Il 25 novembre si è celebrata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Secondo me è giusto che una giornata sia dedicata a questa tematica perché purtroppo, ancora oggi, sono molto diffusi i soprusi contro il sesso “debole”. La violenza contro le donne si manifesta nei modi più disparati: abusi sessuali, botte, violenza psicologia, stalking. I dati sono disarmanti: 140.000 donne hanno subito uno stupro prima dei 16 anni. E questo, secondo me, è un atto di vigliaccheria, perché molto spesso gli stupratori sono uomini adulti che utilizzano la loro forza mascolina su ragazzine indifese. Ancora peggiore è lo stupro di gruppo: alcuni ragazzi, pur di dimostrare agli altri compagni la loro mascolinità, compiono più volte un abuso ai danni della stessa vittima, senza preoccuparsi delle conseguenze. Il fatto più disarmante è, però, che le vittime, nella maggior parte dei casi, non denunciano la violenza subita, forse per vergogna o forse per dimenticare quanto accaduto. Subiscono la violenza “passivamente”, soffrendo, ma non facendo punire la causa del loro malessere. E questo non è l’unico caso. Anche le donne che vengono picchiate non denunciano il fatto alle autorità. Molto spesso, infatti, queste donne, in nome dell’amore o perché convinte che sia solo una fase passeggera, giustificano le botte ricevute dal proprio compagno o marito con numerose scuse. Dicono, ad esempio, di essersi fatte male facendo le pulizie di casa o si inventano qualche incidente. Non si rendono conto che questa situazione potrebbe degenerare in qualcosa di più grave, come lo stalking. La donna che decide di lasciare il proprio partner può diventare vittima di attenzioni morbose; inizia ad essere pedinata, a ricevere chiamate ogni ora del giorno e della notte, ad essere minacciata. Fortunatamente oggi questo tipo di violenza è considerato un reato penale. La donna, così, è più tutelata, ma, se non denuncia quanto le accade, mette in pericolo la sua vita. Al giorno d’oggi molte donne hanno pagato con la vita il loro sopportare i soprusi. Prima di essere uccise, si sono sentite dire: “O sei mia o di nessuno” e gli uomini sopportano più l’idea di uccidere che di essere lasciati dalla propria donna. Io sono contro la violenza sulle donne. Le donne, infatti, sono l’angelo del focolare e curano i bisogni della famiglia. Non bisogna maltrattale, ma è necessario il dialogo. Siamo nel mondo occidentale, nel ventunesimo secolo, e non è ammissibile che esistano ancora queste violenze. Ricordiamoci: la donna non deve essere toccata neanche con un fiore.
Autore: Vincenzo Di Salvatore
Tipologia D 5
TRACCIA: La musica — diceva Aristotele (filosofo greco del IV sec. a.C.) — non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo. Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea. Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale.
Musica sinonimo di espressione. Lo scopo, il vero scopo della musica, la vera musica, è quello di esprimere se stessi. Il musicista riversa tutte le sue angosce, paure, sogni, felicità, insoddisfazioni, rabbie, dolori, appagamenti, amori per una donna, frustrazioni, desideri sulle corde di una chitarra o nelle parole trascinanti che daranno vita alla canzone. Quest’ultima costituirà la trasposizione in note dell’animo dell’autore. Il musicista non compone una canzone per chi l’ascolterà, ma per se stesso: ha, quindi, la possibilità di esprimersi facendo ciò che ama. “Non suoniamo per chi ascolta, ma suoniamo perché è ciò che amiamo fare; se poi alla gente piace, tanto meglio” (Black Sabbatti). Quando poi gli ideali e la personalità del musicista si incontrano con un ascoltatore che la pensa allo stesso modo, ecco che nasce l’apprezzamento per quella musica e, con esso, il fan e il successo. La musica rock è quella che dà le maggiori possibilità di esprimersi. Il rock è più che semplice musica, è qualcosa di spirituale, quasi sacro. Ogni grande musicista la pensa così: “Quando ho bruciato la mia chitarra sul palco è stato un sacrificio. Si sacrificano le cose che si amano. Io amo la mia chitarra” (Jimi Hendrix). Quando un gruppo raggiunge una grande popolarità, ha la possibilità di cambiare la mentalità della gente e il rock, con la sua purezza, ha cercato di migliorare il mondo. “Quando qualcuno ascolta la tua musica, puoi colpirlo a tal punto da fargli fare ciò che vuoi” (Jimi Hendrix). Ad esempio i Beatles, che hanno trascinato migliaia e migliaia di persone, volevano realmente cambiare il mondo tramite le loro canzoni (Imagine di John Lennon è una di quelle più vicine a questa mentalità) e predicavano solo ideali puri: “Credevo davvero che l’amore avrebbe potuto salvarci tutti” (John Lennon). “When the power of love will overcome the love for the power the world will be in peace” (Jimi Hendrix). La musica diventa, quindi, anche mezzo di educazione dove lo scopo è quello di far aprire gli occhi alla gente che spesso non si accorge nemmeno di ciò che le succede attorno o non ha la forza di combattere: “We don’t need no education, we don’t need you thought control” (Another brick in the wall, Pink Floid). Il rock smuove gli animi e le coscienze della gente. Ovviamente è anche uno svago dalle brutture della vita ed è propedeutico per l’avvicinarsi alla catarsi. A partire dagli anni Novanta, la mentalità delle persone era più aperta e più libera. Oggi la mentalità delle persone e dei giovani è per la maggior parte gretta e superficiale. Ad un determinato tipo di mentalità si affianca un determinato tipo di musica. Cambiano i valori trasmessi e i temi trattati e muta il modo di fare musica. A prescindere dal genere, non è più quella musica che nasce da dentro per se stessi, ma è musica creata per avere successo e per vendere. Perde, dunque, di ogni significato spirituale e sentimentale e diventa semplicemente un metodo per fare soldi perdendo ogni dignità. Tra i giovani si diffondono particolarmente il rap e il pop, i cui compositori hanno vita breve e non se rendono conto che se, al contrario di questi ultimi, i gruppi rock come i Beatles, i Rolling Stones, i Guns’n roses, Queen non passano mai di moda c’è un motivo: che loro non seguono la moda, ma la dettano incarnando uno stile di vita.
Tipologia D 4, tema di ordine generale
TRACCIA: Comunicare le emozioni: un tempo per farlo si scriveva una lettera, oggi un sms o una e-mail. Così idee e sentimenti viaggiano attraverso abbreviazioni e acronimi, in maniera veloce e funzionale. Non è possibile definire questo cambiamento in termini qualitativi, si può però prendere atto della differenza delle modalità di impatto che questa nuova forma di comunicazione ha sulle relazioni tra gli uomini: quanto quella di ieri era una comunicazione anche fisica, fatta di scrittura, odori, impronte e attesa, tanto quella di oggi è incorporea, impersonale e immediata. Discuti la questione proposta, illustrandone, sulla base delle tue conoscenze ed esperienze personali, gli aspetti che ritieni più significativi.
La comunicazione è alla base della società moderna: ritmi di vita sempre più frenetici esigono strumenti che riescono a stare al passo con l’esigenza di una possibilità di azione e comunicazione immediata. Nascono, quindi, sempre nuove migliorie ai già esistenti telefoni cellulari che dispongono ogni giorno di più di nuove funzioni e applicazioni che rendono la comunicazione più veloce e agevole. Queste tecnologie sono alla portata di tutti e inevitabilmente i giovani approfittano eccessivamente di questa disponibilità non preoccupandosi della dipendenza alla quale questi strumenti possono portare. I nuovi strumenti di tecnologia influiscono sull’impostazione del rapporto dei giovani con il prossimo e sul loro modo di comunicare con gli altri. Si crea inevitabilmente un distacco dal passato e dal suo modus agendi ormai considerato superato. Non è stato un freddo e voluto distacco, ma si è trattato di un naturale evolversi del metodo comunicativo. Infatti bisogni, abitudini e opportunità hanno fatto sì che fossero varcate nuove frontiere della comunicazione. Basti pensare all’avvento del telefono cellulare che ha significato una grande svolta, data dalla possibilità di poter comunicare in qualsiasi momento con la persona che si desidera in qualsiasi parte del mondo ci si trovi. Oggi, grazie a tariffe e promozioni degli operatori telefonici, poter navigare su internet col cellulare è sempre più facile e così i ragazzi possono comunicare ancora più facilmente tra loro. Ad esempio, due innamorati possono parlare in qualsiasi momento della giornata e si possono sentire ancora più vicini, perché la comunicazione on-line permette di sentire la presenza del partner, anche se in modo virtuale. Questi vantaggi, però, sono un miglioramento rispetto al passato solo se si considerano alcuni punti di vista. Ormai la lettera non esiste più e, con essa, la sua compostezza, il suo fascino e la sua personalità. Una lettera, che sia di contenuti lavorativi o amorosi, è qualcosa di molto personale. La sola grafia riflette l’autore e il suo modo di essere e scrivere una lettera è come mettere il proprio io su carta. Con la diffusione dei telefoni cellulari e l’uso di sms e chat virtuali, la lettera è diventata ormai inutile. L’impostazione del messaggio con cellulare o chat e l’approccio ad esso da parte del destinatario sono molto diversi rispetto alla lettera. La personalità riscontrata nello scrivere una lettera e nel dar vita al proprio pensiero per far trasparire il meglio di noi stessi è sostituito negli sms dalle faccine (gli emoticon) raffiguranti espressioni facciali che fanno capire al destinatario lo stato d’animo del mittente. Queste ultime, però, non hanno la stessa forza comunicativa dell’espressione del volto quando più persone si parlano. Ne consegue una spersonalizzazione della comunicazione e viene a mancare quella poeticità dei tempi passati che rendeva così emozionante lo scrivere una lettera alla persona amata. Il progresso, però, non può essere fermato e, dunque, ci si adatta ai nuovi metodi comunicativi. Io sono del parere che comunque ancora oggi esistono persone che preferiscono scrivere un’accorata lettera apprezzandone così il ricco e profondo valore che essa possiede.
Tipologia D 3, tema di ordine generale
Traccia: «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita» (Paul Nizan, Aden Arabia, 1931). Il candidato rifletta sulla dichiarazione di Nizan e discuta problemi, sfide e sogni delle nuove generazioni.
Non avrei mai creduto che, una volta arrivato a vent’anni o quasi, mi sarei trovato ad affrontare una situazione del genere. Ho aspettato tanto questo momento perché, pensavo, finalmente avrei avuto la possibilità di poter vivere appieno la mia vita. Ma mi rendo conto che avere vent’anni significa incominciare ad assumersi le proprie responsabilità e affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Dunque venti anni sono o no il momento più bello della vita? Secondo Nizan no e mi chiedo cosa lo abbia portato ad una tale affermazione. Infatti, secondo me, avere vent’anni ha lati positivi e negativi, proprio come tutte le altre cose che caratterizzano la nostra vita. Quanto c’è ancora da vivere! Com’è bello avere del tempo a disposizione da trascorrere con i propri amici, essere ancora “coccolati” da mamma e papà! Questa è l’età in cui bisogna concentrare le proprie forze ed energie per la realizzazione dei propri sogni: crearsi una famiglia e avere un lavoro che permetta di avere una vita dignitosa e di raggiungere la piena realizzazione di sé. Ma quanti ostacoli vedo intorno a me! Quante sfide da affrontare! E mi domando: ce la farò a uscirne vincitore? Il momento che stiamo attraversando, purtroppo, non è dei migliori. Una tremenda crisi economica sta colpendo i paesi in cui viviamo, sono molte le persone che stanno perdendo il loro posto di lavoro e per noi giovani non c’è posto. E, se non c’è un lavoro (il posto fisso non è più un diritto, ma è diventato ormai un’allucinazione), come posso crearmi una famiglia? Per quanto tempo ancora dovrò pesare sulle spalle dei miei genitori? Qualche ministro ci ha definiti “bamboccioni”, ma non è colpa nostra se non riusciamo a trovare una nostra indipendenza. È lo Stato che non riesce più a garantire il nostro futuro. Eppure… siamo noi giovani il futuro! Questa è per me la sfida più grande da affrontare: riuscire a realizzarmi nel lavoro. Ma non voglio abbattermi, voglio continuare a pensare che ci sia speranza per tutti. Intanto sto affrontando l’esame di maturità. Una volta terminato, concentrerò la mia energia sulla facoltà universitaria da intraprendere e studierò quello che più mi piace. In questo modo spero di essere più facilitato nel trovare un lavoro: avrò pur sempre un titolo che mi farà da presentazione nel mondo del lavoro! Sicuramente, una volta raggiunta la laurea, renderò orgogliosi anche i miei genitori che mi sostengono sempre. Avere venti anni significa affacciarsi alla vita, cominciarne il vero percorso. E magari esso sarà più facile da sostenere se riesco a trovare la persona giusta che mi farà da accompagnatrice. So che la vita ha alti e bassi: affronterò tutte le difficoltà. Sicuramente sbaglierò, cadrò, ma saprò rialzarmi, imparerò dai miei errori. Del resto ho pur sempre ancora venti anni e voglio vivere fino in fondo la mia vita. Sarò responsabile delle scelte che farò e, quando riuscirò ad arrivare dove mi sono prefisso, ricorderò tutti i sacrifici che ho fatto per giungere al mio scopo e sarò fiero di me perché ci sarò riuscito con le mie sole forze. Ed è proprio questo che dico ai miei coetanei quando si abbattono e perdono fiducia nel domani: continuare a combattere sempre per i propri sogni perché anche per noi la vita ha in serbo cose stupende e meravigliose che ci renderanno felici.
Tipologia D 2 , tema di ordine generale
Traccia: «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita» (Paul Nizan, Aden Arabia, 1931). Il candidato rifletta sulla dichiarazione di Nizan e discuta problemi, sfide e sogni delle nuove generazioni.
Non sono d’accordo con l’affermazione di Nizan che sostiene che vent’anni non siano l’età più bella della vita. Forse avrà vissuto un momento particolare (nel 1931 si stava assistendo a importanti cambiamenti, come lo sviluppo delle dittature con la conseguente perdita delle libertà fondamentali e già si assaporava l’inizio di una nuova e terribile guerra che avrebbe coinvolto il mondo), forse avrà avuto problemi fisici, di salute o sociali. Sta di fatto che non sono della sua stessa opinione perché ritengo che è proprio a vent’anni che si comincia a vivere. Io ho quasi vent’anni e, anche se vedo intorno a me ragazzi che hanno perso la speranza o persone adulte che si sentono dei falliti perché hanno perso il lavoro o perché non hanno più la famiglia che si sono cercata di costruire, non perdo di vista il mio obiettivo: la realizzazione dei miei sogni e la volontà di vivere un futuro migliore. Lo so che, al giorno d’oggi, non è semplice affrontare la vita. C’è una tremenda crisi economica che fa sempre più vittime, non si riesce a creare una famiglia in breve tempo, non esiste più il posto fisso, si vive sempre nell’incertezza del domani. Quello che più mi spaventa, però, è la crisi dei valori fondamentali. È in pericolo l’idea di famiglia: ormai sono molti i bambini costretti a vedere divisa la propria famiglia. Magari i suoi genitori si sono separati perché non andavano più d’accordo o perché l’uno non riusciva a soddisfare più l’esigenza dell’altro. Ci si separa con molta facilità. E io mi chiedo: capiterà anche a me? Riuscirò a trovare la persona giusta con la quale poter avere dei figli? Il domani è veramente molto incerto, ma io sono convinto che, con impegno, perseveranza e buona volontà, si possono raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissati. Io ho sempre sognato di continuare a studiare, di riuscire ad affermarmi professionalmente e di crearmi una famiglia numerosa. E non saranno di certo la crisi e nemmeno gli ostacoli che dovrò affrontare ad impedirmi di raggiungere i miei obiettivi. Magari impiegherò più tempo degli altri per arrivare dove mi sono prefisso, cadrò tante volte e mi sembrerà che la vita mi avrà sconfitto. Ma metterò insieme le mie forze e riuscirò a rialzarmi, mi sentirò realizzato e sarò fiero di me. E renderò orgogliosi anche i miei genitori e le persone che mi stanno affianco e mi sostengono sempre. Potrò raccontare ai miei figli e ai miei nipoti che si deve sempre credere nei propri sogni e che vale la pena lottare per essi. Certo, ora la mia mente si affolla di interrogativi: riuscirò a trovare un lavoro? C’è da qualche parte la donna giusta per me? Sarò un buon padre per i miei figli? Vent’anni sono anche l’età in cui è possibile fare tutto. È l’età delle uscite con gli amici, dei primi veri amori. Ma è anche il momento che ci fa affacciare al mondo degli adulti, alla vita vera. Bisogna essere in grado, man mano, di avere il coraggio di prendere delle decisioni e di assumersi le responsabilità delle nostre azioni. Il primo grande ostacolo da affrontare sarà dopo la maturità, scegliere se continuare a studiare o trovarsi un lavoro, capire quale è la strada giusta per noi. Questo è un momento decisivo per la nostra vita, è ciò che ci aprirà la strada del nostro avvenire. Io consiglio ai ragazzi come me di non perdere mai la speranza, di lottare affinché si possano realizzare i propri sogni, anche se si deve lottare contro tutto e tutti. Mi viene in mente quello che disse Papa Giovanni Paolo II quando, rivolgendosi ai giovani che tanto amava, affermò: “Fate della vostra vita un capolavoro”. Ma mi ricordo anche di una canzone di Massimo Ranieri, intitolata appunto “Vent’anni”. Insieme a lui canto sempre a squarciagola: “La mia vita cominciò come l’erba, come il fiore”, “Nasce così la vita mia, come comincia una poesia” e soprattutto “Io credo che lassù qualcuno aveva scritto già l’amore mio per te e tutto quello che sarà”. Questo per dire che la vita ha in serbo per noi ventenni ancora molte cose belle. Sono dunque convinto che si possa affermare che i vent’anni siano “I migliori anni della nostra vita”.
Protetto: Tipologia D, tema di ordine generale
TIPOLOGIA C, tema di ordine storico
TRACCIA: «Il sottosegretario Josef Bühler, l’uomo più potente in Polonia dopo il governatore generale, si sgomentò all’idea che si evacuassero ebrei da occidente verso oriente, poiché ciò avrebbe significato un aumento del numero di ebrei in Polonia, e propose quindi che questi trasferimenti fossero rinviati e che “la soluzione finale iniziasse dal Governatorato generale, dove non esistevano problemi di trasporto.” I funzionari del ministero degli esteri presentarono un memoriale, preparato con ogni cura, in cui erano espressi “i desideri e le idee” del loro dicastero in merito alla “soluzione totale della questione ebraica in Europa,” ma nessuno dette gran peso a quel documento. La cosa più importante, come giustamente osservò Eichmann, era che i rappresentanti dei vari servizi civili non si limitavano ad esprimere pareri, ma avanzavano proposte concrete. La seduta non durò più di un’ora, un’ora e mezzo, dopo di che ci fu un brindisi e tutti andarono a cena – “una festicciola in famiglia” per favorire i necessari contatti personali. Per Eichmann, che non si era mai trovato in mezzo a tanti “grandi personaggi,” fu un avvenimento memorabile; egli era di gran lunga inferiore, sia come grado che come posizione sociale, a tutti i presenti. Aveva spedito gli inviti e aveva preparato alcune statistiche (piene di incredibili errori) per il discorso introduttivo di Heydrich – bisognava uccidere undici milioni di ebrei, che non era cosa da poco – e fu lui a stilare i verbali. In pratica funse da segretario, ed è per questo che, quando i grandi se ne furono andati, gli fu concesso di sedere accanto al caminetto in compagnia del suo capo Müller e di Heydrich, “e fu la prima volta che vidi Heydrich fumare e bere.” Non parlarono di “affari”, ma si godettero “un po’ di riposo” dopo tanto lavoro, soddisfattissimi e – soprattutto Heydrich – molto su di tono» (Hannah ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, dal Capitolo settimo: La conferenza di Wannsee, ovvero Ponzio Pilato). Il candidato, prendendo spunto dal testo di Hannah Arendt, si soffermi sullo sterminio degli ebrei pianificato e realizzato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Il testo è tratto dall’opera di Hannah Arendt intitolata La banalità del male. Il male può mai essere banale? Secondo me no, ma purtroppo la storia ci insegna che alcuni potenti hanno considerato il male come una cosa normale, semplice e naturale: appunto banale. È il caso tristemente noto di Adolf Hitler che aveva in mente, tra i suoi folli progetti, la completa distruzione di un popolo: quello ebraico. Cosa l’abbia portato a concepire un piano così tremendo è noto a tutti. Hitler voleva salvaguardare la purezza della razza ariana eliminando dalla faccia della terra tutti quelli che erano considerati inferiori e inutili: in primis gli Ebrei e poi tutti i disabili, i gay e gli oppositori politici. Tutto questo in nome di una superiorità della razza mai scientificamente dimostrata. Ma questo folle piano ha portato alla morte di milioni di persone, soprattutto ebree. E chi si è macchiato di questo crimine sembra non essersene reso conto, tanto che, durante i processi, la maggior parte dei comandanti tedeschi ha semplicemente dichiarato di avere semplicemente eseguito degli ordini. Ma procediamo con ordine. Le idee di salvaguardia della razza ariana erano già state formulate da Hitler nel Mein Kampf, il libro che scrisse durante la sua prigionia (il futuro Fuhrer della Germania fu incarcerato in seguito al fallimento del colpo di stato di Monaco del 1923). Dopo la scarcerazione, Hitler fu protagonista di una veloce ascesa al potere. Nel 1935 emanò le leggi di Norimberga, con le quali gli Ebrei venivano esclusi dalla vita politica. Inoltre, con queste leggi si vietava il matrimonio tra Ebrei e ariani appunto per salvaguardare la purezza del sangue tedesco. Furono costruiti i primi campi di concentramento, nei quali trovarono la morte milioni di Ebrei. Nel novembre del 1938 ci fu la terribile “notte dei cristalli”: i Tedeschi, per vendicare la morte di un diplomatico tedesco da parte di un ebreo, distrussero tutte le vetrine dei negozi ebrei e le finestre delle case e degli uffici e deportarono molte persone nei campi di concentramento. L’esempio delle leggi di Norimberga fu seguito anche da Mussolini che, nel 1938, emanò le “leggi per la difesa della razza” con le quali gli Ebrei italiani venivano allontanati dall’amministrazione pubblica, dalla scuola, dall’esercito e dalla vita civile. La cosa più triste di tutti questi avvenimenti è stato il fatto che chi si è reso colpevole di questo terribile genocidio non si sia stato preso da alcun rimorso di coscienza. Mentre milioni di famiglie venivano divise e milioni di persone morivano a causa dello sfruttamento a cui venivano sottoposti nei campi di concentramento, Hitler e la sua schiera continuavano a svolgere una vita normale in ville di lusso. Un’oasi felice la loro, a dispetto di tanto pianto e dolore che li avvolgeva. Gli Ebrei venivano allontanati con la forza dalle loro case e stipati in vagoni merci per essere portati nei lager. Erano trattati come animali, stipati l’uno sull’altro senza acqua o cibo e in condizioni igienico-sanitarie pessime. I più fortunati venivano portati nei campi di concentramento, dove avrebbero avuto una maggiore speranza di sopravvivenza, anche se sottoposti a dure fatiche. I meno fortunati, invece, arrivavano ai campi di sterminio e lì la morte era assicurata e avveniva nei modi peggiori: o nelle camere a gas o nei forni crematori. La prima selezione avveniva già all’arrivo di queste persone ai campi: chi scendeva a destra veniva salvato, chi a sinistra veniva gettato nelle camere a gas. Le prime vittime erano le donne e i bambini. Gli Ebrei venivano marchiati e diventavano semplicemente un numero. Non erano più persone, ma bestie da soma e numeri. Non avevano alcun diritto e non potevano fare alcuna richiesta, neanche avere del pane. I più deboli non hanno resistito alla vista di questo scempio: hanno trovato la morte perché debilitati o sono addirittura impazziti. La situazione per gli Ebrei peggiorò nel 1945. La Germania stava perdendo la guerra su tutti i fronti, stavano arrivando gli Alleati e i Russi. La “soluzione finale” (l’eliminazione sistematica degli Ebrei) fu più veloce: si cominciarono ad ammazzare sempre più Ebrei tramite fucilazioni di massa. Insomma, fu un vero e proprio genocidio. Gli Alleati che per primi arrivarono nei campi di concentramento stentarono a credere che fosse avvenuto tutto questo disastro. Filmarono con le loro telecamere le immagini di quello scempio. Mostrarono addirittura lampadari fatti con la pelle degli Ebrei. E videro anche persone ridotte a pelle e ossa dalla fame oppure altri individui con gravi problemi di salute perché usati come cavie per gli esperimenti. Il mondo cominciò ad aprire gli occhi su quanto avvenuto. I comandanti tedeschi, che continuavano a non avere compreso la gravità delle loro azioni, vennero assicurati alla giustizia. Ma chi diede giustizia agli Ebrei? Chi asciugò le loro lacrime? Chi poté ridare loro la dignità? Solo i più forti, i più fortunati, una volta terminata la guerra, sono riusciti a riprendere in mano la loro vita. Sono quelli che, se ancora in vita oggi, vanno nelle scuole a raccontare alle nuove generazioni quanto avvenuto affinché un genocidio del genere non si ripeta più. Anche lo Stato Italiano ha istituito il Giorno della Memoria, che si celebra ogni 27 gennaio appunto per ricordare ciò che è stato fatto al popolo ebraico. La cosa sconvolgente è che anche oggi, nonostante le immagini, i documentari e le testimonianze di autori illustri quali Primo Levi (che compose Se questo è un uomo) o Anna Frank (di cui fu ritrovato il celebre diario), ci sono persone che negano che ci sia stato questa terribile distruzione di massa. La Memoria storica, dunque, assume un’enorme importanza. La storia deve essere nostra maestra di vita, bisogna ricordare per non dimenticare e comprendere che, nonostante le differenze del colore della pelle o di cultura, siamo comunque tutti uomini degni di rispetto e con il diritto alla vita.
A mai più, saggio breve sull’Olocausto
DESTINAZIONE: Corriere della Sera
Con il termine “Olocausto” si indica il genocidio degli Ebrei di ogni sesso e di ogni età causato principalmente dalla Germania nazista di Hitler e dai suoi alleati. L’olocausto è chiamato anche Shoah, che nella lingua ebraica significa “catastrofe”. La distruzione di circa sette milioni degli Ebrei d’Europa venne portato avanti della Germania attraverso nazista mediante un complicato apparato amministrativo, economico e militare che costò molto alla stessa Germania e che coinvolse tutti gli stati conquistati dal Terzo Reich durante la Seconda Guerra Mondiale. Il simbolo che fa pensare subito all’Olocausto è il campo di concentramento. Essi inizialmente vennero concepiti come campi di lavoro dove si producevano armi. Successivamente furono utilizzati proprio come campi di sterminio. Come descrive Primo Levi in Se questo è un uomo, durante la vita nei lagher i prigionieri cercavano sopra ogni cosa di conservare la propria dignità anche se la cattiveria di chi comandava e decideva chi doveva vivere o meno faceva mettere gli stessi nazisti uno contro l’altro per vedere chi di loro non avrebbe avuto il coraggio di far eseguire gli ordini imposti dal Reich. Un campo di concentramento tristemente famoso è quello di Auschwitz, in Polonia, dove furono uccisi la maggior parte degli Ebrei. Sarcastica appare l’iscrizione posta al suo ingresso: “Il lavoro rende liberi”. Il 27 gennaio del 1945 le truppe delle armate rosse sovietiche liberarono il campo di Auschwitz riuscendo a porre in salvo alcuni prigionieri che sarebbero stati vittima della soluzione finale. E proprio in commemorazione di questo giorno che dal 2000 in Italia, ma anche in tutto il mondo, si celebra la Giornata della Memoria per commemorare le vittime ebree e affinché questa strage non si ripeta mai più. “La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Giornata della Memoria, al fine di ricordare la Shoah”. Molti, nel commemorare la Giornata della Memoria, non credono ancora come sia stato possibile che nel cuore dell’Europa, patria di luminari, di tradizioni filosofiche e artistiche, sia potuto accadere un simile scempio. Se lo chiede Adorno in Dialettica negativa. Il filosofo, esponente della scuola di Francoforte, dichiara che Auschwitz, e quindi il genocidio, sono un segno evidente del fallimento della cultura, in quanto né la filosofia, né l’arte, né le altre scienze illuministiche hanno potuto evitare questo massacro. La patria della cultura, quindi, è diventata nel contempo luogo di non verità e tutta la cultura che si è sviluppata dopo Auschwitz non è altro che spazzatura appunto perché rinata dopo che era accaduto il genocidio. Lo stesso Adorno non sa dare una risposta esaustiva alla domanda: ha senso ricordare? Secondo lui, infatti, chi ricorda può diventare collaborazionista, mentre chi nega quanto accaduto diventa egli stesso fautore della barbarie. E non ha nemmeno senso parlare dell’Olocausto. Fatto sta che il Giorno della Memoria esiste. Ogni anno, in tale occasione, vengono sempre ricordati, con film, interviste e testimonianze, tutti i massacri. La Arendt, in Il processo di Gerusalemme, afferma che esso mancò di presentare al mondo intero le vere dimensioni dello sterminio. Infatti molti nazisti affermavano semplicemente di aver eseguito gli ordini, non rendendosi conto di ciò che stavano compiendo. Bisogna continuare a ricordare quello che è stato. Infatti le nuove generazioni devono studiare e avere coscienza di quanto successo per far sì che un tale massacro non si verifichi più.
Il bullismo: c’è una soluzione?
DESTINAZIONE: giornalino scolastico
Il bullismo è sempre stato un problema che porta i ragazzi, soprattutto i più frustrati, a prendersela con i più deboli, come se fossero i loro giocattoli o degli oggetti ai quali far fare tutto ciò che vogliono. Il bullismo è stato coltivato dallo “Spirito del Sessantotto”. Questo spirito, come affermato da Guarini in La crisi d’autorità in classe è figlia del 68, ha cercato di corrompere tutta la generazione dell’epoca, ma senza riuscirci. Un esempio di un atto di bullismo che avveniva in quegli anni è riportato da un brano de Gli invisibili di Balestrini. Egli dice che il bullismo è un potere distruttivo. Infatti l’autore parla del potere che i ragazzi avevano acquistato conquistando la scuola e facendola diventare un bazar. Il bullismo nasce come forma di invidia e vendetta da parte di chi non riesce a compiere e a raggiungere determinati obiettivi. Se questa persona vede che un suo compagno riesce a raggiungere lo scopo a cui lui non può arrivare, inizia ad essere violento e può decidere di distruggere ciò che il proprio compagno ha creato. L’esempio riportato da Balestrini è solo una delle tante facce del bullismo. Un altro caso è costituito da ciò che è accaduto in una scuola di Torino, dove alcuni ragazzi hanno aggredito un coetaneo diversamente abile, come riportato da alcuni articoli dell’epoca scritti da Raffaello Masci e Marina Corradi, Nonnismo a scuola per 8 studenti su 10 e Quella meschina prodezza esibita su internet. Secondo quanto riportato, il ragazzo disabile è stato picchiato da quattro suoi compagni, mentre un altro gruppo di una ventina di ragazzi e ragazze riprendeva la scena senza fare nulla. Nemmeno un compagno si è fatto avanti per difendere la povera vittima. Questo comportamento da vigliacchi è stato, a mio avviso, peggiore di quello del bullo, perché tali persone non solo non hanno avuto il coraggio di picchiare il malcapitato, ma non hanno mosso nemmeno un dito per aiutarlo. Con questo loro atteggiamento passivo, hanno dato più forza al bullo di continuare nel suo spregevole atto. Il bullismo porta le persone a prendersela con i più deboli, disabili o meno, per crearsi un gruppo di ammiratori e seguaci. È questo ciò che importa al bullo: avere un gregge che lo stimi e lo segua a testa bassa per ridere degli altri. Come comportarsi nei confronti del bullo? Come afferma Alberoni in Il bullismo si elimina con una scuola competitiva, non ha senso ammonire il bullo, in quanto questa sanzione costituisce per lui un vanto. Non è nemmeno utile espellerlo dalla società perché, anche se il bullo non ha nessuno su cui esercitare la propria forza, essere lasciati da soli per strada risulta essere comunque molto dannoso. Bene, quindi, hanno fatto alcuni magistrati che hanno condannato il bullo a lavorare in un centro d’assistenza. Questa pena serve al bullo per fargli capire che il più debole non deve essere maltrattato, ma, al contrario, deve essere aiutato. Un’altra soluzione sarebbe quella di mettere il bullo in competizione con gli altri ragazzi: oltre ad andare a scuola, dovrebbe fare lavori, sport, arte, musica e teatro in modo tale da poter entrare in contatto con gli altri. Infatti solo con la competizione si emerge in base alle proprie capacità, ma nello stesso tempo ci si sente uniti in quanto si fa parte di una stessa squadra e tutti collaborano per raggiungere dei risultati per lo stesso scopo. Sono del parere che il bullo faccia la parte del forte solo quando è accompagnato dai suoi seguaci: preso da solo è come un agnellino sperduto che non sa cosa fare. In conclusione, egli è solo un ragazzo che indossa una maschera per non far vedere ciò che è realmente.
La droga-2
La droga è presente in molti strati sociali dell’attuale società. Atleti, attori, musicisti fanno uso di sostanze stupefacenti per esigenze diverse. I giocatori di calcio, tennis, basket e altri sport cercano di ottenere una prestazione fisica maggiore assumendo steroidi e anabolizzanti senza preoccuparsi delle implicazioni etiche e dei regolamenti che vietano e puniscono questo comportamento. La brama della fama e del successo prevale sul seguire la retta via e spinge sempre più gli atleti a considerare le droghe come potenti aiutanti e non come nemici da sconfiggere. Ovviamente non è questo l’unico motivo dell’assunzione di droghe e a diversi usi si abbinano diversi tipi: mentre per l’incremento di capacità fisiche ci sono steroidi e anabolizzanti, per quanto riguarda i fini ricreativi ci sono cocaina, anfetamina, MD, LSD, marijuana, fumo, funghi allucinogeni… Il principio di queste droghe è colpire il cervello confondendo i sensi. Prendendo in considerazione l’ambiente degli artisti musicali, quando il cantante o il musicista sale sul palco ha bisogno di una grande carica per rendere al meglio. In questo caso, il tipo di droga usata è generalmente la cocaina o l’anfetamina che hanno l’effetto di dare molta energia e di non far sentire la fatica per un dato periodo di tempo, permettendo così a chi ne fa uso di ottenere una prestazione al livello di ciò che magari, in certe situazioni, non sarebbe in grado di dare. Parlando dell’uso puramente ricreativo delle droghe, cambia il tipo di sostanza utilizzato. In questi casi ciò che si cerca è solo una forma di divertimento o di distacco dalla vita reale. Si fa ricorso, quindi, ai funghi allucinogeni: queste sostanze non stordiscono soltanto i sensi, ma li ingannano completamente trasmettendo all’utilizzatore immagini, suoni, sensazioni che non sono reali. Chi fa uso di questa droga si vede, quindi, catapultato in una nuova realtà. L’uso di droga sta avendo un incremento notevole da quando i giovani hanno cominciato a farne un utilizzo sempre maggiore. Sono sempre di più, infatti, i ragazzi che fanno la scelta di provare droghe che in genere sono “leggere”. Le motivazioni che li spingono a questo gesto sono varie. Ci sono ragazzi che semplicemente vogliono provare tutto nella vita e la droga per loro non fa certo eccezione. Questi giovani usano la droga come uno svago e ne riempiono le loro serate. La canna diventa, così, un uso abitudinario e normale. Contemporaneamente ci sono i ragazzi dal carattere debole che idolatrano i precedenti e, per imitarli, non si limitano all’emulazione del modo di vestire o della musica ascoltata, ma arrivano persino a provare le droghe come i loro modelli. Sono soggetti deboli e facilmente condizionabili ed è proprio a causa delle debolezze dell’uomo che la droga trova la sua forza. Una persona può decidere di assumere droga perché attraversa un periodo di depressione o malessere e la sostanza stupefacente rappresenta una fuga, un’evasione dal mondo reale e, quindi, una momentanea felicità. Ma ciò che è inequivocabile è che l’assunzione di droghe porta gravi conseguenze sia per la salute sia per le capacità mentali. Tante famiglie sono state distrutte dalla droga assunta o da un genitore o da un figlio e sono state spezzate le vite stesse di queste persone. In conclusione la droga è la dimostrazione migliore delle debolezze dell’uomo e va combattuta con tutte le nostre forze e sconfitta per poter eliminare le nostre paure, ansie, tentazioni e debolezze.
La droga-1
Nel ventunesimo secolo, il mondo della droga si è allargato notevolmente. Il mercato della droga si può definire un cancro della società, un cancro che si espande in tutto il mondo e in tutti i posti, anche nei luoghi più innocui e vergini. Questo cancro è diffuso soprattutto nelle zone malfamate o nei luoghi non controllati dalla polizia o da altre forze dell’ordine. I circoli di droga vengono controllati soprattutto dalla mafia, altra malattia della società. La mafia, per vendere la droga, sfrutta persone disagiate e povere o immigrati che cercano un lavoro rapido. Questa tattica, a mio parere, è cattiva verso i nuovi spacciatori e anche vantaggiosa per il circolo di droga. Le forze dell’ordine cercano di curare questa piaga con interventi e arresti, ma io penso che ormai non possano fare più nulla perché essa si è allargata a grandi scale e la mafia copre questo grande circolo con la corruzione e le uccisioni. Quindi, se non si possono fermare i venditori di droga, l’alternativa è che i clienti non devono più acquistare questa sostanza tossica. Ma quest’ultima proposta è praticamente impossibile. Infatti le persone che comprano la droga sono abitualmente dei disagiati con gravi problemi familiari, depressi, ex carcerati o persone ricche che non sanno come spendere il loro denaro. Dal punto di vista dei disagiati e dei depressi, la droga costituisce un modo per liberarsi dai loro problemi. Secondo me, tali persone sono mentalmente deboli e non sanno affrontare le avversità della vita con coraggio e determinazione e, quindi, si cullano con la droga che finisce per diventare il più grave dei loro problemi. Ci sono persone che muoiono a causa della droga, ma alcune riescono a scampare a questa malattia e arrivano a disintossicarsi grazie a speciali terapie e attenzioni. Le persone che riescono a liberarsi dalla droga sono comunque poche, perché la dipendenza è un’avversità difficile da affrontare. Secondo me, è completamente errato il comportamento delle persone che hanno un grande patrimonio che sfruttano comprando le sostanze stupefacenti. Sono questi i drogati che nessuno si aspetta, poiché si mostrano mentalmente tranquilli e vivono agiatamente. Quindi perché autodistruggersi con le proprie ricchezze acquistando droga? Questa domanda non ha una semplice risposta. Molto probabilmente queste persone ricche fanno utilizzo di stupefacenti solo per mostrare che possiedono molto denaro. Purtroppo i clienti della droga non si possono fermare, poiché le persone che non fanno più uso di sostanze stupefacenti vengono sostituite da altri individui disposti a comprare droga. Dunque la droga è una piaga che non può avere fine.
La dipendenza dal gioco d’azzardo
In una società sempre più colpita dalla crisi, dalla quale, purtroppo, è difficile uscire, sta aumentando il numero di coloro che, con la falsa speranza di incrementare i propri guadagni, si affida al gioco d’azzardo. Televisioni, radio e giornali si fanno portavoce ogni giorno di migliaia di messaggi che invitano a giocare. Le forme di gioco che promettono denaro in caso di vincita sono molte: gratta e vinci, lotto, slot machine, casinò. Anche se gli spot pubblicitari invitano a giocare con moderazione, molti sono coloro che non riescono a smettere di giocare. Si è creata, quindi, una nuova forma di dipendenza, quella, appunto, dal gioco d’azzardo. Questa dipendenza può essere considerata una malattia vera e propria, proprio come avviene nel caso della soggezione alla droga, al sesso o all’alcool. Cadere in questa malattia è molto semplice. Le vittime sono soprattutto coloro che sono meno istruiti e che hanno un reddito basso. Tali persone sono convinte che il gioco li aiuti a raggiungere un livello di vita migliore, ma purtroppo non è così. Si inizia col giocare una piccola somma, magari un euro, per poi arrivare a perdere con il gioco un’ingente fortuna. Si rischia, in questo modo, di indebitarsi fino al collo e di buttare al vento tutti i risparmi di una vita. Questo perché molto spesso chi gioca non accetta di aver perso e, per recuperare la somma investita in precedenza, continua a giocare. I dati di chi soffre della dipendenza dal gioco d’azzardo sono impressionanti: solo in Italia sono 30.000.000 coloro che hanno giocato almeno un euro, mentre circa 5.000.000 investono nel gioco più di quanto possono effettivamente permettersi. I giocatori patologici, i veri e propri malati, sono circa 200.000. Purtroppo queste persone non sono in grado di capire che sono dipendenti dal gioco. Per loro continuare a giocare è normale e, così facendo, mettono in secondo piano le loro normali attività e rischiano di creare seri problemi all’interno della propria famiglia. Si pensi a tutte quelle famiglie che hanno perso i loro beni proprio perché un membro è stato vittima della dipendenza da gioco. Purtroppo cadere in questa malattia è molto facile. Infatti uno studio ha evidenziato che nelle città in cui ci sono più occasioni di gioco, come, ad esempio, Gorizia, il numero dei giocatori è maggiore rispetto ad altri luoghi che non ne offrono le stesse possibilità. Insomma si inizia a giocare proprio perché sì è bombardati dalle continue offerte, come gratta e vinci che promettono vincite più facili o casinò aperti per tutto l’arco della giornata. Il livello culturale, l’ambiente in cui si cresce e la crisi economica che stiamo vivendo fanno aggravare ulteriormente il problema. Cosa fare per non cadere in questa malattia? Innanzitutto fare attenzione ai sintomi: il non svolgere normalmente la propria routine quotidiana o il trascurare le persone care sono segni evidenti che c’è qualcosa che non va. Se non si riesce ad intervenire in tempo e si diventa dei dipendenti dal gioco, esistono centri specializzati a cui rivolgersi. Fortunatamente oggi si considera la dipendenza da gioco come una vera e propria malattia (cosa che non avveniva fino a qualche anno fa) e, quindi, sono nati dei centri specializzati nella cura di questa patologia. La cura che questi centri offrono è soprattutto psicologica. Molti giocatori, infatti, hanno delle strane convinzioni, come, ad esempio, affermano che col gioco si possa controllare il destino. Oltre agli psicologi, che cercano di correggere queste erronee interpretazioni della realtà, ci sono anche gli assistenti sociali che indagano sui rapporti familiari del malato per capire cosa possa averlo portato a iniziare a giocare. Molto spesso, infatti, basta pensare al male che si fa alle perone care per smettere di giocare. Prenderne coscienza, però, non è affatto facile, perché il dipendente da gioco non si ritiene tale, anzi è convinto che possa smettere in qualsiasi momento, proprio come avviene nei casi dei drogati o degli alcolisti. Per questa malattia, inoltre, sono stati creati dei farmaci che sono in grado di interagire sul desiderio di gioco facendolo diminuire. Quante malati riescono a guarire da questa dipendenza? I medici, bnel caso di questa dipendenza, non usano mai il temine “guarigione” perché può bastare davvero poco per ricadere nel vizio. Tuttavia la maggior parte dei malati riesce a non giocare per mesi o addirittura anni. Per uscire definitivamente da questa dipendenza, secondo me, è necessaria una grande forza di volontà che solo una presa di coscienza del problema da parte del malato e l’aiuto delle persone a lui più care possono mettere in atto.
Internet e la privacy
Grazie all’avvento delle nuove tecnologie si ha la possibilità di conoscere in ogni momento della giornata le notizie in tempo reale e di comunicare con i nostri amici in maniera istantanea. Questo è possibile grazie ad internet. Social network e motori di ricerca on line permettono di soddisfare ogni nostra curiosità e di condividere con i nostri amici quello che facciamo. Si pensi, ad esempio, a facebook. Il famoso social network ideato da Mark Zuckerberg permette di rendere visibili le nostre foto e i nostri stati d’animo agli amici che abbiamo tra i contatti. Su internet è possibile anche caricare i video più importanti della nostra vita. Il sito più adatto in tal senso è Youtube. Qui è possibile prendere visioni dei video dei nostri cantanti preferiti, rivedere spezzoni di film o di trasmissioni e pubblicare dei video che ci riguardano. Con internet si possono anche comprare libri, vestiti e quant’altro ci occorre grazie ai siti commerciali. Viviamo, quindi, anche in un modo virtuale, quello di internet appunto. Questo ha creato non pochi problemi dal punto di vista della privacy. A noi utenti di internet sembra di non essere controllati in quello che facciamo, ma, in realtà, non è così. Molti siti, infatti, richiedono di specificare i propri dati sia personali (nome e cognome, data e luogo di nascita, età) che economici. Se, ad esempio, si vuole effettuare qualche acquisto on line, si deve comunicare il numero del proprio conto corrente o della poste pay per effettuare il pagamento. Certo, prima di effettuare un’iscrizione a qualsiasi sito bisogna prendere visione e accettare un documento che garantisca il trattamento dei dati personali e, di conseguenza, della privacy. Molto spesso, però, si rischia di rimanere vittima di abili hacker che riescono ad impossessarsi dei nostri dati personali o sono gli stessi siti aziendali a comunicare i nostri dati ad altri enti. Questo è un grave danno per noi, perché gli hacker possono creare falsi account e clonare le nostre carte di credito oppure possiamo essere bombardati di pubblicità indesiderata sia tramite mail sia tramite cellulare. Inoltre siamo sempre sotto controllo anche se utilizziamo il cellulare. Grazie alle nuove applicazioni, infatti, è possibile sapere dove ci troviamo. Il cellulare si appoggia molto spesso ai dati del satellite. Può essere un esempio l’utilizzo di google maps. Se ci si trova in difficoltà nel trovare un determinato indirizzo o una determinata strada, basta collegarsi a questo sito per ottenere l’indicazione precisa della via da percorrere. Ma per fare questo è necessario inserire la propria posizione. Ecco che siamo, ancora una volta, sotto controllo. Mi viene in mente di quante persone sono state arrestate per aver commesso un particolare delitto grazie all’individuazione delle celle telefoniche e alla rilevazione della propria posizione. Internet e il cellulare, dunque, controllano la nostra vita. Ecco perché bisogna fare attenzione all’utilizzo di questi nuovi mezzi e bisogna essere sicuri che le informazioni che immettiamo on line finiscano davvero in buone mani. Esistono regole precise che tutelano la privacy dei cittadini riportata dalla direttiva europea 95/46/CE. È compito fondamentale dei social network e di tutti i siti internet assicurare agli iscritti il rispetto della propria privacy. Non farebbe piacere a nessuno ritrovarsi improvvisamente al verde il conto in banca o vedere pubblicato qualcosa di scandaloso a proprio nome solo perché i nostri dati non sono stati ben trattati. Di conseguenza ben venga l’utilizzo di internet e del cellulare a patto che i nostri dati, e, quindi, la nostra sicurezza, siano trattati con regolarità nel rispetto delle norme vigenti.
Il ruolo del cellulare nella vita moderna
Nel ventunesimo secolo la tecnologia sta facendo sempre più passi in avanti. Ad esempio, ormai non si fa in tempo a comprare l’ultimo modello di un cellulare che già ne è in produzione un altro contenente nuove migliorie. Viviamo in una società in cui il modo di comunicare è cambiato notevolmente, grazie all’utilizzo di internet e del telefono mobile. Se si guarda indietro nel tempo, a circa trent’anni fa, si può notare che la comunicazione era possibile soltanto stando a casa e utilizzando il telefono fisso. Poi la rivoluzione: la nascita del dispositivo mobile. Essa, contrariamente a quanto si possa pensare, non è stata una scoperta recente. Infatti la prima telefonata dal cellulare fu effettuata negli anni ’70 nella Sesta Strada di New York e gli interlocutori furono proprio i due più grandi competitori del settore mobile: Joel Engel dei “Bell Labs” e Martin Cooper della Motorola. Fu quest’ultimo a telefonare al suo rivale dicendogli che lo stava chiamando proprio da un dispositivo mobile. Certo, i primi cellulari non erano come quelli che usiamo oggi. Si trattava, infatti, di dispositivi scomodi, pesanti più di un chilogrammo e molto costosi (il primo cellulare, ad esempio, costava ben 4000 dollari). Ma si è trattato di una scoperta che presto avrebbe rivoluzionato il mondo e il modo di comunicare. Sono stati prodotti cellulari sempre meno pesanti e a costi alla portata delle grandi masse. Grazie ai prezzi sempre più bassi, il cellulare si è molto diffuso nella società. Oggi tutti possiedono uno o più cellulari, dai bambini ai più anziani. Questo dispositivo si è subito rivelato essere molto utile perché permette la comunicazione anche fuori casa. Infatti, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, è possibile effettuare una chiamata sia ai nostri cari sia ai datori o colleghi di lavoro. Inoltre, se ci si trova in difficoltà (si pensi, ad esempio, se facciamo qualche incidente stradale o se non ci sentiamo bene all’improvviso), si possono chiamare i soccorsi senza perdere neanche un minuto di tempo per trovare una cabina telefonica. Il cellulare, quindi, ha modificato il nostro modo di vita. Nel corso del tempo i cellulari sono stati dotati di numerose migliorie. Si è passati da un telefono mobile in grado solo di telefonare e mandare SMS a dispositivi che sono in grado anche di navigare su internet o di giocare come se si trattasse di un videogioco. Si tratta, appunto, dei telefonini di ultima generazione, sempre più facili da usare, ma che contengono alcune applicazioni che permettono di rendere la comunicazione ancora più veloce. Si pensi che oggi basta un dispositivo cellulare per connettersi ad internet ovunque ci si trovi o per mandare messaggi gratuiti ai nostri amici. Il cellulare, proprio perché ha incorporato anche internet, permette di fare ricerche sul web oppure di essere sempre informati su ciò che accade nel mondo. Un vero e proprio computer, insomma, con il vantaggio di essere più piccolo e più leggero. Con il cellulare, inoltre, si possono scattare fotografie di ottima qualità. Esse possono essere caricate subito sul web e i nostri amici possono vederle grazie alle applicazioni dei social network (facebook, ad esempio). Inoltre col cellulare è anche possibile scaricare e ascoltare i brani musicali dei nostri cantanti preferiti. Insomma, ormai oggi siamo in continua comunicazione tra di noi, possiamo scambiare foto e pensieri con i nostri amici in tempo reale. La nostra società, quindi, oggi fa un utilizzo sempre più rilevante del cellulare. Anche i bambini piccoli possiedono un telefono mobile. Chi non ne ha uno è considerato un uomo al di fuori dei tempi. Le ditte telefoniche sono sempre impegnate nella ricerca di migliorie da apportare ai loro prodotti mentre le compagnie telefoniche sono in competizione tra loro per offrire agli utenti tariffe convenienti. Io ritengo che sia molto utile l’utilizzo del cellulare, ma sono del parere che non bisogna abusarne. Infatti preferisco la comunicazione con gli altri “dal vivo”, quella, cioè, fatta di sguardi e gesti. Quest’ultimo tipo di comunicazione sembra sia diventata meno frequente proprio per l’utilizzo delle nuove tecnologie. Si sta diffondendo sempre più una comunicazione virtuale. Ben venga il cellulare, a patto che non muoia il contatto “a quattr’occhi” con il prossimo.
Il fumo e le sigarette elettroniche
Fumare nella società odierna è diventato un comportamento normale. Se ci si guarda in giro, si può notare che sono molte le persone che accendono una sigaretta. Oggi si inizia a fumare da piccoli, già da 11 anni. Questo avviene o perché si vede un proprio compagno fumare e, per non sentirsi esclusi dal gruppo, si prova la sigaretta, o perché si vive in una famiglia in cui entrambi i genitori fumano. Di conseguenza, non si ha piena coscienza dei reali danni che il fumo provoca alla salute soprattutto da parte degli adulti. Fumare in modo eccessivo, infatti, nel corso del tempo provoca gravi danni ai polmoni e c’è un rischio maggiore di incorrere in malattie incurabili. Inoltre alcune persone che vivono quasi ai livelli di povertà preferiscono non comprarsi il pane per acquistare un pacchetto di sigarette. Sono stati presi molti provvedimenti per far diminuire il numero dei fumatori. Ad esempio, è stata vietata la vendita di sigarette ai minorenni oppure è stato proibito di fumare nei luoghi pubblici. È addirittura aumentato il prezzo di un pacchetto di sigarette. Tutto questo, però, non è bastato. Una recente novità avrebbe potuto risolvere facilmente il problema: la sigaretta elettronica. Con essa si può far in modo di smettere di fumare in maniera più semplice. Si tratta di dispositivi un po’ più lunghi e larghi rispetto alle sigarette normali che, però, non puzzano di bruciato, non producono cenere e non si consumano. In realtà la nuvoletta di fumo che si vede mentre le si aspira non è fumo vero e proprio, ma vapore. La novità della sigaretta elettronica è il liquido che contiene, che, essendo molto simile al tabacco, dà l’impressione di ottenerne lo stesso effetto. Appena appresa la scoperta, molti sono stati i fumatori che hanno acquistato questo nuovo dispositivo. I vantaggi della sigaretta elettronica sono, ad esempio, un prezzo minore rispetto ai pacchi di sigarette che si fumano quotidianamente (infatti essa, per essere utilizzata, ha bisogno solo della carica della batteria) e, appunto, la concreta possibilità di uscire dal vizio del fumo. Poco dopo la messa in commercio delle sigarette elettroniche, però, è stato lanciato un allarme: esse fanno male alla salute in maniera maggiore rispetto alle normali sigarette. Infatti, le sigarette elettroniche possiedono, anche se in quantità minore, gli stessi elementi cancerogeni delle normali sigarette. È stata scoperta anche la presenza di una sostanza che si può trovare nell’olio dei freni dell’auto che può creare danni ai reni, disfunzioni nervose e problemi respiratori. Inoltre non sono stati effettuati studi specifici che permettono di stabilire se c’è una concreta possibilità di smettere di fumare in modo definitivo. La sigaretta elettronica sarebbe da utilizzare, quindi, semplicemente come sussidio medico o farmaceutico, cioè come una vera e propria medicina. Praticamente chi usa una sigaretta elettronica dovrebbe farlo sotto guida del medico di fiducia. La sigaretta elettronica crea un altro pericolo: è molto più probabile, infatti, che esse possano essere utilizzate anche da chi non ha mai fumato sigarette vere e proprie. Per ovviare a questo problema, la sua vendita è stata vietata ai minori di 16 anni. Purtroppo questo divieto sembra essere inutile poiché i ragazzini possono comunque acquistare questo dispositivo on line e rischiano di diventare anch’essi dipendenti dal fumo. La sigaretta elettronica ormai invade i mercati e molti sono stati coloro che l’hanno acquistata nonostante i dubbi espressi dai numerosi studi che sono stati effettuati e dal Ministero della Salute. Io ritengo sia molto più utile cercare di togliersi il vizio del fumo, sia da quello delle normali sigarette, sia da quello elettronico. Solo così, infatti, possiamo salvaguardare in modo concreto la nostra salute e quella di chi ci sta accanto.
In fiamme Città della Scienza.
La sera del 4 marzo di quest’anno una terribile luce emana da Bagnoli, in provincia di Napoli. Sono le altissime fiamme che stanno divorando Città della Scienza, il più importante museo di natura scientifica della Campania e dell’Europa. Le fiamme, purtroppo, hanno distrutto quasi l’intera struttura. E questo è stato un duro colpo per la città partenopea. Il museo, infatti, era di grandissime dimensioni poiché ospitava un consistente numero di esposizioni scientifiche alle quali si accedeva tramite una serie di ingressi. C’era, ad esempio, la palestra della scienza in cui ci si occupava di fisica, il planetario, in cui il visitatore poteva godersi lo stupendo spettacolo dello spazio, delle stelle e dei pianeti e un’area che ospitava delle mostre temporanee. Ma, secondo me, l’ala più importante era l’officina dei piccoli, un’area in cui i bambini, divisi per età, potevano apprendere la scienza giocando. Per queste sue peculiarità, il museo era meta di numerosissime visite sia da parte di scolaresche, sia da parte di coloro che desideravano approfondire il proprio interesse scientifico. Insomma si trattava di uno strumento molto utile per la divulgazione dei vari rami della scienza. L’incendio è avvenuto di lunedì, giorno in cui il museo era solito rimanere chiuso al pubblico. Le fiamme hanno divorato quattro padiglioni dei sei dai quali era composta la struttura e hanno distrutto tutto ciò che era contenuto al loro interno. Le immagini del terribile incendio si sono subito diffuse su internet, grazie ai social network. Il lavoro dei Vigili del Fuoco per domare le fiamme è stato immane: ci sono volute ben tredici ore per spegnere definitivamente l’incendio. Si è subito pensato che le fiamme fossero di natura dolosa. Infatti non si è trattato di un corto circuito, poiché la cabina elettrica di Città della Scienza è stato ritrovata intatta. Ma chi aveva interesse a distruggere Città della Scienza? Molto probabilmente si è trattato di una squadra criminale che ha saputo mettere in pratica un piano perfetto. Infatti l’incendio è avvenuto quando il flusso di persone che lavoravano all’interno della struttura era più controllabile. Si trattava solo di aspettare che si allontanassero le persone che partecipavano allo spettacolo teatrale aperto ai bambini e che i custodi finissero il loro usuale giro di controllo. La banda, poi, ha appiccato l’incendio, che da subito ha dato l’impressione di essere un fuoco “anormale”. In pochi minuti, infatti, tutto il perimetro di Città della Scienza è stato invaso dalle fiamme e si è bruciato contemporaneamente; inoltre sembrava che gli idranti dei Vigili del Fuoco alimentassero il fuoco, come se ci fosse stata una sostanza chimica che interagiva con l’ossigeno presente nell’acqua. A confermare la natura dolosa dell’incendio sono stati i successivi ritrovamenti nell’area di taniche e di sostanze chimiche. Purtroppo nell’incendio sono andate distrutte anche le videocamere di sorveglianza e, quindi, il colpevole non è stato ancora assicurato alla giustizia. La polizia, quindi, indaga seguendo tre piste: quella più in auge è che sia stata la mano della camorra ad appiccare l’incendio; oppure il colpevole è stato qualcuno che lavorava all’interno del Museo e che voleva riscuotere i premi in denaro dell’assicurazione; poco probabile appare, invece, la pista eversiva dichiarata dallo stesso sindaco di Napoli il quale ha affermato, poco dopo l’incendio della struttura, che la città era sotto attacco. Oggi la priorità di tutti è quella di ricostruire la Città della Scienza. Subito dopo la terribile disgrazia, infatti, si è messa in moto una macchina organizzativa con lo scopo di raccogliere fondi utili per fare in modo che il Museo possa essere riaperto in tempi brevi ai visitatori. Tutti stanno concorrendo all’utile causa, anche i bambini e i ragazzi che sono stati sensibilizzati al problema grazie alle scuole. La ricostruzione della struttura, infatti, sarebbe un’utile risposta a chi ha appiccato l’incendio. Si spera, quindi, che riapra al più presto quello che la stessa Europa ha riconosciuto come il miglior museo scientifico del continente.
La ricerca per il bene comune
DESTINAZIONE: rivista scolastica
Con il passare del tempo, la scienza compie sempre più passi in avanti. Si pensi allo sviluppo della medicina. Pochi anni fa si moriva per un semplice raffreddore e molte malattie erano incurabili. Oggi, grazie al continuo studio e alla ricerca, si conoscono le cause, ma soprattutto le cure, per la maggior parte dei malanni. Ancora: una volta non esistevano internet, telefoni cellulari, I-pad, ma le informazioni venivano diffuse solo via radio o televisione (per chi ne era provvisto). Ora si sa tutto in tempo reale proprio grazie alla tecnologia. Ci si chiede però: c’è un limite allo sviluppo? A quali conseguenze può portare? Emblematico a questo proposito è il testo tratto da La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia, in cui l’autore pone l’attenzione sulla scoperta della scissione dell’atomo. Essa non ha portato a conseguenze immediate. Infatti, all’inizio, non ne fu compresa l’importanza e ciò fece sì che Hitler e Mussolini non si impossessassero dell’atomica. Conseguenze gravi, invece, ci furono ai danni delle città nipponiche Hiroshima e Nagasaki, distrutte proprio dall’atomica per porre fine al secondo conflitto mondiale. Fino a che punto, dunque, bisogna continuare con la ricerca? Fin quando “le conseguenze della tua (= del ricercatore) azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”, come afferma Hans Jonas in Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Infatti la ricerca ha senso solo se volta alla conservazione della vita umana (l’uso della bomba atomica è stato, invece, causa di distruzione e morte). Certo, alle volte gli effetti di una ricerca possono non essere visibili all’istante e, nel momento in cui si manifestano, bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi. Quindi, come afferma Margherita Hack in un’intervista a Roma Tre News, la scienza deve rivolgersi al conseguimento del bene e portare progresso e vantaggio. Inoltre la ricerca, per poter dare al meglio i suoi frutti, deve essere libera, non condizionata da niente, né dalla religione né tantomeno dalle regole di mercato. Come sostiene Pietro Greco in un articolo pubblicato su L’Unità il 7 luglio 2001 intitolato Sua maestà la tecnologia. Chi ha paura della scienza?, si cerca di conoscere ciò che ha un immediato riscontro economico. Ma la scienza e la tecnologia non devono sottostare alle regole di mercato: non si può, ad esempio, far morire milioni di persone (non inviando medicinali o beni di prima necessità) solo perché non si ha un tornaconto economico! Non si può sempre sottostare al dio denaro! Il valore principale della ricerca è, infatti, lo sviluppo umano. Risultano, dunque, utili i consigli dati da Primo Levi a un ricercatore. In Covare il cobra, l’autore esorta lo studioso a scoprire tutto ciò che può essere utile, neutro o nocivo per l’essere umano poiché questo è il vero fine del suo lavoro. L’esortazione fondamentale è quella di non lasciarsi “sedurre dall’interesse materiale e intellettuale” in quanto egli è libero di scegliere vie che possono migliorare la vita dei suoi contemporanei e, soprattutto, dei posteri. In conclusione, quindi, ben venga la ricerca, a patto che essa sia volta a tutta la collettività e non leda la vita dei nostri simili per portare ad un benessere sempre maggiore.
Lo sviluppo della comunicazione nel tempo
DESTINAZIONE: giornale scolastico
Nel corso del tempo, la trasmissione del sapere ha fatto passi da gigante. Si pensi che nell’antichità la cultura era monopolio di poche persone, solo i più ricchi potevano permettersi un’istruzione e potevano comperare i libri. Non esistevano case editrici e c’erano poche copie di una stessa opera. Nel Medioevo gli amanuensi, con molta pazienza, ricopiavano le opere del passato. È grazie a loro che sono arrivate fino a noi libri degli scrittori latini e greci. L’evoluzione della trasmissione del sapere si è avuta nel Quattrocento, grazie a Gutenberg che inventò la stampa a caratteri mobili. Il primo libro ad essere dato alle stampe, come riporta Sartori in Homo videns, fu la Bibbia e se ne produssero duecento copie. Insomma, molte di più rispetto a quanto poteva fare un unico amanuense. La cultura cominciò ad arrivare a più persone perché le duecento copie potevano essere date di nuovo alle stampe. Un grande passo in avanti, quindi, anche perché le opere stampate erano prodotte in breve tempo. La stampa si diffuse in breve tempo in tutta Europa e vennero prodotte nuove forme di cultura. Tra Settecento e Ottocento, ad esempio, cominciarono ad essere dati alle stampe i primi giornali che uscivano ogni giorno. Nel Novecento si arrivò all’invenzione del telegrafo e del telefono, grazie ai quali si poteva parlare con una persona distante dal proprio paese. L’invenzione più sublime nell’ambiente della comunicazione fu, però, la televisione. Essa entrò nelle case delle persone nel dopoguerra e le prime trasmissioni furono trasmesse a partire dal 1953. la televisione permise la diffusione dell’alfabetizzazione in un paese che, come l’Italia, contava milioni di analfabeti. La televisione permetteva di far vedere le cose dovunque ci si trovasse. La televisione risultò essere più efficace rispetto alla radio: mentre la radio faceva sentire le cose, cioè parlava, la seconda le faceva vedere, commentando le immagini che venivano viste dai telespettatori. L’uomo, quindi, subì un’evoluzione. Infatti, secondo Sartori, mentre nei tempi antichi l’uomo si limitava a vedere le cose, ora può mettere in evidenza l’elemento che lo differenza dagli animali: la voce. Ad essa dà importanza anche Marigliano, che in Nuovo manuale di didattica multimediale, afferma che l’uomo ha sempre voluto catturare le cose con la voce. E ci è riuscito, proprio grazie alla televisione. L’umanità, quindi, a cominciato a parlare con la televisione, uscendo dal silenzio in cui l’invenzione della stampa lo aveva relegato. La stampa oggi si è evoluta ancora di più. Come afferma Simonelli in Tuttoscienze del 23 febbraio 2000, oggi si usa soprattutto l’e-book, il libro elettronico che si può facilmente trovare su internet. Internet e il computer sono i mezzi che stanno rivoluzionando ancora di più la comunicazione. Ora è possibile parlare con persone dall’altra parte del mondo con un semplice clic, si possono conoscere le notizie in tempo reale, si può accedere alla cultura con una semplice ricerca tramite un motore di ricerca. Oggi tutto è alla portata di tutti quelli che possiedono un pc. La maggior parte della popolazione mondiale, quindi, se si pensa che avere un computer oggi è fondamentale anche per svolgere il più semplice lavoro. Internet e il computer permettono di organizzare meglio lo spazio: «addio carta, addio biblioteche con chilometri di scaffali dal pavimento al soffitto», afferma Simonelli. Oggi tutto è organizzato in file e programmi racchiusi nel pc. L’invenzione della stampa, quindi, ha dato vita a una serie di scoperte successive che hanno permesso un rapido sviluppo della cultura usufruibile, ormai, alla maggior parte delle persone del pianeta. Oggi sono rimasti pochi analfabeti e questo è un bene, perché è con la cultura che il mondo può progredire in meglio. Ben vengano, dunque, tutte queste innovazioni.
la scienza a favore dell’uomo
Destinazione: giornalino scolastico
“Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla Terra”: sono queste le parole di Hans Jonas in Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Però non tutti lo capiscono, perché sembra che nessuno voglia preservare l’esistenza di altre forme di vita diversa dalla nostra. Basti pensare al disboscamento oppure all’inquinamento delle acque e dell’aria. La scienza e la tecnologia progrediscono sempre più, ma a quale prezzo? Quali sono i danni o i benefici che tali sviluppi possono apportare all’uomo e all’ambiente? Un altro quesito è: come deve comportarsi uno scienziato? Primo Levi, in Covare il cobra, dà una sua risposta. Infatti egli dice che lo scienziato non deve cadere in tentazione, al contrario deve far di tutto per limitare il dolore e la sofferenza ai collaboratori, ai propri cari, ma anche a tutto il genere umano. Perché lo scienziato sa a quali effetti lo porteranno i propri studi, ha le conoscenze necessarie “per saper valutare se dall’uovo che si sta covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla”. In pratica lo scienziato sa se il proprio lavoro sarà utile, nocivo oppure non porterà a nessun risultato. Gli effetti degli studi, però, non subito appaiono chiari a tutti gli scienziati. Un esempio è riportato da Leonardo Sciascia in La scomparsa di Majorana. Egli parla della fissione atomica del 1934 la quale incuiosì solo due fisici, Ida Noddack e Ettore Majorana. Invece Fermi e i suoi collaboratori non diedero molta importanza alla scoperta. Questa scarsa attenzione alla fissione atomica è stata un bene perché è servita a evitare l’utilizzo della carica nucleare da parte di Hitler e Mussolini che avrebbero potuto creare maggiori danni nel loro sforzo di preservare la razza ariana. Tale arma fu usata qualche anno più tardi, nel 1945, dall’esercito americano che, per porre fine alle seconda guerra mondiale, sganciò due bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Pietro Greco in Sua maestà la tecnologia. Chi ha paura della scienza?, pone l’attenzione su un altro aspetto della ricerca scientifica. Dice, infatti, che essa la maggior parte delle volte è legata ad un profitto economico. Lo dimostrano le multinazionali farmaceutiche sulla distribuzione in Africa dei farmaci anti-aids, la quale non avviene perché i costi e la voglia di ricchezza bloccano quest’atto di umanità che potrebbe servire a salvare numerose vite. Margherita Hach in un’intervista prende parte al dibattito della libertà della scienza e afferma che essa deve svincolarsi non solo dalla sete di denaro, ma anche dalla religione. La scienza, infatti, progredisce lentamente per questi due ostacoli. La Chiesa, ad esempio, per motivi etici, blocca le ricerche sulle cellule staminali ed è contraria all’utilizzo degli anticoncezionali, entrambi metodi che permettono la sconfitta di gravi malattie. Io vivo in un’epoca in cui la tecnologia e la scienza hanno fatto passi da gigante. Però purtroppo dietro di esse ci sono grandi multinazionali assetate di denaro che rivolgono gli studi ai loro interessi e non a quelli dell’intera umanità. Spero che, con il passo che ha preso lo sviluppo scientifico-tecnologico, presto si riuscirà a migliorare ulteriormente il nostro tenore di vita e a preservare anche l’esistenza degli altri organismi viventi, che sono sempre più colpiti dall’inquinamento prodotto dall’uomo e del nostro pianeta. La ricerca tecnico-scientifica può realmente rivelarsi benefica se, libera da ogni vincolo e interesse, riuscisse ad eliminare l’inquinamento e, magari, anche i conflitti bellici.
La ricerca scientifica e tecnologica a favore dell’umanità
DESTINAZIONE: rivista scientifica
Rimango molto colpito quando ascolto le storie di persone che sono riuscite a guarire da malattie difficilmente curabili o quando sento di persone inferme che hanno migliorato il loro tenore di vita grazie alla continua ricerca scientifica e tecnologica. Non si tratta di miracoli, ma di passi in avanti che la ricerca fa ogni giorno per migliorare la qualità della nostra esistenza. Sono, infatti, del parere che la ricerca (sia scientifica che tecnologica) debba avere un unico scopo: la conservazione della vita umana e il suo miglioramento. Lo afferma anche Margherita Hack in un’intervista a Roma Tre News: “Le applicazioni della scienza devono portare progresso e non regresso, vantaggio e non svantaggio”. Ci sono, purtroppo, molti esempi in cui la tecnologia e la scienza hanno provocato morte e distruzione. L’uomo ha rivolto il suo sapere contro un suo simile e questo per me è inaccettabile. Il caso più significativo è stato l’uso della bomba atomica ai danni delle città nipponiche Hiroshima e Nagasaki. Come ricorda Leonardo Sciascia in La scomparsa di Majorana, all’inizio la scoperta della scissione dell’atomo (da cui, appunto, è derivata la bomba atomica) non fu capita. E questo impedì a Hitler e Mussolini di impossessarsi di questo terribile strumento di distruzione di massa. Forse Hitler sarebbe veramente riuscito a realizzare il suo progetto di realizzazione della razza pura se avesse utilizzato la bomba atomica per sterminare gli Ebrei. Però non scamparono dalla quasi distruzione le due città nipponiche che, ancora oggi, pagano le conseguenze di quell’uso scellerato dell’atomica. E tutto per porre fine ad un altrettanto grave disastro: la seconda guerra mondiale. Come dovrebbe agire un buon ricercatore? Come sostiene Hans Jonas in Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, egli dovrebbe fare in modo che le sue azioni “siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”. La ricerca, dunque, deve essere finalizzata alla conservazione della vita umana e non alla sua distruzione. E, a questo proposito, risultano utili i consigli dati da Primo Levi in Covare il cobra: per l’autore, il buon ricercatore deve lavorare affinché possa scoprire ciò che può essere utile, neutro o nocivo per l’essere umano. Se si scopre qualcosa di nocivo, come sostiene sempre Margherita Hack, bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi. Uso il condizionale perché purtroppo molto spesso la ricerca è legata alle regole di mercato. Si pone l’attenzione, cioè, su ciò che può avere un immediato riscontro economico senza capire le reali esigenze di chi dovrebbe usufruire realmente dei benefici della ricerca. Può capitare, ad esempio, che materiali nocivi vengano comunque prodotti proprio in nome del profitto. Ma, come sostiene Pietro Greco in un articolo pubblicato su L’Unità il 7 luglio 2001 intitolato Sua maestà la tecnologia. Chi ha paura della scienza?, se si vuole costruire un futuro migliore, è necessario che la ricerca si liberi dalle regole di mercato e il buon ricercatore, come afferma Primo Levi, non deve lasciarsi “sedurre dall’interesse materiale”. La ricerca, dunque, se vuole realmente portare a buoni risultati, deve essere libera da qualsiasi condizionamento esterno: solo così può “portare progresso e non regresso, vantaggio e non svantaggio” e ricollegarsi al fondamentale valore che è quello dello sviluppo umano.
Dalla carta stampata all’e-book
Oggi, a differenza del passato, il sapere è alla portata di tutti. Questo perché, come ricorda Simonelli in Tuttoscienze del 23 febbraio 2000, si sta diffondendo l’uso dell’e-book. Certo, Gutenberg, quando inventò la stampa nel lontano Quattrocento, non pensava certo che l’uomo potesse inventare una “diavoleria” chiamata computer e che, con questo strumento, fosse possibile scaricare i libri in formato digitale. «Addio carta, addio biblioteche con chilometri di scaffali dal pavimento al soffitto», addio alla polvere: oggi tutte le opere possono essere racchiuse in un unico file che occupa poco spazio sul nostro personal computer. Ma come si è arrivati a una simile innovazione? La comunicazione, nel tempo, è passata per numerosi gradi. Non si può dimenticare il lavoro di migliaia di monaci amanuensi che ricopiavano le opere degli autori antichi, permettendo che esse cadessero nell’oblio del tempo. L’invenzione fondamentale, però, fu la stampa. Sartori in Homo videns, ricorda che il promotore di questa grande scoperta fu il tedesco Gutenberg. Egli, con la sua stampa a caratteri mobili, permise che la conoscenza arrivasse a più persone in tempi più brevi rispetto al passato. Il primo libro stampato fu la Sacra Bibbia e di essa se ne produssero duecento copie. La novità fu che queste duecento copie potevano essere ristampate e, quindi, raggiungere un maggior numero di persone. Da Gutenberg lo sviluppo della comunicazione continuò. Dopo essere passati dalla pubblicazione giornaliera di quotidiani tra Settecento e Ottocento, si arrivò al telegrafo e al telefono per giungere, infine, alla radio e alla televisione. Ed è proprio la televisione che ha costituito una svolta del ventesimo secolo. Come ricorda Marigliano, che in Nuovo manuale di didattica multimediale, l’uomo si differenzia dagli animali perché possiede la voce. L’uomo ha voluto da sempre catturare le cose con la voce e ci è riuscito proprio grazie alla televisione che commentava con la voce le immagini che passavano sotto lo sguardo dei telespettatori. La televisione, dunque, ha fatto sì che l’uomo parlasse, togliendolo dal silenzio in cui la stampa lo aveva abissato. La televisione fu un mezzo migliore rispetto alla radio. Quest’ultima, infatti, si limitava a raccontare le cose senza mostrarle. La televisione, inoltre, permise una diffusione maggiore del sapere. I programmi permisero la rapida divulgazione della lingua italiana (la maggior parte delle persone, infatti, rimaneva legata al dialetto parlato nel proprio paese) e permetteva di vedere le cose dovunque ci si trovasse. La televisione può essere considerata, a mio avviso, il punto di partenza per l’invenzione del computer. Con internet la comunicazione si è sviluppata sempre più. Si possono leggere le notizie in tempo reale, si possono svolgere ricerche in ogni campo della conoscenza, si può parlare a distanza con persone che si trovano a chilometri di distanza da noi. Il computer permette di organizzare la nostra conoscenza e di risparmiare spazio in quanto i libri possono essere scaricati comodamente in semplici file sul computer. Insomma dalla carta stampata all’e-book sono stati fatti numerosi passi in avanti. Sicuramente il prossimo futuro ci riserverà nuove invenzioni che rivoluzioneranno ancora in meglio la diffusione del sapere e i modi di comunicare fra noi.
Una seconda crisi del ’29?
DESTINAZIONE: Il Manifesto
Negli ultimi tempi il tema all’ordine di ogni giorno è il problema della disoccupazione; questo è dovuto alla crescita mondiale della crisi economica. In Europa, rispetto al resto del mondo, la crisi e la disoccupazione si sono sentite maggiormente. Un articolo di giornale che conferma la crescita della crisi è quello di Mario Sensini, un giornalista del quotidiano Il corriere della sera. Nell’articolo…. , consultando i dati dell’Istat, afferma che in Italia e nel resto d’Europa il tasso di disoccupazione è aumentato. Infatti tra il 2008 e il 2011 ci sono stati 1 milione 54 mila unità che hanno perso il lavoro. Secondo me questo è dovuto soprattutto alle varie banche che vi sono e, in particolare, alla Banca Centrale Europea: è quest’ultima che decide le sorti di tutti i lavoratori dell’intera Europa. A pagare il prezzo maggiore della crisi sono i giovani che non riescono più a trovare facilmente un posto di lavoro. Infatti, secondo il 45 rapporto Censis, in Italia vi è un alto tasso di anzianità aziendale ben superiore a quello dei principali Paesi europei. Di conseguenza, il 23,4% dei giovani risulta disponibile a trasferirsi in altre regioni o perfino all’estero per trovare la propria indipendenza economica. Ma coloro che si sono appena laureati trovano il lavoro? Purtroppo i neolaureati non riescono sempre a trovare l’occupazione per la quale hanno studiato per molti anni e devono ripiegare su altri lavori. L’Istat spiega che dei laureati che hanno conseguito la laurea magistrale circa il 69% riesce a trovare il lavoro desiderato; mentre coloro che hanno conseguito la laurea triennale trovano con maggiore difficoltà l’occupazione. Come riporta il rapporto Censis, in Italia, come in Europa del resto, i giovani tra i 15 e i 24 anni non sono interessati né a lavorare né a studiare e si dichiarano restii a mettere su un’attività in proprio dato le spese e i rischi a cui vanno incontro. Di conseguenza fra i giovani si è diffusa una sfiducia verso il futuro. Ma non tutti si sono dati per vinti. Un esempio è stato Steve Jobs, fondatore della Apple. Egli, infatti, come riporta Giovanna Fevro in Steve Jobs, un folle geniale, mollò dopo pochi giorni gli studi al college pagati dai genitori adottivi per seguire le sue passioni, riuscendo alcuni anni dopo a fondare la Apple, una società di tecnologia che tutt’oggi è molto quotata in borsa. Prima di morire, Jobs disse agli studenti dell’Università di Stanford che il loro tempo è limitato e che non devono perderlo seguendo i pensieri delle persone che si frequentano. Piuttosto bisogna impiegare il tempo seguendo con coraggio il proprio cuore e il proprio istinto. Sono pienamente d’accordo con il pensiero di Steve Jobs. Inoltre penso che con il coraggio ognuno di noi potrà superare questa crisi che ci sta portando alla più totale disperazione. Se non vogliamo far accadere una nuova crisi come quella del 1929, bisogna che tutti i politici prendano seri provvedimenti al fine di eliminare gli ostacoli che permettono all’uomo di realizzarsi. Bisogna, quindi, aumentare i posti di lavoro per assicurare un futuro dignitoso alle nuove generazioni e per fare in modo che questa crisi finisca una volta per tutte.
Ci consideriamo felici?
DESTINAZIONE: rivista scolastica
La ricerca della felicità, oltre ad essere un bisogno innato dell’uomo, è principalmente un diritto di tutti. Tutte le Costituzioni ne parlano, come la nostra Costituzione all’articolo 3, i film e la letteratura la raccontano. Ma in pratica che ruolo ricopre la felicità nella nostra vita? In tempi recenti anche gli economisti si sono interessati al tema del benessere e della felicità. Infatti lo studio di alcune indagini ha evidenziato che, sebbene vi siano state molte oscillazioni, “la soddisfazione media riportata dagli Europei nel 1992 ad oggi è rimasta invariata. In realtà, però, oggi siamo effettivamente più felici di venti anni fa, ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate e desideriamo sempre di più” (Mauro Maggioni e Michele Pellizzari, Alti e bassi dell’economia della felicità). Il primo problema che sorge, però, è quello della veridicità dei dati. Infatti ognuno di noi dichiara la maggiore o minore felicità in relazione al suo personale parametro che, di solito, coincide con il raggiungimento o meno dei propri obiettivi. Quindi, se cambiano le aspettative, cambia anche il livello di raggiungimento della felicità. Questa concezione, però, riduce la felicità ad un’accezione economica, senza esaminarne le sfumature più essenziali. Per questo Zygmunt Bauman, nella sua opera L’arte della vita, si interroga se soldi e potere politico danno la felicità. Bauman osserva che la felicità individuale è strettamente connessa al rapporto con gli altri e alla stima che essi nutrono nei propri confronti. Allora, come Maggioroni e Pellizzari, possiamo chiederci: ma cosa ci rende felici? L’errore principale, secondo Zamagni, è credere che l’utilità e la felicità siano strettamente correlate. Ridurre, quindi, la categoria della felicità a quella dell’utilità è “all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale”. In conclusione possiamo desumere che l’uomo è condannato all’infelicità, perché l’economia da sola non può essere alla base della felicità dell’uomo, un uomo che, come dice Zamagni, è nato per mettere in pratica il suo diritto di reciprocità. Inoltre anche la Dichiarazione d’Indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America ci offre uno spunto per riflettere sulla questione della felicità. In particolare questa dichiara che “gli uomini sono creati uguali e dotati di diritti inalienabili e fra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità”. Quindi non è il potere economico a rendere l’uomo felice, ma il fatto di essere possessori di diritti inalienabili. Possiamo affermare, in conclusione,che la felicità sembra rimanere costantemente ad una certa distanza da noi, come un orizzonte che si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci ad esso. Forse il semplice fatto che l’uomo sia portato continuamente ad avvicinarsi alla felicità lo rende un individuo più infelice, in quanto ogni essere si pone come obiettivo principale il raggiungimento della felicità. Questa ricerca continua da parte dell’uomo di volere sempre di più non fa altro che alimentare un senso di insoddisfazione personale.
La crisi contro i giovani
DESTINAZIONE: giornale scolastico
Purtroppo oggi viviamo in un momento di crisi che ha investito tutta l’Europa. Tutto ciò influisce molto su noi giovani, che ci sentiamo sempre più spaesati e privi di una possibilità concreta di costruirci un futuro perlomeno dignitoso. Come dice Marco Sensini in un articolo del Corriere della Sera intitolato Crolla l’occupazione tra i 15 e i 35 anni, la crisi ha lasciato per strada, negli ultimi tre anni, più di un milione di giovani lavoratori di età compresa tra i 15 e i 35 anni. E sono, purtroppo, soprattutto i giovani a pagare loro malgrado in modo eccessivo il costo della turbolenza economica e finanziaria che si sta vivendo. Come se non bastasse, in Italia si preferisce dare più chance di lavoro alle persone con maggiore esperienza, quindi ai più anziani, sfavorendo ulteriormente l’occupazione giovanile e la possibilità di fare esperienze formative. Questo è riportato dal rapporto Censis: «I giovani di oggi sono i lavoratori su cui grava di più il costo della mobilità in uscita. Nel 2010, su cento licenziamenti, trentotto hanno riguardato i giovani con meno di 35 anni e trenta soggetti con 35-44 anni. Solo in trentadue casi si è trattato di persone con 45 anni o più. L’Italia, quindi, presenta un tasso di anzianità ben superiore a quello dei principali paesi europei». Temendo questa situazione, i ragazzi che si diplomano devono scegliere con molta attenzione l’indirizzo universitario che intendono frequentare e devono anche essere consapevoli del fatto che, una volta laureati, dovranno fare i conti con una probabile disoccupazione temporanea. Bisogna, quindi, in alcuni casi inventarsi qualcosa che permetta ai giovani di emergere. Può essere di esempio, a questo proposito, la storia molto controversa di Steve Jobs raccontataci da Giovanna Favro, giornalista della Stampa. Jobs mollò gli studi pagati dai genitori adottivi al college di Portland, in Oregon, dopo pochissimi mesi di frequenza. Se ne partì per un viaggio in India. Al suo rientro, Jobs cominciò a lavorare in proprio, riuscendo bellamente a fondare la società, oggi nota in tutto il mondo: la Apple. Così è potuto diventare uno degli uomini più ricchi del pianeta. Soprattutto, però, si è sentito una persona davvero realizzata perché, con i suoi sforzi, era stato in grado di creare un colosso mondiale. Di lui ricordo con piacere il suo ultimo discorso alla presentazione di uno dei suoi innovativi prodotti tecnologici. Egli diceva: «Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo voi sapete già cosa volete davvero diventare. Tutto il resto è secondario». Con questa affermazione credo che Jobs avesse voluto far capire ai giovani che devono lottare per quello che più desiderano e che non devono perdersi in schemi che la società impone loro. Insomma, bisogna essere pronti a grandi sacrifici pur di sentirsi realizzati e di raggiungere il proprio sogno. Ed è questo messaggio che io voglio rivolgere ai giovani: non fatevi rubare i vostri sogni, fate di tutto per realizzarli e non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà che il mondo di oggi vi impone.
I giovani e il lavoro
Destinazione: rivista economica
La crisi è un fenomeno che ultimamente sta sempre più aumentando e colpisce soprattutto i giovani. Questa crisi purtroppo coinvolge tutti i campi. Infatti, a causa di questa regressione economica, stanno aumentando i disoccupati e, di conseguenza, anche la povertà. I dati di questa crisi sono sconcertanti. Come riportato da Mario Sensini in un articolo del Corriere della Sera Crolla l’occupazione tra i 15 e i 35 anni, negli ultimi anni milioni di giovani hanno perso il proprio posto di lavoro. E purtroppo sono soprattutto loro a pagare il prezzo maggiore di questa crisi. Questo ha portato nei giovani ad una sfiducia verso il futuro, poiché essi non riescono a progettare la propria vita a lungo termine. La mancanza di lavoro fa sì che una coppia giovane tenda a non crearsi una famiglia perché non si è in grado di assicurare a se stessi e ai figli una vita quanto meno agiata. Di conseguenza, come riportato dal rapporto Censis, parte dei giovani non è interessato né a studiare né a lavorare. Infatti molto spesso, quando si finisce un corso di studi universitario, il neolaureato non riesce a trovare un lavoro attinente al suo titolo di laurea e, quindi, tende a svolgere qualsiasi tipo di lavoro che gli permette di provvedere al suo sostentamento. Questo problema, secondo i dati dell’ISTAT, riguarda soprattutto i laureati triennali. Molti giovani sono sfiduciati anche a causa dei mass media che riportano ogni giorno notizie negative sull’occupazione. Ad esempio si sentono notizie di imprenditori che si suicidano perché non riescono a pagare i debiti o di operai che perdono il lavoro in età avanzata e non riescono più a provvedere alla loro famiglia. Ma non bisogna perdere le speranze. Infatti c’è stato chi, nonostante le difficoltà, è riuscito a compiere grandi cose: Steve Jobs. Il giornalista Favro, in Steve Jobs, un folle geniale, racconta parte della vita del fondatore della Apple. Jobs era convinto che la vita fosse una storia incredibile. Lui, infatti, non si è mai confuso con la massa, vestiva a modo suo e non seguiva la moda e presentava i suoi prodotti direttamente dal palco teatrale. Le sue idee si distinguevano totalmente da quelle della maggior parte degli altri. Infatti Steve Jobs affermava che bisogna sempre pensare con la propria testa, senza lasciarsi contagiare dalle idee altrui. Questo suo modo di intendere la vita lo ha portato a diventare quello che desiderava essere. L’articolo 1 della Costituzione Italiana asserisce che l’Italia è un Paese fondato sul lavoro. Purtroppo oggi sembra che questo principio fondamentale non venga applicato. Infatti sta diventando sempre più difficile trovare un lavoro anche a causa di un governo che sembra pensare sempre ai propri interessi ai danni del popolo. Di conseguenza bisognerebbe prendere seri provvedimenti per risolvere questa crisi e per creare posti di lavoro per i giovani. Sarebbe necessario, ad esempio, abbassare le tasse per chi è più povero e ha difficoltà ad arrivare a fine mese e incentivare la ricerca e lo sviluppo per fare in modo che le nuove generazioni possano trovare più facilmente una degna occupazione. Ma la cosa più importante è che i governanti pongano in primo piano l’interesse per il bene il bene comune e, quindi, per il popolo e la nazione.
Siate coraggiosi, siate folli: il lavoro crea il vostro essere
DESTINAZIONE: giornalino scolastico
La crisi economico-finanziaria sta sconvolgendo ormai tutto il mondo da alcuni anni. Oggi, infatti, gli individui sembrano essere privi di quelle certezze e di quelle speranze future che animavano i loro pensieri. Questa crisi si sta rivelando come un tragico avvenimento in grado di coinvolgere ogni ambito e di mettere in seria difficoltà i sistemi politici ed economici mondiali. Se il rapporto Censis fotografa realmente lo stato del paese, le prospettive per i giovani sono scoraggianti in quanto è soprattutto su di loro che si fa sentire il morso della crisi economica. In Italia, infatti, solo un giovane su cinque tra i 15 e i 24 anni lavora, contro una media europea del 34,1%, ma la forbice si allarga se si considera la fascia d’età 25-29, dove gli occupati sono il 58,8%, contro la media europea del 72,2%. Il senso di sgomento tra chi studia e cerca sui libri il proprio domani è notevole e condiviso dalle famiglie, che si fanno carico di grossi sacrifici per garantire prospettive accettabili ai propri figli. L’analisi dell’ISTAT sul rapporto tra Università e lavoro evidenzia, però, che in soltanto il 58,1% dei giovani laureati, che hanno trovato impiego, c’è la piena rispondenza tra titolo di studio e lavoro svolto. Quindi almeno il 40% dei lavoratori è insoddisfatto o si è dovuto adattare al proprio lavoro. Il nostro, inoltre, non è un paese per giovani e presenta un tasso di anzianità ben superiore a quello delle principali nazioni europee. Per chi non è esperto di temi economici non è semplice farsi una ragione di quello che sta accadendo e accettare che le generazioni che sono chiamate ad essere protagoniste nel mondo di domani non possono essere più tali. A riguardo è importante presentare la figura di Steve Jobs, il quale è stato “santificato” e, morendo, è diventato un’icona molto più in fretta di qualsiasi altro santo. Vi sono, infatti, alcune frasi nel celebre discorso tenuto nel 2005 agli studenti di Stanford, che ancora oggi fanno riflettere e possono rappresentare uno stimolo forte per le generazioni che si affacciano alla vita al termine degli studi: “Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione […] Il vostro tempo è limitato, non buttatelo via vivendo la vita di qualcun altro”. Siate affamati, siate folli: ecco il fulcro della sua geniale follia; ecco un buon punto di partenza per tutti i giovani. Un punto che dovrebbe far riflettere, oltre ai giovani, intere generazioni, perché ogni essere ha il dovere prioritario di scegliere della propria vita, e scegliere della propria vita oggi coincide soprattutto con l’ardua opzione lavorativa. Per questo è importante che i giovani debbano farsi valere e, di conseguenza, farsi strada nel mondo del lavoro. Il lavoro crea e fa l’individuo. Quindi dico ai giovani: non sprecate il vostro tempo.
2012 – Liceo scientifico sperimentale PNI, sessione suppletiva
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico sperimentale PNI. Esame stato 2011/2012. Sessione suppletiva.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico sperimentale PNI, sessione suppletiva. Prova di matematica 2012
2012 – Liceo scientifco di ordinamento, sessione suppletiva
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico di ordinamento. Esame stato 2011/2012. Sessione suppletiva.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico di ordinamento, sessione suppletiva. Prova di matematica 2012
2012 – Liceo scientifico sperimentale PNI, sessione straordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico sperimentale PNI. Esame stato 2011/2012. Sessione straordinaria.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico sperimentale PNI, sessione straordinaria. Prova di matematica 2012
2012 – Liceo scientifico di ordinamento, sessione straordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico di ordinamento. Esame stato 2011/2012. Sessione straordinaria.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico di ordinamento, sessione straordinaria. Prova di matematica 2012
2013 – Liceo scientifico di ordinamento, sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico di ordinamento. Esame stato 2012/2013. Sessione ordinaria.

Liceo scientifico di ordinamento 2013
2013 – Liceo scientifico PNI, sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico PNI. Esame stato 2012/2013. Sessione ordinaria.

Liceo scientifico sperimentale PNI 2013
2013 – Liceo scientifico scuole italiane all’estero Europa, sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico delle scuole italiane all’estero in Europa. Esame stato 2012/2013. Sessione ordinaria.

Liceo scientifico scuole italiane all’estero EUROPA
2013 – Liceo della comunicazione, sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo della comunicazione. Esame stato 2012/2013. Sessione ordinaria.

Prova di matematica liceo della comunicazione 2013
2013 – Liceo scientifico scuole italiane all’estero Americhe, sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico delle scuole italiane all’estero in Americhe. Esame stato 2012/2013. Sessione ordinaria.

Liceo scientifico scuole italiane all’estero AMERICA 2013TITOLO
2013 – Liceo scientifico di ordinamento, sessione suppletiva
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico di ordinamento. Esame stato 2012/2013. Sessione suppletiva.

Prova di matematica liceo scientifico di ordinamento sessione suppletiva 2013
2013 – Liceo scientifico PNI, sessione suppletiva
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico PNI. Esame stato 2012/2013. Sessione suppletiva.

Prova di matematica liceo scientifico PNI sessione suppletiva 2013
2013 – Istituto tecnico industriale, elettronica e telecomunicazione
Svolgimento della prova di elettronica e telecomunicazioni. Esame stato 2012/2013.
Maria Rosa Malizia, Istituto tecnico industriale, 2013 prova di elettronica e telecomunicazioni>>>
2012 – Liceo scientifico estero (scuole italiane all’estero Europa), sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico estero (scuole italiane all’estero Europa). Esame stato 2011/2012. Sessione ordinaria.
2012 – Liceo scientifico estero (scuole italiane all’estero Americhe), sessione ordinaria
Svolgimento della prova di matematica per il liceo scientifico estero (scuole italiane all’estero Americhe). Esame stato 2011/2012. Sessione ordinaria.
2011 – Liceo scientifico estero (scuole italiane all’estero Brasile), sessione ordinaria
La prova di matematica per il liceo scientifico estero (scuole italiane all’estero Brasile). Esame 2011, sessione ordinaria.
2011 – Liceo scientifico PNI, sessione suppletiva
La prova di matematica per il liceo sperimentale PNI. Esame 2011, sessione suppletiva.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico sperimentele PNI, sessione suppletiva 2011
2011 – Liceo scientifico di ordinamento, sessione suppletiva
La prova di matematica per il liceo scientifico di ordinamento. Esame stato 2010/2011. Sessione suppletiva.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico di ordinamento, sessione suppletiva. Prova di matematica 2011
2010 – Liceo scientifico PNI, sessione straordinaria
La prova di matematica per il liceo scientifico PNI, esame stato 2009/2010. Sessione straordinaria.
Nicola De Rosa, Liceo scientifico PNI, sessione straordinaria. Prova di matematica 2010
Gabriele D’Annunzio, La sera fiesolana
La poesia fu scritta nel 1899 e raccolta nel terzo libro delle Laudi nel 1904. E’ un tipico esempio di poesia decadente, senza struttura logica e senza un fulcro narrativo, percorsa da notazioni sparse, unite dalla suggestione musicale delle parole. Il poeta, parlando ad una figura femminile non identificata (alcuni pensano che sia la sera personificata), spera che nel celebrare questa sera, che ammira dal colle di Fiesole, le sue parole siano leggere come il fruscio delle foglie di gelso nelle mani di chi le coglie, nel momento in cui spunta la luna che distende davanti a sé un velo in cui il poeta si abbandona al sogno; la campagna è immersa nella frescura notturna e attende una sperata pace dalla luna, che le concederà il riposo desiderato. Le strofe sono inframmezzate da tre lodi della sera alla maniera francescana. Prima viene lodata la sera per la sua chiarezza e che splende sulle pozze d’acqua caduta dal cielo. D’Annunzio si augura che le sue parole siano dolci come la pioggia primaverile che crepitava sui gelsi, olmi, viti, pini, grano, sul fieno e sui colli. Poi vi è la lode della sera personificata, con i profumi provenienti dai campi simili a “vesto odorose” e l’orizzonte come una cintura che la avvolge. Rivolgendosi di nuovo alla donna misteriosa, le racconta quali felicità porterà il fiume Arno, le cui fonti conoscono il mistero dei monti eterni, e perché le colline somiglino a labbra chiuse come da un divieto e diano consolazione con la loro bellezza silenziosa. La poesia termina con un’ultima lode della sera che sta per cedere alla notte. Le tre strofe sono autonome e potrebbero essere considerate tre liriche diverse. Il tema centrale della prima strofa è il sorgere della luna. La parola con cui inizia il primo verso, “fresche”, dà il via alla melodia che percorrerà tutta la strofa. Il discorso procede su una sinestesia: il poeta si augura che le sue parole siano “fresche” come le foglie di gelso sulle mani di chi le raccoglie. Il senso dell’udito si fonde col tatto, e le parole hanno la freschezza della sera in cui vengono pronunciate. Poi le immagini procedono per analogia: il suono delle parole del poeta richiama il suono del fruscio delle foglie di gelso, dunque vi è l’associazione di due sensazioni foniche tramite la freschezza. Diventano freschi anche i rumori lievi che si percepiscono nel silenzio della sera. Riscontriamo una connessione tra poesia e realtà, una corrispondenza tra parola e natura, poiché D’Annunzio segue la poetica delle “corrispondenze” di Baudelaire. In questa atmosfera indistinta, le parole e il fruscio delle foglie sono dotate di una certa magia che rimanda a questa corrispondenza. Le allitterazioni utilizzate accentuano questa caratteristica di formula magica, per esempio nelle parole “fruscio”, “fan”, “foglie”, che richiamano a distanza la parola iniziale “fresche”. I primi tre versi regalano incanti uditivi, i tre seguenti si concentrano su immagini visive, descrivendo contrasti tra luci e colori. Questo affresco è caratterizzato da linee stilizzate e tonalità di colore sobrie, come il nero della scala e l’argento del tronco, poiché in armonia con la freschezza iniziale. Prosegue dunque la sinestesia, che coinvolge insieme all’udito e al tatto anche la vista. Inoltre, per quando riguarda il piano visivo, l’osservazione dello spazio si estende progressivamente, partendo dal particolare della mano che coglie le foglie, poi passa alla scala, al tronco e infine alla campagna. Questo estendersi dello spazio visivo prepara la visione del sorgere della luna, il tema centrale della strofa; i versi iniziali sono solo una premessa alla situazione successiva, come una sorta di rituale che preannuncia il carattere mitico-religioso dello spuntare della luna, ritenuto un’apparizione divina. La luna è una divinità delle religioni primitive e antiche, e il poeta molto spesso la utilizza nelle sue opere per questa caratteristica mitica. Solo le parole del poeta possono invocare la luna, poiché hanno la stessa funzione delle formula magico-liturgica che precede la teofania. Nei versi non viene descritto il sorgere della luna, ma vi è un’evocazione con suggestioni sottilissime dell’attimo prima dello spuntare. E’ uno di quei momenti ambigui, indefiniti, cari al poeta. La luna comincia a stendere un velo luminoso davanti a sé, mentre la campagna inizia a percepire il gelo della notte. Anche qui si trovano delle connessioni analogiche sorrette dalla sinestesia: il velo argenteo della luna, una sensazione visiva, è associato al gelo della notte, sensazione tattile. Al gelo si aggiunge una caratteristica anomala, quella della liquidità, infatti la campagna “beve” la pace e la luce argentea è come liquido che rinfresca dopo l’afa del giorno. Ciò rimanda al gesto miracoloso della dea luna: la sua apparizione porta ristoro e allontana l’aridità. Riscontriamo allora un altro collegamento, quello tra il “gelo” promanato dalla luna e la freschezza delle parole di D’Annunzio, dunque tra l’apparizione divina e la parola poetica. L’immagine dell’acqua la ritroviamo nella prima lode alla sera (“pe’ i tuoi grandi umidi occhi ove si tace / l’acqua del cielo”), personificata, come la luna, in una figura divina. Riscontriamo inoltre legami tematici con la prima strofa, per esempio il “viso di perla” della sera ricorda la luce lunare, e come la luna rinfresca con la sua luce, così la sera porta frescura dopo la pioggia. In questo caso la figura femminile rimanda alla religione francescana e non a quella primitiva della luna, infatti l’impostazione del verso ricorda il Cantico delle creature. La seconda strofa ha una struttura abbastanza elaborata, poiché prevale la musicalità, il suono della parola, grazie a un gioco di accenti e rime e al timbro dei termini. I toni sono limpidi, e gli accenti cadono molto spesso sulla vocale i (“bruiva”, “diti”, “viti”). Ritorna la metafora dell’acqua, con la pioggia tiepida che saluta la primavera. Il poeta ripropone immagini ambigue, realtà colte in un attimo, di transizione lieve. La musicalità è prodotta da simmetrie ritmico-sintattiche e piccole variazioni. A concludere la strofa è un’immagine religiosa, francescana, quella degli olivi, chiamati “fratelli”, collegandosi dunque alla prima strofa e alla lode della “ripresa”. L’analogia viene utilizzata anche tra il verde argenteo delle foglie di olivo e il pallore dei clivi: gli olivi sono simbolo di santità, e il pallore metaforicamente si collega all’idea di santità, rimandando ad immagini di mortificazione mistica. La seconda lode inserita nella seconda “ripresa” introduce un nuovo tema, quello del profumo della sera, argomento più sensuale e voluttuoso. Infatti la terza strofa riguarda il motivo amoroso. La poesia comincia con una sacralità arcaica, passa attraverso una melodia languida e misticheggiante e termina con una sensualità panica e naturalistica, con note mistico-religiose. Infatti le fonti “eterne” dei fiumi raccontano il “mistero sacro” dei monti, ombreggiati dagli “antichi rami”: è come se questi boschi fossero permeati di culti antichi e abitati da divinità. Ma il loro messaggio arcano è riferito a “reami d’amor”, quindi a una forza amorosa che sta nella natura e in cui l’essere umano si immedesima. Anche l’immagine delle colline che somigliano a labbra trasmette una grande sensualità, insieme ai loro segreti di esperienze amorose eccelse e bellezza indicibile e oltreumana. La metrica è abbastanza complessa: la poesia è composta da tre lunghe strofe di quattordici versi (endecasillabi, novenari, settenari, quinari che non hanno uno schema fisso). Le strofe sono inframmezzate da “riprese” di tre versi, un endecasillabo, un ipermetro composto da un endecasillabo e un quinario o due settenari, un quinario.
Gabriele D’annunzio, Consolazione
La poesia fu composta l’11 gennaio 1891, e inserita nel Poema paradisiaco, nella terza sezione intitolata Hortulus animae. La lirica esprime una particolare fase della sensibilità dannunziana, il momento della stanchezza, dopo il periodo sensuale ed estetizzante del primo periodo letterario del poeta, culminato nel Piacere. D’Annunzio desidera tornare dalla madre, per rivivere la spensieratezza perduta dell’infanzia. Il titolo Consolazione allude all’intenzione del poeta di confortare la madre, che sola, si preoccupa della vita che conduce il figlio. La lirica inizia con l’esortazione alla donna di non versare più lacrime e di passeggiare nel giardino abbandonato, per ricordare insieme le gioie del passato. Nonostante sia settembre, i fiori coprono la terra e l’aria è tiepida. La madre esita ad accettare l’invito, ma il figlio insiste dicendo che dovrebbe prendere un po’ di sole e che non deve credere a tutte le cose negative che le hanno riferito su di lui. Ella ritornerà a sognare accanto a lui, e il poeta si purificherà, come se prendesse dalle sue mani l’ostia dell’ Eucarestia che libera dalle colpe. Nell’aria si diffonde un profumo che sembra un fantasma d’un april defunto, e in effetti l’aria di settembre ricorda l’odore e il pallore di una primavera ritornata. Quando giungerà la sera il poeta prenderà il cembalo, e mentre la stanza sarà pervasa da profumi di fiori delicati, suonerà una vecchia aria di danza. Poi, comporrà un canto per la madre che la raccolga in sé come in una culla. Allora tutto tornerà come prima, il poeta avrà di nuovo l’anima pura come quando era bambino, e ritornerà leggera dalla madre, nello stesso modo naturale con cui l’acqua viene al cavo della mano. La lirica esprime la volontà del poeta di cambiare vita, di lasciar perdere le esperienze raffinate della vita mondana e di ritornare alla vita semplice della fanciullezza. La novità dei temi è evidente già nella struttura della poesia, che consiste in un colloquio modesto e affettuoso con la madre. Prevale il desiderio di trovare rifugio nel calore familiare, dopo esser vissuto in un mondo corrotto e falso; altri temi sono il bisogno di purificarsi, il recupero della condizione innocente della fanciullezza con i suoi sentimenti delicati e le piccole cose quotidiane, di una vita semplice e autentica. La rinascita del poeta è simboleggiata dal rifiorire della primavera, ma questa primavera è indefinibile, illusoria. Infatti è settembre, l’aria è tiepida e dolce come in primavera, ma è una “primavera dissepolta”, un “april defunto”, perché la natura si sta preparando per l’inverno. Dunque, la poesia non è immersa in un’atmosfera di rinascita, rigenerazione e freschezza gioiosa, ma la situazione è languida, spossata. Il giardino è “abbandonato”, il volto della madre è pallido come un giglio, e la luce di settembre è pallida; il cembalo è privo di qualche corda, le tende sono “scolorate”, la camera è pervasa da odore di “viole un po’ passate”, l’aria di danza è antica e malinconica e il suo suono è “fioco”. La scena rappresentata esprime deperimento, sfiorire, andare verso il nulla, passato lontano e non più recuperabile. Il reale tema del componimento non è la rinascita spirituale con il ritrovamento dell’innocenza, ma l’appagata contemplazione della decadenza, della morte. Ciò è evidente dal parallelismo tra il rifiorire del giardino e quello del poeta, perché il rinascere del giardino a settembre è illusorio, e così anche quello spirituale del poeta. Vi è inoltre una corrispondenza tra la delicatezza stanca della natura autunnale e l’indebolimento sensuale del poeta. La preoccupazione di purificarsi è il sogno rovesciato di questa stanchezza. Il componimento è percorso da una certa ambiguità, passando dalla vita alla morte segretamente confuse e intrecciate. Per quanto riguarda il metro, la lirica è costituita da quartine di endecasillabi, con rime ABBA. La costruzione formale conferisce alla poesia l’andamento di una conversazione quotidiana, semplice e intima. Le frequenti pause rendono l’intenzione del poeta di dar un’impressione di colloquiale. Questa semplicità che tende alla prosa in realtà è l’effetto di un espediente molto raffinato. Per esempio, nella prima strofa notiamo che la punteggiatura e le pause sono molto frequenti, e sono presenti frasi molto brevi. Ma se leggiamo tutto di seguito ci rendiamo conto che i versi hanno uno svolgimento molto scorrevole, grazie a un gioco multiforme e regolato degli accenti. La musicalità dei versi dunque è una melodia di sottofondo alla conversazione tra il poeta e la madre. Anche lo stile dunque alterna il bisogno di semplicità alla raffinata stanchezza. Lo svolgimento colloquiale è apparente anche sul livello tematico, poiché sono presenti simmetrie, parallelismi e riprese. Per esempio, il “rifiorire” della prima strofa, torna nella quarta strofa (“se ti fiorisse / la terra sotto i piedi”); la dolcezza del passato della seconda strofa (“come sia dolce il mistero / che vela certe cose del passato”) la ritroviamo nella quarta strofa (“come sia dolce il sorriso / di certe cose che l’oblio afflisse”). La corrispondenza tra settembre e aprile della quinta strofa, ritorna nella decima e nell’undicesima strofa. Le riprese riguardano i temi centrali del componimento, e servono a renderli manifesti; contribuiscono inoltre a dare un tocco musicale al componimento.
Giosuè Carducci, Il comune rustico
La poesia si trova tra le Rime nuove, ed è stata composta tra il 10 e il 12 agosto del 1885. È una delle poesie di ispirazione epico-storica, in particolare si rifà alla storia medievale. Carducci aveva trascorso un po’ di tempo nella Carnia, nella provincia di Udine, e con questi versi vuole salutare i luoghi visitati. Il componimento è costituito da due parti. Nella prima parte il poeta dice addio al paesaggio alpino, perché la breve vacanza è terminata. Saluta i noci, sempre molto belli e incantevoli, nelle fresche ore del mattino, in cui le loro ombre si riflettono sui prati lussureggianti, e anche quando sopraggiunge la sera, oscurando le ville disseminate attorno la chiesa e il cimitero. La seconda parte invece contiene la rievocazione storica. Nel descrivere questo paesaggio infatti viene stimolata la fantasia del poeta, il quale ricorda il passato, la vita aitante di questi posti durante il periodo comunale, il vivere democratico di un comune rustico dopo l’affrancamento dalla servitù feudale. Un domenica, dopo la celebrazione della messa, il console affida ai boscaioli i boschi e ai pastori i prati, invece ai giovani conferisce il compito di difendere la popolazione dagli assalti degli Unni e degli Slavi. I giovani sono molto fieri di questo incarico bellico, mentre le donne, madri, mogli e sorelle piangono e pregano pensando alla guerra. Dopo aver giurato sui Vangeli e sulla croce, e dopo aver avuto l’approvazione del popolo, viene sciolta l’assemblea, mentre le rosse giovenche pascolano sul prato, e sugli abeti risplendono i raggi del sole di mezzogiorno, come se la natura desse una lieta approvazione a quei coraggiosi spiriti che si sono formati in libera comunità. Il comune rustico era una libera associazione di pastori e montanari, mentre quello cittadino era costituito da mercanti e piccoli nobili. Il componimento ha una struttura molto utilizzata da Carducci nelle sue opere: il poeta parte dalla realtà presente, in questo caso il paesaggio alpino della Carnia, per poi ricordare nei versi successivi eventi passati. Viene evocato uno stralcio di vita medievale, che presenta delle novità rispetto alla trattazione avvenuta in opere di altri autori. Mentre infatti il Romanticismo guardava al Medioevo come a un’epoca buia e tenebrosa, fatta di spettri e demoni, Carducci invece offre uno squarcio di vita civile di un piccolo comune montanaro, nel momento in cui la popolazione si riunisce in assemblea, dopo la messa, per prendere delle decisioni importanti per la comunità. Nella rievocazione è presente un forte messaggio politico: il poeta aspira a una democrazia diretta, immaginando una piccola repubblica in cui ciascuno partecipa alle decisioni, si assume le sue responsabilità e adempie ai suoi doveri, e in cui prevalgono l’amor di patria e la virtù guerriera. Tenendo presente il culto classico del Carducci, possiamo notare che dietro questo affresco di vita medievale si può scorgere Roma repubblicana delle origini, che conduceva una vita semplice e austera, laboriosa e piena di senso civile e valore. Si intravede, in questa rievocazione, una forte polemica: l’immagine positiva di democrazia e caratteristiche virtuose contrasta in modo implicito alla situazione presente in Italia, che molte volte il poeta ha evidenziato, piena di corruzione, viltà, mancanza di spirito patriottico e valore guerriero. I versi finali hanno un tono leggermente ironico. Il poeta con la sua fervida immaginazione ha elevato la semplice situazione di un paesaggio alpino a dimensioni epiche; ma verso la fine, proponendo l’immagine delle rosse giovenche, riconduce il discorso alla realtà. L’ironia vuole mettere in evidenza come quella piccola assemblea, nonostante la sua modestia, avesse una dignità molto elevata. Interessante è il fatto che tutta la situazione è immersa nell’atmosfera solare (“brillando sugli abeti il mezzodì”). In Carducci la luce simboleggia la vita sana, piena, gaia, vigorosa. Il ricordo di un passato eroico repubblicano e democratico equivale al sogno di “vita solare” del poeta, e implicitamente si oppone alla realtà della sua epoca, squallida e tetra, come notiamo in altri suoi componimenti. Alcuni critici hanno sottolineato che alcuni elementi della scena medievale, come le teste bionde illuminate dal sole, le mani alzate, riprendono alcuni motivi di un’ arte figurativa degli anni in cui visse il poeta, e ciò si nota in modo evidente in alcune pitture a soggetto storico e negli allestimenti teatrali (il “Medioevo di cartapesta”). Per quanto riguarda il linguaggio, come è solito in Carducci, sono presenti molti termini aulici, in particolare latinismi (“erma”, “pria”); inoltre molti sostantivi si riferiscono all’area semantica del colore e in particolare della luce (“smeraldini”, “bionde teste”). Il metro è costituito da strofe di sei endecasillabi, con rime a schema AABCCB.
Giovanni Verga, Rosso Malpelo
La novella fu pubblicata per la prima volta sul “Fanfulla” nell’agosto del 1878, e in seguito raccolta in Vita dei campi nel 1880. Narra la storia di un ragazzo, Rosso Malpelo, chiamato così perché ha i capelli rossi e, nella credenza popolare siciliana, questo è segno di malizia e cattiveria. Il ragazzo è avvilito dalla povertà e trattato male da tutti, comprese la madre e la sorella, alle quali consegna il denaro guadagnato ogni sabato. Egli venera religiosamente il padre, mastro Misciu, morto sotto il cedimento di un pilastro nel luogo in cui lavorava, la cava di rena. Ritrovato il cadavere, i calzoni di fustagno quasi nuovi furono adattati alla statura di Malpelo dalla madre; le scarpe erano troppo grandi, ed egli ogni domenica le lustrava e le indossava, provando un’infinita tenerezza al ricordo del padre. Il dolore per l’incidente di mastro Misciu provoca nel giovane un’avversione nei confronti degli uomini e degli animali, e trova la sua vendetta nel maltrattare i più deboli. Tratta con durezza (in realtà per il suo bene) il fanciullo Ranocchio, che in seguito muore per le fatiche e le malattie, e riempie di botte il suo asino grigio. Malpelo alla fine del racconto muore disperso in una galleria della miniera, in cui era stato inviato per una perlustrazione pericolosa. La novella inaugura la fase “verista” dell’opera di Verga. Un tempo ciò si attribuiva a Nedda, perché l’autore aveva abbandonato gli ambienti eleganti dei primi romanzi per dare spazio agli ambienti popolari siciliani. Ma a dare la svolta non è tanto il cambiamento di tematiche e soggetti, quanto piuttosto l’innovazione dell’impostazione narrativa. Questo è evidente già dalla prima frase del racconto, in cui si dichiara che Malpelo ha i capelli rossi “perché è un ragazzo malizioso e cattivo”, preconcetto superstizioso caratteristico di una mentalità gretta. Il narratore si trova sullo stesso livello dei personaggi, fa parte del loro mondo, riportando la loro visione dei fatti: Verga percepisce le cose con gli stessi occhi di questa gente e le comunica con le loro stesse parole; attua una sorta di “regressione” così che si possa realizzare in pieno il principio dell’impersonalità. Perciò, non è un narratore onnisciente e non è depositario della verità come gli autori tradizionali, ma un semplice portavoce del popolo primitivo e rozzo. Quello che dice di Malpelo non è del tutto attendibile; per esempio, dopo la morte del padre, quando egli scava affannosamente e ogni tanto si ferma ad ascoltare, è chiaro che il ragazzo spera di trovare il padre ancora in vita. L’autore invece, essendo portavoce di quella mentalità primitiva, spiega questi gesti collegandoli alla sua strana cattiveria. Oppure, i comportamenti nei confronti di Ranocchio, finalizzati all’insegnamento delle leggi brutali che regolano l’esistenza, vengono interpretati secondo le convinzioni correnti nella cava, ovvero “per prendersi il gusto di tiranneggiarlo”. Rosso, nonostante sia cresciuto in un ambiente disumano come la miniera, ha mantenuto dei valori autentici: la pietà filiale, giustizia, solidarietà, altruismo. Ma Verga, l’autore “basso”, fa apparire questi valori come strani, incomprensibili, essendosi calato all’interno di questo mondo disumano che conosce solo l’interesse e la forza. I valori vengono negati, perché non si possono praticare in questa realtà dominata dalla lotta per la sopravvivenza, non vi è spazio per i sentimenti. Viene fuori, da questo tipo di narrazione, tutto il pessimismo verghiano. Il mondo popolare non è mitizzato con malinconia, come luogo innocente e autentico, ma è governato dalle stesse regole spietate del mondo più evoluto, quello delle banche e delle industrie. Mentre nella prima parte della novella Malpelo è descritto attraverso la visione deformata degli operai della cava, nella seconda parte affiora il suo punto di vista. Il ragazzo ha una concezione cupa e negativa perché indurito dalla disumanità di quella vita di sforzi e sofferenze. Ha compreso perfettamente le leggi che regolano il mondo sociale e naturale, derivate dalla lotta per la sopravvivenza, in cui il forte vince sul debole, e da questa consapevolezza deriva il suo modo di reagire. Egli però non si ribella, perché queste regole non possono essere modificate, ma si adatta con “disperata rassegnazione”. Malpelo comprende il mondo in cui vive e si comporta secondo i principi che lo governano, mentre gli operai della cava sono inconsapevoli e agiscono meccanicamente. Nel ragazzo vi è il riflesso del pessimismo di Verga; Rosso diventa un eroe intellettuale, che intende lucidamente i meccanismi, impossibili da modificare, di questo ambiente, e si rassegna. L’impostazione narrativa della novella, dunque, è molto importante, perché è l’iniziazione del raccontare verista di Verga, e tramuta Rosso Malpelo in un’analisi dura e implacabile delle leggi della società, accompagnandosi a una grande capacità critica e conoscitiva..
Giuseppe Ungaretti, I fiumi
La poesia fu scritta sull’altura di Cotici, il 16 agosto 1916. Il poeta dice che un giorno tranquillo sul fronte, se ne sta da solo accanto a un albero mutilato dalle granate, e contempla la natura desolata come un circo prima e dopo lo spettacolo, e osserva le nuvole che si muovono coprendo la luna. La mattina si è immerso nell’Isonzo, col suo corpo sopravvissuto alla battaglia, ed entrato in simbiosi con la natura del posto, il fiume lo leviga come fa con i suoi sassi. Sollevando poi le sue quattr’ossa, cammina come un acrobata lungo il fiume e, dopo essere uscito, si accoccola vicino i suoi vestiti infangati a prendere il sole. Il contatto con l’Isonzo e quindi con la natura, è uno dei momenti più felici per il poeta, poiché in questo modo si sente in perfetta consonanza con l’universo. Come nei terrori della guerra, Ungaretti è angosciato quando non si trova in armonia con la natura. Però, le acque di questo fiume, simili a mani eteree, gli regalano una sorta di felicità rara nel contesto di guerra, essendo in intimità col creato e il suo trascorso. E ricorda le tappe della sua esistenza, scandite dalle acque del Serchio, del Nilo e della Senna. Il Serchio è il fiume di Lucca, la sua terra d’origine, del padre e della madre, gente di campagna. Il Nilo invece l’ha visto crescere nelle immense distese dell’Egitto. Infine, la Senna è il fiume della sua formazione spirituale e artistica, simbolo dei fermenti culturali e artistici di Parigi, e qui il poeta acquistò la coscienza di sé stesso. Questi fiumi rappresentano le fasi più importanti della vita del poeta, e ricordandoli è preso da tanta nostalgia e rimpianto quando giunge la notte. La sua vita, esposta ai pericoli della guerra, delicata e precaria, è simile a un fiore ondeggiante nelle tenebre della notte. I fiumi è la poesia della presa di coscienza, che avviene attraverso il ricordo della vita passata. Immergendosi nell’Isonzo Ungaretti rammenta tutti i fiumi che hanno fatto parte della sua esperienza di vita, e chiarisce le tappe esistenziali. L’acqua rappresenta la vita, che a partire dalle sue origini più antiche, ovvero il Serchio, fiume della sua stirpe, arriva fino al presente, in cui il poeta giunge a una completa maturazione dopo l’esperienza della guerra. Le due tappe centrali della vita di Ungaretti sono il Nilo e la Senna. Il Nilo è l’epoca libera e spensierata dell’infanzia e giovinezza del poeta; la Senna richiama alla memoria gli anni della formazione artistica e intellettuale a Parigi, e l’importante rivelazione del suo genio letterario. Il componimento ha un evidente carattere autobiografico, grazie all’uso costante della prima persona soprattutto all’inizio di molte strofe, e i frequenti pronomi personali e possessivi. Emerge inoltre un carattere rituale, riguardo l’immersione nelle acque del fiume, che ricorda il sacramento del battesimo. Il fiume si tramuta in un’ ”urna” che accoglie la “reliquia” del corpo: i termini rinviano a un linguaggio liturgico e religioso, e il contesto assume un’accezione sacrale. L’acqua che scorre e che rende il corpo del poeta simile a un sasso che viene levigato, purifica e ricongiunge Ungaretti alla natura primordiale. L’intensità di questa operazione riduce l’uomo a “quattr’ossa”, ma ciò costituisce la premessa necessaria per la sua risurrezione e liberazione. Avvenuto ciò, il poeta si alza e cammina sull’acqua per andare via, con un evidente richiamo a Cristo e al suo miracolo, e si accentua ancor di più l’aspetto religioso del componimento. Un altro elemento degno di considerazione è la nudità del poeta, che, una volta uscito dall’acqua, si stende accanto ai suoi “panni / sudici di guerra”, simboli di contaminazione e morte, e riceve i raggi del sole, portatori di luce e vita, come un “beduino”, il nomade arabo, la cui menzione ha qui un duplice compito: ricordare l’atmosfera africana dell’infanzia, e continuare a dare un aspetto sacrale ai versi attraverso l’aggettivo “chinato”, che richiama la preghiera islamica. Il poeta gradualmente conquista la sua identità, riconoscendosi in una “docile fibra / dell’universo” e si sente unito alla natura. Ritrova l’armonia e la felicità che si realizzano solamente i pochi momenti dell’esistenza, e la riconquista del suo passato attraverso il ricordo delle esperienze vissute. L’immaginazione è accentuata dai pronomi dimostrativi e dal frequente uso dell’anafora all’inizio delle ultime strofe. Il coronamento della serenità si ha con il rapporto pacifico con il paesaggio notturno. Nell’ultima strofa, con una struttura a cornice, la figura della “corolla di tenebre” richiama la pacifica situazione della prima strofa in cui le nuvole passavano coprendo la luna
Giovanni Pascoli, Aléxandros
Il poema fu pubblicato nel 1895 sul “Convito” e inserito poi nei Poemi conviviali nel 1904. Protagonisti dei Poemi conviviali sono personaggi della mitologia e della storia classica, che hanno perso le loro caratteristiche tramandate dalla tradizione e che invece sono tormentati da affanni e angosce. Si tratta di una trasfigurazione in chiave decadente di personaggi dell’antichità. In Aléxandros il poeta propone come tematica il contrasto tra sogno e realtà, causato dalla volontà di infinito e assoluto e la consapevolezza del limite umano. L’eroe, arrivato al confine ultimo della terra, si rende conto che questo è un limite insormontabile per il suo desiderio di assolutismo. Infatti, al di là di questo si trova il mistero dello spazio cosmico, impossibile da conoscere. Se ci accorgiamo che la realtà è deludente, il poeta dichiara che conviene rifugiarci nei sogni e nelle speranze: raggiunti mari e fiumi, l’eroe si accorge che sono inferiori a quanto aveva immaginato. E si rende conto che era più felice quando ancora aveva tanta strada davanti a sé da percorrere e molti pericoli da affrontare, quando da piccolo cavalcava Bucéfalo inseguendo il sole. Rivolgendosi al padre Filippo, gli rivela la sua delusione, quando invece un tempo era incitato a nuove conquiste. Ora giunto alla porta dell’ignoto, non può far niente, e piange per la delusione sia dall’occhio nero, che rappresenta il limite della natura, sia dall’occhio azzurro, simbolo del sogno (l’eroe aveva gli occhi di colore diverso). Durante questi lamenti sente voci lontane e misteriose, ma sono i suoni dell’ignoto che non gli è permesso scoprire. E mentre Alessandro si trova ai confini del mondo piangendo, nell’Epiro, la madre e le sorelle filano e sognano nella loro semplice vita: esse hanno fatto la scelta migliore. Nelle prime quattro parti del poema, l’eroe fa un discorso alle truppe. Davanti a loro si estende l’Oceano, con le sue acque immobili, senza vita, che rappresentano il limite della conoscenza umana. L’eroe e i suoi soldati però si trovano in una zona indefinita, perché il campo dell’esperienza tangibile non possiede limiti precisi, ma nel suo punto estremo si perde nelle tenebre dell’incognito. L’uomo non può penetrare i segreti del mistero, dunque ai suoi occhi appare come il nulla. Nella seconda sezione compaiono le immagini dei fiumi e delle montagne, che simboleggiano l’ostacolo al sogno e la volontà di superarlo e andare avanti nella ricerca. Vi è inoltre l’immagine della foresta che si specchia, immobile, nelle acque del fiume. Si può evidenziare un contrasto tra movimento e immobilità: il movimento è dato dall’acqua, e potrebbe riferirsi alla ricerca incessante e al desiderio di realizzare il sogno, l’immobilità è rappresentata dalla foresta, alludendo alla rinuncia della ricerca, che porta solo alla sconfitta e alla delusione. La decisione migliore è non oltrepassare il limite simboleggiato dalle montagne, e rimanere a sognare, perché il “vero” è deludente, ma il sogno lo porta all’infinito. Ricordando gli anni passati, l’eroe si rende conto che era più felice quando attendeva con ansia le avventure e immaginava grandi conquiste future. Il sole che appare davanti al giovane Alessandro mentre cavalcava, è l’insieme di tutti i suoi desideri, che sono destinati a tramontare come il disco solare dietro le “selve nere”. La rievocazione della gioventù presenta note nostalgiche, nate dalla consapevolezza della delusione. Nella quarta sezione interviene il poeta, caricando le lacrime dell’eroe di sconforto, delusione, scomparsa delle illusioni; il mistero si presenta davanti ad Alessandro attraverso voci oscure e inquietanti, ma che non possono essere decifrate. L’unica soluzione, espressa nell’ultima parte, è rinunciare alla ricerca, la quale porta solo al fallimento, e rimanere nei limiti del “nido”, rappresentato dalle sorelle che sono rimaste a casa a filare e sperare. In questo modo ci si può riparare dalla sofferenza, vivendo una vita priva di avventure, ma sicuramente più serena e tranquilla. L’immagine di Alessandro giunto ai limiti del conoscibile è posto in contrasto con l’immagine delle sorelle, felici e appagate nella loro casa. La figura della madre che nel sogno ascolta il gorgoglio della fonte e il fruscio delle querce trasmette invece inquietudine, e in qualche modo è collegata al figlio che ascolta le voci incomprensibili del mistero. Alessandro non è più l’eroe classico, ma ha attributi moderni con la sua preoccupazione di assolutismo, la ricerca di una conoscenza totale delle cose, lo sconforto di fronte alla verità diversa dal sogno. Tutto ciò fa di questo personaggio un eroe romantico, ma che per alcuni aspetti è già decadente, col suo protendersi verso l’ignoto, la delusione, e la conseguente consapevolezza del nulla. Il metro utilizzato nel componimento è costituito da terzine a rime incatenate. Il linguaggio è velato, allegorico, suggestivo, enigmatico. Sono presenti due diverse tipologie di immagini: dinamiche, come il superare montagne e fiumi, inseguire il sole; statiche, come lo stare fermi davanti al limite e ascoltare le voci misteriose. Abbondanti sono le immagini riferibili al mistero e al nulla (l’Oceano “senz’onda”, le “selve nere”). Nel corso del componimento infine si notano contrapposizioni tra passato e presente, sogno e sconfitta, spazio delimitato conquistato e spazio indeterminato dell’ignoto..