Operazioni sui limiti

Illustriamo alcuni teoremi sui limiti, supponendo che i limiti di cui si parla esistano, e siano finiti. Tali teoremi sono utili per eseguire operazioni sui limiti.

Teorema: Siano \( f_1(x) \) e \( f_2(x) \) due funzioni che ammettono per x → c (finito o infinito) limiti finiti, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = l_1 \mbox{ , } \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = l_2 \]

allora, il limite della somma delle due funzioni esiste e coincide con la somma dei due limiti; allo stesso modo, il limite della differenza delle due funzioni esiste e coincide con la differenza dei limiti:

\[ \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x)\pm f_2(x)] = \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) \pm \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = l_1 \pm l_2 \]

Il teorema si può applicare anche al caso di più di due funzioni, e anche al caso in cui una di esse sia la funzione costante.

Nel caso in cui, invece, le funzioni abbiano limite infinito, dobbiamo distinguere diversi casi:

  • Se una funzione ha limite infinito e l’altra ha limite finito, la loro somma algebrica ha come risultato infinito:

\( \begin{cases} \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = l \\ \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = \pm\infty \end{cases} \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x) + f_2(x)] = \pm \infty \mbox{ , } \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x) – f_2(x)] = \pm \infty \)

  • se entrambe le funzioni hanno limite più infinito, la loro somma ha limite più infinito:

\( \begin{cases} \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = +\infty \\ \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = +\infty \end{cases} \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x) + f_2(x)] = +\infty \)

In questo caso, nulla si può dire della loro differenza;

  • se entrambe le funzioni hanno limite meno infinito, la loro somma ha limite meno infinito:

\( \begin{cases} \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = -\infty \\ \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = -\infty \end{cases} \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x) + f_2(x)] = -\infty \)

nulla si può dire, però, della loro differenza;

  • se le funzioni hanno limite infinito, di segno discorde, allora la loro differenza vale infinito, e si ha:

\( \begin{cases} \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = +\infty \\ \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = -\infty \end{cases} \Rightarrow \)

\( \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x) – f_2(x)] = +\infty \mbox{ , } \lim_{x \rightarrow c} [f_2(x) – f_1(x)] = -\infty \)

Non è invece definita la loro somma.

Nei casi in cui non si può dire nulla di un certo limite, cioè se il limite si presenta nella forma + ∞ – ∞, si parla di forma indeterminata.

Somma e differenza di funzioni continue

Il seguente teorema è una conseguenza immediata del teorema precedente, e afferma che:

Teorema: la somma e la differenza di due funzioni continue in un punto c sono funzioni continue nel punto c.
Allo stesso modo, se le funzioni in questione sono continue in un intervallo I, allora la loro somma e la loro differenza sono funzioni continue in I.

Teorema: Limite del prodotto di due funzioni

Il limite del prodotto di una funzione per una costante è uguale al prodotto della costante per il limite della funzione, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} [k \cdot f(x)] = k \cdot \lim_{x \rightarrow c} f(x) \]

In base ai teoremi precedenti, possiamo affermare che il limite di una combinazione lineare di funzioni, è proprio la combinazione lineare dei limiti delle funzioni.

Quindi, se le funzioni in questione sono \(f_1(x)\) e \(f_2(x)\), e hanno limiti, rispettivamente, \(l_1\) e \(l_2\), allora si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} [k\cdot f_1(x) + h \cdot f_2(x)] = k \cdot \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) + h \cdot \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = k \cdot l_1 + h \cdot l_2 \]

Per questo motivo, si usa dire che il limite è un operatore lineare.

Teorema: Il limite del prodotto di due funzioni è uguale al prodotto dei limiti delle due funzioni:

\[ \begin{cases} \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = l_1 \\ \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = l_2 \end{cases} \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x)\cdot f_2(x)] = l_1 \cdot l_2 \]

Questo teorema può essere esteso al caso di due o più funzioni; possiamo quindi dire che il limite del prodotto di più funzioni è uguale al prodotto dei limiti delle singole funzioni; in particolare, se uno dei fattori tende a zero, e gli altri tendono al un valore finito, il limite del prodotto tende a zero.

Esaminiamo ora alcuni casi in cui il limite delle funzioni non sia finito.

  • se uno dei fattori tende all’infinito, e l’altro ad un valore finito diverso da zero, allora il prodotto delle due funzioni tende all’infinito, con segno dato dalla regola dei segni:

\[ \begin{cases} \lim_{x \rightarrow c} f_1(x) = l \ne 0 \\ \lim_{x \rightarrow c} f_2(x) = \infty \end{cases} \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} [f_1(x) \cdot f_2(x)] = \infty \]

  • se entrambi i fattori tendono all’infinito, il prodotto delle funzioni tende all’infinito, con segno dato dalla regola dei segni.

Nel caso, invece, in cui uno dei fattori tende all’infinito e l’altro tende a zero, non possiamo dire nulla sul prodotto delle funzioni, e ci troviamo di fronte ad una forma di indecisione del tipo ∞ ∙ 0.

Teorema: Il limite della potenza, con esponente intero n positivo, di una funzione che tende ad un limite finito è la potenza ennesima del limite, cioè:

Nel caso in cui il limite della funzione è ±∞, se n è pari il limite della potenza sarà +∞, mentre, se n è dispari, il limite della potenza sarà -∞.

In sintesi

Forme indeterminate o di indecisione

\[ \frac{0}{0} \mbox{; } \frac{\infty}{\infty} \mbox{; } 0 \cdot \infty \mbox{; } \infty – \infty \mbox{; } \infty^{0} \mbox{; } 0^0 \mbox{; } 1^{\infty} \]

Forme determinate in cui compaiono 0 e ∞

\[ \frac{l}{\infty} = 0 \mbox{; } \frac{l}{0} = \infty \mbox{; } \frac{\infty}{0} = \infty \mbox{; } \frac{0}{\infty} = 0 \]

\[ \infty \cdot \infty = \infty \mbox{; } +\infty + \infty = +\infty\mbox{; } -\infty – \infty = – \infty \]

 

Funzioni continue e calcolo dei limiti

Consideriamo una funzione f(x) generica; sappiamo che, per x tendente ad un punto c (x → c), la funzione può avere limite, o può non averlo. Inoltre, questo limite, se esiste, può coincidere con f(c) se questo è definito, o può non coincidere con f(c).

A questo proposito, diamo la seguente definizione:

Definizione di funzione continua in un punto

Una funzione di equazione y = f(x) si dice continua in un punto c quando esiste il limite della funzione per x → c e questo limite è uguale al valore della funzione in quel punto, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = f(c) \]

Ricordando la definizione di limite, possiamo anche affermare che una funzione f(x) è continua in un punto x = c se, comunque scelto un valore ε arbitrariamente piccolo, è possibile trovare un intorno di c in tutti i punti del quale risulti:

\[ |f(x) – f(c)| < \epsilon \]

Riassumendo, possiamo dire che una funzione f(x) è continua nel punto x = c se:

  • esiste il valore della funzione nel punto c;
  • esiste il limite della funzione per x tendente a c;
  • il valore del limite è uguale al valore della funzione in c.

In particolare, possiamo distinguere due casi; se si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x) = f(c) \]

si dice che la funzione f(x) è continua in c dalla sinistra; se invece, di ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = f(c) \]

si dice che la funzione f(x) è continua in c dalla destra.

Osserviamo che, se una funzione è continua in un punto c, il punto c deve essere un punto di accumulazione del dominio della funzione, cioè tale che, in ogni suo intorno esiste almeno un elemento del dominio distinto dal punto c stesso.

Definizione di funzione continua in un intervallo

Una funzione f(x) si dice continua in un intervallo I se essa è continua in ogni punto di I.

L’insieme dei valori di x per cui una funzione è continua è detto insieme di continuità di f(x) e, molto spesso, esso coincide proprio con il dominio della funzione.

Continuità delle funzioni elementari

Vediamo alcuni esempi di funzioni elementari continue.

  • La funzione costante

La funzione costante f(x) = k è continua per qualunque valore di x; infatti, sappiamo che per ogni c reale, si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} k = k \]

e, poiché il valore di f(x) in x = c è proprio k, la funzione è continua per tutti i valori di x.

  • La variabile indipendente

La funzione f(x) = x è continua per tutti i valori di x; infatti, consideriamo un generico c reale: abbiamo che f(c) = c. Si può verificare che per qualunque valore di x, si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = f(c) \rightarrow \lim_{x \rightarrow c} x = c \]

  • La funzione esponenziale

Anche la funzione esponenziale è continua per ogni x reale, e si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} a^x = a^c \, \, \, \, \forall c \in \mathbb{R} \mbox{, } a \gt 0 \]

  • La funzione logaritmica

La funzione logaritmica è continua per ogni valore di x positivo, e si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} \log_a x = \log_a c \, \, \, \, \forall c \in \mathbb{R^{+}} \mbox{, } a \in \mathbb{R^{+}} – \{1\} \]

Calcolo dei limiti delle funzioni continue

Se una funzione è continua, possiamo calcolare facilmente il suo limite per x che tende ad un valore numerico c. Infatti, dalla definizione di funzione continua, sappiamo che se una funzione f(x) è continua in un punto x = c, si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = f(c) \]

Quindi, per calcolare il limite della funzione, per x→ c, sapendo che essa è continua in x = c, basta calcolare il valore della funzione in questo punto, cioè f(c).

Esempio di calcolo del limite attraverso la continuità della funzione:

Calcoliamo il seguente limite:

\[ \lim_{x \rightarrow 2} 3^x \]

Sappiamo che la funzione esponenziale è una funzione continua in ogni x reale, quindi è continua in particolare anche in x = 2. Quindi, possiamo calcolare facilmente il limite della funzione per x→ 2, in quanto questo corrisponde proprio con il valore che la funzione assume in x = 2:

\[ \lim_{x \rightarrow 2} f(x) = f(2) \rightarrow \lim_{x \rightarrow 2} 3^x = 3^2 = 9 \]

 

Teorema del confronto

I seguenti teoremi si possono applicare quando si vuole determinare il limite di una funzione.

Primo teorema del confronto

Se due funzioni h(x) e g(x) tendono allo stesso limite finito l, per x → c, con c finito o infinito, e una terza funzione f(x), in tutti i punti di un intorno di c, escluso al più x = c, è compresa tra le due precedenti, allora, anch’essa tende allo stesso limite l, per x → c:

\( \begin{cases} h(x) \le f(x) \le g(x) \\ \lim_{x \rightarrow c} h(x) = l \\ \lim_{x \rightarrow c} g(x) = l \end{cases} \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} f(x) = l \)

In questi casi, quando si hanno delle funzioni h(x) , g(x) e f(x) tali che, in un certo intervallo, si ha h(x) ≤ f(x) ≤ g(x), allora si dice che, in quell’intervallo, la funzione h(x) è minorante della funzione f(x), e che la funzione g(x) è maggiorante della funzione f(x).

Secondo teorema del confronto

Se in tutti i punti di un intorno c, finito o infinito, escluso al più x = c, due funzioni sono tali che:

\[ |f(x) \le |g(x)| \]

e g(x) tende a zero per x → c, allora anche f(x) tende a zero per x → c.

Terzo teorema del confronto

Se in tutti i punti di un intorno di c, infinito o finito, escluso al più x = c, due funzioni sono tali che:

\[ |g(x)| \ge |f(x)| \]

e f(x) tende all’infinito per x → c, allora anche g(x) tende all’infinito per x → c.

Esistenza del limite per le funzioni monotone

Le funzioni monotone sono funzioni sempre crescenti o sempre decrescenti; per questo tipo di funzioni, vi sono teoremi che garantiscono l’esistenza del limite, sotto alcune condizioni.

Teorema Sia y = f(x) una funzione definita e crescente in un intorno sinistro I del punto c (il teorema è valido anche se I è un intorno di + ∞, cioè se c = +∞); allora, la funzione ammette limite per x che tende a c per difetto (cioè, da sinistra ), e in particolare si ha che:

  • se la funzione è limitata superiormente in I e se L è l’estremo superiore dei valori di f(x) al variare di x in I, allora si ha che: \[ \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x) = L^{-} \]
  • se la funzione non è limitata superiormente in I, allora il limite vale più infinito: \[ \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x) = +\infty \]

Teorema Sia y = f(x) una funzione definita e crescente in un intorno destro I del punto c (anche in questo caso, il teorema è valido anche se I è un intorno di – ∞, cioè se c = -∞ ); allora, la funzione ammette limite per x che tende a c per eccesso (cioè, da destra), e in particolare si ha che:

  • se la funzione è limitata inferiormente in I e se l è l’estremo inferiore dei valori di f(x) al variare di x in I, allora si ha che: \[ \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = l^{+} \]
  • se la funzione non è limitata inferiormente in I, allora il limite vale meno infinito: \[ \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = -\infty \]

I due teoremi precedenti possono essere illustrati anche nel caso di una funzione f(x) che sia definita e decrescente in un intorno I del punto c.

Teoremi sui limiti delle successioni

I teoremi generali sui limiti delle funzioni possono essere estesi anche ai limiti delle successioni.

Vediamo in particolare, i teoremi del confronto estesi alle successioni.

Primo teorema del confronto per le successioni

Se due successioni \( a_n \) e \( b_n \) tendono allo stesso limite finito l, e una terza successione \( c_n \) è compresa, definitivamente, tra le due precedenti, allora anche la successione \( c_n \) tende allo stesso limite l:

\( \begin{cases} \lim_{n \rightarrow +\infty} a_n = l \\ \lim_{n \rightarrow +\infty} b_n = l \\ a_n \le c_n \le b_n \end{cases} \Rightarrow \lim_{n \rightarrow +\infty} c_n = l \)

Secondo teorema del confronto

Se due successioni \( a_n \) e \( b_n \) sono tali che, definitivamente, si abbia:

\[ |a_n| \le |b_n| \]

e se \( b_n \) ha per limite 0, allora anche \( a_n \) tende a zero:

\[ \lim_{n \rightarrow +\infty} a_n = 0 \]

Terzo teorema del confronto per le successioni

Se due successioni \( a_n \) e \( b_n \) sono tali che, definitivamente, si abbia:

\[ |a_n| \le |b_n| \]

se \( a_n \) diverge, allora anche \( b_n \) tende all’infinito.

 

Teoremi sui limiti

Teoremi generali

Per i limiti valgono i seguenti teoremi

Teorema di unicità del limite:

Se per x → c, la funzione f(x) ammette un limite, questo limite è unico.

Teorema della permanenza del segno:

Se per x → c la funzione f(x) tende al limite finito l diverso da zero, esiste un intorno di c per tutti i punti del quale, escluso a più c, i valori della funzione hanno lo stesso segno del limite.

Questo teorema è valido anche per x → +∞, per x → -∞ e per x → ∞; inoltre,vale anche se il limite l è uguale a +∞ o -∞, mentre non è valido per l = ∞.

Esempio di verifica del teorema della permanenza del segno

Verifichiamo il teorema della permanenza del segno in un caso particolare; consideriamo la seguente funzione:

\[ f(x) = \frac{1-x^2}{100} \]

Il suo limite per x → 0 è 1/100, infatti possiamo verificare che la disequazione |f(x) – 1/100| < ε ha per soluzione un intorno di zero:

\( \Big|\frac{1-x^2}{100}-\frac{1}{100}\Big| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{1-x^2-1}{100}\Big| \lt \epsilon \rightarrow |x^2| \lt 100\epsilon \)

da cui otteniamo:

\[ -100 \epsilon \lt x^2 \lt 100 \epsilon \]

Possiamo separare le due disequazioni, e porle all’interno di un sistema:

\( \begin{cases} x^2 \lt 100\epsilon \\ x^2 \gt -100 \epsilon \end{cases} \rightarrow \begin{cases} -10\sqrt{\epsilon} \lt x \lt 10\sqrt{\epsilon} \\ \forall x \in \mathbb{R} \end{cases} \)

Le soluzioni della disequazione di partenza, quindi, sono date dal seguente intervallo, che è un intorno di zero:

\[ -10\sqrt{\epsilon} \lt x \lt 10\sqrt{\epsilon} \]

Quindi, possiamo affermare che il limite di f(x), per x → 0, è proprio 1/100:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{1-x^2}{100} = \frac{1}{100} \]

In questo caso, il limite cui tende la funzione è positivo, quindi per il teorema della permanenza del segno sappiamo che, in tutti i punti di un intorno di x = 0, eccetto al più x = 0, si ha che anche la funzione f(x) è positiva. In effetti, la funzione f(x) è maggiore di zero proprio in un intorno di zero:

\[ f(x) \gt 0 \rightarrow \frac{1-x^2}{100} \gt 0 \rightarrow -1 \lt x \lt 1 \]

Il teorema della permanenza del segno può anche essere invertito. Vediamo alcuni teoremi che ne derivano:

Teorema: Se in un intorno del punto c, escluso al più x = c, la funzione f(x) è positiva o nulla, ed ammette limite l per x → c, allora si ha che l ≥ 0.

Se, però, sappiamo che in un intorno di c, escluso al più x = c, la funzione f(x) è positiva, cioè f(x) > 0, non è detto che il limite l della funzione, per x → c, se esiste è positivo, infatti esso può essere anche nullo.

Infatti, la funzione quadratica elementare, y = x^2, è positiva in un intorno dell’origine, escluso x = 0, ma al tendere di x a zero, cioè per x → 0, assume proprio il valore zero ( l = 0 ).

Teorema: Se in un intorno del punto c, escluso al più x = c, la funzione è negativa o nulla, ed ammette limite l per x → c, allora si ha che l ≤ 0.

I teoremi appena enunciati hanno validità anche per x → +∞, per x → -∞ e per x → ∞. Possiamo, inoltre, estendere questi teoremi al caso dei limiti infiniti; vediamo il seguente teorema:

Teorema: Se una funzione f(x) ha limite infinito per x → c e in tutti i punti di un intorno di c, escluso al più x = c, risulta f(x) ≥ 0, allora per x → c la funzione ha limite +∞; se invece, in un intorno di c, escluso al più x = c, la funzione è negativa o nulla ( f(x) ≤ 0 ), il limite della funzione per x → c vale -∞.

Teorema sul limite del modulo di una funzione

Se per x → c la funzione f(x) tende ad un limite finito l, allora il limite del modulo della funzione equivale al modulo del limite, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} |f(x)| = |l| \]

 

Esamina l’unità d’abitazione di Le Corbusier, evidenziando i cinque punti dell’architettura razionale

Le Corbusier è stato uno dei più grandi e conosciuti architetti del XX secolo. Nel suo saggio ‘Vers une architecture’ sintetizzò quelli che erano i cinque punti dell’architettura razionale, che lui mise in pratica nelle sue unita d’abitazione (ne realizzò ben cinque, a Marsiglia, Firminy, Nantes, Briey – en – Foret, Berlino).

Prendiamo in esame l’unità di abitazione di Marsiglia e leggiamola alla luce dei cinque punti dell’architettura razionale.

I 5 punti dell’architettura razionale sono:

1. pilotis (piloni): le abitazioni sono separate dal terreno per mezzo di sostegni in cemento armato (piloni) e l’area sottostante utilizzata come giardino, garage, oppure per far passare le strade.

2. Tetto-giardino: Il tetto delle unità di abitazione è utilizzato come giardino; vengono piantate piante ed erbe; su di esso è possibile creare anche una piscina.

3. Plan-libre (pianta libera): lo scheletro dell’edificio è realizzato in cemento armato che elimina la funzione dei muri portanti, e aprendo la strada alla libertà di inserire pieni e vuoti a piacimento, senza i vincoli che costringevano l’architettura precedente.

4. Facciata libera: è anch’essa una conseguenza dell’uso del cemento armato, che consente di tamponare i vuoti a piacimento, con pareti isolanti o infissi trasparenti.

5. Finestra a nastro: altra innovazione permessa dal cemento armato; la facciata può essere tagliata in orizzontale da un’immensa vetrata orizzontale, permettendo un’ illuminazione degli interni mai vista prima.

L’ unità d’abitazione di Marsiglia fu realizzata nel 1946 ed è ancora in uso. E’ una struttura alta 20 piani e composta di 337 unità abitative. Gli appartamenti sono realizzati nella forma del duplex, cioè disposti su due livelli; al settimo e ottavo piano ci sono i servizi (negozi, asilo, lavanderia). Sulla sommità dell’edificio, il tetto giardino, mentre il basamento è realizzato con i pilotis; l’illuminazione dei singoli appartamenti è data dalle finestre a nastro.

Il “Primitivismo” ha avuto sull’arte moderna occidentale un’influenza straordinaria. Illustra sinteticamente un artista, a tua scelta, che si è ispirato al linguaggio figurativo arcaico

Il Primitivismo, nome usato inizialmente in modo dispregiativo nei confronti di un’arte non compresa, è un aspetto dell’arte moderna.

L’interesse per l’arte primitiva, iniziato con Van Gogh e Gauguin, coinvolse tanti altri artisti.

Paul Gauguin nasce a Parigi nel 1848. Sin da giovane si lega al gruppo impressionista, partecipando ad alcune mostre del movimento. Ma è da

una sua maturazione artistica che deriva il suo considerare come fondamentali le esperienze artistiche “primitive”. L’esperienza bretone è fondamentale per l’elaborazione del cosiddetto “sintetismo”, basato sulla conoscenza delle stampe giapponesi e sul primitivismo espressivo della scultura bretone. Esempio fondamentale delle conclusioni sintetiste è il dipinto “La visione dopo il sermone” del 1888. Nel dipinto è evidente il non utilizzo di tecniche prospettiche, evidenziato dal colore steso in modo totalmente uniforme, indice del fatto che l’artista non voleva dare profondità all’opera.

Guarda altre opere d’arte primitiva su Google Art Project

Quali tematiche sviluppate dal Futurismo sono presenti nel progetto di Antonio San’Elia “La città nuova”?

Antonio Sant’Elia scrisse nel 1914 il Manifesto dell’architettura futurista; i suoi numerosi disegni della ‘Città nuova’ propongono un nuovo modello di architettura che esaltava la funzionalità a scapito della funzione decorativa. Gran parte dei progetti di Sant’Elia rimarrà sulla carta, ma il suo pensiero è emblematico del movimento futurista.

Il futurismo infatti esaltava il movimento, e gli edifici progettati da Sant’Elia sono tutti dotati di scale mobili, ascensori esterni, e dispositivi mobili che fanno proprio pensare alla civiltà delle macchine che il movimento futurista ha sempre esaltato. L’idea del continuo rinnovamento e della transitorietà è chiaro non solo dai suoi disegni, ma anche dalle sue parole: “Le cose dureranno meno di noi; ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città”.

Antonio Sant’Elia, come tutti i futuristi sente il bisogno di far parte del suo tempo,di utilizzare nuovi materiali, di sperimentare forme nuove: al marmo si sostituisce infatti l’uso del cemento armato. La moderna civiltà delle macchine viene esaltata proprio nei disegni della ‘Città nuova’, le cui abitazioni sembrano proprio delle enormi macchine di cemento. Sant’Elia scrive che “l’ architettura si stacca dalle tradizioni. Si ricomincia da capo…”, quindi una netta opposizione al passato e alla tradizione a favore del vetro, del cemento, dell’acciaio.

Evidenziare i significati dell’opera “La libertà che guida il popolo” di E. Delacroix

“La libertà che guida il popolo” di Delacroix rappresenta, come il nome stesso dell’opera suggerisce, la libertà. Realizzata dall’artista nel 1830, è ispirata alla rivolta popolare parigina dello stesso anno. L’artista sembra infatti abbia voluto dipingere per la sua patria. L’opera consiste in un insieme di figure non comunicanti tra loro, isolate, che hanno solo un carattere simbolico. Figure fondamentali dell’opera sono: la donna in primo piano, indifferente alla sofferenza che la circonda, rappresenta, allo stesso tempo, la patria e la libertà; l’intellettuale con il cilindro, forse autoritratto dell’autore, rappresenta la borghesia; il popolano con la spada, forse anche questo autoritratto dell’autore, rappresenta la violenza e il desiderio di distruzione; il ragazzo che guarda la donna (libertà) rappresenta la fede negli ideali; i cadaveri in primo piano rappresentano la morte.

Fondamentale da ricordare anche il riferimento alla “Zattera della medusa” di Gericalt, con una differenza sostanziale: i personaggi dell’opera appena citata indietreggiano rispetto allo spettatore; nell’opera di Delacroix, invece, i personaggi sembra quasi cadano sullo spettatore.

Visualizza il quadro esposto al museo Louvre di Parigi.

Esprimere le caratteristiche salienti e il valore dell’opera “I giocatori di carte” di P.Cezanne

I “Giocatori di carte” è un tema, di ispirazione caravaggesca per lo sfondo e l’utilizzo della luce, che Cezanne tratta negli anni novanta del XIX secolo, a più riprese. Non rappresenta solo un’impressione, ma rappresenta un’immagine destinata a restare nella mente. Caratteristica saliente dell’opera è la raffigurazione a specchio di due uomini, separati da una bottiglia, asse centrale della composizione ed elemento di riflessione della luce, entrambi seduti ed intenti ad osservare le carte con sguardo intenso e concentrato. Ovviamente gli uomini presentano delle differenze tra loro: i capi d’abbigliamento, il cappello, la presenza della pipa nella bocca dell’uomo a sinistra, e l’età, infatti l’uomo a destra risulta più giovane di quello a sinistra.

Sullo sfondo è evidente la presenza di una parete, arricchita di legno scuro e di uno specchio che impedisce all’osservatore di percepire bene la dimensione dello spazio circostante.

Particolari sono anche le pennellate, le quali a volte appaiono sintetiche e si compongono a tasselli.

L’opera è stata venduta lo scorso anno, ma la notizia è stata resa nota solo di recente. Il prezzo pagato per l’acquisto dell’ultima versione dell’opera, l’unica disponibile sul mercato, risulta di 250 milioni di dollari. In altre parole, attualmente, Cezanne risulta l’artista più pagato al mondo.

Visualizza il quadro esposto al Musée d’Orsay a Parigi.

Illustra le caratteristiche compositive e stilistiche del dipinto Les Demoiselles d’Avignon di Picasso

Il dipinto “Les Demoiselles d’Avignon” rappresenta la prima opera del periodo cubista del Picasso, realizzato tra il 1906 e il 1907.

La scena rappresenta cinque donne in una casa d’appuntamento. Le figure non risultano in armonia tra loro, infatti la scena sembra formata da un insieme di piani sovrapposti tra loro. E ogni piano scaturisce da una prospettiva colta da angoli visivi diversi. Non vi è quindi il rispetto della tecnica prospettiva tradizionale.

L’opera, inoltre, sembra formata solo di sfaccettature di cubi, tipico di ogni opera del periodo cubista e dovuto alla composizione per sovrapposizione di piani.

Altro elemento fondamentale è l’assenza completa di veridicità anatomica. Esempio evidente di ciò è una delle figure centrali, rappresentata con il volto frontale rispetto all’osservatore, ma con il naso in posizione laterale.

Le donne rappresentate al centro risultano molto diverse rispetto a quelle poste ai lati, infatti quest’ultime sembrano ispirate alle sculture africane.

Limite infinito di una funzione per x che tende all’infinito

Consideriamo la funzione seguente:

\[ y = f(x) = x^3 \]
Sappiamo che essa è definita per ogni x reale, quindi esaminiamo il comportamento della funzione mano a mano che i valori di x, positivi o negativi, diventano molto grandi, in valore assoluto.

Riassumiamo in uno schema i valori assunti da f(x) al variare di x:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Possiamo quindi notare che, all’aumentare di x, la funzione f(x) assume valori sempre più grandi, quindi, possiamo scrivere che per x → +∞, f(x) → +∞ ; allo stesso modo, al diminuire di x, f(x) assume valori sempre più piccoli, quindi per x → -∞, f(x) → -∞.

In termini generali, si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = \infty \]

Diamo ora una definizione generale, considerando una generica funzione f(x), definita in un intorno di infinito.

Definizione di limite infinito

Si dice che, per x tendente all’infinito, la funzione y=f(x) ha per limite infinito, e si scrive

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = \infty \]

se, comunque si scelga un numero positivo M, arbitrariamente grande, si può determinare, in corrispondenza di esso, un introno di infinito tale che, per ogni x di tale intorno, si ha:

\[ | f(x) | \gt M \]

cioè, ricordando le proprietà del valore assoluto:

\[ f(x) \lt -M \vee f(x) \gt M \]

Quindi, possiamo dire che, in corrispondenza di un qualunque M > 0 è possibile determinare un intorno di infinito tale che, per ogni x di questo intorno, i corrispondenti punti di f(x) giacciono all’esterno della linea striscia delimitata dalle rette y = M e y = -M.

Per verificare un limite infinito per x che tende all’infinito occorrerà risolvere la disequazione | f (x) | > M, e accertarsi che l’insieme delle soluzioni trovate contenga un intorno di infinito.

Esempio di verifica di un limite infinito

Verifichiamo il seguente limite:

\[ lim_{x \rightarrow \infty} \log(1 + x^2) = \infty \]

Dobbiamo verificare che, comunque scelto un M > 0, arbitrariamente grande, la disequazione |f(x)| > M contenga un intorno di infinito. Risolviamo, quindi, la seguente disequazione:

\( | \log(1+x^2) | \gt M \)

\( \log(1+x^2) \lt -M \vee \log(1+x^2) \gt M \)

Cominciamo risolvendo la prima disequazione:

\( \log(1+x^2) \lt -M \rightarrow 1+x^2 \lt e^{-M} \rightarrow -\sqrt{e^{-M} – 1} \lt x \lt \sqrt{e^{-M}-1} \)

Risolviamo ora la seconda:

\( \log(1+x^2) \gt M \rightarrow 1+x^2 \gt e^M \rightarrow x \lt – \sqrt{e^M – 1} \vee x \gt \sqrt{e^{-M} – 1} \)

Le soluzioni della disequazione di partenza sono date dall’unione delle soluzioni delle due disequazioni, quindi abbiamo il seguente intervallo:

\( (-\infty; -\sqrt{e^M-1}) \cup (-\sqrt{e^{-M}-1}; \sqrt{e^M-1}; +\infty) \)

L’intervallo delle soluzioni contiene un intorno di infinito (dato dalle soluzioni della seconda disequazione ), pertanto possiamo affermare che il limite di partenza è verificato.

In alcuni casi, la funzione poù tendere solo a +∞, o solo a -∞. In particolare, se comunque si scelga M > 0, arbitrariamente grande, è possibile determinare un intorno di infinito per cui sia verificata la disequazione f(x) < -M, si dice che per x → ∞, f(x) tende a -∞:

\( \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = -\infty \)

Allo stesso modo, se comunque si scelga M > 0, si può trovare un intorno di ∞ in cui valga f(x) > M, allora per x → ∞, f(x) tende a +∞:

\( \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = +\infty \)

Se, invece, le disequazioni f(x) < -M o f(x) > M sono verificate solo in un intorno di meno infinito, o solo in un intorno di più infinito, si dice che per x tendente a più infinito (x → +∞) , oppure per x tendente a meno infinito (x → -∞), f(x) ha per limite ∞ ( o, rispettivamente, +∞, o – ∞ ).

Esempio di verifica di un limite infinito per x tendente all’infinito

Verificare il seguente limite infinito, per x tendente a infinito:

\[ \lim_{x \rightarrow +\infty} (1 – \sqrt{x}) = -\infty \]

Vogliamo verificare che, comunque scelto un M > 0, abbastanza grande, esista un intorno di più infinito in cui sia verificata la disequazione f(x) < -M, poiché la funzione tende a – ∞. Quindi, impostiamo la seguente disequazione:

\[ 1 – \sqrt{x} \lt -M \]

Risolviamo la disequazione:

\[ 1-\sqrt{x}\lt -M \rightarrow \sqrt{x} \gt M + 1 \rightarrow x \gt (M + 1)^2 \]

La soluzione della disequazione può anche essere scritta come intervallo, in questo modo:

\[\Big((M+1)^2; +\infty\Big) \]

Che rappresenta proprio un intorno di +∞, quindi il limite di partenza è stato verificato.

 

 

Limite infinito di una funzione per x che tende a un valore finito

Consideriamo la funzione seguente:

\( y = f(x) = \frac{1}{x-1} \)

Sappiamo che la funzione non è definita per x = 1, esaminiamo il comportamento della funzione per valori di x prossimi a 1.

Riassumiamo in una tabella il valore di f(x) per valori di x che si avvicinano sempre di più a 1, da destra e da sinistra:

 

 

 

Notiamo, anche facendo riferimento al grafico della funzione, che, a mano a mano che x si approssima per difetto al valore 1, tanto più la funzione f(x) assume valori negativi più grandi (in valore assoluto); allo stesso modo, più x si avvicina a 1 per eccesso, tanto più i valori positivi di f(x) aumentano.

Possiamo quindi affermare che, per x tendente a 1 da destra, la funzione f(x) tende a + ∞, mentre, per x tendente a 1 da sinistra la funzione f(x) tende a – ∞.

In simboli, scriviamo:

\( |f(x)| \gt M \)

\( \lim_{x \rightarrow 1^{+}} \frac{1}{x-1} = +\infty \mbox{    ,    } \lim_{x \rightarrow 1^{-}} \frac{1}{x-1} = -\infty \)

In particolare, possiamo affermare che, all’approssimarsi si x al valore 1, i valori che assume la funzione f(x) diventano maggiori di qualunque numero prefissato, per quanto grande esso possa essere.

Si verifica, quindi, che, comunque scelto un numero M > 0 grande a piacere, si ha sempre che | f(x) | > M, in tutti i punti di x in un intorno di 1, e per x ≠ 1.

Diamo ora una definizione generale, riferita ad una funzione f(x), definita in un intervallo [a;b], eccetto al più il punto c, interno all’intervallo.

Definizione:

Si dice che, per x tendente a c, la funzione f(x) ha limite infinito, e si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = \infty \]

se, comunque sia fissato un numero positivo M, arbitrariamente grande, si può determinare in corrispondenza ad esso, un intorno completo di c tale che, per ogni x di tale intorno, escluso al più x = c, si ha che: |?(?)|>?

Che si può anche scrivere, ricordando le proprietà del valore assoluto, nel seguente modo:

\[ f(x) \lt -M \vee f(x) \gt M \]

Ciò significa che, nel grafico di f(x), è possibile determinare un intorno del punto c tale che, per ogni x appartenente a questo intorno, escluso al più x = c, i corrispondenti punti del grafico di y = f(x) giacciono all’esterno della striscia delimitata dalle rette y = -M e y = M.

Di conseguenza, per verificare un limite infinito per x che tende ad un valore finito, occorre risolvere la disequazione | f(x) | > M, e accertarsi che l’insieme delle soluzioni sia un intorno di c, o comprenda un intorno di c.

Esempio: Verifichiamo il seguente limite:

\( \lim_{x \rightarrow 2} \frac{1}{x^2-4} = \infty \)

Affinché il limite sia verificato, impostiamo la seguente disequazione:

\( \Big| \frac{1}{x^2-4} \Big| \gt M \)

Dato che al numeratore abbiamo un numero, possiamo separare il valore assoluto, e invertire la frazione:

\( \frac{1}{|x^2-4|} \gt M \rightarrow |x^2-4| \lt \frac{1}{M} \rightarrow -\frac{1}{M} \lt x^2-4 \lt \frac{1}{M} \)

Possiamo spezzare la disequazione e impostare un sistema, da cui otteniamo:

\( \begin{cases} x^2-4 \lt \frac{1}{M} \\ x^2-4 \gt -\frac{1}{M} \end{cases} \rightarrow \begin{cases} x^2 \lt \frac{1}{M} + 4 \\ x^2 \gt -\frac{1}{M} + 4 \end{cases} \rightarrow \)

\( \rightarrow \begin{cases} -\sqrt{\frac{1}{M}+4} \lt x \lt \sqrt{\frac{1}{M} + 4} \\ x \lt -\sqrt{4 – \frac{1}{M}} \vee x \gt \sqrt{4 – \frac{1}{M}} \end{cases} \)

Risolviamo il sistema, e visualizziamo gli intervalli descritti dalle disequazioni in uno schema:

 

 

 

 

 

Poiché il limite di partenza è per x che tende a 2, dei due intervalli che costituiscono le soluzioni del sistema, il secondo è quello che ci interessa maggiormente.

Infatti, l’intervallo

\[ \Big(\sqrt{4 – \frac{1}{M}}; \sqrt{\frac{1}{M}+4}\Big) \]

contiene sicuramente 2, poiché si ha \( 2 = \sqrt{4} \), e sapendo che M è un numero molto grande, sappiamo che 1/M è una quantità piccola.

Quindi, poiché le soluzioni della disequazione contengono un intorno di 2, possiamo concludere che il limite è verificato.

Asintoti verticali

Se per x → c si ha che f(x) → ∞, si dice che la retta x = c è un asintoto verticale per il grafico di f(x).

Si può parlare di asintoto verticale destro o sinistro, in base al modo in cui x tende a c: se x tende a c per eccesso, cioè da destra, si avrà un asintoto verticale destro, mentre se x tende a c per difetto, cioè da sinistra, si avrà un asintoto verticale sinistro.

Vediamo un esempio di asintoto verticale facendo riferimento alla funzione dell’esempio precedente:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Limite finito di una funzione per x che tende all’infinito

Consideriamo la seguente funzione:

\[ y = f(x) = \frac{x-1}{x} \]

Sappiamo che essa è definita per tutti i valori di \( x \ne 0 \), quindi la funzione è sicuramente definita per valori di x molto grandi o molto piccoli, cioè in un intorno di infinito.

Esaminiamo, quindi, il comportamento della funzione per valori di x positivi sempre più grandi, e per valori di x negativi, sempre più grandi in valore assoluto. Riassumiamo in una tabella i risultati ottenuti:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notiamo quindi che a mano a mano che i valori di x crescono, la funzione si avvicina sempre di più a 1, e si dice che “per x tendente all’infinito, f(x) ha per limite 1”, o anche “f(x) tende a 1 per x tendente all’infinito”.

Possiamo quindi affermare che, per valori di x abbastanza grandi, in valore assoluto, la distanza di f(x) da 1 è sempre più piccola, possiamo dire che il

valore di \( | f(x) – 1 | \) può essere reso piccolo a piacere, cioè minore di qualsiasi numero positivo arbitrariamente piccolo.

Esprimiamo questo concetto con una definizione formale:

Definizione di limite all’infinito

Si dice che, per x tendente all’infinito, la funzione y = f(x) ha per limite l, e si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = l \]

se, comunque si scelga un numero positivo ε, arbitrariamente piccolo, si può determinare, in corrispondenza di esso, un intorno di infinito tale che, per ogni x appartenente a tale intorno, si ha:

\[ | f(x) – l | \lt \epsilon \]

In particolare, con la scrittura \( x \rightarrow \infty \) intendiamo i valori di x che tendono a \( +\infty \) e a \( -\infty \).

In questo caso, per verificare la correttezza di un limite, dobbiamo accertarci che la disequazione \( | f(x) – l | \lt \epsilon \) abbia come insieme delle soluzioni un intorno di infinito.

Vediamo un esempio:

Esempio di limite all’infinito

Verifichiamo il seguente limite:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{x}{x+2} = 1 \]

Dobbiamo verificare che per valori di x sempre più grandi, o per valori di x sempre più piccoli, la funzione si avvicini sempre di più al valore 1. Quindi, sappiamo che la differenza tra la funzione stessa e il valore 1 diventerà piccola a piacere, per questi valori di x, e in particolare, sarà sicuramente più piccola di un numero arbitrario ε; impostiamo quindi, la seguente disequazione:

\( \Big|\frac{x}{x+2}-1\Big| \lt \epsilon \)

Risolviamo la disequazione:

\( \Big|\frac{x-x-2}{x+2}\Big| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{-2}{x+2}\Big| \lt \epsilon \)

Poiché al numeratore abbiamo un valore numerico, possiamo separare i valori assoluti, e girare la frazione, ricordandoci di cambiare il verso della disequazione:

\( \frac{|2|}{|x+2|} \lt \epsilon \rightarrow \frac{2}{|x+2|} \lt \epsilon \rightarrow \frac{|x+2|}{2} \gt \frac{1}{\epsilon} \rightarrow |x+2| \gt \frac{2}{\epsilon} \)

Da cui otteniamo:

\( x + 2 \lt -\frac{2}{\epsilon} \vee x+2 \gt \frac{2}{\epsilon} \)

Risolviamo le due disequazioni, ricordandoci che le soluzioni finali saranno l’unione delle soluzioni delle singole disequazioni:

\( x \lt -2 – \frac{2}{\epsilon} \vee x \gt \frac{2}{\epsilon} – 2 \)

Possiamo rappresentare l’insieme delle soluzioni anche con un’altra notazione:

\( \Big(-\infty; – 2; -\frac{2}{\epsilon}\Big) \cup \Big(\frac{2}{\epsilon}-2; +\infty\Big) \)

Il risultato ottenuto è un intorno di infinito, quindi concludiamo affermando che il limite è verificato.

 

Casi particolari

Con la notazione \( x \rightarrow \infty \), se non specifichiamo il segno di infinito, intendiamo infinito generico, cioè sia \( +\infty \) che \( -\infty \).

In alcuni casi, però, ci si può riferire solo a valori molto grandi positivi di x, o solo a valori molto piccoli negativi di x.

Vediamo quindi le due seguenti definizioni:

Definizione di limite per x che tende a più infinito

Si dice che, per x tendente a \(+\infty \), la funzione f(x) ha limite l, e si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow +\infty} f(x) = l \]

se, comunque fissato un numero positivo \( \epsilon \), arbitrariamente piccolo, si può determinare, in corrispondenza ad esso, un intorno di \( +\infty \) tale che, per ogni x di tale intorno, si ha che:

\[ | f(x) – l | \lt \epsilon \]

Definizione di limite a meno infinito

Si dice che, per x tendente a \( -\infty \), la funzione f(x) ha limite l, e si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow -\infty} f(x) = l \]

se, comunque scelto un numero positivo \( \epsilon \), arbitrariamente piccolo, si può determinare, in corrispondenza ad esso, un intorno di  \( -\infty \) tale che, per ogni x di tale intorno, si ha che:

\[ | f(x) – l | \lt \epsilon \]

Asintoti orizzontali

Come abbiamo detto prima, se il limite per \( x \rightarrow +\infty \) per una funzione f(x), vale l, sappiamo che la funzione, per valori sempre più grandi di x, si avvicinerà sempre di più alla retta di equazione y = l. Si dice, in questo caso, che la funzione ha un asintoto orizzontale destro.

Allo stesso modo, se per \( x \rightarrow -\infty \) il limite della funzione vale l, diremo che la funzione ha un asintoto orizzontale sinistro di equazione y = l.

In particolare, se non si specifica il segno di \( \infty \), la funzione avrà un asintoto orizzontale sia destro che sinistro.

Riassumiamo i vari casi possibili:

 

\( lim_{x \rightarrow -\infty f(x) = l \)

 

 

 

 

 

 

 

 

\( \lim_{x \rightarrow +\infty} f(x) = l \)

 

 

 

 

 

 

 

 

\( \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = l \)

 

 

 

 

 

 

 

 

Indica per quali aspetti il Cubismo si ricollega alla ricerca di Cézanne e per quali invece se ne discosta.

Cézanne è un pittore francese post-impressionista, il quale ha aderito al movimento impressionista, ma ne è rimasto sempre distaccato. Cézanne cerca di sintetizzare qualsiasi cosa solo con l’utilizzo del colore, racchiudendo in questo la visione ottica e la coscienza delle cose.
Partendo dalla semplificazione delle forme di Cézanne e dall’osservazione dell’espressività delle maschere africane, alcuni artisti iniziarono ad operare una scomposizione della figuratività e questi artisti giungono alla scomposizione dell’oggetto, abbandonando completamente la visione prospettica e naturalistica.
Con il cubismo, quindi, si perde completamente il concetto di visione ottica, per ricercare solo quella rappresentazione che ha la coscienza delle cose. Il cubismo quindi, a differenza della pittura di Cézanne, rompe definitivamente con il naturalismo e la rappresentazione mimetica della realtà per introdurre sempre più l’arte nei territori dell’astrazione e del non figurativo.

 

Esponi le novità stilistiche, di contenuto e la poetica del dipinto di P. Gauguin “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” del 1897.

L’opera, dipinta da Gauguin in un momento assai delicato della sua vita, prima di un tentativo non riuscito di suicidio, in un momento in cui l’artista è stato colpito da un’importante malattia e ha ricevuto la notizia della morte della figlia, rappresenta i massimi quesiti esistenziali dell’uomo.
La composizione può essere divisa in due parti speculari tra loro, separate dall’uomo posto al centro, composte da un insieme di persone di diverse età, tutte femminili ad eccezione del ragazzo appena citato. Le figure presentano l’umanità nei diversi stati della vita, dall’infanzia alla vecchiaia, in una natura misteriosa e indeterminata. Particolarmente importanti risultano a riguardo la figura del giovane posto al centro della scena e la figura del neonato, il quale risulta già abbandonato a se stesso. I colori dello sfondo (blu, verde, marrone, ocra) hanno uno sviluppo musicale, come una sinfonia di sottofondo. I colori sono antinaturalistici, infatti gli alberi si presentano blu.
L’opera dà l’idea di un affresco, poiché presenta i bordi rovinati. Sui bordi troviamo il titolo dell’opera, la firma e la data. In realtà le domande poste sul dipinto non rappresentano, in origine, il titolo dello stesso, bensì degli interrogativi dell’artista, ai quali lo stesso non riesce a trovare risposte.

 

 

Il soggetto del nudo femminile è stato spesso indagato dagli artisti europei dell’Ottocento: si rifletta sul suo sviluppo neoclassico (Canova e Ingres), sulla rielaborazione di E. Manet. Si evidenzi come attraverso questo processo si possa osservare il processo di trasformazione dell’arte dalla ricerca del bello ideale alla rappresentazione del vero naturale.

L’Ottocento è il secolo in cui il nudo femminile viene osservato in modi diversi e le rappresentazioni del periodo risultano quindi evidenziare questi diversi modi di vedere.
Due opere che risultano importanti da confrontare sono: “Paolina Borghese” di Canova, rappresentata come Venere vincitrice e la “Bagnante di Valpinçon” di Ingres.
La prima, ritratto della sorella di Napoleone Bonaparte, rappresenta un punto d’incontro tra il ritratto di Paolina e l’idealizzazione della figura.
La seconda, invece, considerata classicista, in realtà lascia percepire un profondo mutamento di mentalità. Un nudo stilizzato e lineare che racchiude in sé componenti culturali diverse, che vanno dal gusto neogotico alla tensione anatomica michelangiolesca.
Una vera e propria rivoluzione della rappresentazione del nudo femminile si ha con Manet, nella sua opera “Colazione sull’erba”. Nella tradizione, infatti, il nudo rappresentava soltanto figure mitologiche o divine, inserite in un ambiente classicheggiante. A Manet, quindi, veniva rimproverato di aver abbandonato la pittura accademica per rappresentare una realtà frivola e licenziosa.

 

Risorse utili

Visualizza il quadro “Colazione sull’erba” tramite Google Art Project.

 

 

Quali caratteri della pittura impressionista costituiscono una rottura con le regole della tradizione accademica?

Le caratteristiche impressionistiche che segnano la rottura con le regole della tradizione accademica sono:
la luce e il colore, infatti la tecnica impressionista nasce dalla scelta di rappresentare solo e soltanto la realtà sensibile, e di realizzare l’opera utilizzando i colori ed andando quasi ad eliminare totalmente il disegno;
l’esaltazione dell’attimo fuggente, quindi il voler rappresentare l’attimo particolare in cui avviene un fatto specifico, quasi come si trattasse di una fotografia;
la pittura effettuata direttamente sul posto da voler rappresentare, quindi all’aperto;
il voler rappresentare quasi sempre luoghi urbani.
Sono proprio queste caratteristiche che, provocando un distacco con la tradizione, danno origine all’arte contemporanea. Risulta importante precisare che, a causa del “non rispetto” delle tradizioni, gli impressionisti non furono accettati nel Salon ufficiale e furono costretti ad esporre le loro opere nel Salon des Refusés.

 

Limiti destro e sinistro, per eccesso e per difetto

Limite destro e limite sinistro

Nella definizione di limite, si afferma che “x tende ad un valore c”, e si scrive x → c; in questo caso, si considera un intorno completo del punto c.

Se, invece, consideriamo solo un intorno destro, o un intorno sinistro, del punto c, cioè se prendiamo solo valori più grandi di c, o solo valori più piccoli, allora si parla di limite destro, o di limite sinistro, della funzione nel punto c.

Vediamo, quindi, le seguenti definizioni:

Definizione di limite destro

Si dice che la funzione f(x), per x tendente a c dalla destra, cioè per eccesso, ha per limite destro il numero l se, preso un numero piccolo a piacere ε, è possibile determinare, in corrispondenza di esso, un intorno destro di c, in modo che, per tutti i valori appartenenti a tale intorno, si ha che:

\[ |f(x) – l| \lt \epsilon \]

in simboli, abbiamo:

\[ \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = l \]

Allo stesso modo, possiamo dare la

Definizione di limite sinistro

Si dice che la funzione f(x), per x tendente a c dalla sinistra, cioè per difetto, ha per limite sinistro il numero l se, preso un numero piccolo a piacere ε, è possibile determinare, in corrispondenza di esso, un intorno sinistro di c, in modo che, per tutti i valori appartenenti a tale intorno, si ha che:

\[ | f(x) – l | \lt \epsilon \]

e in simboli si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x) = l \]

In particolare, si parla di “limite per x che tende a c”, non specificando se da destra o da sinistra, nel caso in cui i limiti destro e sinistro coincidano. Infatti, se il limite destro è diverso dal limite sinistro, cioè se si ha che:

\( \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = l_1 \wedge \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x) = l_2 \wedge l_1 \ne l_2 \)

allora, la funzione non ammette limite per x tendente a c.

 

Esempio di limite sinistro

Verifichiamo il seguente limite sinistro:

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} (1 + \sqrt{-x}) = 1 \]

Impostiamo una disequazione per verificare che, prendendo un valore piccolo a piacere ε, la distanza della nostra funzione da 1 sia più piccola di ε:

\( |(1+\sqrt{-x})-1| \lt \epsilon \)

Procediamo risolvendo la disequazione:

\( |\sqrt{-x}| \lt \epsilon \rightarrow -\epsilon \lt \sqrt{-x} \lt \epsilon \)

Possiamo risolvere questa disequazione separando i due casi, e mettendoli poi a sistema; cominciamo dal primo:

\( \sqrt{-x} \gt -\epsilon \)

Sapendo che ε è un numero positivo, sicuramente – ε sarà un valore negativo. Dato che \( \sqrt{-x} \), che è definita per tutti i valori di x negativi, è sicuramente maggiore di zero, sarà di certo maggiore di un valore negativo. Possiamo quindi concludere che la disequazione è verificata per tutti i valori di x appartenenti al dominio:

\( \sqrt{-x} \gt -\epsilon \mbox{    ,    } \forall x \le 0 \)

Passiamo ora alla seconda disequazione:

\( \sqrt{-x} \lt – \epsilon \)

Possiamo elevare entrambi i membri al quadrato, e moltiplicare per – 1:

\( \sqrt{-x} \lt -\epsilon \rightarrow x \lt (-\epsilon)^2 \rightarrow x \gt -\epsilon \)

Mettiamo ora a sistema le soluzioni derivanti dalle disequazioni precedenti:

\( \begin{cases} x \le 0 \\ x \gt -\epsilon \end{cases} \)

Il risultato che otteniamo è l’intervallo ( – ε ; 0 ], che è un intorno sinistro di zero. Possiamo quindi concludere affermando che il limite è verificato.

 

Limite per difetto e limite per eccesso

In alcuni casi, anche il limite della funzione può essere un limite per eccesso o un limite per difetto, cioè una funzione f(x) può tendere ad un valore l da destra o da sinistra; in questi casi, si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = l^{+} \mbox{    ,    } \lim_{x \rightarrow c} f(x) = l^{-} \]

Quindi, nel caso in cui la funzione tenda a l per eccesso, si ha che f(x) è maggiore o uguale a \( l (f(x) \ge l) \), mentre, nel caso in cui la funzione tenda a l per difetto, abbiamo che \( f(x) \le l \), in un opportuno intorno di c.

Esempio di limite per eccesso

Verifichiamo il seguente limite:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} (x^2 + 2) = 2^{+} \]

In questo caso, fissato un valore piccolo a piacere ε > 0, per verificare il limite basta risolvere la seguente disequazione:

\( 0 \le f(x) – l \lt \epsilon \)

e accertarci che la soluzione sia un intorno completo di zero; quindi, risolviamo la seguente disequazione:

\( 0 \le (x^2 + 2) – 2 \lt \epsilon \)

Da cui otteniamo:

\( 0 \le x^2 \lt \epsilon \)

La prima disequazione, cioè \( x^2 \ge 0 \), è verificata per ogni x , mentre la seconda ha come soluzioni i valori interni all’intervallo delle radici.

Mettendo a sistema le soluzioni delle singole disequazioni, otteniamo che:

\( \begin{cases} \forall x \in \mathbb{R} \\ -\sqrt{\epsilon} \lt x \lt \sqrt{\epsilon} \end{cases} \)

La soluzione ottenuta, cioè l’intervallo \(( -\sqrt{\epsilon}; \sqrt{\epsilon}) \), è effettivamente un intorno di zero, quindi possiamo concludere che il limite è verificato.

 

Limite finito di una funzione per x che tende a un valore finito

Consideriamo la seguente funzione:

\[ y = f(x) = \frac{2x^2 – x – 1}{x-1} \]

come sappiamo, la funzione è definita per tutti i numeri reali, escluso 1, quindi possiamo scrivere che il suo dominio è:

\[ D \equiv \mathbb{R} – \{1\} \]

Esaminiamo il comportamento della funzione \( x=1 \), in cui essa non è definita; riassumiamo, quindi, in uno schema i valori che la funzione assume via via che x si avvicina sempre più ad 1:

 

 

Possiamo quindi notare che, più si avvicina al valore 1, più f (x) si avvicina al valore 3; in questo caso, si dice che “per x che tende a 1, f(x) ha limite 3”, oppure che “f(x) tende a 3 per x tendente a 1”.

Queste affermazioni possono essere riassunte con la seguente scritta:

\( \lim_{x \rightarrow 1} f(x) = 3 \)

Ciò significa che la distanza di f(x) dal punto cui tende diminuisce sempre di più all’approssimarsi di x a 1; sappiamo che tale distanza può essere espressa come valore assoluto della differenza tra f(x) e 3, in formula \( | f(x) – 3 | \), infatti abbiamo che:

 

 

Possiamo quindi dire che le distanze dei valori di f(x) da 3 possono essere resi piccoli a piacere, cioè possono essere resi più piccoli di qualsiasi numero positivo prefissato, a condizione di scegliere valori di x abbastanza vicini a 1.

In generale, si può verificare che, fissato un numero ε > 0, arbitrariamente piccolo, la distanza di f(x) da 3 risulterà minore di ε per valori di \( x \ne 1 \), appartenenti ad un intorno di 1 dipendente da ε.

In questo caso, quindi, dovremmo verificare che la disequazione \( | f(x) – 3 | \lt \epsilon \) è soddisfatta per un intorno di x = 1.

\(|(f(x) – 3| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{2x^2-x-1}{x-1}-3\Big| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{2x^2-x-1-3x+3}{x-1}\Big| \lt \epsilon \)

\(\Big|\frac{2x^2-4x+2}{x-1}\Big| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{2(x-1)^2}{x-1}\Big| \lt \epsilon \)

Escludendo il valore x = 1, per il quale la funzione non è definita, possiamo semplificare, e otteniamo:

\(\Big|\frac{2(x-1)^2}{x-1}\Big| \lt \epsilon \rightarrow |2(x-1)| \lt \epsilon \rightarrow |2x – 2| \lt \epsilon \)

\( -\epsilon \lt 2x – 2 \lt \epsilon \rightarrow 2 – \epsilon \lt 2x \lt \epsilon + 2 \rightarrow 1 – \frac{\epsilon}{2} \lt x \lt \frac{\epsilon}{2} + 1 \)

Quindi, la disequazione è verificata per appartenente all’intervallo \( (1 – \epsilon / 2; \epsilon / 2 + 1)  \) e \( x \ne 1 \), che è un intorno di 1.

 

Definizione di limite

Diamo ora una definizione generale, considerando una funzione f(x), definita in tutti i punti dell’intervallo [a ; b], escluso al più il punto c, interno all’intervallo.

Si dice che per x tendente a c, la funzione y = f(x) ha per limite l, e si scrive:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = l \]

se, comunque si scelga un numero positivo ε, arbitrariamente piccolo, si può determinare in corrispondenza di esso, un intorno completo di c tale che per ogni x di tale intorno, escluso al più x = c, si ha che:

\[ |f(x) – l| \lt \epsilon \]

che si può anche scrivere come

\[ l – \epsilon \lt f(x) \lt \epsilon + l \]

Quindi, per verificare il limite per \( x \rightarrow c \) di una funzione f(x), sapendo che tale limite vale l, dobbiamo risolvere la disequazione \( | f(x) – l | \lt \epsilon \): se l’insieme delle soluzioni così determinato è un intorno di c, oppure contiene un intorno completo di c, escluso al più c stesso, il limite è verificato.

 

Esempio di verifica del limite attraverso la definizione

Consideriamo il seguente limite:

\[ \lim_{x \rightarrow -1} \frac{x^2-2x-3}{x+1} = -4 \]

Affinché tale limite sia esatto, dobbiamo imporre che esista un valore ε, piccolo a piacere, tale che la distanza della funzione dal nostro limite, sia minore di ε.

Quindi, impostiamo la seguente disequazione:

\[ \Big|\frac{x^2-2x-3}{x+1} – (-4)\Big| \lt \epsilon \]

Risolviamo la disequazione: se il risultato è un intorno di -1, il limite sarà verificato:

\( \Big|\frac{x^2-2x-3}{x+1}+4\Big| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{x^2-2x-3+4x+4}{x+1}\Big| \lt \epsilon \)

\( \Big|\frac{x^2+2x+1}{x+1}\Big| \lt \epsilon \rightarrow \Big|\frac{(x+1)^2}{x+1}\Big| \lt \epsilon \rightarrow |x+1| \lt \epsilon \)

Da questa espressione otteniamo che:

\[ -\epsilon \lt x+1 \lt \epsilon \rightarrow -1 – \epsilon \lt x \lt \epsilon -1 \]

che è un intorno di – 1; possiamo quindi concludere affermando che il limite è verificato.

 

Materiale di supporto

 

 

 

 

 

 

Videolezione sui limiti delle funzioni elementari

 

Commenta l’opera di Caspar David Friedrich “Monaco davanti al mare” mettendo in evidenza il modo con cui viene espresso il rapporto tra uomo e natura

Il “Monaco davanti al mare” è un’opera realizzata da C. D. Friedrich tra il 1809 e il 1810. Rappresenta una figura umana posta su una bassa duna di sabbia. La figura si presenta in posizione laterale, coperta da un lungo abito scuro, tanto da fare quasi in modo che la figura umana si mimetizzi nell’immensità del mare e del cielo. L’uomo rappresenta l’unico elemento verticale dell’opera. Sembra essere un monaco, solo e distaccato dal contesto in cui è posto. La rappresentazione è tipicamente romantica e pone l’uomo di fronte alla natura, debole di fronte a questa, piccolo se confrontato con la sua immensità, costretto a cedere perché posto davanti ad un simile spettacolo. È evidenziato l’assoluto, il senso mistico dell’infinito. Infatti, nell’opera l’orizzonte non è delineabile e l’essere umano non può che perdersi in tale immensità, solo e ridotto ad una figura infinitesimale.

 

Risorse aggiuntive

Visualizza il quadro “Monaco davanti al mare” su Google Art.

Ascolta il commento (in inglese) all’opera su YouTube.

 

L’uso del colore nella pittura di Vincent Van Gogh

Van Gogh realizza paesaggi e soggetti il più possibile simili alla realtà nei lineamenti, ma molto diversi per l’uso particolare del colore.
All’inizio della sua carriera si dedica ai ritratti del suo ambiente, rappresentati in modo accurato e naturale. Ma l’artista, colpito e dominato dall’intensità della sua esperienza emotiva interiore, evidenzia il desiderio di esternare questa intensità nelle tele. Dopo circa dieci anni della sua carriera, infatti, c’è un cambiamento nel suo uso dei colori, con particolare riguardo alla loro dimensione materica.
In questi anni, sperimenta tecniche diverse, mettendo in risalto le forme circondandole di contorni scuri e pennellando lo sfondo a strati, oppure ondulando i contorni per accentuare la struttura delle forme, oppure punteggiando con brevi pennellate o spremendo il colore dal tubetto direttamente sulla tela. In diversi casi ha evidenziato il suo concetto del dipingere senza un disegno di base, senza cioè realizzare il disegno con il carboncino.

 

Qual è la posizione di Verga nei confronti del progresso?

Verga, nella prefazione ai Malavoglia, descrive il progresso come una fiumana inarrestabile che procede attraverso una dura lotta di selezione degli uomini, riprendendo la teoria darwiniana della lotta di selezione della specie. La corsa impetuosa di questo fiume, se vista da lontano, appare imponente e priva di fratture ma, vista da vicino, rivela tutti i risvolti negativi che porta con sé, con i soprusi che i deboli devono subire da parte dei più forti. Verga quindi afferma la positività del progresso, così come era stata formulata dalla cultura positivista e dal darwinismo sociale, ma allo stesso tempo non può non soffermarsi sulle conseguenze che esso ha nella vita dei più deboli. In quanto scrittore, Verga si propone di osservare da vicino lo scorrere del progresso, e quindi ne osserva le vittime, rendendole protagoniste di tutte le sue opere. Possiamo così notare che, pur teorizzando una concezione positiva del progresso, Verga ne sottolinei soprattutto le conseguenze nefaste sulla vita di coloro che dal progresso vengono sconfitti.

 

Il sentimento della natura nella poesia di Pascoli

La natura è la protagonista delle opere più liriche di Pascoli: Mirycae e i Canti di Castelvecchio. In entrambe queste raccolte è molto presente il tema dell’alternarsi delle stagioni, che simbolicamente allude all’alternarsi della vita e della morte. Il motivo naturalistico infatti si innesta su quello dei lutti familiari e ne diviene simbolo. Nella descrizione dei particolari della natura, caricati di un valore simbolico, Pascoli impiega una tecnica che in pittura è definita “puntinistica”, vale a dire riporta nei suoi testi una serie non gerarchica di particolari oggettivi che rimandano a impressioni soggettive e che quindi non possono essere assemblati in una visione unitaria. Se a una prima lettura si potrebbero ricondurre le poesie di Pascoli alla tecnica del bozzetto naturalistico, a un più attento esame non sfugge che i particolari della natura sono impiegati sempre come rimandi a impressioni soggettive.

 

Nel paradiso, Dante raggruppa in ogni cielo una categoria di beati coerentemente con l’influsso che a quell’astro attribuiva la scienza medievale. Indica, pianeta per pianeta, secondo la dottrina delle influenze, le rispettive caratteristiche

I sette pianeti del sistema terrestre, con in aggiunta, il cielo delle stelle fisse, cui corrispondono altrettanti cieli nel Paradiso, rappresentano ciascuno una propria virtù che influenza gli uomini sulla terra. Nel primo cielo, quello della Luna, il cielo più vicino alla terra e maggiormente sensibile ai suoi influssi,sono raggruppati gli spiriti mancanti ai voti; nel secondo, quello di Mercurio, si trovano gli spiriti che hanno agito spinti dal desiderio di fama; nel terzo, corrispondente a Venere, si incontrano gli spiriti di coloro che hanno operato sotto l’influsso dell’amore; nel quarto, il cielo del sole, vi sono gli spiriti sapienti; nel quinto cielo, quello di Marte, sono raggruppati gli spiriti che hanno combattuto per la fede; nel cielo di Giove, il sesto, Dante incontra gli spiriti giusti; nel cielo di Saturno troviamo invece gli spiriti contemplativi e in quello delle stelle fisse gli spiriti trionfanti di santi e apostoli.

 

Teorema di Weierstrass

Enunciato del teorema di Weierstrass

Enunciato: Sia \( f(x) \) una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato \( [?,?] \). Allora \( f(x) \) assume un valore minimo e un valore massimo nell’intervallo \( [?,?] \).

 

Osservazione 1: Prodursi un’immagine mentale del teorema di Weierstrass è molto facile. Si consideri un intervallo \( [?,?] \), qualsiasi sull’asse delle \( x \), e si disegni una linea curva senza mai alzare la matita dal foglio che sia il grafico di una funzione in detto intervallo. Quale che sia la curva che avremo disegnato, essa avrà un punto che si trova più in alto di tutti gli altri e uno che si trova più in basso: questi sono il minimo e il massimo di cui parla il teorema.

Dimostrazione del teorema di Weierstrass

Dimostrazione: In questa dimostrazione faremo vedere che una funzione \( f(x) \) avente le caratteristiche richieste dall’enunciato possiede un valore massimo; per quanto riguarda l’esistenza di un valore minimo, si procede in maniera similare.

Sia dunque \( f(x) \) una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato \( [?,?] \), ma per assurdo supponiamo che essa non assuma nessun valore massimo: faremo vedere che questo ci porta a conclusioni contraddittorie, il che ci consentirà di dire che un valore massimo deve invece necessariamente esistere.

Sia \( ? \) l’insieme dei valori assunti dalla funzione \( f(x) \) sull’intervallo \( [?,?] \), e sia \( S \) l’estremo superiore, eventualmente infinito, di \( S \). Per le proprietà dell’estremo superiore, possiamo costruire una successione \( x_n \) di punti appartenenti all’intervallo \( [?,?] \) tale che

\[ \lim_{n \rightarrow +\infty} f(x_n) = s \]

 

 

Se dividiamo l’intervallo \( [?,?] \) in due parti uguali, dal momento che la successione \( x_n \) ha infiniti punti, in una delle due parti risultanti ci saranno certamente infiniti punti di \( x_n \); sia \( z_1 \) uno qualsiasi di questi punti. Se dividiamo in due parti uguali la parte di \( [?,?] \) cui appartiene \( z_1 \), dal momento che essa contiene ancora infiniti punti della successione \( x_n \), una delle due nuove parti conterrà sicuramente a sua volta infiniti punti di \( x_n \); sia \( z_2 \) uno qualsiasi di questi punti. Ripetendo questo procedimento infinite volte, costruiamo una successione \( z_n \) estratta dalla \( x_n \) con la proprietà che la distanza tra due \( z_n \) consecutivi tende a 0 all’aumentare di \( n \). Ciò prova che la successione \( z_n \) converge a un punto \( \tilde{x} \) dell’intervallo \( [?,?] \), poiché detto intervallo è chiuso.

 

Calcoliamo adesso \( f(\tilde{x}) \):

\[ f(\tilde{x}) = f\Big(\lim_{n \rightarrow +\infty} z_n \Big) = \lim_{n \rightarrow +\infty} f(z_n) = \lim_{n \rightarrow +\infty} f(x_n) = s \]

La seconda uguaglianza vale perchè la funzione \( f(x) \) è per ipotesi continua, mentre la terza perché se la successione \( f(x_n) \) tende a \( s \) allora certamente anche la \( f(z_n) \), da essa estratta, tende a \( S \). Con questo abbiamo provato che esiste un punto \( \tilde{x} \in [?,?] \) cui  \( f(x) \) associa il valore \( S \), e che quindi \( s \in S \) , cioè all’insieme dei valori assunti dalla funzione.

Perciò \( s \), che è l’estremo superiore di \( S \) e gli appartiene, è allora il massimo di \( S \), contro l’ipotesi fatta che \( f(x) \) non assumesse valore massimo. Ciò è contraddittorio, e per questo motivo, come abbiamo detto all’inizio, possiamo concludere che un massimo per \( f(x) \) deve necessariamente esistere. ∎

Osservazione 2: Nel corso della dimostrazione precedente, l’ipotesi di limitatezza di \( [?,?] \) interviene quando si comincia a sezionarlo: la convergenza della successione \( z_n \) risultante da questo processo è infatti assicurata dal fatto che i suoi punti diventano via via più vicini, dal momento che le parti in cui viene diviso \( [?,?] \) diventano sempre più piccole. Ciò non sarebbe vero se \( [?,?] \) non fosse limitato.

Osservazione 3: L’ipotesi di chiusura di \( [?,?] \) viene invece utilizzata dopo aver trovato \( \tilde{x} \), al fine di poter affermare che \( \tilde{x} \in [?,?] \); questo fatto in generale avviene solo per gli insiemi chiusi. Si consideri infatti la successione \( x_n =1 / n \) nell’intervallo limitato ma non chiuso (0,2): in questo caso il limite della successione è 0, ma 0 non appartiene a (0,2).

Osservazione 4: Infine, l’ipotesi di continuità della \( f(x) \) viene adoperata, come già evidenziato nella dimostrazione, per giustificare l’uguaglianza

\[ f\Big(\lim_{n \rightarrow +\infty} z_n \Big) = \lim_{n \rightarrow +\infty} f(z_n) \]

Risulta allora evidente che tutte e tre le ipotesi del teorema di Weierstrass sono essenziali al buon funzionamento della dimostrazione, e che qualora qualcuna di queste non fosse rispettata la funzione potrebbe essere priva di minimo o massimo nell’intervallo dato.

Osservazione 5: Se tutte le ipotesi del teorema di Weirstrass sono rispettate, allora la \( f(x) \) ammette minimo e massimo nell’intervallo. Se invece qualche ipotesi non è verificata, nulla si può concludere riguardo la funzione; in particolare \( f(x) \) potrebbe avere un punto di minimo, un punto di massimo o anche entrambi.

Esempi di applicazione del teorema di Weierstrass

Esempio 1: funzione continua in un intervallo chiuso e limitato.

Consideriamo la funzione di equazione \( f(x) = x^3 – 2x + 2 \) e l’intervallo chiuso e limitato \( [−\sqrt{2},2] \). Il grafico relativo a questi dati è rappresentato nell’immagine seguente:

 

 

Dal momento che la \( f(x) \) è un polinomio, essa è senz’altro una funzione continua in ogni possibile intervallo della retta reale, quindi in particolare anche in \( [−\sqrt{2},2] \); tale intervallo è poi chiuso e limitato, proprio come richiesto dalle ipotesi del teorema di Weierstrass. Il teorema risulta perciò applicabile, e la funzione deve dunque possedere sia minimo sia massimo nell’insieme considerato. Il grafico conferma quanto scoperto per via teorica.

L’effettivo calcolo delle coordinate del minimo e del massimo è invece un’operazione più complessa, la quale richiede la conoscenza del concetto di derivata di una funzione. Nel nostro caso risulta semplice calcolare il massimo, che è \( f(2) =2^3−2\cdot 2+2=6 \); ciò ci insegna quanto sia importante calcolare i valori della funzione in esame nei punti estremi dell’intervallo di definizione.

Esempio 2: funzione continua in un intervallo non chiuso.

Facciamo adesso l’esempio della funzione \( f(x) = \sin x \), relativamente all’intervallo aperto a destra \( \Big[−\frac{5\pi}{6}, \frac{\pi}{2}\Big) \). Il grafico di tale funzione è rappresentato nell’immagine seguente, nella quale è anche raffigurato in grigio il resto del grafico del seno di \( x \).

 

Come sappiamo, il seno possiede dei minimi nei punti del tipo \( x = – \frac{\pi}{2} + 2k\pi \) dei quali in particolare il punto \( x = -\frac{\pi}{2} \) appartiene all’intervallo dato: dunque, per quanto riguarda l’intervallo \( \Big[−\frac{5\pi}{6}, \frac{\pi}{2}\Big) \) è certo verificata l’esistenza di un punto di minimo per la funzione. Se calcoliamo il limite seguente

\[ \lim_{x \rightarrow \pi / 2} \sin x = 1 \]

ci accorgiamo però che la \( f(x) \) considerata non ammette massimo nell’intervallo. Infatti il limite mostra come sia possibile raggiungere valori tanto vicini a 1 quanto si vuole, ma non 1 stesso poichè \( \frac{\pi}{2} \) non appartiene a \( \Big[−\frac{5\pi}{6}, \frac{\pi}{2}\Big) \). Ciò significa che in questo intervallo sin? ammette sì minimo, ma non massimo. In effetti, visto che l’intervallo considerato non è chiuso, il teorema di Weierstrass non è applicabile, come segue dall’osservazione 3.

Esempio 3: funzione discontinua.

La funzione che esaminiamo adesso è quella di equazione \( f(x) = \frac{x \cos x}{|x|} \) nell’intervallo chiuso e limitato \( \Big[−\frac{3\pi}{4},\frac{3\pi}{4}\Big] \), il cui grafico è rappresentato nell’immagine seguente:

 

Poiché l’intervallo che ci interessa è simmetrico rispetto all’origine e la funzione è dispari, ci basta esaminare quel che succede per \( x \gt 0 \) allo scopo di avere un’immagine completa della situazione. Se \( x \gt 0 \), la nostra funzione si riduce a \( y = \cos x \) con \( x \in \Big(0, \frac{3\pi}{4} \Big] \). Dal momento che il coseno assume i minimi per \( x = \pi + 2k\pi \) e i massimi per \( x = 2k \pi \), si vede subito che nell’intervallo considerato non ci sono punti né di un tipo né dell’altro. Ci resta da considerare cosa accade per \( x = 0 \). Svolgendo i limiti

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \frac{x \cos x}{|x|} = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} (-\cos x) = -1 \]

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \frac{x \cos x}{|x|} = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} (\cos x) = 1 \]

scopriamo che la funzione non è affatto definita per \( x = 0 \), ma possiede in tal punto una discontinuità di prima specie. Allora la funzione non ha punti di minimo o punti di massimo nell’intervallo dato, ed effettivamente poiché in tale intervallo \( f(x) \) non è continua, in virtù dell’osservazione 3 il teorema di Weierstrass non può essere applicato.

Si noti che qualora l’intervallo interessante fosse stato invece un po’ più ampio, tale cioè da contenere \( (−\pi, \pi) \), come risulta dal grafico in grigio \( f(x) \) avrebbe avuto sia minimo, sia massimo, nonostante naturalmente il teorema di Weierstrass sia ancora non applicabile. Cio è in completo accordo con l’osservazione 5.

 

Teorema di Bolzano o degli zeri

Enunciato del teorema di Bolzano o degli zeri

Enunciato: Sia \( f(x) \) una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato \( [?,?] \), e risulti \( f(a) f(b) \lt 0 \) . Allora esisterà almeno un punto \( c \) interno all’intervallo \( [?,?] \) tale che sia \( f(c) = 0 \).

Osservazione 1: Dire che si ha \( f(a) f(b) \lt 0 \) è equivalente a dire che deve verificarsi una delle due seguenti condizioni

\[ \begin{equation} f(a) \lt 0 \mbox{,  } f(b) \gt 0 \mbox{    oppure    } f(a) \gt 0 \mbox{, } f(b) \lt 0 \label{eq1} \end{equation} \]

Ciò si può riassumere dicendo che la funzione assume due valori di segno opposto ai punti estremi del suo intervallo di definizione e continuità.

Osservazione 2: Affermare che \( c \) è interno all’intervallo chiuso e limitato \( [?,?] \) equivale a dire che \( c \in (a, b) \), ovvero che \( c \in [a, b] \) ma è distinto sia da \( a \), sia da \( b \). In altri termini, deve risultare \( a \lt c \lt b \), dove le disuguaglianze sono da intendersi in senso stretto.

Osservazione 3: Proviamo a produrci una semplice immagine mentale di ciò che afferma l’enunciato. Consideriamo nel piano cartesiano i punti \( A(a, f(a)) \) e \( B(b, f(b)) \); grazie alla osservazione 1, sappiamo che uno di essi, diciamo \( A \), si trova al di sotto dell’asse delle ascisse, mentre l’altro, nel nostro caso \( B \), si trova nel semipiano delle \( y \) positive. Poiché la funzione \( f(x) \) è per ipotesi continua nell’intervallo \( [?,?] \), il suo grafico consisterà in una linea curva di estremi i punti \( A \)  e \( B \), da tracciarsi senza alzare la matita dal foglio. Quale che sia il percorso che sceglieremo per congiungere \( A \) e \( B \), esso dovrà necessariamente tagliare l’asse delle \( x \) in almeno un determinato punto \( c \), nel quale risulterà \( f(c) = 0 \). Tale punto \( c \) è appunto quello di cui il teorema degli zeri predica l’esistenza.

 

 

Dimostrazione del teorema di Bolzano o degli zeri

Dimostrazione: In virtù dell’osservazione 1, l’ipotesi che risulti \( f(a) f(b) \lt 0 \) può essere ricondotta a una delle eventualità presentate in \( \ref{eq1} \). Per fissare le idee, supponiamo quindi che valga la prima di esse, cioè

\[ \begin{equation} f(a) \lt 0 \mbox{,  } f(b) \gt 0 \label{eq2} \end{equation} \]

Nel caso dovesse invece presentarsi l’altra eventualità, la dimostrazione procederebbe in maniera del tutto analoga. Consideriamo l’insieme \( S \) di tutti i punti \( x \) dell’intervallo chiuso e limitato \( [?,?] \) per i quali risulti \( f(x) \lt 0 \), ovvero

\[ S = \{x \in [a, b] : f(x) \lt 0\} \]

Per via della \( \ref{eq2} \), risulta certamente \( a \in S \), e quindi \( S \) è non vuoto. Inoltre l’insieme \( S \) è tale da ammettere maggioranti, visto che se \( x \in S \)certamente è pure \( x \lt b \); dunque possiamo considerare l’estremo superiore \( c \) di \( S \).

Dal momento che \( f(b) \gt 0 \), per il teorema della permanenza del segno esisterà \( \epsilon \gt 0 \) tale che per ogni \( x \in (b – \epsilon, b) \) sarà \( f(x) \gt 0 \); ciò significa che \( (b – \epsilon, b) \cap S = \varnothing \). Se adesso fosse \( c = b \), per le proprietà dell’estremo superiore dovrebbe risultare che ogni intorno sinistro di \( b \), per quanto piccolo, dovrebbe contenere punti di \( S \), contro quanto appena visto. Ne risulta che \( c \ne b \), e dunque \( c \lt b \).

Ugualmente, poiché \( f(a) \lt 0 \) per il teorema della permanenza del segno esisterà \( \epsilon \gt 0 \) tale che per ogni \( x \in (a, a + \epsilon) \)  sia \( f(x) \lt 0 \). Quindi esistono punti di \( [?,?] \) strettamente maggiori di \( a \) appartenenti a \( S \), il che sarebbe impossibile se risultasse \( c = a \). Possiamo dedurne \( c \ne a \), il che implica \( a \lt c \); assieme alla disequazione ottenuta precedentemente abbiamo allora \( a \lt c \lt b \), cioè \( c \in (a, b) \), come volevasi.

Vogliamo adesso far vedere che \( f(c) = 0 \), e concludere così la dimostrazione. Comunque scegliamo \( \epsilon \gt 0 \) possiamo considerare gli intorni sinistro e destro \( (c – \epsilon, c) \) e \( (c, c + \epsilon) \), i quali conterranno punti in cui \( f(x) \) è definita e continua, visto che \( c \) è interno all’intervallo \( [?,?] \). Per via delle proprietà dell’estremo superiore, l’intorno destro è disgiunto da \( S \), mentre quello sinistro ha con \( S \) intersezione non vuota: risulta perciò che \( (c – \epsilon, c + \epsilon) \) contiene sempre sia punti dove \( f(x) \gt 0 \) sia punti tali che \( f(x) \lt 0 \).

Se fosse \( f(c) \gt 0 \) o \( f(c) \lt 0 \), per il teorema di permanenza del segno dovrebbe esistere un intorno così piccolo di \( c \) tale che tutti i punti ad esso appartenenti abbiano lo stesso segno, positivo nel primo caso e negativo nel secondo. Siccome abbiamo fatto vedere che così non è, allora necessariamente \( f(c) = 0 \). Ciò conclude la dimostrazione. ∎

Osservazione 4: Il teorema di Bolzano, che prende il nome dal matematico boemo Bernard Bolzano e non dalla città tirolese, è un teorema di esistenza: ciò significa che esso dimostra l’esistenza di un ente matematico con certe proprietà, ma non lo identifica con precisione. Nel nostro caso sappiamo che esiste \( c \in (a, b) \) tale che \( f(c) = 0 \), ma non sappiamo dire esattamente dove \( c \) sia posizionato all’interno dell’intervallo. Altri metodi, come quello di bisezione o quello del punto unito, consentono di calcolare \( c \) con precisione arbitraria.

 

Esempi di applicazione del teorema di Bolzano o degli zeri

Esempio 1: funzione continua in un intervallo chiuso e limitato.

Si consideri la funzione \( f(x) = x + \ln x \) nell’intervallo chiuso e limitato \( \Big[\frac{1}{e}, e\Big]\), il cui grafico è rappresentato nell’immagine seguente. Si vuole verificare, tramite applicazione del teorema di Bolzano, che \( f(x) \) si annulla in almeno un punto interno al suddetto intervallo.

 

 

Per prima cosa calcoliamo \( f(a) \) e \( f(b) \), e controlliamo che \( f(a) f(b) \lt 0 \):

\( f(a)f(b) = \Big(\frac{1}{e}+\ln\frac{1}{e}\Big)(e+\ln e) = \Big(\frac{1}{e}-1\Big)(e + 1) = \frac{(1-e)(e+1)}{e} = \frac{1-e^2}{e} \lt 0 \)

La \( f(x) \) è inoltre certo definita e continua nell’intervallo dato, dal momento che la sua unica discontinuità, che è di seconda specie, viene assunta nel punto \( x = 0 \). Dunque il teorema di Bolzano è applicabile, e di conseguenza possiamo dedurre che esiste \( c \in \Big(\frac{1}{e}, e\Big) \) tale che \( c + \ln c = 0 \); guardando il grafico ci accorgiamo anche che tale punto è unico, ma ciò non è una conseguenza del teorema di Bolzano.

 

Esempio 2: funzione discontinua.

L’ultimo esempio che analizzeremo riguarda la funzione \( f(x) = \arctan\Big(\frac{1}{x}\Big) \)  nell’intervallo \( [−1,1] \), come da figura:

 

 

Come vediamo dal grafico, non esiste alcun \( c \) appartenente all’intervallo \( (−1,1) \) in cui la funzione valga 0, per cui ci aspettiamo che qualcuna delle ipotesi del teorema di Bolzano non sia verificata. Controlliamo in primo luogo la richiesta sui punti estremi:

\( f(a)f(b) = \arctan\Big(\frac{1}{-1}\Big) \arctan\Big(\frac{1}{1}\Big) = \arctan (-1)\arctan (1) = -\frac{\pi}{4}\cdot \frac{\pi}{4} = – \frac{\pi^2}{16} \lt 0 \)

Dunque questa ipotesi è rispettata. Lo stesso non si può dire però di quella di continuità, poiché è facile vedere che i limiti destro e sinistro della \( f(x) \) in esame nel punto \( 0 \in [−1,1] \) sono finiti e distinti:

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{\pm}} \arctan\Big(\frac{1}{x}\Big) =\lim_{z \rightarrow \pm\infty} \arctan z = \pm \frac{\pi}{2} \]

Ciò significa che \( f(x) \) ha una discontinuità di prima specie nel punto \( x = 0\), e quindi in particolare che non è continua nell’intervallo chiuso e limitato dato. Per questo motivo il teorema di Bolzano, come volevamo dimostrare, non è applicabile.

Osservazione 5: L’implicazione contenuta nel teorema di Bolzano funziona in una sola direzione. Ciò significa che, se le ipotesi del teorema sono verificate, allora certamente il punto ? ricercato esiste, ma se invece le ipotesi non sono rispettate nulla si può concludere circa l’esistenza o la non esistenza di ?. In particolare non siamo autorizzati a dedurre che in tal caso \( c \) non esista.

 

Discontinuità di terza specie

Definizione di discontinuità di terza specie

Definizione 1: Discontinuità di terza specie o eliminabile.

Sia \( f(x) \) una funzione di dominio \( D \in \mathbb{R} \)  discontinua in \( c \). Tale punto \( c \) si dice essere una discontinuità di terza specie o, il che è lo stesso, una discontinuità eliminabile per \( f(x) \), qualora i due limiti destro e sinistro della funzione nel punto esistono, sono finiti e coincidenti, ma \( f(c) \) è diverso dal valore del limite o non esiste.

\[ \lim_{x \rightarrow c^{-}} f(x) = \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = l \]

\[ f(c) \ne l \vee c \not\in D \]

Definizione 2: Prolungamento per continuità.

Sia \( f(x) \) una funzione dotata di una discontinuità eliminabile in \( c \). Si dice prolungamento per continuità di \( f(x) \) nel punto \( c \)  la funzione \( f_1(x) \) così definita:

\[ f_1(x) = \begin{cases} f(x) & \mbox{se } x \ne c \\ l & \mbox{se } x = c \end{cases} \]

 

 

Osservazione 1: Il caso \( f(c) = l \) è escluso dalla definizione 1 perché se i due limiti fossero uguali e per giunta coincidessero con il valore della funzione nel punto, allora \( f(x) \) sarebbe una funzione continua in ?, contro la richiesta iniziale di discontinuità della definizione 1.

Osservazione 2: Questo tipo di discontinuità è anche detto “eliminabile” perché esso può essere appunto rimosso dalla funzione semplicemente ridefinendola nel punto \( c \) nel modo \( f(c) = l \), cioè sostituendo la \( f(x) \) con il suo prolungamento per continuità. È facile rendersi conto, usando l’osservazione 1, che \( f_1(x) \) è continua in \( c \); essa si distingue dalla funzione iniziale \( f(x) \) solo per il valore che assume nel punto \( c \). Si noti che una simile procedura di eliminazione della discontinuità è invece impossibile nel caso delle discontinuità di prima e seconda specie, poiché i limiti destro e sinistro della funzione in ? non sono uguali e finiti e dunque ? non è ben definito.

 

Esempi di funzioni con discontinuità di terza specie

Esempio 1: La funzione non è definita nel punto \( c \).

Consideriamo la funzione \( y = \frac{\sin x}{x} \), il cui grafico è rappresentato nella figura a sinistra.

 

 

Dal momento che la \( x \) appare al denominatore, il punto \( c = 0 \) non appartiene al dominio \( D \) della funzione, che infatti è proprio \( D = \mathbb{R} – \{0\} \); ciò significa che \( f(0) \) non esiste. Secondo la definizione 1, per verificare che \( c = 0 \) sia una discontinuità di terza specie ci basta dunque solo far vedere che i due limiti esistono, sono finiti e coincidenti:

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \frac{\sin x}{x} = 1 = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \frac{\sin x}{x} \]

I limiti in questione si risolvono subito grazie alla conoscenza pregressa del limite notevole

\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{\sin x}{x} = 1 \]

Per questo motivo la funzione esaminata ha effettivamente una discontinuità eliminabile in \( c=0 \), e quindi se ne può considerare il prolungamento per continuità. Esso è raffigurato nel grafico a destra, e la sua equazione, in virtù della definizione 2, è

\[ f_1(x) = \begin{cases}\frac{\sin x}{x} & \mbox{se } x \ne 0 \\ 1 & \mbox{se } x = 0 \end{cases} \]

 

Osservazione 3: Il caso esaminato nell’esempio 1 si verifica anche per le funzioni

\[ \frac{e^x – 1}{x} \mbox{,     } \frac{1-\cos x}{x^2} \mbox{,     } \frac{1 – \cos x}{x} \mbox{,    } \ldots \]

ovvero per tutti quei limiti notevoli che si presentano inizialmente nella forma \( \frac{0}{0} \) ma si riconducono poi a un risultato finito. Dal momento, infatti, che i limiti considerati esistono finiti, allora i limiti destro e sinistro delle suddette funzioni in \( c = 0 \) esistono anch’essi, e per di più sono finiti e coincidenti. Inoltre è chiaro che in questi casi si ha sempre \( c \not\in D \), visto che si presentano nella forma indeterminata \( \frac{0}{0} \).

Esempio 2: La funzione è definita nel punto \( c \).

Si prenda adesso in considerazione una funzione \( f(x\)  il cui valore sia sempre nullo per ogni numero reale, ad esclusione dei numeri interi, sui quali la funzione assume il valore 1:

\[ f(x) = \begin{cases}1 & \mbox{se } x \in \mathbb{Z} \\ 0 & \mbox{se } x \in \mathbb{R} – \mathbb{Z} \end{cases} \]

Il grafico di \( f(x) \) è rappresentato di seguito. Vogliamo far vedere che la funzione in esame è dotata di una quantità infinita di discontinuità di terza specie, esattamente coincidenti con i numeri interi. Sia dunque \( n \in \mathbb{Z} \); poiché in questo caso il dominio della funzione è \( D = \mathbb{R} \), il valore \( f(n) \) esiste e, stando alla definizione di \( f(x) \), risulta \( f(n) = 1 \). Calcoliamo adesso i limiti destro e sinistro di \( f(x) \) per \( x \rightarrow n \):

\[ \lim_{x \rightarrow n^{-}} f(x) = 0 = \lim_{x \rightarrow n^{+}} f(x) \Rightarrow l = 0 \]

Tali limiti sono entrambi uguali a 0 perché, dal momento che la distanza tra due numeri interi consecutivi è sempre uguale a 1, è possibile prendere una successione di punti reali convergente a \( n \) tutta costituita da numeri compresi nell’insieme \( (n-1, n) \cup (n, n+1) \), sui quali è certamente \( f(x) = 0 \). Perciò i limiti destro e sinistro di \( f(x) \) in \( n \) esistono, sono finiti, coincidenti tra loro e distinti dal numero \( f(n) \). Ciò prova che ogni \( n \in \mathbb{Z} \) è una discontinuità di terza specie per la nostra funzione \( f(x) \).

 

 

Questo ci consente di considerarne il prolungamento per continuità, che secondo quanto affermato dalla definizione 2 è

\[ f_1(x) = \begin{cases} l & \mbox{se } x \in \mathbb{Z} \\ 0 & \mbox{se } x \in \mathbb{R} – \mathbb{Z} \end{cases} \]

Dal momento però che in questo caso risulta \( l = 0 \), il prolungamento per continuità di \( f(x) \) è la funzione nulla su tutti i numeri reali, ovvero \( f(x) = 0 \).

 

Discontinuità di seconda specie

Definizione di discontinuità di seconda specie

Definizione 1: Discontinuità di seconda specie.

Sia \( f(x) \) una funzione di dominio \( D \in \mathbb{R} \) discontinua in \( c \). Tale punto \( c \) si dice essere una discontinuità di seconda specie per \( f(x) \) qualora risulti che almeno uno dei due limiti destro o sinistro della funzione non esiste, oppure

\[ \lim_{x\rightarrow c^{-}} f(x) = \infty \mbox{     o     } \lim_{x \rightarrow c^{+}} f(x) = \infty \]

Definizione 2: Asintoto verticale destro e sinistro.

Se il limite destro (rispettivamente, sinistro) di una funzione \( f(x) \) in una sua discontinuità di seconda specie \( c \) è infinito, allora si dice che la retta di equazione \( x = c \) è per \( f(x) \) un asintoto verticale destro (rispettivamente sinistro).

Definizione 3: Asintoto verticale.

Se la retta di equazione \( x = c \) è sia asintoto verticale destro che asintoto verticale sinistro per la funzione \( f(x) \), allora essa è detta semplicemente essere un asintoto verticale per \( f(x) \).

 

 

Osservazione 1: Perché \( c \) sia una discontinuità di seconda specie per \( c \), tale punto non deve necessariamente appartenere al dominio della funzione, ma basta che ne sia punto di accumulazione. Anche nel caso in cui risulti \( c \in D \), la definizione 1 è indipendente dal valore di \( f(c) \).

Osservazione 2: Se \( c \) è una discontinuità di seconda specie per \( c \), allora uno dei limiti destro o sinistro della funzione per \( x \rightarrow c \) può anche esistere ed essere finito. Infatti nella definizione 1 si dice che a non esistere o ad essere infinito dev’essere almeno uno dei due limiti suddetti.

 

Esempi di funzioni con discontinuità di seconda specie

Esempio 1: I limiti destro e sinistro non esistono.

Sia \( f(x \) la funzione data dall’equazione \( y = \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) \), informalmente nominata “seno del topologo”, il cui grafico è approssimato dall’immagine seguente:

 

 

Verifichiamo che essa possiede una discontinuità di seconda specie per \( x = 0 \). A questo proposito calcoliamo i limiti destro e sinistro:

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) = \sin(-\infty) \rightarrow \mbox{ non esiste} \]

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) = \sin(+\infty) \rightarrow \mbox{ non esiste} \]

I due passaggi immediatamente dopo l’uguale non sono leciti, ma servono a far intendere il ragionamento che porta alla determinazione del risultato: allorché \( x \rightarrow 0^{\pm} \) il valore di \( 1/x \) si avvicina a \( \pm\infty \), ma la funzione seno è periodica e continua ad oscillare tra −1 e 1 per \( x \) comunque grande. Ciò significa che in ogni intervallo centrato nell’origine la \( f(x) \) assume tutti i valori compresi nell’intervallo [−1,1], cosicché i limiti ricercati non esistono. Ciò dimostra che 0, che naturalmente non appartiene al dominio della funzione, è per essa una discontinuità di seconda specie.

La frequenza delle oscillazioni che la funzione possiede nelle vicinanze dell’origine, tanto maggiore quanto più ci si avvicina alla discontinuità, rende impossibile la raffigurazione di un grafico preciso: è per questo che nell’immagine esso è stato solo approssimato.

Esempio 2: I limiti destro e sinistro sono infiniti.

Si consideri adesso la funzione \( y = \frac{\cos x}{x^2} \), rappresentata nel grafico sottostante:

 

 

Il suo dominio è \( D = \mathbb{R} – \{0\} \), cioè la funzione è definita ovunque, ad esclusione del punto \( x = 0 \). Vogliamo verificare che in tale punto la funzione presenta invece una discontinuità di seconda specie, e a questo scopo calcoliamo i limiti destro e sinistro come richiesto dalla definizione 1:

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \frac{\cos x}{x^2} = +\infty = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \frac{\cos x}{x^2} \]

Il risultato è chiaramente infinito, poiché il coseno è una funzione continua che vale 1 in 0, mentre invece \( x^2 \) tende a 0. In entrambi i casi otteniamo poi l’infinito positivo, visto che la funzione in esame è pari, ovvero dotata di grafico simmetrico rispetto all’asse delle \( y \). Dal momento che entrambi i limiti considerati sono infiniti, \( x = 0 \) è effettivamente una discontinuità di seconda specie per la funzione considerata, come previsto. La definizione 3 assicura infine che la retta di equazione \( x = 0 \) è un asintoto verticale per la nostra funzione.

In questo caso il fatto che il grafico della funzione oscilli non crea problemi come nell’ esempio precedente, poiché tali oscillazioni non si fanno sempre più frequenti man mano che \( x \) tende a 0.

Esempio 3: Uno solo dei due limiti è infinito e \( c \) non appartiene a \( D \).

Il prossimo caso cui vogliamo interessarci è quello della funzione \( y = e^{\frac{1}{x}} \), rappresentata nel piano cartesiano dal grafico seguente:

 

 

È facile osservare che il grafico della funzione si spezza in corrispondenza del punto \( x = 0 \), il che suggerisce che in tale punto vi sia una discontinuità. Verifichiamo, tramite applicazione dei limiti nella definizione 1, che si tratta effettivamente di una discontinuità di seconda specie.

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{+}} e^{\frac{1}{x}} = \lim_{z \rightarrow +\infty} e^z = +\infty \]

Nella seconda uguaglianza abbiamo adoperato il cambio di variabile \( z = \frac{1}{x} \). Come si vede il risultato ottenuto è infinito, e questo già è sufficiente a dire che \( x = 0 \) è una discontinuità di seconda specie, come da osservazione 2; inoltre la definizione 2 assicura che la retta di equazione \( x = 0 \) è un asintoto verticale destro per la funzione esaminata. Per completezza calcoliamo anche il limite sinistro:

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} e^{\frac{1}{x}} = \lim_{z \rightarrow -\infty} e^z = 0^{+} \]

Si può osservare che il risultato in questo caso è un numero finito. Ad ogni modo, poiché \( x = 0 \) non appartiene al dominio della funzione, il punto \( O(0, 0) \) non appartiene al suo grafico, ed è stato per questo indicato con un cerchio vuoto. A ulteriore dimostrazione di ciò, si consideri che \( e^{1/x} \gt 0, \forall x \in \mathbb{R}\): ciò significa che la funzione non può annullarsi in alcun punto.

Esempio 4: Uno solo dei due limiti non esiste e \( c \) appartiene a \( D \).

L’ultimo caso che esamineremo è quello della funzione \( y = \{x\}\sin\Big(\frac{1}{x}\Big) \), rappresentata dal grafico in blu più sotto. La funzione che indichiamo con \( \{x\} \) è nominata parte frazionaria di \( x \), o mantissa di \( x \): dato un numero reale \( x \), essa gli fa corrispondere la sua parte decimale, ovvero \( x – \mbox{floor}(x)\); ad esempio, \( \{2.75\}=0.75 , \{\pi\}=0.14159 \ldots, \{2\}=0\).

 

 

Poiché i valori assunti dal seno sono tutti e soli quelli compresi tra −1 e 1, il grafico della funzione in esame sarà tutto compreso tra il grafico della mantissa di \( x \) e il suo opposto, entrambi rappresentati nell’immagine soprastante con linee grigie tratteggiate. Quindi è

\[ -\{x\} \le \{x\} \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) \le \{x\} \]

e per il teorema del confronto avremo perciò

\[ 0 = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} -\{x\} \le \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \{x\} \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) \le \lim_{x \rightarrow 0^{+}} \{x\} = 0 \]

il che assicura che il limite destro per \( x \rightarrow 0 \) della funzione considerata esiste ed è nullo. Consideriamo adesso lo stesso limite, ma a sinistra:

\[ 0 = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \{x\} \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} 1 \cdot \sin\Big(\frac{1}{x}\Big) = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \sin\Big(\frac{1}{x}\Big)  \]

Come risulta dalla discussione dell’esempio 1, tale limite è oscillante e perciò non esiste.

Ciò ci dice che il punto \( x = 0 \) è una discontinuità di seconda specie per la funzione \( f(x) \) esaminata. È pure interessante notare che in questo caso \( \{0\} \in D \), visto che risulta \( f(0) = 0 \); dunque anche se la funzione nel punto \( c \) considerato è definita e uno dei limiti, in questo caso quello destro, tende al valore \( f(c) \) della funzione, essa può comunque essere discontinua.

 

Problema di minimo: area rettangolo

Dato un rettangolo, con la base e l’altezza di misura rispettivamente b ed h, indivi-duare il triangolo rettangolo circoscritto ad esso (con il vertice dell’angolo retto coin-cidente con un vertice del rettangolo) di area minima; trovare poi la relazione fra b ed h in modo che tale triangolo sia la metà di uno equilatero.

 

 

I segmenti AB e CD misurano b, i segmenti AD e BC misurano h ; indichiamo con x la misura di BE (deve essere \( x \gt 0\)). Dalla similitudine dei triangoli BCE e CDF risulta che DF : BC = CD : BE, da cui, passando alle misure, si ha: \( \overline{DF} : h = b : x \), da cui \( \overline{DF} = \frac{bh}{x}\). I segmenti AE ed AF misurano quindi rispettivamente \(b+x , h + (bh/x)\) e l’area del triangolo AEF (che è quella da minimizzare) risulta

\[ y = (b+x)\Big(h + \frac{bh}{x}\Big) \]

da cui

\[ \begin{equation}y = hx + \frac{b^2h}{x} + 2bh, \mbox{ con } x \gt 0 \label{*}\end{equation} \]

La derivata di tale funzione è \( y’ = h – \frac{b^2h}{x^2} = \frac{hx^2-b^2h}{x^2}\) che esiste per ogni \( x \ne 0\), si annulla per \(x \pm b \) (interessa solo \( x = b\)) , è negativa se \( -b \lt x \lt 0 \vee 0 \lt x \lt b\), è positiva se \(x \lt -b \vee x \gt b\); la funzione y ha quindi, nell’intervallo \((0; +\infty)\) minimo relativo ed assoluto in \(x = b\).

Il triangolo di area minima cercato ha quindi i cateti AE ed AF di misura rispettivamente 2b e 2h.

Per minimizzare la funzione y si poteva anche evitare di ricorrere al calcolo differenziale utilizzando il “metodo delle proprietà note”1. Osservando y nella \( \ref{*} \) si nota che, essendo il terzo addendo costante, ci si può limitare a minimizzare la somma dei primi due addendi; questi sono positivi con prodotto costante (uguale a \(b^2h^2\)) pertanto, in base ad una delle “proprietà note”, la loro somma è minima quando essi sono uguali, il che accade se x = b.

Affinchè un triangolo rettangolo sia la metà di uno equilatero, occorre e basta che uno dei suoi angoli acuti abbia ampiezza 60°; nel triangolo in questione si deve quindi imporre che tale ampiezza sia quella dell’angolo in E o dell’angolo in F.

Deve quindi risultare:

\( \overline{AF} = \overline{AE} \cdot \tan 60° \mbox{ ossia } 2b = 2h \cdot \sqrt{3} \mbox{ da cui } b = h\sqrt{3} \)

oppure

\( \overline{AE} = \overline{AF} \cdot \tan 60° \mbox{ ossia } 2h = 2b \cdot \sqrt{3} \mbox{ da cui } h = b\sqrt{3} \)


  1. Cfr. ad esempio M. Dedò, Matematiche elementari , vol. I, parte III, cap. I, Liguori Editore (1962)

 

Campo vettoriale conservativo

Determinare per quale valore reale di a il campo vettoriale \( \vec{F}(x; y) = (6x^2 + a y^2) \vec{i} + 10 xy\vec{j} \)

è conservativo nel proprio dominio; per tale valore di a, si consideri il punto \( B = (1; -1) \) e si deter- mini il punto P dell’asse x tale che risulti

\[ \int_{\gamma} \vec{F} \cdot d\vec{s} = 9 \]

essendo \( \gamma \) il segmento BP percorso da B verso P .

Il dominio del campo è \( \mathbb{R^2} \); per la conservatività in \( \mathbb{R^2} \) (che è un insieme aperto semplicemente connesso) è necessaria e sufficiente l’uguaglianza delle derivate in croce, cioè che risulti

\[ \frac{\partial}{\partial y} (6x^2 + ay^2) = \frac{\partial}{\partial x} (10xy), \forall (x; y) \in \mathbb{R^2} \]

Deve quindi risultare, in tutto \( \mathbb{R^2}\), \( 2ay = 10y \), da cui \( 2a=10 \) da cui \( a = 5 \).

Il campo vettoriale da considerare è dunque

\[ \vec{F}(x; y) = (6x^2 + 5y^2) \vec{j} + 10xy\vec{j} \]

Il punto P da determinare ha coordinate \( (p; 0) \) con \( p \in \mathbb{R} \). Per calcolare l’integrale del campo lungo \( \gamma \), conviene utilizzare un potenziale del campo stesso in \mathbb{R^2}, ad esempio \( U(x;y) = 2^3 + 5xy^2 \) e risulta:

\[ \int_{\gamma} \vec{F} \cdot d\vec{s} = U(p; 0) – U(1; -1) = 2p^3 – (2 + 5) = 2p^3 – 7 \]

Deve risultare \( 2p^3 – 7 = 9\) , da cui \( p^3 = 8\) da cui \( p = 2\); si trova così \( P = (2; 0)\).

 

Continuità e derivate parziali

Data la funzione f : ℝ2 → ℝ definita da:

\[ f(x; y) = \begin{cases} 2y\cos x, & x \ge/ \pi \\ x+2y-\pi, & x \lt \pi \end{cases} \]

 

studiarne continuità ed esistenza delle derivate parziali .

 

 

Indicando con A e B gli insiemi dei punti di ℝ2 con ascissa rispettivamente minore di π e maggiore di π, si riconosce subito che f è continua in tutti i punti di A e in tutti quelli di B; resta da studiare la continuità di f nei punti della retta d’equazione x = π, cioè nei punti di coordinate (π; t) con t∈ℝ. Risultando

\[ f(\pi, t) = -2t, \lim_{(x;y) \rightarrow (\pi; t)} 2y\cos x = -2t, \lim_{(x; y) \rightarrow (\pi; t)} x + 2y – \pi = 2t \]

 

per la continuità in (π;t) deve essere -2t=2t da cui t=0. Pertanto la funzione f è continua in (π;0) ma non negli altri punti della retta d’equazione x = π.

Nell’insieme (aperto) A risulta: \( f_x = 1, f_y = 2 \); nell’insieme (aperto) B risulta: \( f_x = -2y\sin x , f_y = 2\cos x \). Resta da studiare l’esistenza delle derivate parziali nei punti della retta d’equazione x=π. Su tale retta la funzione è uguale a \( 2y\cos \pi \), ossia -2y ; siccome il calcolo della derivata parziale rispetto ad y in tali punti coinvolge solo i valori della funzione lungo la retta stessa, si può dire che \( f_y (\pi, t) = -2t \) per ogni t reale. Per la derivata parziale di f rispetto ad x in tali punti, occorre calcolare i limiti, per \( h \rightarrow 0^{+} \) per \( h \rightarrow 0^{-} \), del rapporto incrementale parziale rispetto ad x. Risulta:

\[ \lim_{h \rightarrow 0^{+}} \frac{f(\pi + h; t) – f(\pi; t)}{h} = \lim_{h \rightarrow 0^{+}} \frac{2t\cos (\pi + h) – ( -2t )}{h} = \lim_{h \rightarrow 0^{+}} \frac{-2t\cos h + 2t}{h} = \]

\[ \lim_{h \rightarrow 0^{+}} -2t \frac{\cos h – 1}{h} = 0, \mbox{per } \forall t \in \mathbb{R} \].

dal momento che \( \cos h \sim -h^2/2 \mbox{ se } h \rightarrow 0\);

\[ \lim_{h \rightarrow 0^{-}}\frac{f(\pi+h; t) – f(\pi; t)}{h} = \lim_{h \rightarrow 0^{-}}\frac{\pi+h+2t-\pi-(-2t)}{h} = \lim_{h \rightarrow 0^{-}}\frac{h+4t}{h} = \begin{cases}\infty, & t \ne 0 \\ 1, & t = 0 \end{cases} \]
Qualsiasi sia il valore reale di t, i due limiti considerati non sono uguali, quindi la derivata parziale di f rispetto ad x non esiste in alcun punto della retta d’equazione x = π.

 

studio della continuità di una funzione di due variabili

Studiare la continuità della funzione \( f: \mathbb{R}^2 \rightarrow \mathbb{R} \) così definita:

\( f(x; y) = \begin{cases} \frac{x}{\sqrt{|x^2-y|}},  & y \ne x^2 \\ 0, &  y = x^2 \end{cases} \)

La funzione \( f \) è sicuramente continua nei punti del piano che non appartengono alla parabola di equazione \( y=x^2 \) (poiché in tali punti è quoziente di due funzioni continue ed il denominatore non si annulla); resta da studiare la continuità di f nei punti del tipo \( (a; a^2) \) con \( a \in \mathbb{R} \). Il limite di \( f \) , per \( (x; y)\) tendente ad \( (a; a^2) \) è \( \infty \) se \( a \ne 0 \), mentre presenta la forma d’indecisione \( \frac{0}{0} \) se \( a=0\). Quest’ultimo limite non esiste, perché già non esiste se lo calcoliamo restringendo \( f \) alla retta \( y=0 \); infatti, con tale restrizione, si ha:

\( \lim_{x \rightarrow 0} \frac{x}{\sqrt{|x^2|}} = \lim_{x\rightarrow 0} \frac{x}{|x|} = \begin{cases} 1, & \mbox{se } x \rightarrow 0^{+} \\ -1,  & \mbox{se } x \rightarrow 0^{-} \end{cases} \)

Pertanto la funzione \( f \) non è continua in alcun punto della parabola \( y = x^2 \).

 

Socialismo utopistico e socialismo scientifico

Il socialismo utopistico si sviluppa in Europa tra il XVIII e XIX secolo, ed è composto dall’insieme delle teorie che concernono l’organizzazione sociale e politica attraverso una riforma della società e dello stato. I fondatori furono i francesi sansimoniani e fourieristi, e la teoria si sviluppò in seguito in Inghilterra con gli oweniani. Essi prediligevano l’abolizione della proprietà privata, della famiglia, del contrasto tra campagna e città, e la figura della collettività come responsabile della produzione. Marx accolse queste teorie, ma criticò il fatto che davano scarsa importanza al proletario. Perciò il filosofo, attraverso il socialismo scientifico, completò la teoria utopistica, inserendo la figura del proletario industriale come artefice della trasformazione della società e autore della lotta di classe. La differenza fondamentale tra le due teorie è il fatto che il socialismo utopico voleva attuare il cambiamento attraverso le riforme, e secondo Marx questo era un metodo utopico, irrealizzabile. Egli invece sosteneva che fosse necessaria la rivoluzione, l’unico metodo in grado di sovvertire il rapporto tra l’operaio e il capitalista.

 

L’accettazione della vita nella filosofia di Nietzsche

Nietzsche considera la vita come un alternarsi di momenti sublimi e momenti terribili. Il caos è la fonte stessa di vita e di benessere, ma l’uomo cerca di mettere ordine con la ragione. Così egli si allontana dalla sua fonte di vita e si irrigidisce in un razionalismo che distrugge la passione e l’istinto. Nietzsche dunque nega il pensiero filosofico occidentale che parte da Socrate e respinge il caos, pretendendo, con la ragione, di stabilire un ordine. Bisogna cercare di raggiungere una nuova forma di essere umano, il superuomo. Egli si trova di fronte alla realtà in cui forze ignote si scontrano, in modo continuo e caotico, in un mondo che è puro caos e divenire, ed accetta tutto ciò. Il superuomo accoglie l’ignoto e l’imprevedibile senza cercare di stabilire un ordine con regole e razionalità, ma guarda in faccia il proprio destino con desiderio. Egli vive consapevole di essere in balia del caos e tenta di volgerlo a suo favore. L’uomo greco presocratico viveva secondo questa concezione, dominato dallo spirito dionisiaco e dalla Tragedia, la forma d’arte in cui l’essere umano affronta la vita per quello che è. La tragedia greca aveva lo spirito vitale non ancora corrotto dal razionalismo socratico, il quale rispondeva allo spirito apollineo, cioè ad Apollo e alle sue qualità, armonia ed equilibrio. Ponendo invece come realtà il flusso caotico, l’uomo raggiungerà il culmine del suo percorso e allontanerà la decadenza, ovvero tutto quello che limita l’istinto e la forza vitale.

 

117. La “morte di Dio” secondo Nietzsche

La morte di Dio è la fine di tutte le illusioni dell’uomo, con le quali egli crea idoli e miti per dare un senso alla vita e alla morte, ed essere un giorno ricompensato per le proprie fatiche nell’aldilà. La notizia della morte di Dio assume la portata di un evento epocale e coincide con la caduta di certezze che in realtà hanno solo ingannato l’uomo. Il mondo stesso giustifica questo evento, perché Dio non può esistere in questa corruzione. La morte di Dio viene annunciata, ne La gaia scienza, da un folle che spinge gli uomini a creare il superuomo, per colmare il vuoto causato dall’umanità. Sono stati gli uomini ad uccidere Dio, ovvero a sopprimere le certezze assolute che li avevano allontanati dalle insicurezze del periodo moderno. L’uccisione di Dio corrisponde all’eliminazione di una legge sovrumana, e bisogna creare il superuomo che realizzi le leggi che sostituiscano quelle di Dio. La morte di Dio è collegata al concetto di nichilismo: una volta presa coscienza dell’uccisione di Dio, si giunge al nichilismo attivo, che simboleggia la crescita della potenza dello spirito.

 

L’Es di Freud

Es in tedesco è il pronome neutro della terza persona singolare, e secondo la teoria di Freud è una delle tre parti intrapsichiche che costituiscono la nostra personalità, insieme all’Io e al Super Io. È caratterizzato dall’assoluta estraneità dell’Io, ed è il luogo in cui i contenuti psichici vengono rimossi, eliminati dalla coscienza attraverso un processo di rimozione. Nell’Es convivono pulsioni contrastanti e pressioni ininterrotte che cercano continuamente l’appagamento del piacere e in generale di bisogni egoistici. Qui non c’è spazio per leggi logiche e non ci sono giudizi di valore. Inoltre i meccanismi della memoria qui non operano, e ciò che è contenuto in questa sfera non si modifica nel corso del tempo. Dunque i contenuti dell’Es sono determinanti per l’attività psichica dell’essere umano.

 

Il “Super Io” di Freud

Il Super Io è una delle tre parti che compongono il nostro apparato psichico, e nasce dall’interiorizzazione di codici di comportamento, schemi di valore, divieti, che il bambino realizza nel rapporto con i propri genitori. Insieme all’Es e all’Io, il Super Io rappresenta l’intera personalità umana. Esso è composto da un insieme di diversi modelli di comportamento, non solo di comandi e divieti, e incarna l’ideale ipotetico verso il quale la persona indirizza il proprio modo di comportarsi. Attraverso il Super Io si genera un meccanismo che provoca la rottura dell’Io e in seguito comporta la sua modificazione, perché si assimilano da esso modelli imposti da altri. Infatti il Super Io si forma in seguito alla cultura e alla formazione imposte dai genitori e da altri educatori. Questa componente da un lato possiede una funzione positiva, poiché limita le pulsioni e i desideri umani, ma dall’altro lato genera una continua sensazione di non essere appagati e un senso di oppressione.

 

Significato e differenze tra tempo della scienza e tempo della coscienza in Bergson

Bergson considera il tempo come chiave di lettura della realtà, e ne distingue due tipi. Il tempo della scienza è una successione di singoli istanti uniformi ma distinti tra di loro, concepiti come punti spaziali. Il tempo è spazializzato, divisibile in segmenti spazialmente definiti. E’ ripetibile e reversibile, un ripetersi continuo delle medesime cose, secondo il modello matematico-quantitativo, poiché nella serie dei numeri naturali a ogni unità ne segue un’altra identica alla prima. Il tempo della coscienza è invece un susseguirsi di stati qualitativi della coscienza, diversi tra di loro ma nello stesso tempo collegati gli uni agli altri. In questa successione, i momenti precedenti si fondono con quelli seguenti, senza che si possano individuare cesure interne, come succede in una melodia, in cui le note, diverse qualitativamente, si fondono in un processo unitario. Il tempo è fluido e soggettivo, un’ora può valere differenti tempi. Il tempo qualitativo è un’esperienza della coscienza, non è mai uguale, non è reversibile, perché il nostro essere è in continuo mutamento, e non è spaziabile. Ogni istante contiene i ricordi del passato e i pensieri per la vita futura.

 

Un confronto tra Kant ed Hegel sul tema del rapporto tra finito e infinito

Il rapporto con Kant accompagna tutta la riflessione filosofica di Hegel. Egli riconosce la grande importanza della “rivoluzione copernicana” di Kant, ma ritiene che essa sia incompleta e debba essere ridefinita in alcuni aspetti. Hegel non condivide la filosofia del limite, poiché secondo Kant noi conosciamo solo i fenomeni, cioè le cose come ci appaiono, e delle cose in sé, reali, i noumeni, non sappiamo nulla, non possiamo conoscerle. Secondo Hegel invece nessun limite invalicabile si può porre alla ragione, ed essa non può limitarsi al finito, ma aspira all’infinito. Hegel dunque si pone come scopo la riconciliazione tra finito e infinito e cerca di superare la rottura che Kant aveva posto tra fenomeno e noumeno. La ragione, secondo Hegel, è identica alla realtà, perché la realtà è ragione, dunque non solo essa ha la possibilità di attingere alla realtà, che sarebbe l’infinito, ma si identifica con essa.

 

Freud ne “Il disagio della civiltà” spiega il significato dell’evoluzione civile come lotta tra Eros e Thanatos

Uno dei principi psichici fondamentali per Freud è la pulsione di morte, all’esterno proiettata come pulsione di aggressività. Lasciata libera, essa avrebbe effetti distruttivi, dunque occorre sottrarre alla libido individuale energia per metterla al servizio della società, in modo da costruire la civiltà. Essa è l’insieme delle realizzazioni e ordinamenti che distinguono l’uomo dagli animali. Alla base della civiltà c’è la sublimazione, la transizione di energie libidiche dalle mete sessuali all’arte, religione, cultura e amore per il prossimo. Tuttavia non vi è una definitiva vittoria dell’eros, e la civiltà continua ad essere “un campo di battaglia di forze contrapposte”, Eros e Thànatos. Il principio del piacere si scontra con la realtà, e una pulsione non soddisfatta produce frustrazione, causata dai divieti esterni all’individuo. I processi di sublimazione possono alleviare il senso di frustrazione, ma ciò non toglie che alla base della civiltà ci siano rinunce di pulsioni sessuali e aggressive. La repressione è necessaria per la sopravvivenza, e produce un alto dispendio di energie, poiché per frenare l’aggressività l’uomo la rivolge contro sé stesso dando luogo alla coscienza e al senso di colpa, un disagio ineliminabile.

 

Dialettica dell’esistenza in Kierkegaard

Kierkegaard può essere considerato l’iniziatore dell’esistenzialismo contemporaneo. Il filosofo infatti introduce una distinzione tra il piano dell’essenza, che è oggetto del pensiero logico ed è caratterizzata dalla necessità, e il piano dell’esistenza, la quale può essere colta solamente da un pensiero soggettivo e si risolve nella categoria della possibilità. L’esistenza non ha mai un carattere universale, ma riguarda sempre il singolo nella sua specificità. Così egli rifiuta l’universalità e la necessità, categorie fondamentali del pensiero di Hegel. Poiché è possibilità, l’esistenza umana possiede tre alternative che hanno tre diversi livelli di valore, e si configurano come tre stadi della vita. Il primo è lo stadio estetico, nel quale l’uomo vive l’immediatezza dell’istante, e gode della sua irripetibile eccezionalità; modello di questo stadio è il Don Giovanni di Mozart. Il secondo è quello etico, nel quale l’individuo riconferma con una scelta l’adesione ai principi morali universali (il modello è la figura del marito). Il terzo stadio è quello religioso, in cui l’uomo è in continuo contatto con Dio, e torna a vivere nell’istante, ma ora inteso come momento, recuperando una condizione di eccezionalità che non ha più carattere estetico ma religioso (il modello è Abramo).

 

In cosa consiste la ‘rivoluzione copernicana’ attuata da Kant con la Critica della Ragion pura?

Kant afferma di aver compiuto una vera e propria rivoluzione copernicana, ovvero una svolta nell’ambito della teoria della conoscenza, come due secoli prima aveva fatto il grande Copernico nel campo dell’astronomia. Infatti, fino a poco tempo prima di Kant, si pensava che ogni conoscenza si dovesse regolare sugli oggetti. Però, tutti i tentativi di stabilire qualcosa a priori, attraverso i concetti, con i quali si sarebbe potuta estendere la conoscenza, non produssero alcun risultato. Secondo Kant invece gli oggetti devono regolarsi sulla nostra conoscenza: la conoscenza è così sintesi tra una materia del conoscere che il soggetto riceve dall’esterno e una forma con cui l’individuo la organizza, generando la rappresentazione del mondo naturale. Dunque al centro delle conoscenze vi è l’uomo, insieme alle sue capacità e attività mentali. La conoscenza non è più una ricezione passiva di dati dell’esperienza, ma un’attività di classificazione, elaborazione e unificazione.

 

Il concetto di libido nella psicanalisi freudiana

La libido è un’energia di natura sessuale, che ricerca appagamento ed è soggetta ad aumenti e diminuzioni. Essa si trova alla base delle trasformazioni delle pulsioni, che sono processi psichici dinamici e non istinti ereditari, e hanno la loro fonte nell’eccitazione che si genera in un organo del corpo. Questa eccitazione provoca uno stato di tensione, una sorta di impulso che fa tendere verso una meta, che consiste nell’eliminazione di questo stato di tensione. La meta può essere raggiunta nell’oggetto verso cui tende la pulsione, o in virtù di questo oggetto. Questo oggetto non è identico per tutti, ma varia in relazione alle storie individuali e alle fonti da cui può dipendere. La libido e le sue pulsioni possono spostarsi di volta in volta su zone privilegiate del corpo, le cosiddette zone erogene, a ciascuna delle quali corrispondono inconsce fantasie particolari.

 

Il concetto di ironia nei romantici

Per i romantici l’ironia è la consapevolezza della falsità delle cose che stanno attorno all’individuo e che crea egli stesso. In questo modo l’uomo ha piena consapevolezza dei suoi limiti. L’ironia è dunque un atteggiamento dissimulatore nel rapporto tra l’uomo e la realtà che lo circonda. A volte l’ironia si traduce in un’auto-ironia, e i romantici ricordano Socrate, che usava questo stratagemma fingendosi ignorante quando si confrontava con i vari interlocutori, per metterli in difficoltà.

 

Caratteri dell’esistenzialismo

L’esistenzialismo si affermò in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale e poi ebbe di nuovo fortuna nel secondo Dopoguerra, con la presa di coscienza degli orrori delle due guerre. Esso influenzò la vita artistica, culturale e letteraria europea. Questo indirizzo filosofico si fonda sull’analisi dell’esistenza, ovvero il modo di essere specifico dell’uomo. Questo modo di essere ha come caratteristiche la finitezza e la problematicità, poiché connesso alla possibilità di realizzare sé stessi o di perdersi. L’indagine sull’esistenza non assume l’aspetto di una ricerca scientifica oggettiva e impersonale, perché chiunque la conduca è coinvolto personalmente. L’esistenzialismo insiste sulla specificità dell’esistenza umana e sulla sua precarietà, e si oppone all’idealismo e al razionalismo. In esso prevale la riflessione sull’individualità, la solitudine dell’io di fronte al mondo, l’inutilità e l’assurdità dell’esistenza. La crisi provocata dalle due guerre diventa motivo di angoscia esistenziale. Esso riflette inoltre sul senso della vita in relazione al nichilismo, sui limiti della libertà individuale e sul significato della parola essere.

 

Come giustifica Marx la dipendenza della sovrastruttura dalla struttura?

Marx dice che nella storia esistono rapporti di produzione e forze produttive, e sviluppa una teoria materialistica della storia. Le forze produttive sono componenti indispensabili alla produzione, e sono costituite dagli uomini, dai macchinari, dall’insieme di conoscenze. I rapporti di produzione sono le relazioni tra i lavoratori nell’utilizzo dei mezzi lavorativi. Il modo di produzione quindi è composto da forze produttive e rapporti di produzione. La struttura economica della società è data dalla base economica, e dalla struttura si innalza una sovrastruttura politica, giuridica e culturale, che dipende da questa struttura. La struttura economica determina lo Stato, le religioni, le filosofie e le leggi. Il rapporto tra struttura e sovrastruttura è determinato, perché è immediato e stretto, e condizionato, perché si riferisce a una relazione più indiretta. Inoltre, mentre la struttura è l’unico elemento che si auto-determina, la sovrastruttura invece è solo un suo riflesso che è partecipe della storicità della struttura economica.

 

Che cosa significa l’affermazione di Hegel che “il vero è l’intero”?

Per comprendere il significato di tale affermazione bisogna aver chiari i capisaldi dell’idealismo hegeliano, in particolare la tesi di fondo per cui il finito si risolve nell’infinito. Secondo H la realtà non è un insieme di parti autonome ma un organismo unitario che coincide con l’Infinito, la ragion d’essere di ogni realtà. Le varie parti del mondo, invece, sono solo manifestazione di esso e coincidono con il finito, espressione parziale dell’infinito. Così il finito esiste unicamente nell’infinito e in virtù di esso. Tale concezione dell’Infinito però non è statica, esso si identifica con un soggetto spirituale in divenire: la realtà si identifica con un processo di autoproduzione che segue varie tappe di realizzazione e solo alla fine giunge a rivelarsi per quella che è veramente. L’Infinito hegeliano coincide con il raggiungimento dell’intero cioè con il suo completo sviluppo per cui esso può rivelarsi per ciò che è in verità. Inoltre, secondo H la ragione è in grado di conoscere il vero, cioè l’infinito inteso come intero, come sintesi di tutte le determinazioni finite. Da qui, la sua critica sia nei confronti dell’idealismo di Fichte e Schelling che non è in grado di pensare assieme finito e infinito, sia della ragione kantiana che si autolimita dinanzi a tale conoscenza.

 

In che senso per Kant la conoscenza è il frutto di una sintesi?

Kant elabora una teoria della conoscenza intesa come sintesi di materia e forma, cioè sintesi di un elemento a posteriori e un elemento a priori. Per materia egli intende la molteplicità delle impressioni sensibili che ci provengono dall’esperienza, quindi, elemento a posteriori. Parlando di forma, invece, egli si rifà all’insieme delle modalità, innate ed uguali a tutti gli uomini, attraverso cui le impressioni sensibili sono ordinate nella mente. Proprio perché, queste forme sono possedute e applicate allo stesso modo da tutti gli uomini, esse sono universali e necessarie, quindi a priori rispetto all’esperienza. Su questa tesi gnoseologica egli pone il fondamento dell’universalità della scienza. Quest’ultima, infatti, è intesa da K come sintesi di materia e forma cioè sintesi del contenuto derivato dall’esperienza e dei principi sintetici a priori, verità necessarie e universali che valgono ovunque e sempre allo stesso modo ma inderivabili dall’esperienza stessa. Non solo, con la teoria della conoscenza intesa come frutto della sintesi tra materia e forma, il filosofo opera una vera rivoluzione copernicana: come Copernico ribaltò i rapporti tra terra e sole, K ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto. Secondo K non è la mente (soggetto) che si adegua passivamente alla realtà (oggetto), ma la realtà che viene modellata dalle forme a priori, proprie della nostra struttura conoscitiva, attraverso cui la percepiamo.

 

Chiarisci il significato di “spirito apollineo” e “spirito dionisiaco” nella filosofia di Nietzsche

La distinzione tra dionisiaco e apollineo è il tema centrale de “La nascita della tragedia”, il primo libro pubblicato da Nietzsche nel 1872. In tale occasione egli utilizza questa coppia di opposti come criteri interpretativi dello spirito e dell’arte del mondo greco. Il dionisiaco deriva dalla forza vitale e dalla caoticità del divenire e si esprime nella creatività della musica. L’apollineo deriva invece da una fuga dall’imprevedibilità degli eventi e si esprime nell’armonia dell’arte plastica. Il loro rapporto corrisponde a quello esistente tra le dualità di caos e stasi, di istinto e ragione. Secondo N la tragedia greca nacque dallo spirito dionisiaco che tende a scorgere il dramma della vita, e poi decadde con il sopravvento dell’apollineo che, tentando di rendere accettabile la vita, trasformò il caos vitale in un mondo misurato e armonico. Solo nella fase intermedia, con l’armonizzazione dei due spiriti, la tragedia greca diede origine a veri capolavori. Ma, tale dualità assume nella filosofia di N una valenza ideologica: il dionisiaco corrisponde all’atteggiamento di accettazione totale ed entusiastica del mondo e di tutti gli aspetti della vita nella totalità della loro potenza che porta al passaggio dall’uomo al superuomo; l’apollineo invece è la rinuncia e la fuga dalla vita che mortifica l’energia vitale ed è indegna dell’uomo. N sceglie l’atteggiamento dionisiaco verso la vita. Da qui la critica all’atteggiamento rinunciatario della morale tradizionale e dell’ascetismo schopenhaueriano.