che esistono delle strutture cerebrali alla base delle capacità matematiche già presenti nei bambini piccoli in età prescolare, in popoli con una cultura matematica molto ridotta e addiritura in diverse specie animali.

La struttura cerebrale di base non è tutto: l’autore indaga su come questa possa essere influenzata dalla struttura linguistica, dall’educazione e dall’esperienza scolastica e propone, alla fine del testo, anche alcune soluzioni per migliorare le situazioni di difficoltà.

Il pallino della matematica, così, risulta utile per chi si interessa di psicologia, per gli insegnanti della scuola primaria, per i genitori di bambini affetti da discalculia o più semplicemente con difficoltà in matematica, ma può essere utile anche per i genitori di bambini privi di debolezze in questa materia.

Un altro aspetto positivo di questo libro è che esso mostra il metodo scientifico, il metodo con cui procede un ricercatore, e ben rappresenta il tipo di quesiti che ci si pone durante un’indagine scientifica.

Un’ulteriore chiave di lettura può essere offerta ai matematici per capire meglio la propria disciplina. Ad esempio, in matematica l’impalcatura dei numeri viene costruita a partire da quelli naturali per giungere soltanto in un momento successivo a quelli reali. Si parte, cioè, dal discreto per giungere al continuo. Leggendo il libro si scopre che in realtà nel nostro cervello le cose non sono definite così nettamente… ma anche che la matematica dal punto di vista fisiologico non è così esatta come invece è stata poi costruita dalla nostra evoluzione culturale. Evoluzione che, come la selezione naturale darwiniana, ha portato ad eliminare quella parte della matematica risultata non efficace.

Allo stesso modo il nostro cervello si è evoluto con una struttura matematica perchè così riesce meglio a comprendere l’ambiente ed interagire con esso con successo.

Queste considerazioni costituiscono una parziale risposta al quesito posto dal matematico Jacques Hadamard: "Verrà mai il giorno in cui i matematici ne sapranno abbastanza di fisiologia del cervello e i neurofisiologi saranno abbastanza al corrente delle scoperte matematiche, perché sia possibile una cooperazione effiace?".

Forse un limite di questo libro è che esso si riferisce alla matematica così come la si considera usualmente, riducendola all’abilità nel fare i calcoli e nel lavorare con i numeri. Questo, però, è soltanto una parte della matematica: quella parte che fondamentalmente abbiamo imparato a conoscere nella scuola elementare e media inferiore e che nell’immaginario comune rappresenta la matematica stessa. In realtà, il matematico non è colui che fa i conti, il matematico ragiona. Essere matematico, cioè, va ben oltre possedere la mera tecnica di calcolo, così come essere un letterato, un poeta, uno scrittore non significa soltanto saper leggere un testo o comporre un tema come si fa nelle scuole elementari o medie. Ad ogni modo, sicuramente l’aritmetica costituisce la base, il punto di partenza.

Conludendo, considero Il pallino della matematica un libro interessante. Consiglio di leggerlo per approfondire quanto qui accennato e scoprire tutto il resto. Buona lettura!

Antonietta Fadda

Fare ipotesi per stimare gli ordini di grandezza delle soluzioni [E. Fermi]

fermi.pngCi sono soltanto due possibili conclusioni: Se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura. Se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta

«Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso.»

« Ricordo vividamente il primo mese, il gennaio 1939, cominciai a lavorare ai laboratori Pupin e tutto quanto cominciò ad accadere molto velocemente. In quel periodo, Niels Bohr era stato chiamato per una serie di conferenze a Princeton e ricordo che un pomeriggio Willis Lamb tornò da una di esse davvero entusiasta e disse che Bohr si era lasciato sfuggire di bocca novità importantissime: la scoperta della fissione nucleare e a grandi linee la sua interpretazione del fenomeno. Poi, ancora più avanti lo stesso mese, ci fu un incontro a Washington dove fu valutata la possibile applicazione del fenomeno della fissione appena scoperto come arma nucleare» (dal Discorso del 1954 all’ American Physics Society).

"La natura dei fenomeni atomici ci fa supporre che le leggi che regolano il comportamento dei corpuscoli costituenti l’atomo non siano più applicabili, senza modificazioni profonde, allo studio dei comportamenti dei corpuscoli costituenti il nucleo" (1932).

Il nome di Fermi (1901-1954), premio nobel per la fisica nel 1938, è legato alle applicazioni energetiche della fissione nucleare. Presso la Columbia Universty, dopo gli esperimenti iniziali di Hahn e Strassmann, cominciò, con l’aiuto di Dunning e Booth, la costruzione della prima pila nucleare. La criticità, cioè l’innesco della reazione a catena controllata, in cui i neutroni necessari per la fissione dei nuclei di uranio venivano generati dalla fissione stessa, avvenne finalmente il 2 dicembre 1942. Nel Discorso del 1954, in cui lasciò la presidenza della Associazione Americana di Fisica, Fermi ricorda vividamente la scoperta della fissione. Le moderne centrali nucleari, che derivano dalla pila nucleare di Fermi, sono oggi l’unica alternativa concreta, a basso costo, senza emissioni di CO2 e che non richiede continue sovvenzioni statali, all’uso dei combustibili fossili (Petrolio, Gas, Carbone). In proposito vedi la posizione di vari esperti citati nei Commenti della scheda relativa a Cattaneo.

Fermi diede anche importanti contributi teorici: all’elettrodinamica quantistica, alla meccanica statistica (Fermi-Dirac) e alla teoria del decadimento beta dei nuclei atomici. Già nel 1932 aveva sostenuto l’opinione che il passaggio dai $10^(-8) cm$ necessari per lo studio dell’atomo ai $10^(-13) cm$ necessari per lo studio del nucleo atomico coinvolgeva la fisica al punto da far prevedere trasformazioni conoscitive rilevanti (vedi l’ultimo pensiero riportato). L’attenzione agli ordini di grandezza, ai range di validità, all’analisi di sensibilità e a quella parametrica fece di Fermi, assieme ad Ulam e Von Neumann, uno dei principali studiosi e sostenitori del metodo di simulazione Montecarlo e dell’importanza pratica dei computer per il calcolo numerico (qualcuno ipotizza che fu lui a suggerire ad Adriano Olivetti l’ingresso nell’elettronica).

Fermi era conosciuto per la sua abilità nel fare buoni calcoli approssimati con pochi o nessun dato effettivo. Un esempio ben documentato è la sua stima della potenza della bomba nucleare esplosa nel Trinity test, basandosi sulla distanza che percorsero dei pezzi di carta che fece cadere dalla sua mano durante l’esplosione. Fermi usava informazioni che apparentemente sembravano insufficienti per arrivare a una risposta quantitativa; egli inoltre amava sottoporre queste questioni ai propri studenti. Perciò molto spesso si parla di "stime o problemi alla Fermi". Procedeva per approssimazioni, facendo delle ipotesi ragionevoli sui limiti inferiori e superiori delle grandezze da utilizzare in semplici espressioni matematiche. In tal modo arrivava a una soluzione approssimata del problema. Generalmente lo scopo di un problema di Fermi è una stima dell’ordine di grandezza, cioè la potenza di dieci del numero che esprime la risposta cercata. Un classico problema di Fermi, formulato da lui stesso, è: Quanti accordatori di pianoforte ci sono a Chicago?

SOLUZIONE: Se la popolazione di Chicago è di 4 milioni di persone e una famiglia media è composta da 4 persone, a Chicago ci sono circa 1.000.000 di famiglie; supponiamo, inoltre, che un decimo di esse possieda un pianoforte. Quindi ci saranno 100.000 pianoforti. Se ogni pianoforte è accordato ogni anno, ci saranno 100.000 accordature l’anno. Supponiamo ancora che ogni accordatore riesca ad accordare 4 pianoforti al giorno, lavorando per 5 giorni la settimana per 50 settimane l’anno. In totale ogni accordatore effettuerà mediamente 4x5x50 = 1.000 accordature l’anno. Dividendo si ottiene: (100.000 accordature di pianoforte l’anno a Chicago) / (1.000 accordature di pianoforte l’anno per accordatore) = 100 accordatori di pianoforte a Chicago.

Nei problemi di Fermi, l’attenzione va posta sull’approccio e sulle ipotesi fatte, piuttosto che sul risultato. Nell’esempio degli accordatori di Chicago, potremmo fare ipotesi diverse per vari fattori. Ad esempio, uno studente ha suggerito di considerare l’ipotesi di un pianoforte ogni venti persone (cioè due famiglie su dieci, invece di una su dieci, possiedono un pianoforte). Quest’ipotesi è basata sull’esperienza personale: egli ha considerato che nel proprio palazzo, abitato da una decina di famiglie, circa 40 persone, ci sono due pianoforti. Con questa ipotesi sul numero di pianoforti per abitante, si potrebbe dire che nella Chicago di Enrico Fermi ci potessero essere 200.000 pianoforti e, quindi, 200 accordatori. Si osservi che, benché diverso, questo secondo risultato non è in contraddizione con il precedente, perché dello stesso ordine di grandezza. La stima è soltanto rivolta alla valutazione dell’ordine di grandezza e non al numero esatto di accordatori. Se le ipotesi fatte sono ragionevoli, qualunque esse siano, è improbabile che si riesca a giustificare una risposta che sia un ordine di grandezza più piccola o un ordine di grandezza più grande di quella ottenuta in precedenza; come dire: improbabile che ci siano meno di dieci (10^1) accordatori e più di mille (10^3).

Un altro problema di stima, sempre attribuito a Fermi, è quello del calcolo del raggio terrestre.

SOLUZIONE: la distanza tra New York e Los Angeles è di circa 3.000 miglia. In tale distanza si trovano tre fusi orari, per una media di 1.000 miglia per fuso. La terra è divisa in 24 fusi orari per una circonferenza di circa 24.000 miglia. Il raggio della terra sarà perciò r = 24.000/2P ~24.000/6 = 4.000 mi ~6.400 km

E’ interessante osservare che dieci o venti anni fa in molte aziende i preventivisti, con l’aiuto di tabelle e di dati storici relativi a casi simili, procedevano, per stimare i costi, proprio in questa maniera; magari con affinamenti successivi man mano che i primi dati stimati diventavano dati effettivi. Oggi per preparare i preventivi esistono software dedicati che svolgono tutti i calcoli e permettono veloci analisi del tipo "Cosa succede se?". Spesso però i preventivisti più anziani ed esperti preferiscono anticipare/controllare velocemente i risultati ottenuti dal computer, con una stima alla Fermi, magari ricorrendo ad una calcolatrice tascabile o ad un foglio elettronico. Un esperto umano può sbagliare un calcolo, ma difficilmente accetterà un ordine di grandezza sbagliato. Un software di computer difficilmente sbaglierà, ma se sbaglia può anche far passare ordini di grandezza del tutto assurdi.

 

Introduzione alla relatività: Appendici

relativita-amadori.pngL’appendice conclusiva del libro di Amadori e Lussardi sulla Relatività: A.1 Tensore energia, impulso nella materia; listati dei principali blocchi dei programmi in PHP di calcolo numerico utilizzati per la RG.

Bibliografia
[1] Manfredo Perdigao Do Carmo, Riemannian Geometry, Birkhauser, Boston 1992.
[2] Boris Dubrovin, Anatolij Fomenko e Sergej Novikov, Geometria contemporanea: metodi e applicazioni, Editori riuniti, Roma 1988.
[3] Stephen Hawking e George Ellis, The large scale structure of space-time, Cambridge university press, Cambridge, New York 1973.
[4] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mihajlovic Lifsic, Meccanica, Boringhieri, Torino 1965.
[5] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mihajlovic Lifsic, Teoria dei campi, Editori riuniti, Roma 1999.
[6] Tullio Levi Civita, Lezioni di Calcolo Differenziale assoluto, trad. di E. Persico, Stock editore, Roma 1925.
[7] Corrado Mencuccini e Vittorio Silvestrini, Fisica Generale I e II, Liguori editore, Napoli 1995.
[8] Gregory Naber, The Geometry of Minkowski Spacetime, Springer Verlag, New York 1992.
[9] Carlo Rovelli, Quantum gravity, Cambridge university press, Cambridge, New York 2004.
[10] Barry Spain, Calcolo Tensoriale, Edizioni cremonese, Roma 1971.
[11] Robert Wald, General relativity, University Of Chicago Press, Chicago 1984.


Introduzione alla teoria della relatività: Appendice

Dalla macchina da scrivere al primo computer: Adriano Olivetti

olivetti.pngEra a piedi; andava solo, col suo passo randagio; gli occhi perduti nei suoi sogni perenni, che li velavano di nebbie azzurre. Era vestito come tutti gli altri, ma sembrava nella folla, un mendicante; e, sembrava, nel tempo stesso, anche un re. Un re in esilio

Natalia Ginzburg descrive così Adriano Olivetti nel suo romanzo "Lessico famigliare".

La madre valdese (Luisa Revel), il padre (Camillo) di origine ebraica, Adriano aveva un’intelligenza intuitiva, quasi profetica. E come un patriarca biblico guidò il suo popolo (manager e operai amarano identificarsi come gli olivettiani).

Adriano si laurea al Politecnico di Torino in Chimica industriale e viene inviato dal padre negli Stati Uniti per aggiornarsi sulle nuove tecniche gestionali. Nel 1924, inizia il suo percorso nell’azienda paterna, come operaio apprendista. L’esperienza lavorativa segna la sua vita di uomo e di imprenditore, tanto che, diversi anni più tardi, quando ormai la Olivetti è un colosso internazionale ricorda quei giorni dicendo: "Per lavorare in azienda bisogna capire il nero dei lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager. Non si può dirigere se non si sa cosa fanno gli altri."

Negli anni ’40, la Olivetti entra nel mercato delle macchine calcolatrici, fino ad allora dominato da produttori americani. Durante la guerra un operaio con la 5° elementare, Natale Capellaro che era stato assunto dall’ing Camillo, è fermato all’uscita dal lavoro. Sta portando via senza autorizzazione materiali di laboratorio. Perciò viene sospeso dal lavoro. Adriano Olivetti lo convoca per chiedergli conto dell’accaduto. E Capellaro tranquillamente gli parla: da anni è costretto a collaborare con ingegneri troppo legati ai loro schemi, incapaci di soluzioni innovative. Mostra il progetto di una nuova macchina, al quale ha lavorato a casa, in segreto. Per questo ha avuto bisogno di portare fuori attrezzi e materiali. Olivetti, che conosce l’uomo, intuisce le potenzialità dell’idea e lo invita a proseguire. Capellaro è un lavoratore e progettista insaziabile. Il suo cassetto è pieno di schizzi; per lui tempo libero e lavoro si identificano. A lui si devono la progettazione della Divisumma 24 e di altre calcolatrici di successo, divenne direttore generale tecnico e ricevette nel 1962 la laurea in ingegneria, honoris causa, dall’università di Bari.

Proprio le macchine da calcolo furono un pilastro del successo economico della Olivetti, i ricavi da esse prodotti erano cinque o sei volte i costi necessari a produrle ed il motivo di questo elevato margine di contribuzione era molto semplice: nel mondo Olivetti era l’unica azienda in grado di mettere sul mercato macchine di quel tipo.

"Fra il 1928 e il 1934, la fabbrica subisce una lunga crisi interna. È una trasformazione totale dei sistemi direttivi. La fabbrica aveva raggiunto, prima di quei tempi, un alto equilibrio umano. Erano i tempi di mio Padre e di Domenico Burzio, un binomio per me inscindibile. Io allora ero molto giovane e non avevo capito di loro che una parte. Vi era una realtà nel loro esempio, nel loro modo di affrontare i problemi della fabbrica, che sfuggiva a un esame razionale, a un esame unitario, a un esame che volesse confrontare le cose col metro dei raffronti, che volesse paragonare le cose soltanto dai risultati. Questo qualcosa, l’ho detto, era invisibile ed era la loro grandissima umanità, per cui nella loro superiorità, quando discutevano o esaminavano il regime di vita o il regime di fabbrica, ciascun lavoratore era pari a loro, era un uomo di fronte a un uomo. Ma allora la fabbrica aveva 600 operai. Il regime dell’economia, il regime dei mercati, il regime di concorrenza esigevano un rinnovamento, esigevano di incamminarci su una strada nuova, verso l’idea di una grande fabbrica. C’era al di là dell’Atlantico il modello, c’era una spinta quasi inesorabile ad andare verso un nuovo stato di cose più grande, più efficiente, dove molti più lavoratori avrebbero trovato ragione di esistenza. Ma mio Padre esitava, perché – e me lo disse per lunghi anni e per lunghi momenti – la grande fabbrica avrebbe distrutto l’Uomo, avrebbe distrutto una possibilità di contatti umani, avrebbe portato a considerare tutto l’ingranaggio umano come un ingranaggio meccanico. Ogni uomo come un numero. Ma il cammino aperto si dispiegò ugualmente. La fabbrica aveva la sua logica e questa logica si sviluppò inesorabilmente. Nel 1934 gli operai salgono a 1.200, nel 1937 a 2.000, nel 1940 a 3.000. La macchina scientifica si era messa in moto, gli uffici tecnici si ingrandivano, nuovi prodotti erano studiati, erano messi in produzione, erano venduti. Ogni anno gli architetti studiavano degli ingrandimenti. C’era qualche cosa di bello in questo, c’era un certo orgoglio nel vedere dalla vecchia fabbrica di mattoni rossi uscire queste grandi vetrate moderne. E a poco a poco delinearsi la fabbrica come è attualmente." Adriano Olivetti (1901 -1960) dal discorso ai dipendenti del Giugno 1945.

"La macchina scientifica" che Adriano aveva messo in moto era quella della teoria e pratica della gestione e organizzazione aziendale basata sullo "scientific management" di Taylor ma anche sulla nuova scuola delle "human relations" di Mayo. Il risultato fu una particolare attenzione alla qualità dei prodotti al design e alla soddisfazione di tutti gli stakeholders: l’azionista, i dipendenti, i clienti, i fornitori, il tessuto sociale del canavese, ecc. L’apporto fondamentale è nella visione imprenditoriale della centralità del progresso tecnico nel mondo contemporaneo. Ne deriva, come imprenditore, la convinzione che fare impresa significa partecipare direttamente, come interprete attivo, al progresso tecnologico. Consegue, per la politica, la necessità di far fruttare tale progresso per il bene comune, dunque per essere all’altezza dei problemi che il progresso stesso pone alla società. Nessuna ombra di sospetto nei confronti di scienza e tecnologia. Nessun timore che esse possano diventare una fonte quasi inevitabile di mali sociali, nessuna insomma delle apprensioni che spesso si colgono nei discorsi di stampo conservatore, populista e larvatamente reazionari, oppure nelle perorazioni della sinistra luddista. Ovvero, come avviene nel clima di superficiale indifferenza al quale non sono estranee neppure le aree cosiddette riformiste. C’è piuttosto consapevolezza piena che le potenzialità del progresso scientifico e tecnico vanno colte, assecondate, indirizzate, cioè governate. Di qui, l’insistenza forte per un sistema di istituzioni democratiche diverso da quello ereditato dallo Stato prefascista.

Uno degli argomenti principali della critica olivettiana alle istituzioni della vecchia democrazia parlamentare è, che esse non si sono dimostrate capaci di dialogare in modo dinamico e costruttivo con il mondo della scienza e della tecnica. Adriano attrae alla Olivetti, oltre agli ingegneri: economisti, psicologi, sociologi, letterati, artisti, architetti, urbanisti, ecc. e fonda il movimento politico denominato "Comunità". Nella democrazia delle comunità si accresce l’apporto della cultura, si aprono e diffondono canali di conoscenza, viene favorito il confronto informato fra i politici nell’ambito degli ordini, si amplia la presenza costante dei cittadini. (Cfr. Costruire le istituzioni della democrazia: la lezione di Adriano Olivetti, Sergio Ristuccia, Marsilio, Venezia 2009).

Nell’esilio in Svizzera, durante la seconda guerra mondiale, Adriano appronta il saggio "L’ordine politico della comunità" ma il vero motore dello sviluppo economico e sociale resta per lui l’impresa. La sua azienda diventa nel dopoguerra un modello per l’eccellenza tecnologica e per l’organizzazione del lavoro: L’organizzazione informale è altrettanto importante di quella formale e i rapporti orizzontali sono diffusi quanto quelli verticali; nel 1948 viene istituito il Comitato di Gestione per i servizi sociali e l’assistenza (unico esempio di organo paritetico tra datori di lavoro e dipendenti); nel 1956 la Olivetti riduce la settimana lavorativa da 48 a 45 ore, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro; nel Canavese partecipa alla realizzazione di quartieri residenziali per i dipendenti, di musei, biblioteche, mense, colonie (Massa e Brusson). Nel solco della vocazione all’innovazione furono poi costruite le residenze di "Talponia" e "Canarinia" ed anche un carcere modello ad Ivrea. Crescono le quote di mercato, la produttività , la redditività assieme alla vocazione nazionale ed internazionale dell’azienda: in Italia Olivetti apre stabilimenti a Pozzuoli, Agliè e Scaramagno, in Sud America vi sono stabilimenti in Argentina e in Brasile, filiali erano presenti negli USA, Canada e Germania, ecc.

La ricerca sui calcolatori elettronici viene effettuata negli Stati Uniti e a Pisa portando nel 1959 alla realizzazione, nei laboratori di Borgolombardo, dell’Elea 9003 il primo computer commerciale funzionante interamente a transistor (dopo l’invenzione di Shockley nel 1948 del transistor, il primo computer sperimentale funzionante parzialmente a transistor era stato messo a punto nel 1955 dai laboratori Bell negli USA). Nel 1959 viene acquistata la Underwood (11.000 dipendenti) che negli Stati Uniti ha una grande rete commerciale per la vendita delle macchine da ufficio.

Adriano muore improvvisamente a 59 anni durante un viaggio in treno tra Milano e Losanna. Lascia un impresa presente su tutti i mercati più importanti con 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero. Solo oggi, forse, si comprendono appieno i suoi contributi alla visione delle soluzioni ai problemi delle organizzazioni aziendali:
1) Valori immateriali (lo spirito imprenditoriale, il sapere, la cultura, la capacità di innovare).
2) Priorità ai giovani (energia, capacità di creare) e valorizzazione degli anziani (esperienza).
3) Attenzione al capitale intellettuale (Olivetti progettava e vendeva intelligenza e competenza).
4) Organizzazione piatta. Fecondità delle strutture informali.
5) Importanza della immagine, comunicazione e design.
6) Responsabilità sociale dell’impresa, sostenibilità.
7) Intuizione dell’importanza dell’information technology.

Cct, perché è meglio tenersi quelli vecchi

beppe_scienza.jpgLe nuove emissioni sono indicizzate all’euribor e non più ai Bot semestrali. La loro introduzione ha fatto crollare i prezzi dei certificati in circolazione. Ma in caso di rischio-paese l’aggancio ai titoli nazionali fornisce una protezione del tasso interbancario. www.beppescienza.it

I risparmiatori italiani sono abituati a una formula finanziaria collaudata. Cioè ai Certificati di credito del Tesoro (Cct) emessi, dalla fine degli anni ’70, con una maggiorazione (c.d. spread) rispetto al rendimento dei Bot.

Dalla primavera scorsa la musica è cambiata: il Tesoro ha cominciato a indicizzarli all’euribor, che è il tasso d’interesse internazionale per i prestiti fra banche. Denominati ufficialmente CCTteu, sono stati accolti da un coro di apprezzamenti ed è anche vero che tale indicizzazione è più semplice per gli investitori esteri. Ma per i risparmiatori italiani non è particolarmente apprezzabile.

In ogni caso la loro introduzione ha dato una piccola botta ai prestiti già in circolazione. Uscire con titoli con caratteristiche diverse si ripercuote inevitabilmente su quelli già esistenti. Vedi il taglio netto dello spread dei Cct, portato dall’1% allo 0,60% semestrale dal gennaio al luglio 1984. Non c’era da stupirsi a vedere dopo a 104 prestiti emessi pochi mesi prima a 100.

Vecchi Cct penalizzati. Nella primavera scorsa il fenomeno è analogo, ma di segno opposto. Come era prevedibile, i nuovi titoli con interessi pari all’euribor +0,80% hanno penalizzato i vecchi Cct con solo +0,30% annuo rispetto a un parametro d’indicizzazione comunque simile. Prendiamo per esempio il Cct 1-3-2017: per colpa di questo scherzetto scese da 98 a 94,5 fra marzo e aprile, posizionandosi poi intorno a 95,5 euro.

Come muoversi ora che la frittata è fatta? Un merito dei nuovi Cct potrebbe essere fare piazza pulita di obbligazioni bancarie dai rendimenti risibili. Le banche italiane sono riuscite a far trangugiare ai propri clienti roba addirittura con spread negativi, cioè del tipo euribor -0,20 (meno zero venti) per cento. È chiaro che ora un risparmiatore sottoscriverà titoli che rendano meno dell’euribor +0,80% offerto dai CCTeu, solo se ingannato.

Inoltre può essere davvero più facile collocarli all’estero, cosa che fa piacere a un italiano come cittadino, perché facilita la gestione del debito pubblico, ma non lo tocca direttamente come investitore.

Titoli più stabili. La domanda invece è proprio questa: i nuovi Cct convengono rispetto ai vecchi? Dal punto di vista dei rendimenti la cosa è dubbia, ovviamente tenendo conto dei rispettivi prezzi di mercato. Spesso allineato, l’euribor è stato per alcuni mesi superiore ai tassi dei Bot, mentre ora è inferiore.

È sul piano della sicurezza che i CCTeu non sono la soluzione migliore per un risparmiatore. Il meccanismo dei vecchi Cct è preferibile, perché incorpora una difesa nel caso di una crisi di fiducia nei titoli del Tesoro, che comunque non sfoci in un’insolvenza dello Stato italiano.

Se insorgeranno timori sulla capacità dell’Italia a rimborsare i propri debiti, aumenteranno i rendimenti richiesti per prestarle soldi anche a breve termine. Al riguardo è significativo un dato della crisi finanziaria e allora anche valutaria dell’autunno 1992. A metà agosto i Bot annuali rendevano il 14,1%, ma dopo due mesi il Tesoro riuscì a collocarli solo al 17,8%. Così i possessori di Cct con interessi in scadenza si ritrovarono con cedole molto più grasse.

Dovessero nuovamente esplodere le preoccupazioni nella tenuta dell’Italia, il Tesoro riuscirebbe a collocare i Bot solo a tassi più alti e aiuterebbe i vecchi Cct, aumentandone in automatico il rendimento. Non c’è invece da aspettarsi nulla di simile coi CCTeu: di per sé una crisi finanziaria dell’Italia non farebbe certo salire l’euribor!

Il precedente dei Cct ellenici. Uno acuto osservatore dei mercati del reddito fisso, Marco Vinciguerra della Tokos, fa un parallelo interessante. Cioè quello col Tesoro greco che ugualmente alcuni anni fa abbandonò i titoli agganciati ai propri Bot per emetterne più solo indicizzati all’euribor, come ad esempio il floater 4-4-2017, codice Isin GR0528002315.

Se esso ora vale solo 60 euro ogni 100 di nominale, la causa prima è senza dubbio la sfiducia nell’emittente. Ma ha contributo molto anche lo striminzito tasso dell’1,236% annuo della cedola in corso, unito alla prospettiva di tassi simili per il futuro. Innegabilmente se la passerebbero meglio, o almeno non altrettanto male, titoli confezionati come era la Grecia 15-11-2000 indicizzata ai Bot greci. Maturerebbe infatti interessi annui sul 10%, che sosterrebbero le loro quotazioni.

Morale della storia: finché il debito pubblico italiano non è sceso a livelli meno preoccupanti, per esempio all’80% del Pil, è più prudente tenersi i vecchi Cct.

scienza-cct.png

La Repubblica, 29-11-2010, Affari & Finanza, p. 21

 

La magia dei numeri

magia-numeri.pngCome scoprire con la matematica tutti i segreti del paranormale. Mariano Tomatis presenta in una conferenza spettacolo il libro "La magia dei numeri". 17 dicembre 2010 presso il liceo Gramsci di Ivrea.

La Matematica fa gli auguri alla Città con una conferenza che è anche… uno spettacolo di magia!

L’indagine dei fenomeni paranormali come la telepatia, la chiaroveggenza, la previsione del futuro e la telecinesi, richiede allo scienziato due strumenti fondamentali: una buona conoscenza dei metodi statistici e matematici da applicare alla sperimentazione e una certa abilità a riconoscere i trucchi e gli inganni spesso utilizzati da chi vuole millantare capacità sovrannaturali. A volte, addirittura, matematica e inganno si mescolano: anche la regina delle scienze – considerata la più “dura” e razionale delle discipline scientifiche – può essere furtivamente piegata per “creare” l’illusione del paranormale. I geniali stratagemmi utilizzati vengono segretamente tramandati da secoli, custoditi gelosamente dagli illusionisti e utilizzati – a scopo “ricreativo” – dai prestigiatori nei teatri di tutto il mondo.

A rivelarlo, nel corso di una conferenza ricca di esperimenti dal vivo, sarà Mariano Tomatis, scrittore e prestigiatore del Circolo Amici della Magia di Torino, che svelerà i retroscena di questo strano mondo in bilico tra la magia dei numeri e i numeri di magia. Da anni impegnato in indagini sui fenomeni paranormali, Mariano Tomatis rivelerà gli schemi matematici che si nascondono in molti dei principali temi della parapsicologia e dei fenomeni misteriosi – dalle previsioni del futuro alla numerologia biblica, dalla trasmissione del pensiero ai dischi volanti, fino alla ricerca dei tesori nascosti. E non si limiterà ad offrire una serie di idee e pensieri sull’argomento, ma inviterà in modo interattivo i presenti a proseguire per conto proprio i filoni di studio proposti durante la conferenza, con l’intento di prolungare ben oltre il suo intervento il divertimento che sorge dall’indagine dei molteplici e curiosi intrecci tra matematica e paranormale.

PER SAPERNE DI PIÙ www.marianotomatis.it

PROMOTORE Francesco LA ROSA ASSOCIAZIONE SUBALPINA MATHESIS Sezione di Ivrea c/o Liceo Scientifico Gramsci Ivrea [email protected] http://www.subalpinamathesis.unito.it/ivrea.php

 

La cibernetica di Norbert Wiener

jurvetson-scorpion-robot.jpgLe macchine possono trascendere alcune delle limitazioni dei loro progettisti… gli strumenti per pilotare (dal greco ‘pilota’, al latino ‘gubernator’ all’italiano ‘cibernetica’) una nave sono veramente una delle prime e meglio sviluppate forme di meccanismo con controreazione.

Chi studia il sistema nervoso non può dimenticare la mente e chi studia la mente non può dimenticare il sistema nervoso… il vocabolario degli ingegneri si contaminò ben presto con i termini dei neurofisiologi e degli psicologi". Norbert Wiener (Columbia, 1894 – Stoccolma, 1964).

Wiener è stato un matematico e statistico statunitense famoso per le ricerche sul calcolo delle probabilità e soprattutto per gli sviluppi forniti, insieme al suo allievo Claude Shannon, alla teoria dell’informazione che ne fecero il padre della cibernetica moderna.

La cibernetica è la scienza che studia i fenomeni di autoregolazione (Controlli automatici e adattativi) e di comunicazione, sia negli organismi naturali che nei sistemi artificiali. La cibernetica si pone dunque come un campo di studi interdisciplinare tra le scienze naturali, la fisiologia e l’ingegneria. Il termine fu coniato nel 1947 da Wiener, derivandola dal greco Kybernetes (timoniere, pilota).

Il termine ‘omeostasi’ fu coniato da Walter Cannon nel 1926, in riferimento alla capacità del corpo di regolare la composizione e il volume del sangue e, di conseguenza, di tutti i fluidi extracellulari in cui sono immerse le cellule; deriva dal greco ómoios, ‘simile’, e stasis, ‘posizione’. Oggi il termine omeostasi viene utilizzato per indicare, in senso più ampio, i molti processi dell’organismo che mantengono le fluttuazioni di temperatura, pressione, battito cardiaco, livello degli zuccheri, ecc. entro limiti fisiologici.

In un sintetico articolo del 1943 il matematico N. Wiener, il neurofisiologo A. Rosenblueth e l’ingegnere J. Bigelow pubblicarono un articolo su Philosophy of science nel quale sostenevano che il comportamento rivolto ad un obiettivo, tipico di molti organismi, poteva essere assimilato al funzionamento di un artefatto con retroazione negativa (ad esempio il regolatore di pressione delle caldaie ideato da J. Watt).

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La retroazione (in inglese feedback) è la capacità dei sistemi dinamici di tenere conto dei risultati del sistema per modificare i valori delle variabili in ingresso nel sistema stesso. In un controllo a retroazione (vedi figura) il valore della variabile in uscita dal Sistema (cioè il Risultato) viene confrontato con il valore Obiettivo e la differenza, valutata dal controllore, retroagisce correggendo l’ingresso del Sistema. Questa caratteristica differenzia i sistemi retroazionati (ad anello chiuso) dai sistemi non retroazionati (ad anello aperto).

Nei sistemi di controllo ad anello aperto il valore della variabile manipolabile viene determinato dentro lo stesso sistema sfruttando dei modelli matematici, tali sistemi vengono chiamati predittivi perché non viene effettuata nessuna correzione automatica sugli ingressi. Nei sistemi di controllo retroazionati invece il valore viene determinato e corretto in base alla misura della variabile controllata rispetto all’obiettivo preassegnato, per questo motivo i sistemi retroazionati vengono anche chiamati adattativi. Ad esempio un sistema di puntamento ad anello aperto calcola a priori le coordinate dell’obiettivo, quindi sia la direzione che l’alzata, calcola poi gli effetti del vento o di altri agenti esterni e incomincia a sparare. Il fatto che l’obiettivo sia stato centrato o meno non influisce sul puntamento dei colpi successivi. In un sistema retroazionato invece, dopo che è stato sparato il primo colpo si valuta la distanza dell’obiettivo e in base a questa vengono modificate le impostazioni dell’arma. È facile capire come in questo secondo caso il sistema sia molto più efficiente del primo.

Un sistema con retroazione negativa preso dall’ipotesi Gaia (J. Lavelock) è la temperatura e la presenza del vapore acqueo nell’atmosfera. Con l’aumento della temperatura globale una quantità maggiore di vapore acqueo si forma nell’atmosfera dando vita ad un quantità maggiore di nubi. Le nubi, così come i ghiacci del polo, sono bianche e quindi riflettono i raggi solari. Un minore assorbimento dei raggi solari da parte della Terra riduce la temperatura globale e quindi diminuisce il vapore acqueo nell’atmosfera. Grazie a questo fenomeno, in assenza di altre variabili, la temperatura e il quantitativo di vapore acqueo nell’atmosfera tendono ad essere stabilizzati e riportati a valori normali.

In economia un esempio classico di feed-back negativo è il meccanismo di regolazione tra prezzi e domanda: un aumento della domanda di un prodotto genera di solito un aumento dei prezzi ma un aumento dei prezzi genera poi una diminuzione della domanda. Il sistema tende quindi a stabilizzare sia i prezzi che il livello di domanda. Nella soluzione dei problemi delle organizzazioni i giapponesi (ispirandosi allo statunitense W.E. Deming) proposero il metodo PDCA:
1) Pianificazione delle azioni (Plan),
2) Esecuzione delle azioni (Do),
3) Verifica delle azioni rispetto agli obiettivi (Check),
4) Azioni correttive necessarie (Act) e ritorno al punto 1).

Il Project Management Institute USA indidividua 5 macro processi regolati dal meccanismo del feed-back:
1) Lancio del progetto (Iniziating),
2) Pianificazione (Planning),
3) Realizzazione (Executing),
4) Controllo del progetto (Controlling) che influenza all’indietro sia la realizzazione che la ri-pianificazione. Al termine delle iterazioni cicliche si esce dal circuito di controllo con 5) Chiusura del progetto (Closing).

Introduzione alla logica con l’ausilio del foglio elettronico

steevithak-img_3841.jpgLa logica studia il corretto ragionare, e quindi è trasversale a tutti gli altri argomenti studiati. La logica o i concetti ad essa collegati è stata inserita in quasi tutti i moduli in cui si articola la programmazione annuale della classe, oltre a dedicarle un modulo in cui viene trattata più specificamente, insieme alla geometria. Non sono richiesti, pertanto, particolari prerequisiti per la sua trattazione, mentre qualunque conoscenza pregressa può fornire materiali da analizzare con gli strumenti della logica, attraverso i quali è possibile raggiungere un maggior grado di chiarezza e comprensione dei concetti.

Strani calcoli ispirati da un racconto di Borges

visewolf-orange.jpgL’articolo prende spunto dal labirintico universo nel quale è ambientato uno dei più affascinanti racconti di Borges. Nella prima sezione viene presentato un approccio originale e intuitivo, volto alla stima di un grande fattoriale; successivamente si sposta il focus sul calcolo “a mani nude” di 25656000. Questo risultato viene sfruttato nell’ultima parte per giungere ad una conclusione per certi versi paradossale, circa uno dei temi centrali della storia: l’impossibilità di reperire il libro della Verità. Il tutto è corredato da un’appendice che chiarisce alcuni curiosi retroscena.

Risolvere problemi è come il nuotare [G. Polya]

woodleywonderworks-pabloscubismperiodbeganatthree.jpgRisolvere i problemi è una questione di abilità vera e propria come, permettetemi il paragone, il nuotare. Qualunque abilità pratica può essere acquisita con l’imitazione e l’esercizio. Sforzandosi di imparare a nuotare si imitano i gesti e gli sgambettii di coloro che riescono a stare a galla nell’acqua e, a poco a poco, si impara a nuotare… nuotando. Per imparare a risolvere i problemi, è necessario osservare ed imitare come vi riescono altre persone ed infine si riesce a risolvere i problemi… risolvendoli. George Polya, Come risolvere i problemi di matematica, logica ed euristica nel metodo matematico.

“L’illusione è immaginare le belle cose che non si hanno. La gente dice che l’illusione è un male. Non credetelo, questo è uno di quegli errori generalmente accettati. L’illusione può essere un male, come è male troppo sale nella minestra e perfino un po’ d’aglio è male nella torta di cioccolata. Voglio dire che l’illusione può essere un male se ce n’è troppa o al posto sbagliato, ma è un bene in sé e può essere di grande aiuto nella vita e nel risolvere i problemi” George Polya (1887, 1985)

"Risolvere i problemi è una questione di abilità vera e propria come, permettetemi il paragone, il nuotare. Qualunque abilità pratica può essere acquisita con l’imitazione e l’esercizio. Sforzandosi di imparare a nuotare si imitano i gesti e gli sgambettii di coloro che riescono a stare a galla nell’acqua e, a poco a poco, si impara a nuotare… nuotando. Per imparare a risolvere i problemi, è necessario osservare ed imitare come vi riescono altre persone ed infine si riesce a risolvere i problemi… risolvendoli. George Polya , "Come risolvere i problemi di matematica, logica ed euristica nel metodo matematico". Feltrinelli editore, Milano, 1967.

“Risolvere un problema significa trovare una strada per uscire da una difficoltà, una strada per aggirare o superare un ostacolo, per raggiungere uno scopo che non sia immediatamente raggiungibile. Risolvere un problema è un impresa specifica dell’intelligenza umana […]. In generale un desiderio può condurre ad un problema oppure no. Se un desiderio fa venire subito in mente, senza alcuna difficoltà, qualche azione ovvia che verosimilmente ci fa ottenere l’oggetto desiderato non c’è problema. Se invece non viene in mente nessuna di tali azioni, ecco il problema. Quindi avere un problema significa: cercare coscientemente un’azione appropriata per ottenere uno scopo chiaramente concepito ma non immediatamente ottenibile. Trovare tale azione (o tali azioni) porta a risolvere il problema” G. Polya "La scoperta matematica", Feltrinelli 1971.

1) Abbi interesse per la tua materia.
2) Conosci la tua materia.
3) Conosci i modi secondo i quali si impara: il miglior modo per imparare qualsiasi cosa è di scoprirla da soli.
4) Cerca di leggere sul viso degli studenti, cerca di capire le loro aspettative e le loro difficoltà; mettiti al loro posto.
5) Dai loro non soltanto informazioni, ma anche “ saper-come “, attitudini mentali,abitudine al lavoro metodico.
6) Fai loro imparare ad indovinare.
7) Fai loro imparare a dimostrare.
8) Cerca quegli aspetti del problema in questione che possono essere utili per i problemi futuri; cerca di mettere in evidenza lo schema generale che sta dietro la situazione concreta presente.
9) Non rivelare subito tutto il tuo segreto – fallo indovinare dagli studenti prima di dirlo – fa loro scoprire da soli quanto è possibile.
10) Suggeriscilo, non forzarlo.
"La scoperta matematica", Forum matematicamente.it.

Sono in molti a considerare gli alunni di una scuola come i clienti o gli utenti di un’impresa e, così facendo paragonano gli insegnanti a dei manager di un’azienda. Il discorso si può anche rovesciare pensando (come alcuni fanno) che sia auspicabile che i manager si comportino come degli insegnanti o dei mentori dei propri dipendenti, dei clienti e degli utenti. Allora si può pensare di tradurre i suggerimenti che Polya fa agli insegnanti di matematica per i dirigenti di una organizzazione che, attraverso l’impiego di dipendenti, abbia lo scopo di prosperare fornendo prodotti e/o servizi efficienti ai propri clienti/utenti:
1) Abbi interesse per la tua funzione aziendale.
2) Continua ad aggiornarti sulle ultime novità della tua professione.
3) Tieni sempre a mente i meccanismi del "Learning by doing" e "Action learning".
4) Impara a comunicare: cerca di capire il punto di vista dei dipendenti, dei clienti e degli utenti.
5) Non dare ai tuoi dipendenti solo le informazioni strettamente necessarie al lavoro quotidiano; indica loro anche attitudini e capacità in base alle quali un giorno potranno sostituirti.
6) Insegna loro l’importanza dell’intuizione per comprendere le situazioni.
7) Insegna loro l’importanza dell’analisi razionale per comprendere le situazioni.
8) Non concentrarti solo sul breve periodo, prospetta anche strategie di medio e lungo termine.
9) Non essere accentratore, impara a delegare, permetti ai tuoi dipendenti di crescere.
10) Non usare solo la tua autorità, cerca di convincere, mostra la bontà delle tue argomentazioni.

Il termine "euristico" deriva dal greco "trovo" ed è relativo alla ricerca filosofica del vero. Oggi per tecniche euristiche di problem solving si intende tutte quelle tecniche non algoritmiche e basate sul buon senso che aiutano molto ad affrontare problemi altrimenti difficilmente trattabili.

Pappo, matematico greco vissuto intorno al 300 d.C. scrisse: "L’euristica è, in poche parole, un particolare tipo di scienza utile a coloro che, dopo aver studiato gli elementi fondamentali della matematica, desiderano acquistare una certa abilità a risolvere problemi. Essa insegna i procedimenti di analisi e di sintesi".

Schoenfeld che ha scritto il saggio "About Heuristic: What they are and how we can teach students to use them" formula la seguente definizione: "Un’euristica è un suggerimento, o una strategia di tipo generale, indipendente da ogni particolare tipo di argomento o di oggetto, che aiuta il risolutore di problemi nell’affrontare, comprendere e sfruttare efficientemente le proprie risorse per la soluzione di problemi".

A titolo di esempio egli indica come tipiche le tre seguenti euristiche:
1) Esaminare casi particolari per formarsi un’idea del problema;
2) Disegnare un diagramma o un grafico se in qualche modo è possibile;
3) Cercare di individuare e sfruttare obiettivi intermedi, subgoals [vedi anche Cartesio]; L’abilità nel far uso di una euristica consiste nel saperne trasferire l’applicazione a nuovi tipi di problemi non troppo simili a quelli ove se ne è fatto uso. Questo non è sempre facile e immediato, ma occorre sviluppare tale capacità anche perché è possibile allenarsi in tal senso.

Nel 1919 Polya formulò una congettura relativa alla teoria dei numeri che fu poi confutata nella seconda metà del secolo scorso. Qui interessa solo rilevare che il controesempio piu piccolo (n = 906.150.257) fu trovato da M. Tanaka nel 1980. Il valore straordinariamente alto di questo controesempio è una dimostrazione del rischio che si corre a fidarsi delle ricerche esaustive svolte dai computer fino a valori apparentemente alti. Esso inoltre dimostra, come già sosteneva Hume, che le verifiche sebbene ripetute a lungo non possono essere generalizzate in certezze. In questo senso aveva ragione Popper a ritenere la falsificazione più efficace della verifica: basta infatti un solo controesempio per confutare una congettura [vedi anche Einstein].

Sviluppo di derivate di ordine n di funzioni goniometriche con tecniche di analisi complessa

Con il presente studio l’autore, utilizzando formule note, esamina lo sviluppo delle derivate, di ordine (2n-1), e di ordine (2n), (n = 1,2,3,…), delle funzioni trigonometriche P(x) = Tan(x), e C(x) = Sec(x), determinando le espressioni che definiscono i coefficienti, in funzione di n, dei polinomi risultanti, ottenendo formule complesse straordinarie ed inusuali. Alla fine viene aggiunta una interessante applicazione.

Matematica e…

oolong-floral_geometry.jpgE’ giunto al quinto anno, il ciclo di conferenze  “Matematica e…”, negli anni precedenti era denominato “Matematica & Realtà”. Si tratta di in una serie di incontri pomeridiani rivolti agli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori che hanno per obiettivo quello di dare spunti di riflessione sui collegamenti tra la matematica e le altre discipline, anche in vista della realizzazione della tesina per l’esame di stato. Gli incontri si terrano a Urbino presso il palazzo Battiferri (sede della facoltà di Economia) .

Il calendario delle conferenze è il seguente:

1. venerdì 5 novembre 2010: "Matematica e Clima", prof. Antonello Pasini, Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR di Roma.

2. venerdì 19 novembre 2010: "Matematica e musica: elementi musicali degli insiemi numerici” prof. Nicola Chiriano, Liceo scientifico “L. Siciliani” di Catanzaro.

3. venerdì 3 dicembre 2010: "Matematica e società; teoria dei giochi e dilemmi sociali". Gian Italo Bischi, Università di Urbino.

4. venerdì 17 dicembre 2010: "Matematica e Caos: dalle funzioni iterate all’effetto farfalla" prof. Gian Italo Bischi, Università di Urbino, prof. Paolo Tenti, Liceo “Laurana” di Urbino.

5. venerdì 11 febbraio 2011: "Matematica e storia: i matematici in Italia nei 150 di storia nazionale". prof. Angelo Guerraggio, Centro Pristem – Università Bocconi Milano.

6. venerdì 25 febbraio 2011: "Matematica e Architettura: l’analisi matematica delle forme" Liliana Curcio, Centro Pristem e Politecnico di Milano.

Sede: Facoltà di Economia, Palazzo Brandani Battiferri – Via Saffi, 42, Urbino.
Orario: 15:15 – 18 (con interruzione per coffee break)
Per informazioni e chiarimenti contattare:
Paolo Tenti – Liceo Scientifico “Laurana” Urbino tel. 0722 4430 [email protected]  
Gian-Italo Bischi – Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi, tel. 0722 305510 [email protected]

http://www.econ.uniurb.it/ciclomat.htm

 

Basi numeriche non decimali

10_23_10_23-geomangio.jpgUn sistema di numerazione è un sistema utilizzato per rappresentare i numeri e le operazioni che si possono effettuare su di essi. Presso tutte le culture con qualche forma di organizzazione sono state sviluppate notazioni numerali, talora assai rudimentali, fino ad arrivare al sistema oggi più diffuso, quello posizionale decimale.

Spunti e curiosità matematiche per una interessante didattica

articoli16.jpgNel secolo scorso nel suo libro “Le matematiche” Pierre Léon Boutroux (1880-1922) scriveva “Sono ormai quattrocento anni che si tenta di mettere i matematici a contatto col mondo esterno: nessuna impresa è mai stata più fallace” e tuttavia concludeva che “un libro di matematica è bene che rimanga un po’ astruso; se esso richiederà maggiore riflessione, l’impressione che se ne trarrà sarà più conforme alla verità”.

Anna Cerasoli, 10+ il genio sei tu, Emme edizioni

cerasoli10piu.pngAnna Cerasoli è tra le più attive divulgatrici della matematica per bambini e ragazzi. In questo libro si cimenta con una fiaba. Chi è asino resta asino per sempre? Chi ha un cervello di gallina non può imparare la matematica? Anna Cerasoli è convintissima che non è vero: con un po’ di determinazione e tanta buona volontà “tutto cambia”, come diceva il filosofo.

Tre asinelli, Bello, Bullo e Snello, girano il mondo finché incontrano tre asinelle e mettono su una fattoria, anzi trovano una vecchia fattoria dove vivono dei vecchietti che non riescono a fare più niente e si mettono di impegno per farne una moderna fattoria. “Cari amici asinelli, siamo quattro vecchietti, quattro bocche da sfamare, otto braccia per lavorare. Voi siete sei, perciò sei bocche da sfamare, ma quante zampe per lavorare? Nessuno riuscì a fare il conto, però tutti furono d’accordo che le zampe erano 4+4+4+4+4+4. Tu sai quante sono in tutto le zampe degli asinelli?”

Il racconto viene interrotto qua e là da quesiti, indovinelli ed esercizi di aritmetica che il genitore o la maestra può porre ai bambini, perché la matematica è dappertutto e bisogna esercitarla in continuazione, anche quando si leggono le fiabe. Ma per portare avanti la fattoria non bastano le braccia e le zampe, bisogna appunto saper far di conto e saper risolvere problemi di “alta economia”.

E’ così che uno degli asinelli è costretto ad andare a scuola pur sapendo che gli asini non sono graditi a scuola. Sulla porta del direttore, infatti, un cartello ammonisce: “Guai agli asini”. Ma per fortuna c’è un equivoco: “noi abbiamo dichiarato guerra alle persone asine, non agli asini in persona” dice il Preside. E allora il Preside cambia il cartello: ”Chiunque tu sia, benvenuto a scuola!”

E che dire delle galline con il cervello da gallina? “Vi racconto la mia storia, dice una di esse. Quando sentii il padrone della fattoria in cui sono nata dire a sua moglie “non capisci niente perché hai un cervello di gallina”, giurai a me stessa: a costo di fondermi, per lo sforzo, quel poco cervello che ho, dimostrerò allo zotico che si sbaglia! Imparerò addirittura i numeri e le quattro operazioni. Subito dopo me ne pentii, perché pensai che si trattasse di cose troppo difficili. Ma non ci misi molto a capire che le quattro operazioni erano già nella mia vita.”

Come in tutte le fiabe la morale c’è: asini e cervelli da gallina datevi da fare, la matematica è per tutti. Ma c’è una morale per la scuola: è ora che asini con le orecchie da asino e galline con il cervello di gallina siano anche loro i benvenuti nella scuola.

Le olimpiadi di Problem Solving

woodleywonderworks-pabloscubismperiodbeganatthree.jpgLa dimensione del problema che si vuole affrontare è smisurato, per cui, seguendo la metodologia utilizzata da Marshall McLuhan, si circoscriverà il campo e lo si scandaglierà. La sonda sarà gettata nel mare delle nuove tecnologie dell’informazione per discutere della loro penetrazione nel mondo della scuola: si otterrà una mappa a chiazze, senza un filo conduttore evidente.

Serendipity, la scoperta della penicillina e degli antibiotici [A. Fleming]

ewan-alexander_fleming.jpgMentre lavoravo con stafilococchi di diversi ceppi, alcune piastre di coltura furono collocate da una parte sul banco del laboratorio e di tanto in tanto venivano esaminate. Nel corso di tali esami queste piastre si trovavano necessariamente esposte all’aria e vennero contaminate da vari microrganismi. Si è rilevato che, intorno a una grande colonia di muffa contaminatrice, le colonie di stafilococchi diventavano trasparenti ed erano evidentemente soggette a lisi (dissoluzione). Fleming, A., British Journal of Experimental Pathology, 1929.

Un bel sorso di Whisky caldo prima di andare a dormire. Non è molto scientifico, ma aiuta. Alexander Fleming, (1881 – 1955).

Se non fosse stato per la mia precedente esperienza, avrei subito buttato via la piastra perché contaminata, come molti batteriologi devono aver fatto prima di me. E’ molto probabile che altri ricercatori abbiano visto in una coltura gli stessi cambiamenti che ho osservato io, ma, in assenza di un interesse particolare per le sostanze antibatteriche naturali, le colture andate a male siano state immediatamente gettate. Invece di eliminare la coltura contaminata, io feci alcuni esperimenti.

E’ il lavoratore solitario a fare il primo passo in un dato campo; i particolari possono essere messi a punto da una equipe, ma l’idea iniziale è dovuta all’intraprendenza, al pensiero, all’intuizione dell’individuo. Sir Alexander Fleming, Discorso del 1951.

Il merito di Fleming (fisiologo scozzese, premio Nobel nel 1945) fu di riconoscere ed interpretare adeguatamente osservazioni frutto di circostanze fortuite, aprendo in questo modo le porte allo sviluppo della moderna terapia antibiotica, permettendo di iniziare ad affrontare malattie che per lungo tempo erano risultate molto gravi ed in alcuni casi mortali: la tubercolosi, le broncopolmoniti e le infezioni suppurative postoperatorie. Fleming identificò in un secondo momento la muffa come appartenente al genere Penicillium. Se nei punti in cui la muffa era accidentalmente caduta sul terreno di coltura i batteri scomparivano, significava che questa conteneva qualche sostanza in grado di distruggerli. Quando riuscì ad isolare ed estrarre, anche se non totalmente, questo nuovo composto, lo chiamò penicillina: ne descrisse la stabilità a pH neutro ed acido, l’attività selettiva sui Gram positivi e su alcuni Gram negativi ed iniziò a studiarne la tossicità in animali da esperimento.

Egli fu sempre conscio del ruolo avuto dalla casualità nella sua scoperta e riconobbe alla sorte parte del merito, sostenendo che: "ci sono migliaia di muffe differenti e ci sono migliaia di batteri differenti, e che la sorte abbia messo la muffa giusta nel punto giusto è stato come vincere alla Irish Sweep (ovvero la grande lotteria irlandese abbinata alle corse dei cavalli)".

Serendipità, neologismo poco usato nella lingua italiana, è assai più diffuso nel mondo anglosassone che proviene da serendipity, parola coniata nel 1754 dal letterato Horace Walpole il quale, rimanendo colpito dal racconto dei "Tre principi di Serendippo" di Cristoforo Armeno, ne estrasse un personalissimo principio. Serendipità significa scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra. Non si tratta solo di fortuna perché per cogliere l’indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative.

Nel caso di Fleming la preparazione e la conoscenza giocarono un ruolo fondamentale per l’avanzamento delle ricerche, ponendo in giusta luce l’evento e la sua interpretazione. E’ opinione diffusa che la creatività consista nel riuscire a scorgere una relazione fino a quel momento insospettata tra due ambiti di ricerca o due situazioni problematiche apparentemente differenti. E questo fu esattamente quello che riuscì a Fleming quando comprese il significato della piastra di penicillina. Invece di considerare la piastra contaminata come un fallimento della sua attuale ricerca sul cambiamento di colore degli stafilococchi, egli comprese che forse la piastra poteva essergli d’aiuto per la soluzione della situazione problematica dell’antisepsi sorta nel corso delle sue precedenti ricerche. E’ probabile infatti che Fleming abbia congetturato che la muffa potesse produrre proprio quell’antisettico perfetto in grado di distruggere i batteri patogeni senza danneggiare le difese immunitarie umane (fagociti, leucociti). L’ipotesi che Fleming abbia fatto questa congettura è avvalorata dalla sua condotta successiva. Egli coltivò la muffa sulla superficie di un brodo di carne, per poi filtrarla al fine di produrre quello che chiamò succo di muffa. Provò poi gli effetti di questo succo su alcuni batteri patogeni e i risultati furono incoraggianti: gli streptococchi, gli stafilococchi, i pneumococchi, i gonococchi, i meningicocchi virulenti e i bacilli della difterite furono tutti energicamente inibiti. Il succo di muffa si era di fatto rivelato un germicida più efficace dell’acido fenico, senza comportare alcun effetto nocivo per i fagociti. Tutto lasciava supporre che si trattasse proprio dello antisettico perfetto. (Cfr. Gillies, Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, Laterza 1995).

Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell

pittaya-electricity.jpgIn queste pagine vengono trattate le unità di misura delle grandezze elettromagnetiche, al fine di migliorare la comprensione delle relazioni tra i vari sistemi di unità di misura che, tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, si sono succeduti e che, spesso, sono anche stati utilizzati in forma ibrida. Inizialmente, tutte le relazioni importanti dell’elettromagnetismo vengono introdotte senza fare riferimento ad alcuno dei sistemi di unità di misura. Così facendo, ci si ritroverà in presenza di tre costanti arbitrarie (una elettrica, una magnetica, ed una elettromagnetica), che risulteranno collegate dalla relazione che esprime la velocità della luce.

Capitali del mondo [Excel]

agonzalez-girl_world.jpgSi tratta di accoppiare tutte le nazioni del mondo con le loro capitali inserendo una "x" nella griglia proposta. Alla fine, ovvero dopo aver inserito la 194-esima capitale, compare il risultato in percentuale degli accoppiamenti corretti. Durante la compilazione una riga e una colonna di color rosso, poste a fianco delle nazioni e delle capitali, aiutano a capire quali e quanti accoppiamenti mancano alla conclusione. Un semplice giochino, lungo e noiso forse, che mostra le potenzialità didattiche di strumenti come Excel.

ico-xls.pngScarica il gioco della Capitali del mondo

Tecnologie informatiche nella didattica delle discipline scientifiche

bernardo-tesi.pngL’attività di laboratorio, sia come spazio attrezzato tipico per l’insegnamento delle discipline scientifiche, sia come attività cooperativa e condivisa tra studenti e insegnanti, caratterizzata da un forte approccio operativo, riveste attualmente un ruolo di primo piano non solo nella sperimentazione ma anche nella didattica usuale. Obiettivo della ricerca di dottorato è stato quello di progettare sistemi usabili ed efficaci, nello stile del Web 2.0 per portare l’apprendimento delle discipline scientifiche e in particolare delle attività di laboratorio in senso lato nel paradigma di base dell’e-learning: anytime and anywere.

Le due principali tematiche di ricerca esposte in questa tesi sono: il laboratorio scientifico mediato dal Web, in particolare la progettazione e realizzazione di un software che consente di far controllare via Web a una classe virtuale strumenti di laboratorio reali: il telescopio del Dipartimento di Fisica e il microscopio del Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento.

La seconda tematica ha riguardato la progettazione e realizzazione di strumenti di gestione e controllo di una comunità di studio on line (Online Learning Community OLC), con particolare riferimento alle attività didattiche laboratoriali (in senso lato) collaborative sincrone. In particolare, sono stati studiati strumenti di gestione e controllo per la community Matematicamente.it, la gara online MatematiCup condotta come laboratorio didattico di matematica, la gara online EcologicaCup come laboratorio di ecologia, l’Agenzia Simulata delle Entrate all’interno della rete italiana delle Imprese Formative Simulate come laboratorio di simulazione d’impresa.

La tesi si compone di tre capitoli. Nel primo si descrive l’evoluzione dell’elearning con particolare riferimento agli sviluppi del cosiddetto elearning 2.0 per fornire il contesto tecnologico e pedagogico della ricerca. Il secondo è dedicato ai laboratori remoti collaborativi. Nel terzo capitolo si descrive lo sviluppo della community Matematicamente.it e le altre attività di laboratorio ‘virtuale’ svolte con il DIDA-lab (dir. resp. Prof. M. A. Bochicchio), laboratorio di innovazione didattica con le tecnologie informatiche, presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, Università del Salento.

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INDICE
Abstract
Capitolo 1: Le ICT nella formazione
   1.1 I modelli dell’elearning
   1.2 Gli stili di apprendimento
   1.3 Il quadro istituzionale
   1.4 Questioni aperte e “research question”
Capitolo 2: I laboratori remoti
   2.1 Il laboratorio nella didattica
   2.2 Il laboratorio remoto
   2.3 Il laboratorio remoto collaborativo
   2.4 AstroNet
   2.5 MicroNet
Capitolo 3: On line learning communities
   3.1 Dal Web 2.0 all’elearning 2.0
   3.2 Matematicamente.it
   3.3 Laboratorio di matematica: Matematicup
   3.4 Laboratorio di ecologia: EcologicaCup
   3.5 Laboratorio d’impresa: Agenzia Simulata delle Entrate
Conclusioni
Bibliografia 

Bibliografia e sitografia
[ADL 2004] Advanced Distribuited Learning, SCORM 2.0, 2004, http://www.adlnet.gov/scorm/downloads/index.aspx  (21.02.2009)

[Agarwal 1998] Agarwal D. A., Sachs S. R., Johanston, W. E., The reality of collaboratories, in “Comput. Physt. Commun.” (110), 1998, pp.134-141.

[Aktan 1996] Aktan B., Bohus C. A., Crowl L. A., Shor M. H., Distance learning applied to control engineering laboratories, in “IEEE Transactions on Education” (39, 3), 1996, pp. 320–326.

[Anderson P. 2007] Anderson P., What is Web 2.0? Ideas, technologies and implications for education, JISC reports, 2007. http://www.jisc.ac.uk/media/documents/techwatch/tsw0701b.pdf  (07.03.2009)

[Anderson T. 2005] Anderson T., Distance Learning – Social Software’s killer ap?, ODLAA 2005 Conference http://www.unisa.edu.au/odlaaconference/PPDF2s/13%20odlaa%20-%20Anderson.pdf  (07.03.2009)

[Anderson T. 2006] Anderson T., PLEs versus LMS: Are PLEs ready for Prime time?, in “Virtual Canuck – Teaching and Learning in a Net-Centric World”, 2006,
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Problema di analisi complessa 2

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Problema di analisi complessa 10

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