Definizione di matrice e matrici particolari

Definizione di matrice

Definizione 1: Matrice rettangolare.
Si considerino due numeri naturali $m,n$ entrambi non nulli e $m\cdot n$ numeri reali. Si chiama matrice rettangolare di tipo $(m,n)$ l’insieme dei numeri reali considerati, ordinati secondo righe ed colonne, in una tabulazione come quella che segue:
\[
\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1n} \\
a_{21} & a_{22} & \cdots & a_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
a_{m1} & a_{m2} & \cdots & a_{mn} \\
\end{pmatrix}
\]
Ciascuno dei numeri $a_{kj}$, con gli indici $k$ e $j$ rispettivamente variabili tra 1 ed $m$ e tra 1 ed $n$ in tutti le combinazioni possibili, viene detto elemento della matrice. La matrice viene sinteticamente indicata con
\[
A=[a_{kj}],\; k\in\{1,\ldots,m\},\; j\in\{1,\ldots,n\}
\]
Esempio di matrice
\[
\begin{pmatrix}
1 & -2 & \displaystyle\frac{1}{2} & 0 \\
0 & 1 & 2 & -0,5 \\
1 & -3 & 1 & \displaystyle\frac{2}{3} \\
0 & 1 & -1 & 1 \\
\end{pmatrix}
\]

Definizione 2: Matrice (o vettore) riga.
Si chiama matrice riga, o vettore riga, una matrice rettangolare di tipo $(1,n)$, che sia cioè formata da una sola riga con $n$ elementi:
\[
\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1n}\\
\end{pmatrix}
\]

Definizione 3: Matrice (o vettore) colonna.
Si chiama matrice colonna, o vettore colonna, una matrice rettangolare di tipo $(m,1)$, che sia cioè formata da una sola colonna con $m$ elementi:
\[
\begin{pmatrix}
a_{11}\\
a_{21}\\
\vdots\\
a_{m1}\\
\end{pmatrix}
\]
Osservazione 1: Si presti attenzione al fatto che mentre nei vettori riga l’indice che cambia è il secondo, cioè l’indice di colonna, nei vettori colonna cambia il primo indice, ovvero quello di riga.

Osservazione 2: Una matrice con una sola riga e una sola colonna, cioè di tipo $(1,1)$, è sia un vettore riga che un vettore colonna. Naturalmente essa contiene un unico elemento, $(a_{11}$, ma è fondamentalmente distinta da esso: vale cioè \([a_{11}]\neq a_{11}\). Questo è vero in quanto il primo oggetto scritto è una matrice, mentre il secondo è solo un numero reale.

Definizione 4: Matrice zero.
Una matrice $Z$ i cui elementi siano tutti nulli, indipendentemente dai numeri $m$ ed $n$, viene sempre chiamata matrice zero, o matrice nulla:
\[
\begin{array}
\mbox{Z}=[z_{kj}],\; z_{kj}=0 & \forall k\in\{1,\ldots,m\},\; j\in\{1,\ldots,n\}
\end{array}
\]
Definizione 5: Matrice opposta.
Data una matrice di tipo $(m,n)$ viene detta matrice opposta di $A$ e solitamente indicata con $-A$ quell’unica matrice di tipo $(m,n)$ tale che ogni suo elemento sia l’opposto dell’ omologo elemento di $A$. In breve, deve valere la condizione \(-A=[-a_{kj}]\).

Osservazione 3: In virtù delle definizioni 4 e 5, la matrice opposta della matrice zero di tipo $(m,n)$ è ancora la stessa matrice zero di tipo $(m,n)$. Questa eventualità non si verifica con alcuna altra matrice.

Definizione 6: Matrice trasposta.
Data una matrice $A$ di tipo $(m,n)$ viene detta matrice trasposta di $A$ e solitamente indicata con $A_{T}$ quell’unica matrice di tipo $(n,m)$ che si ottiene da $A$ scambiando righe e colonne:
\[
\begin{array}{ccc}
A=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1n} \\
a_{21} & a_{22} & \cdots & a_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
a_{m1} & a_{m2} & \cdots & a_{mn} \\
\end{pmatrix} & \Rightarrow & A_{T}=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{21} & \cdots & a_{m1} \\
a_{12} & a_{22} & \cdots & a_{m2} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
a_{1n} & a_{2n} & \cdots & a_{mn} \\
\end{pmatrix}
\end{array}
\]

Osservazione 4: Per le definizioni 2, 3 e 6, le matrici trasposte di un vettore riga e di un vettore colonna sono rispettivamente un vettore colonna e un vettore riga. La matrice trasposta di una matrice nulla è ancora una matrice nulla, ma di tipo differente.

 

Matrici quadrate

Definizione 7: Matrice quadrata.
Fissato un numero naturale non nullo $n$ una matrice di tipo $(n,n)$ è chiamata per ovvi motivi matrice quadrata; si dice che essa ha ordine $n$.

Definizione 8: Diagonali di una matrice quadrata.
Data una matrice quadrata $A$ di ordine $n$ qualsiasi, è possibile trovare in essa $n$ elementi che giacciono su una delle diagonali del quadrato, ed $n$ che giacciono sull’altra diagonale. Uno dei due insiemi ha la caratteristica che ciascuno dei suoi elementi ha gli indici uguali: esso è detto diagonale principale; l’altro insieme forma la diagonale secondaria.
\[
\begin{array}{cc}
\begin{pmatrix}
\color{red}a_{\color{red}1\color{red}1} & a_{12} & \color{green}a_{\color{green}1\color{green}3} \\
a_{21} & \color{red}a_{\color{green}2\color{green}2} & a_{23} \\
\color{green}a_{\color{green}3\color{green}1} & a_{32} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}3} \\
\end{pmatrix} &
\begin{pmatrix}
\color{red}a_{\color{red}1\color{red}1} & a_{12} & a_{13} & \color{green}a_{\color{green}1\color{green}4} \\
a_{21} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}2} & \color{green}a_{\color{green}2\color{green}3} & a_{24} \\
a_{31} & \color{green}a_{\color{green}3\color{green}2} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}3} & a_{34} \\
\color{green}a_{\color{green}4\color{green}1} & a_{42} & a_{43} & \color{red}a_{\color{red}4\color{red}4}\\
\end{pmatrix}
\end{array}
\]

Osservazione 5: Nell’immagine che precede, vediamo due matrici quadrate di ordini 3 e 4. In entrambe, gli elementi segnati in rosso formano la diagonale principale e quelli segnati in verde formano la diagonale secondaria. Si noti che se $n$ è pari, come nella seconda matrice, allora le due diagonali non hanno elementi in comune; se invece $n$ è dispari, come accade nel primo esempio, esiste un elemento che appartiene a entrambe le diagonali.

Definizione 9: Matrice triangolare.
Una matrice quadrata di ordine $n$ qualsiasi è detta triangolare superiore se tutti gli elementi situati sotto la sua diagonale principale sono nulli; si dice invece triangolare inferiore una matrice quadrata di ordine $n$ qualsiasi tale da avere nulli tutti gli elementi situati al di sopra della sua diagonale principale.
\[
\begin{array}{cc}
\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & a_{13} & a_{14} \\
0 & a_{22} & a_{23} & a_{24} \\
0 & 0 & a_{33} & a_{34} \\
0 & 0 & 0 & a_{44} \\
\end{pmatrix} &
\begin{pmatrix}
a_{11} & 0 & 0 & 0 \\
a_{21} & a_{22} & 0 & 0 \\
a_{31} & a_{32} & a_{33} & 0 \\
a_{41} & a_{42} & a_{43} & a_{44} \\
\end{pmatrix}
\end{array}
\]

Definizione 10: Matrice diagonale.
Si chiama matrice diagonale una matrice quadrata di ordine $n$ qualsiasi i cui elementi non appartenenti alla diagonale principale sono tutti nulli.
\[
\begin{pmatrix}
a_{11} & 0 & 0 & 0 \\
0 & a_{22} & 0 & 0 \\
0 & 0 & a_{33} & 0 \\
0 & 0 & 0 & a_{44} \\
\end{pmatrix}
\]

Definizione 11: Matrice identica.
Si chiama matrice identica, o matrice unità, una matrice diagonale di ordine $n$ qualsiasi i cui elementi appartenenti alla diagonale principale sono tutti 1.
\[
\begin{pmatrix}
1 & 0 & 0 & 0 \\
0 & 1 & 0 & 0 \\
0 & 0 & 1 & 0 \\
0 & 0 & 0 & 1 \\
\end{pmatrix}
\]

Osservazione 6: Nelle tre immagini precedenti sono rappresentate matrici di ordine 4 triangolari superiori, inferiori, diagonali e identiche. Si noti che nelle definizioni 9 e 10 si dice solo che alcuni degli elementi devono essere nulli, non che gli altri, di cui non si parla, non possono essere 0. In particolare, ad esempio, una matrice diagonale è sia una matrice inferiormente triangolare che superiormente triangolare.

Osservazione 7: In virtù della definizione 6, la trasposta di una matrice inferiormente (superiormente) triangolare è una matrice superiormente (inferiormente) triangolare. La trasposta di una matrice diagonale è ancora la stessa matrice; questa eventualità si verifica per tutte e sole le matrici diagonali.

 

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Operazioni con le matrici

Definizioni delle operazioni tra matrici e proprietà elementari

Definizione 1: Somma di matrici.
Date due matrici $A$ e $B$ entrambe di tipo $(m,n)$, si chiama somma di $A$ e $B$ e si indica col simbolo $A+B$ quella matrice di tipo $(m,n)$ i cui elementi sono la somma degli elementi omologhi di $A$ e $B$.
\[
\begin{aligned}
&\begin{array}{cc}
A=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1n} \\
a_{21} & a_{22} & \cdots & a_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
a_{m1} & a_{m2} & \cdots & a_{mn} \\
\end{pmatrix} &
B=\begin{pmatrix}
b_{11} & b_{12} & \cdots & b_{1n} \\
b_{21} & b_{22} & \cdots & b_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
b_{m1} & b_{m2} & \cdots & b_{mn} \\
\end{pmatrix}
\end{array} \\
&\begin{array}{c}
& \\
A+B=\begin{pmatrix}
a_{11}+b_{11} & a_{12}+b_{12} & \cdots & a_{1n}+b_{1n} \\
a_{21}+b_{21} & a_{22}+b_{22} & \cdots & a_{2n}+b_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
a_{m1}+b_{m1} & a_{m2}+b_{m2} & \cdots & a_{mn}+b_{mn} \\
\end{pmatrix}
\end{array}
\end{aligned}
\]
Osservazione 1: La differenza di due matrici dello stesso tipo $A$ e $B$ si definisce, usando la definizione 1, come la somma di $A$ con $-B$, cioè con la matrice opposta di $B$.

Osservazione 2: La somma di una matrice e della sua opposta dà come risultato la matrice nulla, indipendentemente dal numero di righe e colonne degli addendi.

Definizione 2: Prodotto di una matrice per uno scalare.
Dati un numero reale $r$ e una matrice $A$, si chima prodotto di $A$ per lo scalare $r$ e si indica con $rA$ quella matrice, dello stesso tipo di $A$, i cui elementi sono i prodotti per degli elementi omologhi di $A$.
\[
rA=\begin{pmatrix}
ra_{11} & ra_{12} & \cdots & ra_{1n} \\
ra_{21} & ra_{22} & \cdots & ra_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
ra_{m1} & ra_{m2} & \cdots & ra_{mn} \\
\end{pmatrix}
\]
Osservazione 3: Il prodotto di una qualsiasi matrice $A$ per $r=-1$ dà come risultato $-A$, la matrice opposta di $A$; il prodotto di $A$ con $r=0$ dà la matrice nulla.

Definizione 3: Prodotto scalare di un vettore riga per un vettore colonna.
Dati un vettore riga $u$ ed un vettore colonna $v$ con lo stesso numero di elementi, si chiama prodotto scalare di $u$ per $v$ e si indica con il numero reale $u\cdot v$ che si ottiene sommando gli $n$ prodotti i cui fattori sono gli elementi omologhi di $u$ e $v$.
\[
\begin{array}{cc}
u=\begin{pmatrix}
u_{11} & u_{12} & \cdots & u_{1n}
\end{pmatrix}, &
v=\begin{pmatrix}
v_{11} \\
v_{21} \\
\vdots \\
v_{n1} \\
\end{pmatrix}
\end{array}
\]
\[
\begin{array}{cc}
\begin{aligned}
&u\cdot v=u_{11}v_{11}+u_{12}v_{21}+\ldots+u_{1n}v_{n1} & \Leftrightarrow \\
&u\cdot v=\sum_{j=1}^{n}u_{1j}v{j1} &
\end{aligned}
\end{array}
\]

Osservazione 4: Dati due vettori $u$ e $v$ con lo stesso numero di elementi, si può comunque definire il loro prodotto scalare assumendo, come di solito si fa, che il primo sia scritto come vettore riga e il secondo come vettore colonna. Il risultato dell’operazione, $u\cdot v$, si legge pure “$u$ scalato con $v$”.

Definizione 4: Prodotto righe per colonne.
Date una matrice $A$ di tipo $(m,t)$ e una matrice $B$ di tipo $(t,n)$, si chiama prodotto righe per colonne di $A$ per $B$ o prodotto matriciale di $A$ per $B$ e si indica con $A\cdot B$ quella matrice $R$ di tipo $(m,n)$ il cui elemento generico $r_{ik}$ è il prodotto scalare dell’-$i$esima riga di $A$ con la $k$-esima colonna di $B$.
\[
\begin{aligned}
&\begin{array}{cc}
A=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1t} \\
a_{21} & a_{22} & \cdots & a_{2t} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
a_{m1} & a_{m2} & \cdots & a_{mt} \\
\end{pmatrix}, &
B=\begin{pmatrix}
b_{11} & b_{12} & \cdots & b_{1n} \\
b_{21} & b_{22} & \cdots & b_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
b_{t1} & b_{t2} & \cdots & b_{tn} \\
\end{pmatrix} \\
\end{array} \\
&\begin{array}{cc}
& \\
A\cdot B=R=\begin{pmatrix}
r_{11} & r_{12} & \cdots & r_{1n} \\
r_{21} & r_{22} & \cdots & r_{2n} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
r_{m1} & r_{m2} & \cdots & r_{mn} \\
\end{pmatrix}, & \mbox{con}\; r_{\color{red}i\color{red}k}=\displaystyle\sum_{\color{green}j=1}^{t}a_{\color{red}i\color{green}j}b_{\color{green}j\color{red}k} \\
\end{array}
\end{aligned}
\]

Osservazione 5: La definizione 4 è ben posta, perché infatti comunque si scelgano $i$ e $k$ l’$i$-esima riga di $A$ e la $k$-esima colonna di $B$ sono vettori di lunghezza $t$, e quindi si può effettuare il loro prodotto scalare secondo la definizione 3.

Osservazione 6: Quando si effettua il prodotto scalare di $A$ e $B$, gli elementi del vettore riga $a$ variano “orizzontalmente”, cioè con il secondo indice, mentre quelli del vettore colonna variano “verticalmente”, ovvero col primo indice. Ne risulta che nel calcolo di $r_{ik}$ gli indici $i$ e $k$, indicati in rosso, restano fissi, mentre l’indice $j$, colorato in verde, varia tra $1$ e $t$.

Osservazione 7: La definizione 4 estende la definizione 3, nel senso che se le matrici $A$ e $B$ sono rispettivamente un vettore riga e un vettore colonna il loro prodotto scalare coincide con il loro prodotto righe per colonne. Quest’ultimo si può effettuare in quanto $A$ è del tipo $1,t$ e $B$ è del tipo $(t,1)$; il risultato è una matrice $(1,1)$, cioè contenente un solo elemento, e in questo caso si assume che tali due oggetti, in principio diversi, coincidano.

 

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Proprietà delle operazioni con le matrici

Per tutta questa scheda, i simboli $A$, $B$ e $C$ indicheranno matrici qualsiasi, mentre con $\alpha$ e $\beta$ indicheremo degli scalari. Supporremo inoltre che le matrici siano sempre tali da verificare le condizioni necessarie allo svolgimento delle operazioni nelle quali figurano.

Proprietà del prodotto di una matrice per uno scalare

Proprietà 1. Associatività:
\[
(\alpha\beta)A=\alpha(\beta A)
\]
Proprietà 2. Distributività rispetto alla somma di scalari:
\[
(\alpha+\beta)A=\alpha A+\beta A
\]
Proprietà 3. Distributività rispetto alla somma di matrici:
\[
\alpha(A+B)=\alpha A+\alpha B
\]
Osservazione 1: Queste tre proprietà si dicono valere “termine a termine”, nel senso che per il calcolo del termine generico $m_{jk}$ delle matrici da un lato e dall’altro dell’uguale non intervengono altri termini che non quelli di $A$ e $B$ ad esso omologhi, cioè $a_{jk}$ e $b_{jk}$.

Dimostrazione: Grazie all’osservazione 1, le proprietà su elencate sono tutte facilmente dimostrabili, e la loro validità discende dalle relative proprietà valide per i numeri reali. Per dimostrarle faremo vedere che i termini generici di posizione $(j,k)$ dell’una e dell’altra matrice sono uguali. Avremo dunque:
\[
\begin{aligned}
\left[(\alpha\beta)A\right]_{jk} &=(\alpha\beta)a_{jk}=\alpha(\beta a_{jk})=[\alpha(\beta A)]_{jk}\\
[(\alpha+\beta)A]_{jk} &=(\alpha+\beta)a_{jk}=\alpha a_{jk}+\beta a_{jk}=\\
&=\left[\alpha A\right]_{jk}+\left[\beta A\right]_{jk}=\left[\alpha A+\beta A\right]_{jk}\\
\left[\alpha(A+B)\right]_{jk} &=\alpha(a_{jk}+b_{jk})=\alpha a_{jk}+\alpha b_{jk}=\\
&=\left[\alpha A\right]_{jk}+\left[\alpha B\right]_{jk}=\left[\alpha A+\alpha B\right]_{jk}
\end{aligned}
\]
In ciascuna dimostrazione, la seconda uguaglianza deriva dalle note proprietà del prodotto di numeri reali, esattamente dall’associatività nel primo caso e dalla distributività negli altri due.

Proprietà della somma di matrici

Proprietà 4. Commutatività:
\[
A+B=B+A
\]
Proprietà 5. Associatività:
\[
\displaystyle(A+B\displaystyle)+C=A+(B+C)
\]
Dimostrazione: Anche per queste due proprietà vale l’osservazione 1, col che esse sono di semplice dimostrazione. Come prima, ci interesseremo del termine generico di posizione $(j,k)$ di ciascuna matrice, avendo perciò:
\[
\begin{aligned}
\left[A+B\right]_{jk} &=a_{jk}+b_{jk}=b_{jk}+a_{jk}=\left[B+A\right]_{jk}\\
\left[(A+B)+C\right]_{jk} &=\left[A+B\right]_{jk}+c_{jk}=(a_{jk}+b_{jk})+c_{jk}=\\
&=a_{jk}+(b_{jk}+c_{jk})=a_{jk}+\left[B+C\right]_{jk}=\\
&=\left[A+(B+C)\right]_{jk}
\end{aligned}
\]
Nel passaggio centrale delle due dimostrazioni abbiamo adoperato una proprietà già nota della somma di numeri reali: nel primo caso si è trattato della commutatività, mentre nel secondo dell’associatività.

Proprietà del prodotto righe per colonne

Proprietà 6. Associatività:
\[
(A\cdot B)\cdot C=A\cdot(B\cdot C)
\]
Dimostrazione. Consideriamo gli elementi generici delle due matrici in esame:
\[
\begin{aligned}
\left[(A\cdot B)\cdot C\right]_{jk} &=\sum_{i}\left[A\cdot B\right]_{ji}c_{ik}=\\
&=\displaystyle\sum_{i}\left(\sum_{h}a_{jh}b_{hi}\right)c_{ik}\\
\\
\left[A\cdot(B\cdot C)\right]_{jk} &=\displaystyle\sum_{h}a_{jh}\left[B\cdot C\right]_{hk}=\\
&=\displaystyle\sum_{h}a_{jh}\left(\sum_{i}b_{hi}c_{ik}\right)
\end{aligned}
\]
Ciò è vero in virtù della definizione di elemento generico del prodotto righe per colonne di due matrici date. Poiché tutte le somme considerate sono finite e di numeri reali, dalla distributività destra e sinistra del prodotto rispetto alla somma in $\mathbb{R}$ avremo:
\[
\begin{aligned}
\sum_{i}\left(\sum_{h}a_{jh}b_{hi}\right)c_{ik} &=\sum_{i}\left(\sum_{h}a_{jh}b_{hi}c_{ik}\right)=\sum_{h}\left(\sum_{i}a_{jh}b_{hi}c_{ik}\right)\\
&=\sum_{h}a_{jh}\left(\sum_{i}b_{hi}c_{ik}\right)
\end{aligned}
\]
il che prova infine che $[(A\cdot B)\cdot C]_{jk}=[A\cdot(B\cdot C)]_{jk}$, essendo il primo e l’ultimo termine dell’uguaglianza precedente null’altro che i termini generici trovati in precedenza.

Proprietà 7. Distributività a sinistra e a destra rispetto alla somma:
\[
\begin{array}{cc}
A\cdot(B+C)=A\cdot B+A\cdot C, & (A+B)\cdot C=A\cdot C+B\cdot C
\end{array}
\]
Dimostrazione: Faremo vedere solo la prima delle due uguaglianze, in quanto la seconda si prova in maniera del tutto analoga. Come al solito troviamo i termini generici delle due matrici date:
\[
\begin{aligned}
\left[A\cdot (B+C)\right]_{jk}&=\sum_{h}a_{jh}\left[B+C\right]_{hk}=\\
&=\sum_{h}a_{jh}(b_{hk}+c_{hk})\\
\\
\left[A\cdot B+A\cdot C\right]_{jk} &=\left[A\cdot B\right]_{jk}+\left[A\cdot C\right]_{jk}=\\
&=\sum_{h}a_{jh}b_{hk}+\sum_{h}a_{jh}c_{hk}=\\
&=\sum_{h}a_{jh}b_{hk}+a_{jh}c_{hk}
\end{aligned}
\]
L’uguaglianza desiderata si ottiene semplicemente mettendo in evidenza $a_{jh}$ nell’ultimo termine della seconda equazione: si otterrà così l’ultimo termine della prima equazione, il che prova che $[A\cdot(B+C)]_{jk}=[A\cdot B+A\cdot C]_{jk}$, ovvero la tesi.

Esempi

Esempio 1: Sono date le matrici
\[
\begin{array}{ccc}
A=\begin{pmatrix}2&3\\-1&0\end{pmatrix}, & B=\begin{pmatrix}-1&1\\0&1\end{pmatrix}, & C=\begin{pmatrix}3&2\\-2&-1\end{pmatrix}
\end{array}
\] Si verifichi che per esse vale la proprietà 6 di associatività del prodotto righe per colonne.
Per effettuare questa verifica cominciamo col calcolare i seguenti due prodotti:
\[
\begin{aligned}
A\cdot B &=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&2&3\\
-&1&0\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}\cdot\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&1&1\\
&0&1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&2&5\\
&1&-1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\\
B\cdot C &=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&1&1\\
&0&1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}\cdot\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&3&2\\
-&2&-1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&5&-3\\
-&2&-1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\end{aligned}
\]
Moltiplicando adesso il primo di essi a destra per $C$ ed il secondo di essi a sinistra per $A$,
\[
\begin{aligned}
(A\cdot B)\cdot C &=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&2&5\\
&1&-1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}\cdot\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&3&2\\
-&2&-1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&16&-9\\
&5&3\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\\
A\cdot(B\cdot C) &=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&2&3\\
-&1&0\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}\cdot\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&5&3\\
-&2&-1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&16&-9\\
&5&3\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\end{aligned}
\]
Poiché i due risultati ottenuti sono uguali, la proprietà desiderata è verificata.

Esempio 2: Si dimostri, attraverso un controesempio, che il prodotto righe per colonne non gode della proprietà commutativa.
Riprendendo le matrici dell’esempio precedente, potremmo far vedere che $A\cdot B\ne B\cdot A$. In effetti, poiché abbiamo già calcolato il primo prodotto, non resta che calcolare $B\cdot A$:
\[
B\cdot A=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&1&1\\
&0&1\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}\cdot\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&2&3\\
-&1&0\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
-&3&-3\\
-&1&0\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\]
Come si vede, esso è diverso da \(A\cdot B=\begin{pmatrix}-2&5\\1&-1\end{pmatrix}\), col che sappiamo per certo che il prodotto righe per colonne non gode della proprietà commutativa.

Osservazione 2: Ciò che abbiamo dimostrato nell’esempio 2 non esclude che esistano delle matrici per le quali, casualmente, si abbia $A\cdot B=B\cdot A$: il nostro controesempio prova infatti semplicemente che ciò non è vero per tutte le matrici.

Esempio 3: Si dimostri, attraverso un contro esempio, che per il prodotto righe per colonne non vale la legge di annullamento del prodotto.
Ricordiamo che la legge di annullamento del prodotto dice che se il prodotto di due fattori è nullo, allora certamente almeno uno di detti fattori è a sua volta nullo; essa vale ad esempio per i numeri reali. D’altro canto se consideriamo il prodotto
\[
\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&2 & 4\\
-&1 & -2\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\cdot
\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&0 & -4\\
&0 & 2\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}=
\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
&0 & 0\\
&0 & 0\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\]
è facile osservare che benché nessuno dei due fattori sia nullo, il risultato lo è. Dunque la legge di annullamento del prodotto non vale per le matrici.

 

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Disequazioni esponenziali risolvibili con i logaritmi

Definizione 1: Disequazione esponenziale risolvibile con i logaritmi
Siano $f(x)$ e $g(x)$ due funzioni formate da prodotti e quozienti di termini positivi, in cui la $x$ compare solo in alcuni degli esponenti. Allora ognuna delle disequazioni
\[
f(x)>g(x),\quad f(x)\ge g(x),\quad f(x)< g(x),\quad f(x)\le g(x)
\]
è una disequazione esponenziale risolvibile con i logaritmi.

Metodo risolutivo: Come anche nel caso del metodo risolutivo per le equazioni esponenziali, la positività dei due termini $f(x)$ e $g(x)$ della disequazione ci consente l’applicazione del logaritmo di base $b$ a destra e a sinistra del segno di disuguaglianza. A differenza del caso dell’uguaglianza, però, qui bisogna prestare attenzione a che il segno sia un maggiore o un minore. Infatti, dallo studio della funzione logaritmica segue che essa è crescente qualora risulti $b>1$, mentre invece è decrescente nel caso in cui $0< b<1$. Ciò comporta che se vorremo applicare un logaritmo di base minore di 1 il segno della disequazione andrà invertito, mentre se la base scelta sarà maggiore di 1 non bisognerà mutarlo: \[ b>1:\enspace f(x)>g(x)\rightarrow\log_{b}f(x)>\log_{b}g(x)\\
0< b <1:\enspace f(x)>g(x)\rightarrow\log_{b}f(x)<\log_{b}g(x)
\]
Da questo punto in avanti si procede esattamente come per una equazione esponenziale risolvibile con i logaritmi: si applicano prima le proprietà di prodotto e quoziente, poi quella di potenza e infine si risolve la disequazione algebrica che ne sarà risultata.

Osservazione 1: Anche in questo caso è lecito considerare una qualsiasi base $b>1$, $b\ne1$, purchè si tenga conto della regola del segno esposta nel metodo risolutivo. Se, come si suole, la base scelta è il numero di Nepero $e\approx 2.718$, visto che risulta $e>1$ il segno della disequazione rimane immutato.

 

Esempi di risoluzione con i logaritmi di disequazioni esponenziali

Esempio 1: Si vuole risolvere la disequazione \(4^x+3^x>8^{\frac{2}{3}x+1}\).
In questo caso compaiono tre diverse basi, ma se si considera che 4 e 8 sono entrambi potenze di 2 la disequazione si può riscrivere nella forma \(2^{2x}+3^x>2^{3\left(\frac{2}{3}x+1\right)} \). Il prossimo passaggio consiste nel riscrivere la disequazione in modo che tutti i termini con la stessa base compaiano dallo stesso lato del segno di disuguaglianza:
\[
3^x>2^{3\left(\frac{2}{3}x+1\right)}-2^{2x}=2^{2x+3}-2^{2x}=2^{2x}\left(2^3-1\right)=7\cdot 2^{2x}
\]
Svolgendo i semplici calcoli algebrici mostrati nei passaggi precedenti otteniamo così la disequazione $3^x>7\cdot2^{2x}$, che è proprio del tipo descritto nella definizione 1: infatti la $x$ compare solo all’esponente, e entrambi i membri sono prodotti di termini positivi.
Procedendo come da osservazione 1, prendiamo il logaritmo naturale di entrambi i lati della disequazione, abbiamo
\[
\ln3^x>\ln\left(7\cdot2^{2x}\right)
\]
Applichiamo ora prima di tutto la proprietà del logaritmo di un prodotto, poi quella del logaritmo di una potenza. Il risultato sarà
\[
\ln3^x>\ln\left(7\cdot2^{2x}\right)\Rightarrow\ln3^x>\ln7+\ln2^{2x}\Rightarrow x\ln3>\ln7+2x\ln2
\]
In questo modo abbiamo ottenuto una semplice disequazione algebrica, che è possibile risolvere con i metodi già studiati:
\[
x\ln3>\ln7+2x\ln2\Rightarrow x\ln3-2x\ln2>\ln7\Rightarrow x\left(\ln3-2\ln2\right)>\ln7
\]
Il passaggio successivo richiede del ragionamento; infatti, per sapere se il maggiore va cambiato o no in minore quando entrambi i membri vengono divisi per il coefficiente della $x$ è necessario sapere se esso è maggiore o minore di 0. Con le proprietà dei logaritmi,
\[
\ln3-2\ln2=\ln3-\ln4<0
\]
visto che il logaritmo naturale è una funzione strettamente crescente. Dunque il segno della disequazione va cambiato, e otterremo alla fine
\[
x<\frac{\ln7}{\ln3-\ln4}=\frac{\ln7}{\ln\frac{3}{4}}=\log_{3/4}7
\]

Esempio 2: Si vuole risolvere la disequazione $4^{2x}+4^x-6\ge 0$.
Di solito, al risolvere una equazione o disequazione esponenziale, riduciamo tutte le basi ai loro fattori primi: così abbiamo fatto infatti nell’esempio 1; in questo caso, poiché l’unica base che compare è 4, non c’è questa necessità. Se poniamo $y=4^x$, la disequazione si trasforma in una polinomiale, e poiché essa è di secondo grado siamo anche in grado di risolverla facilmente:
\[
y=4^x\rightarrow y^2+y-6>0\\
\left(y-2\right)\left(y+3\right)>0\Rightarrow y < -3\cup y>2
\]
Ricordando la nostra posizione, le due disequazioni ottenute per la $y$ sono equivalenti a disequazioni esponenziali con la $x$: $\quad 4^x < -3 \cup 4^x>2$. La prima di esse è chiaramente impossibile, poichè per ogni valore reale di $x$ tutti gli esponenziali sono strettamente positivi. La seconda si risolve facilmente prendendo, secondo il metodo risolutivo visto, il logaritmo in base 4 di entrambi i membri
\[
4^x>2\Rightarrow\log_{4}4^x > \log_{4}2\Rightarrow x>\frac{1}{\log_{2}4}=\frac{1}{2}
\]
Evidenziamo ancora solo che il segno della disequazione non è cambiato poiché $4>0$, e che nell’ultimo passaggio abbiamo utilizzato la regola del cambio di base per scambiare argomento e base dell’ultimo logaritmo e ottenere più agevolmente il risultato.

 

Disequazioni logaritmiche

Definizione 1: Disequazione logaritmica
Si dice disequazioni logaritmica una disequazione in cui l’incognita $x$ è presente solo nell’ argomento di uno o più logaritmi.

Definizione 2: Disequazione logaritmica in forma canonica
Una disequazione logaritmica si dice essere in forma canonica allorché essa è scritta come
\[
\log_{b}f\left(x\right)<\log_{b}g\left(x\right) \] in cui \(f\left(x\right)\) e \(g\left(x\right)\) sono due funzioni qualsiasi dell’incognita $x$ e $b>0$, $b\ne1$.

Metodo risolutivo: La prima cosa da fare per risolvere una disequazione logaritmica è, come pure per le equazioni dello stesso tipo, portarla in forma canonica; normalmente questa operazione è abbastanza semplice e si porta a termine adoperando le proprietà dei logaritmi. Quando la disequazione si presenta nella forma mostrata dalla definizione 2, si sfrutta la proprietà di monotonia della funzione logaritmo per passare agli argomenti:
\[
\begin{array}{ccc}
b>1,\;\log_{b}f\left(x\right)<\log_{b}g\left(x\right) & \Rightarrow & f\left(x\right)< g\left(x\right)\\
0< b < 1,\;\log_{b}f\left(x\right)<\log_{b}g\left(x\right) & \Rightarrow & f\left(x\right)>g\left(x\right)
\end{array}
\]
Nel primo caso, la funzione logaritmo è crescente, dunque il segno non cambia; nell’altro caso invece la stretta decrescenza della funzione logaritmo implica la necessità di un cambiamento di segno. Ad ogni buon conto, dopo aver effettuato questo passaggio ci ritroveremo con una disequazione senza più i logaritmi, tipicamente algebrica e semplice da risolvere con altri metodi già studiati.
Come anche per le equazioni logaritmiche, è infine fondamentale controllare l’accettabilità delle soluzioni ottenute. A questo proposito dovremo porre ciascun argomento di ogni logaritmo della disequazione iniziale maggiore di 0, risolvere le disequazioni così ottenute, interesecarne i risultati e ottenere così il dominio della disequazione. Le soluzioni accettabili saranno tutte e sole quelle che si trovano nel dominio della disequazione.

Osservazione 1: Al contrario di quanto si fa per le equazioni, non è possibile nel caso delle disequazioni logaritmiche controllare a posteriori la validità delle soluzioni sostituendole una ad una nel testo dell’esercizio e appurando se questo risulta verificato. L’impossibilità è dovuta al fatto che tipicamente i risultati sono degli intervalli contenenti infinite soluzioni, che certo non possono verificarsi una ad una. Nel caso sia impossibile o molto difficile trovare il dominio della disequazione, si potrà ricorrere a ragionamenti di tipo diverso per testare la validità delle soluzioni; questi alle volte comprendono una rappresentazione grafica delle funzioni costituenti gli argomenti dei logaritmi.

 

Esempi di risoluzione di disequazioni logaritmiche

Esempio 1: Si vuole risolvere la disequazione \(\log_{1/4}\left[\ln\left(x\right)+\ln\left(x+1\right)\right]< -2\).
Essa è certamente una disequazione logaritmica, poiché la $x$ figura solo negli argomenti dei logaritmi, ma non è in forma canonica; occorrerà quindi, prima di applicare il metodo risolutivo, adoperare qualcuna delle proprietà dei logartimi:
\[
\log_{1/4}\left[\ln\left(x\right)+\ln\left(x+1\right)\right] < -2\Rightarrow\log_{1/4}\ln\left[x\left(x+1\right)\right]<\log_{1/4}\left(\frac{1}{4}\right)^{-2}
\]
In particolare in questo passaggio si sono adoperate la definizione stessa di logaritmo e la proprietà di logaritmo di un prodotto. Per quanto possa apparire complicata, quella che abbiamo ottenuto è una disequazione logaritmica in forma canonica, con base $b=\frac{1}{4}< 1$. Per passare agli argomenti sarà dunque necessario cambiare il segno: \[ \ln\left[x\left(x+1\right)\right]>\left(\frac{1}{4}\right)^{-2}\Rightarrow\ln\left(x^2+x\right)>16
\]
Ecco così ottenuta una nuova disequazione logaritmica, ma più semplice della precedente. Per risolverla applicheremo lo stesso metodo: prima la porteremo in forma canonica e poi passeremo agli argomenti, stavolta senza cambiare il segno poiché $b=e>1$.
\[
\ln\left(x^2+x\right)>\ln e^{16}\Rightarrow x^2+x>e^{16}
\]
La disequazione ottenuta è di secondo grado e molto semplice da risolvere. Per controllare la validità delle soluzioni la intersecheremo con le posizioni $x>0$ e $x+1>0$, costituenti il dominio della disequazione:
\[
\begin{array}{ccc}
\begin{cases}
x^2+x-e^{16}>0\\
x>0 \\
x+1>0
\end{cases} & \Rightarrow &
\begin{cases}
x < -\displaystyle\frac{1}{2}-\sqrt{e^{16}+\displaystyle\frac{1}{4}}\bigcup x>-\frac{1}{2}+\sqrt{e^{16}+\displaystyle\frac{1}{4}}\\
x>0 \\
x>-1
\end{cases}
\end{array}
\]
Col che la soluzione è senz’altro \(x>\sqrt{e^{16}+\displaystyle\frac{1}{4}}-\displaystyle\frac{1}{2}\).

Esempio 2: Si vuole risolvere la disequazione \(\ln\left(x^2-6x+8\right)\ge\ln\left(x-2\right)+\ln\left(x-4\right)\).
La disequazione logaritmica con la quale abbiamo a che fare adesso pare di semplice soluzione, ma richiede invece un po’ di attenzione. In primo luogo trasformiamola in forma canonica, come richiesto dalla definizione 2, applicando le proprietà dei logaritmi:
\[
\begin{array}{cc}
\begin{aligned}
\ln\left(x^2-6x+8\right) &\ge \ln\left(x-2\right)+\ln\left(x-4\right) & \Rightarrow \\
\ln\left(x^2-6x+8\right) &\ge \ln\displaystyle\left[\left(x-2\right)\left(x-4\right)\right] & \Rightarrow \\
\ln\left(x^2-6x+8\right) &\ge \ln\left(x^2-6x+8\right)
\end{aligned}
\end{array}
\]
A questo punto potremmo essere tentati di dire che, dal momento che i due membri della precedente disequazioni sono uguali e il segno presente è di minore o uguale, la soluzione sia $\forall x\in\mathbf{R}$, ma questo è errato. Infatti non è detto che i precedenti logaritmi esistano per tutti i valori di $x$, e quindi l’uguaglianza vale sì sempre, ma solo laddove i logaritmi in effetti esistono. Perciò la disequazione è equivalente al seguente sistema:
\[
\begin{array}{cc}
\begin{aligned}
& \begin{cases}
\ln\left(x^2-6x+8\right)\ge\ln\left(x^2-6x+8\right) \\
x^2-6x+8>0 \\
x-2>0 \\
x-4>0
\end{cases} & \Rightarrow \\
& \begin{cases}
\left(x-2\right)\left(x-4\right)>0 \\
x-2>0 \\
x-4>0
\end{cases} & \Rightarrow \\
& \begin{cases}
x>2 \\
x>4
\end{cases} & \Rightarrow
\end{aligned}
\end{array} \\
x>4
\]

Sicchè in definitiva la soluzione è solamente $x>4$, unica condizione che ammetta l’esistenza di tutti i logaritmi presenti nella disequazione data.

Osservazione 2: L’esempio 2 ci insegna che le condizioni di accettabilità delle soluzioni vanno sempre ricercate nel testo iniziale della disequazione, e mai nell’ultima disequazione nella quale appaiono ancora logaritmi. L’applicazione delle proprietà ad essi relative possono infatti finire col falsare le soluzioni ottenute.

 

Definizione di determinante e casi elementari

Definizioni

Ad ogni matrice quadrata $A$ viene assegnata una quantità numerica, detta determinante, che si indica con uno qualsiasi dei due simboli $\detA$, \(\left|A\right|\). Per tutta la durata di questa scheda supporremo che le matrici in esame siano quadrate.

Definizione 1: Determinante di una matrice di ordine 1.
Sia data una matrice quadrata $A=(a_{11})$ di ordine 1, costituita cioè da un solo elemento. In questo caso il determinante di $A$ coincide con detto elemento, ovvero $\detA=a_{11}$.

Definizione 2: Minore complementare.
Sia data una matrice quadrata $A$ di ordine $n>1$, e sia $a_{jk}$ un suo elemento. Si chiama minore complementare di $a_{jk}$ il determinante della matrice quadrata di ordine $n-1$ che si ottiene da $A$ sopprimendo la $j$-esima riga e la $k$-esima colonna.

Esempio 1: Si consideri la generica matrice $A$ di ordine 4 ed il suo elemento $a_{23}$. Il minore complementare di $a_{23}$ è il determinante della matrice $B$ di ordine 3 ottenuta da $A$ tramite la soppressione degli elementi rossi

\[
\begin{array}{ccc}
A=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \color{red}a_{\color{red}1\color{red}3} & a_{14} \\
\color{red}a_{\color{red}2\color{red}1} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}2} & \mathbf{\color{red}a_{\color{red}2\color{red}3}} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}4} \\
a_{31} & a_{32} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}3} & a_{34} \\
a_{41} & a_{42} & \color{red}a_{\color{red}4\color{red}3} & a_{44} \\
\end{pmatrix} & \rightarrow &
B=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & a_{14} & \\
a_{31} & a_{32} & a_{34} & \\
a_{41} & a_{42} & a_{44} & \\
\end{pmatrix}
\end{array}
\]

Definizione 3: Complemento algebrico.
Sia data una matrice quadrata $A$ di ordine $n>1$, e sia $a_{jk}$ un suo elemento. Si chiama complemento algebrico di $a_{jk}$ e si indica col simbolo $A_{jk}$ il minore complementare di $a_{jk}$ moltiplicato per la quantità $(-1)^{j+k}$.

Esempio 2: Nello stesso caso dell’esempio 1, possiamo dire che il complemento algebrico di $a_{23}$ è $A_{23}=-\det B$. Infatti in questo caso la quantità $j+k=2+3=5$ è dispari, e $-1$ elevato a un numero dispari fa ancora $-1$.

Osservazione 1: Se la quantità $j+k$ è pari, il complemento algebrico di $a_{jk}$ coincide con il suo minore complementare; se invece $j+k$ è dispari, il complemento algebrico di $a_{jk}$ è il suo minore complementare cambiato di segno.

Definizione 4: Determinante di una matrice di ordine $n>1$.
Il determinante di una matrice quadrata di ordine $n>1$ è dato dalla somma dei prodotti degli elementi di una riga o di una colonna per i rispettivi complementi algebrici.

Osservazione 2: Il determinante si definisce in maniera ricorsiva: ciò significa che si dà un modo diretto per calcolarlo valido per le matrici di ordine 1, mentre per la generica matrice di ordine $n$ il calcolo si può ricondurre a quello di determinanti di matrici di ordine via via più basso, fino a giungere al primo. Infatti il calcolo dei complementi algebrici degli elementi di una riga o una colonna di una matrice di ordine $n$ consiste nel calcolo di al più $n-1$ determinanti di matrici di ordine $n-1$.

Determinanti di matrici 2×2

Metodo per le matrici di ordine 2. Consideriamo una generica matrice di ordine 2:
\[
\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} \\
a_{21} & a_{22} \\
\end{pmatrix}
\]
In virtù della definizione 4, che è l’unica applicabile in quanto l’ordine di $A$ è maggiore di 1, per calcolare $\detA$ dovremo scegliere in primo luogo una linea della matrice, ovvero una sua riga o una sua colonna. Tipicamente, onde semplificare i calcoli, si sceglie la linea con più zeri; nel nostro caso generico sceglieremo la prima riga. Avremo allora:
\[
\det A=a_{11}A_{11}+a_{12}A_{12}
\]
$A_{11}$, essendo il complemento algebrico di $a_{11}$, è pari a $(-1)^{1+1}\det(a_{22})$; similmente, per $A_{12}$ avremo la formula $(-1)^{1+2}\det(a_{21})$. In effetti, le matrici $(a_{22})$ e $(a_{21})$, quadrate di ordine 1, sono proprio quelle ottenute da $A$ sopprimendo le linee indicate dagli indici di $a_{11}$ e $a_{12}$ rispettivamente. In ultimo avremo
\[
\det A=a_{11}a_{22}-a_{12}a_{21}
\]
ricordando la definizione 1 per calcolare $\det(a_{22})$ e $\det(a_{21})$. A quanto pare, il calcolo del determinante di una matrice quadrata qualsiasi di ordine 2 si riduce al prodotto degli elementi della diagonale principale diminuito del prodotto degli elementi della diagonale secondaria.

Osservazione 3: Il risultato testé ottenuto sarebbe stato identico qualora, in luogo della prima, avessimo scelto la seconda riga o una qualsiasi delle colonne. Questo fatto, che si dimostra facilmente per la matrici di ordine 2, si può provare in generale adoperando le proprietà dei determinanti.

Esempio 3: Si calcoli il determinante della matrice
\[
A=\begin{pmatrix}
3 & 1 \\
6 & 2 \\
\end{pmatrix}
\]
Grazie alla formula appena ottenuta, potremo scrivere direttamente
\[
\det A=3\cdot 2-1\cdot 6=6-6=0
\]
Se per esempio avessimo scelto di sviluppare tale determinante rispetto alla prima colonna avremmo invece dovuto scrivere
\[
\det A=a_{11}A_{11}+a_{21}A_{21}=3\cdot 2-6\cdot 1=0
\]
ottenendo al fine lo stesso risultato, come da osservazione 3.

 

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Se hai qualche dubbio o bisogno d’aiuto, puoi chiedere nella sezione Geometria e Algebra lineare del Forum di Matematicamente.it.

 

Determinanti di matrici di ordine superiore. Regola di Sarrus

Determinanti di matrici 3×3

Metodo per le matrici di ordine 3. Consideriamo una generica matrice di ordine 3:
\[
A=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & a_{13} \\
a_{21} & a_{22} & a_{23} \\
a_{31} & a_{32} & a_{33} \\
\end{pmatrix}
\]
In virtù della definizione di determinante di una matrice di ordine $n>1$, per calcolare il determinante di $A$ dovremo prima di tutto scegliere una linea, diciamo la prima riga, e quindi sviluppare il calcolo nel modo seguente:
\[
\det A=a_{11}A_{11}+a_{12}A_{12}+a_{13}A_{13}
\]
Quindi, per la definizione di complemento algebrico, scriveremo
\[
\begin{array}{c}
\begin{aligned}
=&a_{11}(-1)^{1+1}\det\begin{pmatrix}a_{22}&a_{23}\\a_{32}&a_{33}\end{pmatrix}+a_{12}(-1)^{1+2}\det\begin{pmatrix}a_{21}&a_{23}\\a_{31}&a_{33}\end{pmatrix}+\\
+&a_{13}(-1)^{1+3}\det\begin{pmatrix}a_{21}&a_{22}\\a_{31}&a_{32}\end{pmatrix}=\\
=&a_{11}\det\begin{pmatrix}a_{22}&a_{23}\\a_{32}&a_{33}\end{pmatrix}-a_{12}\det\begin{pmatrix}a_{21}&a_{23}\\a_{31}&a_{33}\end{pmatrix}+a_{13}\det\begin{pmatrix}a_{21}&a_{22}\\a_{31}&a_{32}\end{pmatrix}
\end{aligned}
\end{array}
\]
cosicché il calcolo di un determinante di una matrice di ordine 3 si è ridotto al calcolo di 3 determinanti di matrici di ordine 2. Per procedere adopereremo la formula già nota per il calcolo di questi ultimi determinanti:
\[
\begin{aligned}
=&a_{11}(a_{22}a_{33}-a_{23}a_{32})-a_{12}(a_{21}a_{33}-a_{23}a_{31})+\\
+&a_{13}(a_{21}a_{32}-a_{22}a_{31})=\\
=&a_{11}a_{22}a_{33}-a_{11}a_{23}a_{32}-a_{12}a_{21}a_{33}+a_{12}a_{23}a_{31}+\\
+&a_{13}a_{21}a_{32}-a_{13}a_{22}a_{31}=\\
=&(a_{11}a_{22}a_{33}+a_{12}a_{23}a_{31}+a_{13}a_{21}a_{32})+\\
-&(a_{11}a_{23}a_{32}+a_{12}a_{21}a_{33}+a_{13}a_{22}a_{31})
\end{aligned}
\]
Questa formula è certo difficile da ricordare, e ancor più da utilizzare senza fare errori. A questo proposito esistono due regole mnemoniche semplici che consentono di ricavare la suddetta formula:

Regola di Sarrus. A partire dalla matrice $A$ quadrata di ordine 3 data, scriviamo la seguente matrice rettangolare con 3 righe e 5 colonne:
\[
\begin{pmatrix}
\color{red}a_{\color{red}1\color{red}1} & \color{red}a_{\color{red}1\color{red}2} & \color{red}a_{\color{red}1\color{red}3} & \color{green}a_{\color{green}1\color{green}1} & \color{green}a_{\color{green}1\color{green}2} \\
\color{red}a_{\color{red}2\color{red}1} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}2} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}3} & \color{green}a_{\color{green}2\color{green}1} & \color{green}a_{\color{green}2\color{green}2} \\
\color{red}a_{\color{red}3\color{red}1} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}2} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}3} & \color{green}a_{\color{green}3\color{green}1} & \color{green}a_{\color{green}3\color{green}2} \\
\end{pmatrix}
\]
Essa si ottiene dalla $A$, qui indicata in rosso, aggiungendovi le due colonne verdi a destra; esse devono essere uguali alla prima e alla seconda colonna di $A$. A questo punto leggiamo la matrice ottenuta diagonalmente nei due modi seguenti:
\[
\begin{array}{cc}
\begin{pmatrix}
\color{cyan}a_{\color{cyan}1\color{cyan}1} & \color{red}a_{\color{red}1\color{red}2} & \color{green}a_{\color{green}1\color{green}3} & a_{11} & a_{12} \\
a_{21} & \color{cyan}a_{\color{cyan}2\color{cyan}2} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}3} & \color{green}a_{\color{green}2\color{green}1} & a_{22} \\
a_{31} & a_{32} & \color{cyan}a_{\color{cyan}3\color{cyan}3} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}1} & \color{green}a_{\color{green}3\color{green}2} \\
\end{pmatrix} &
\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \color{cyan}a_{\color{cyan}1\color{cyan}3} & \color{red}a_{\color{red}1\color{red}1} & \color{green}a_{\color{green}1\color{green}2} \\
a_{21} & \color{cyan}a_{\color{cyan}2\color{cyan}2} & \color{red}a_{\color{red}2\color{red}3} & \color{green}a_{\color{green}2\color{green}1} & a_{22} \\
\color{cyan}a_{\color{cyan}3\color{cyan}1} & \color{red}a_{\color{red}3\color{red}2} & \color{green}a_{\color{green}3\color{green}3} & a_{31} & a_{32} \\
\end{pmatrix}
\end{array}
\]
Nell’immagine a sinistra gli elementi dello stesso colore sono i fattori dei tre prodotti che vanno presi con segno positivo nel calcolo del determinante; nell’immagine a destra, invece, vediamo nello stesso colore i fattori dei prodotti che vanno presi con segno negativo. In questo modo gli allineamenti diagonali ci consentono di non dover ricordare l’intera formula precedente.

Esempio 1. Si calcoli con la regola di Sarrus il determinante della matrice seguente:
\[
A=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
0& & 5& & 4&\\
2& & 1& & -1&\\
-3& & 4& & 2&\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\]
Riscriviamo la matrice $A$ e ripetiamo, alla sua destra, le prime due colonne
\[
A=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
0& & 5& & 4& & 0& & 5&\\
2& & 1& & -1& & 2& & 1&\\
-3& & 4& & 2& & -3& & 4&\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\]
Leggiamo adesso la matrice rettangolare ottenuta secondo i due allineamenti precedenti
\[
\begin{array}{c}
\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
\color{cyan}0& & \color{red}5& & \color{green}4& & 0& & 5&\\
2& & \color{cyan}1& & \color{red}-\color{red}1& & \color{green}2& & 1&\\
-3& & 4& & \color{cyan}2& & \color{red}-\color{red}3& & \color{green}4&\\
\end{aligned}
\end{pmatrix} \\
\\
\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
0& & 5& & \color{cyan}4& & \color{red}0& & \color{green}5&\\
2& & \color{cyan}1& & \color{red}-\color{red}1& & \color{green}2& & 1&\\
\color{cyan}-\color{cyan}3& & \color{red}4& & \color{green}2& & -3& & 4&\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\end{array}
\]
\[
\begin{aligned}
&\rightarrow[\color{cyan}0\cdot\color{cyan}1\cdot\color{cyan}2+\color{red}5\cdot\color{red}(\color{red}-\color{red}1\color{red})\cdot\color{red}(\color{red}-\color{red}3\color{red})+\color{green}4\cdot\color{green}2\cdot\color{green}4]+\\
& -[\color{cyan}(\color{cyan}-\color{cyan}3\color{cyan})\cdot\color{cyan}1\cdot\color{cyan}4+\color{red}4\cdot\color{red}(\color{red}-\color{red}1\color{red})\cdot\color{red}0+\color{green}2\cdot\color{green}2\cdot\color{green}5] \\
&\rightarrow[0+15+32]-[-12+0+20]=47-8=39
\end{aligned}
\]
Dunque il determinante della matrice data è $\det A=39$.

Regola dei triangoli. Un altro modo utile per ricordare la formula per il determinante delle matrici quadrate di ordine 3 è il seguente. Scriviamo ancora una volta la generica matrice $A$, segnamone la diagonale principale e dividiamo gli elementi rimanenti in due triangoli:

Facciamo lo stesso una seconda volta, segnando però per prima la diagonale secondaria. Ciò che otteniamo è ancora di dividere gli elementi della matrice in sei gruppi da 3, costituenti i fattori dei prodotti che vanno presi con il più nel primo caso e con il meno nel secondo. Questo metodo è del tutto equivalente a quello di Sarrus, ma ci evita un po’ di scrittura, potendosi i triangoli dati “disegnare” a mente.

Determinanti di matrici n x n

Metodo per le matrici di ordine $n$. Consideriamo la generica matrice quadrata $A$ di ordine $n>1$:
\[
\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1n}\\
a_{21} & a_{22} & \cdots & a_{2n}\\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots\\
a_{n1} & a_{n2} & \cdots & a_{nn}\\
\end{pmatrix}
\]
In base alla definizione di determinante, in primo luogo scegliamo una sua linea qualsiasi, ad esempio la $j$-esima riga, e quindi scriviamo
\[
\det A=\sum_{k=1}^n a_{jk}A_{jk}
\]
Ciascun $A_{jk}$, essendo il complemento algebrico di un elemento di una matrice $n\times n$, comporta il calcolo di un determinante di ordine $n-1$: dunque il calcolo del determinante di $A$ si è ridotto a quello di $n$ determinanti ordine $n-1$. Ciascuno di questi determinanti si potrà a sua volta ridurre al calcolo di $n-1$ determinanti di ordine $n-2$, e così via. La semplificazione ha termine allorché i determinanti da calcolare diventano del terzo ordine, perché in questo caso possiamo usare la regola di Sarrus o quella dei triangoli e trovare la soluzione.

Osservazione 1. Se invece della $j$-esima riga avessimo scelto la $k$-esima colonna, la formula da usare per calcolare il determinante di $A$ sarebbe stata quasi identica:
\[
\det A=\sum_{j=1}^n a_{jk}A_{jk}
\]

Osservazione 2. Poiché la parte difficile della formula precedente consiste nel calcolo dei complementi algebrici, e dal momento che ciascuno di questi è moltiplicato per l’elemento di matrice cui corrisponde, il calcolo sarà grandemente semplificato se sceglieremo una linea con molti zeri. In questo caso infatti il prodotto $a_{jk}A_{jk}$ farà automaticamente zero, indipendentemente dal valore del complemento algebrico, per ogni $a_{jk}=0$.

Esempio 2. Si calcoli il determinante della matrice
\[
A=\begin{pmatrix}
\begin{aligned}
1 & &5 & &7 & &-1\\
0 & &0 & &4 & &0\\
2 & &0 & &-1 & &3\\
0 & &2 & &0 & &-3\\
\end{aligned}
\end{pmatrix}
\]
La linea della matrice $A$ dotata di più zeri in assoluto è la seconda riga; svilupperemo quindi il determinante di $A$ rispetto a tale linea, secondo la formula
\[
\det A=\sum_{k=1}^4 a_{2k}A_{2k}=a_{21}A_{21}+a_{22}A_{22}+a_{23}A_{23}+a_{24}A_{24}
\]
Sostituendo i valori degli elementi di $A$, abbiamo subito
\[
\begin{aligned}
&\det A=4A_{23}=4(-1)^{2+3}\det\begin{pmatrix}1&5&-1\\2&0&3\\0&2&-3\end{pmatrix}=\\
&=-4\det\begin{pmatrix}1&5&-1\\2&0&3\\0&2&-3\end{pmatrix}
\end{aligned}
\]
col che l’unico calcolo che resta da fare è quello di un determinante di una matrice di ordine 3. Adoperando la regola dei triangoli, otteniamo
\[
\begin{aligned}
&\det A=-4\, [\,(0+0-4)-(0-30+6)\,]=-4\,[\,-4+24\,]\,=\\
&=-80
\end{aligned}
\]
Osservazione 3. Altre scelte sensate sarebbero state la quarta riga, la prima o la seconda colonna, tutte e tre dotate di due zeri. Se avessimo voluto sviluppare il determinante rispetto alla prima riga avremmo dovuto invece calcolare ben 4 determinanti di ordine 3, allungando moltissimo i calcoli.

 

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Proprietà dei determinanti

Proprietà

Osservazione 1. Il calcolo di un determinante, per quanto in teoria sia semplice, può poi in pratica risultare lungo e complesso, specie quando le matrici esaminate sono di ordine alto e hanno pochi zeri. A questo proposito si ricorre spesso ad un certo numero di proprietà sui determinanti, che consentono di ridurre il problema ad uno più semplice.

Proprietà 1. Se una delle linee di $A$ è composta solo da zeri, allora $\det A=0$.

Proprietà 2. Se $A$ è una matrice diagonale o triangolare, allora \(\det A=a_{11}a_{22}\ldots a_{nn}\).

Proprietà 3. Data una matrice $A$, se $B$ è ottenuta da $A$ moltiplicando per uno stesso scalare $k$ tutti gli elementi di una linea, allora $\det B=k\det A$.

Proprietà 4. Se le matrici $A$, $B$ e $C$ hanno tutti gli elementi uguali esclusi al più quelli della linea $j$-esima, per la quale vale che $a_{j}+b_{j}=c_{j}$, allora $\det A+\det B=\det C$.

Proprietà 5. Se due linee della matrice $A$ sono proporzionali secondo un qualsiasi scalare $k$, allora $\det A=0$.

Proprietà 6. Se a una linea di $A$ si somma una qualsiasi combinazione lineare delle linee di $A$ ad essa parallele, il determinante non cambia.

Proprietà 7. Se una linea di $A$ è combinazione lineare di due o più linee di $A$ ad essa parallele, allora $\det A=0$.

Proprietà 8. Se $B$ si ottiene da $A$ scambiando due linee parallele, allora $\det B=-\det A$.

Teorema di Binet. \(\det(A\cdot B)=\det A\cdot\det B\).

Osservazione 2. La proprietà 1 è un caso particolare sia della 3 che della 5, corrispondente in ambo i casi a $k=0$.

Osservazione 3. La proprietà 2 implica, tra le altre cose, che il determinante di una matrice identica è sempre 1, indipendentemente dal suo ordine.

Osservazione 4. Nel caso particolare che risulti $k=1$, la proprietà 5 dice che una matrice con due linee uguali ha il determinante nullo.

Osservazione 5. La proprietà 7 discende direttamente dalla 6: infatti se la linea $a_{j}$ si scrive come combinazione lineare di una o più linee di $A$ ciò è vero anche per $-a_{j}$; in virtù di ciò, il determinante di $A$ deve rimanere invariato quando ad $a_{j}$ si sommi $-a_ {j}$, ovvero quando la linea $j$-esima sia tutta nulla. Questo, per la proprietà 1, significa che $\det A=0$.

Esempi numerici

Osservazione 6:. Le dimostrazioni inerenti le matrici sono tipicamente lunghe e gravose, e poco aggiungono alla comprensione delle proprietà esaminate. In questa sede si ritiene più opportuno esaminare invece degli esempi applicativi.

Esempio 1. Calcolare il determinante di \(A=\begin{pmatrix}7&0&-1\\0&0&1\\3&0&2\\\end{pmatrix}\).

Grazie alla proprietà 1, possiamo direttamente dire che $\det A=0$ senza necessità di usare la regola di Sarrus: infatti, la seconda colonna è composta interamente da zeri. Per essere più convinti che ciò sia vero, possiamo provare ad usare la regola dei triangoli: ci rendiamo così subito conto che in ognuno dei fattori da considerare c’è almeno uno 0, e che quindi il determinante è nullo.

Esempio 2. Calcolare il determinante di \(A=\begin{pmatrix}3&4&2\\0&0&1\\0&0&9\end{pmatrix}\).

La matrice adesso in esame non ha nessuna linea composta solo da zeri, e quindi la prima proprietà non si può applicare; d’altro canto possiamo utilizzare tanto la seconda quanto la quinta. Nel primo caso, notiamo che $A$ è superiormente triangolare e che quindi sarà $\det A=3\cdot 0\cdot 9=0$; nel secondo caso possiamo invece osservare che la terza riga si ricava dalla seconda moltiplicando per $k=9$ tutti i suoi elementi, e quindi concludere ancora che $\det A=0$.

Esempio 3. Calcolare il determinante di \(C=\begin{pmatrix}6&2&0\\0&-1&0\\0&4&8\\\end{pmatrix}\).

In questo caso possiamo definire due nuove matrici \(A=\begin{pmatrix}6&0&0\\0&-1&0\\0&0&8\\\end{pmatrix}\) e \(B=\begin{pmatrix}6&2&0\\0&0&0\\0&4&8\\\end{pmatrix}\).
Notiamo che tutti gli elementi di $A$, $B$ e $C$ che non si trovino sulla seconda colonna coincidono, e che inoltre la seconda colonna di $A$, sommata a quella di $B$, dà quella di $C$. Ci troviamo perciò nel caso della proprietà 4, e $\det C=\det A+\det B=-48+0=-48$.
Il risultato è stato semplice da ottenere grazie alle proprietà 1 e 2, che si applicano a $B$ ed $A$ rispettivamente.

Esempio 4. Calcolare il determinante di \(A=\begin{pmatrix}3&0&8\\0&-1&0\\0&4&4\\\end{pmatrix}\).

Applichiamo, a titolo d’esempio, la proprietà 6. Sommiamo alla prima riga di $A$ quella combinazione lineare che si ottiene dalle altre due righe moltiplicando la seconda per 7 e la terza per 2:
\[
\begin{pmatrix}3&0&-8\end{pmatrix}+7\begin{pmatrix}0&-1&0\end{pmatrix}+2\begin{pmatrix}0&4&4\end{pmatrix}=\begin{pmatrix}3&1&0\end{pmatrix}
\]
In virtù allora della succitata proprietà,
\[
\det A=\det\begin{pmatrix}
3 & 1 & 0\\
0 &-1 & 0\\
0 & 4 & 4\\
\end{pmatrix}
\]
Adoperiamo adesso la proprietà 3: la matrice $B$ si ottiene dall’ultima scritta moltiplicando per $k=2$ tutti gli elementi dell’ultima colonna, dunque
\[
\begin{aligned}
&B=\begin{pmatrix}
3 & 1 & 0\\
0 &-1 & 0\\
0 & 4 & 8\\
\end{pmatrix},\\
\\
&\det A=\det\begin{pmatrix}
3 & 1 & 0\\
0 &-1 & 0\\
0 & 4 & 4\\
\end{pmatrix}=\frac{1}{2}\det\begin{pmatrix}
3 & 1 & 0\\
0 &-1 & 0\\
0 & 4 & 8\\
\end{pmatrix}
\end{aligned}
\]
Applicando nuovamente la proprietà 3, ma stavolta sulla prima riga, ci riportiamo infine a una matrice, la $C$, di cui conosciamo già il determinante perché l’abbiamo calcolato nell’esempio precedente. Concludiamo in tal modo che
\[
\begin{aligned}
&C=\begin{pmatrix}
6 & 2 & 0\\
0 &-1 & 0\\
0 & 4 & 8\\
\end{pmatrix},\\
\\
&\det A=\frac{1}{2}\det\begin{pmatrix}
3 & 1 & 0\\
0 &-1 & 0\\
0 & 4 & 8\\
\end{pmatrix}=\frac{1}{4}\det C=-\frac{48}{4}=-12
\end{aligned}
\]

 

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Matrice inversa e Teorema di Laplace

Definizioni

Definizione 1. Matrice inversa.
Sia $A$ una matrice quadrata di ordine $n$. Si chiama matrice inversa di $A$ e si indica con $A^{-1}$ una matrice quadrata di ordine $n$, se esiste, tale che
\[
\begin{array}{cc}
A \cdot A^{-1}=I, & A^{-1}\cdot A=I
\end{array}
\]
dove $I$ è la matrice identica di ordine $n$.

Definizione 2. Matrice invertibile.
Una matrice quadrata $A$ per la quale esista una matrice inversa è detta invertibile, o non singolare.

Definizione 3. Matrice singolare.
Una matrice quadrata $A$ per la quale non esista una matrice inversa è detta singolare, o non invertibile.

Osservazione 1. Se una matrice $A$ è invertibile, allora la sua inversa $A^{-1}$ è unica. Infatti, se esistessero due matrici $B$ e $C$ entrambe inverse di $A$, potremmo applicare la definizione 1 e l’associatività del prodotto matriciale per provare la seguente uguaglianza
\[
C=I\cdot C=(B\cdot A)\cdot C=B\cdot (A\cdot C)=B\cdot I=B
\]
la quale dimostra che $C=B$, e che quindi esiste solamente un’inversa per la matrice $A$.

Osservazione 2. Se una matrice $A$ è invertibile, allora il suo determinante è diverso da 0 e il determinante della sua inversa, anch’esso non nullo, è il reciproco del determinante di $A$. Infatti se $A$ è invertibile, allora vale
\[
\begin{array}{ccc}
\begin{aligned}
&A\cdot A^{-1}=I\Rightarrow & &|A\cdot A^{-1}|=|I|=1\Rightarrow & &|A|\cdot |A^{-1}|=1\Rightarrow\\
&\Rightarrow |A^{-1}|=\frac{1}{|A|} & & & &\\
\end{aligned}
\end{array}
\]
Il terzo passaggio segue dal secondo per il Teorema di Binet, e prova che i determinanti in gioco sono entrambi non nulli. Il quarto passaggio prova poi l’ultima affermazione fatta.

 

Teorema di Laplace

Sia $A$ una matrice quadrata di ordine $n$ tale che $|A|\ne 0$. Allora $A$ è invertibile, e la sua inversa è la trasposta della matrice $A’$ dei complementi algebrici di $A$, divisa per $|A|$. In formule,
\[
A^{-1}=\frac{A’_{T}}{|A|}=\begin{pmatrix}
\displaystyle\frac{A_{11}}{|A|} & \displaystyle\frac{A_{21}}{|A|} & \cdots & \displaystyle\frac{A_{n1}}{|A|} \\
\displaystyle\frac{A_{12}}{|A|} & \displaystyle\frac{A_{22}}{|A|} & \cdots & \displaystyle\frac{A_{n2}}{|A|} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
\displaystyle\frac{A_{1n}}{|A|} & \displaystyle\frac{A_{2n}}{|A|} & \cdots & \displaystyle\frac{A_{nn}}{|A|} \\
\end{pmatrix}
\]
Dimostrazione. Dall’osservazione 1 sappiamo già che, se l’inversa della matrice $A$ esiste, allora essa è unica. Ciò significa che ci basta dimostrare che la matrice $A^{-1}$ su scritta gode delle proprietà di cui alla definizione 1, ovvero che $A\cdot A^{-1}=I$, poiché l’altra proprietà si prova in maniera molto simile. Effettuiamo dunque il prodotto matriciale
\[
B=\begin{pmatrix}
a_{11} & a_{12} & \cdots & a_{1n}\\
a_{21} & a_{22} & \cdots & a_{2n}\\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots\\
a_{n1} & a_{n2} & \cdots & a_{nn}\\
\end{pmatrix}\cdot
\begin{pmatrix}
\displaystyle\frac{A_{11}}{|A|} & \displaystyle\frac{A_{21}}{|A|} & \cdots & \displaystyle\frac{A_{n1}}{|A|} \\
\displaystyle\frac{A_{12}}{|A|} & \displaystyle\frac{A_{22}}{|A|} & \cdots & \displaystyle\frac{A_{n2}}{|A|} \\
\vdots & \vdots & \ddots & \vdots \\
\displaystyle\frac{A_{1n}}{|A|} & \displaystyle\frac{A_{2n}}{|A|} & \cdots & \displaystyle\frac{A_{nn}}{|A|} \\
\end{pmatrix}
\]
Il generico elemento della matrice $B$ di posto $(j,k)$, ovvero $b_{jk}$, si potrà scrivere come
\[
b_{jk}=\displaystyle\sum_{i=1}^{n}a_{ji}\frac{A_{ki}}{|A|}=\frac{1}{|A|}\sum_{i=1}^{n}a_{ji}A_{ki}
\]
Si distinguono adesso due casi. Se $j=k$, ovvero se l’elemento $b_{jk}$ si trova sulla diagonale principale della matrice $B$, allora scriveremo
\[
b_{jj}=\frac{1}{|A|}\sum_{i=1}^{n}a_{ji}A_{ji}=\frac{1}{|A|}|A|=1
\]
in quanto la somma data è, per definizione, il determinante della matrice $A$ sviluppato rispetto alla $j$-esima riga. Qualora invece dovesse risultare $j\ne k$, la somma scritta appare essere lo sviluppo di un determinante, ma i complementi algebrici associati agli elementi della riga $j$-esima sono quelli relativi alla riga $k$-esima. Si tratta cioè, a tutti gli effetti, del determinante della matrice che si ottiene da $A$ sostituendo alla riga $k$-esima una copia della $j$-esima. Tale matrice ha però due righe uguali, il che significa che il suo determinante è nullo. Riassumendo,
\[
b_{jk}=\begin{cases}
1, & \mbox{se}\; j=k\\
0, & \mbox{se}\; j\ne k\\
\end{cases}
\]
ovvero gli elementi della diagonale principale di $B$ sono 1, e tutti gli altri 0: questo significa che $B$ è la matrice identica, col che il teorema è dimostrato.

Osservazione 3. È subito chiara la motivazione per cui deve risultare $|A|\ne 0$. Se così non fosse, infatti, la divisione per il determinante di $A$ necessaria alla definizione della matrice inversa sarebbe impossibile da eseguire.

 

Esempi

Esempio 1. Calcolare l’inversa della matrice
\[
A=\begin{pmatrix}
0 & -1 & 2\\
1 & 0 & -1\\
0 & 1 & 0\\
\end{pmatrix}
\]
Per calcolare l’inversa di $A$ vogliamo applicare il Teorema di Laplace; per far ciò dobbiamo prima accertarci che sia $|A|\ne 0$, altrimenti $A$ non sarà invertibile. Utilizzando la regola di Sarrus o sviluppando il determinante rispetto alla terza riga scopriamo subito che $|A|=2$, e dunque esiste l’inversa di $A$. Calcoliamo adesso i complementi algebrici di tutti i suoi elementi:
\[
\begin{array}{cc}
A_{11}=\begin{vmatrix}
0 & -1\\
1 & 0\\
\end{vmatrix}=1, &
A_{12}=-\begin{vmatrix}
1 & -1\\
0 & 0\\
\end{vmatrix}=0\ldots
\end{array}
\]
Terminata questa operazione, scriviamo la matrice dei complementi algebrici, troviamone la trasposta e dividiamo quanto ottenuto per il determinante di $A$:
\[
\begin{array}{ccc}
A’=\begin{pmatrix}
1 & 0 & 1\\
2 & 0 & 0\\
1 & 2 & 1\\
\end{pmatrix}\Rightarrow &
A’_{T}=\begin{pmatrix}
1 & 2 & 1\\
0 & 0 & 2\\
1 & 0 & 1\\
\end{pmatrix}\Rightarrow\\
A^{-1}=\begin{pmatrix}
\displaystyle\frac{1}{2} & 1 & \displaystyle\frac{1}{2}\\
0 & 0 & 1\\
\displaystyle\frac{1}{2} & 0 & \displaystyle\frac{1}{2}\\
\end{pmatrix} & \;\\
\end{array}
\]
Così abbiamo trovato l’inversa. Verifichiamo quanto calcolato:
\[
\begin{array}{c}
A\cdot A^{-1}=\begin{pmatrix}
0 & -1 & 2\\
1 & 0 & -1\\
0 & 1 & 0\\
\end{pmatrix}\cdot
\begin{pmatrix}
\displaystyle\frac{1}{2} & 1 & \displaystyle\frac{1}{2}\\
0 & 0 & 1\\
\displaystyle\frac{1}{2} & 0 & \displaystyle\frac{1}{2}\\
\end{pmatrix}=\\
=\begin{pmatrix}
1 & 0 & -1+1\\
\displaystyle\frac{1}{2}-\displaystyle\frac{1}{2} & 1 & \displaystyle\frac{1}{2}-\displaystyle\frac{1}{2}\\
0 & 0 & 1\\
\end{pmatrix}=I
\end{array}
\]

 

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Rango di una matrice e Teorema di Kronecker

Definizioni

Definizione 1. Matrice estratta.
Sia $A$ una matrice qualsiasi di ordine $(m,n)$. Una matrice $B$ di ordine $(m’,n’)$, con $m’\le m$ ed $n’\le n$, si dice estratta da $A$ allorché, scelte in modo opportuno $m’$ righe ed $n’$ colonne di $A$, $B$ risulta formata ordinatamente da quegli elementi di $A$ che appartengono contemporaneamente alle linee prescelte.

Definizione 2. Minore d’ordine $p$.
Sia $A$ una matrice, e sia $B$ una matrice quadrata da essa estratta. Se $B$ ha ordine $p$, ovvero se ha $p$ righe e $p$ colonne, allora $|B|$ è detto minore di ordine $p$ della matrice $A$.

Definizione 3. Rango di una matrice.
Sia $A$ una matrice; si chiama rango di $A$ e si indica con $r$ il massimo ordine dei suoi minori non nulli.

Osservazione 1. La definizione 3 può essere resa meno rigorosa, ma più chiara, nel modo che segue. Consideriamo la matrice quadrata di ordine più alto tra tutte quelle estratte da $A$ aventi determinante non nullo: il suo ordine è il rango di $A$. Ciò equivale ad affermare non solo che esiste una sottomatrice di $A$ di ordine $r$ il cui determinante è non nullo, ma anche che tutte le altre matrici quadrate estratte da $A$ aventi ordine maggiore di $r$ hanno determinante nullo.

Osservazione 2: Per quanto la definizione sia semplice, l’effettivo calcolo del rango di una matrice può rivelarsi complicato. A questo scopo introduciamo la definizione seguente:

Definizione 4. Matrice orlata.
Sia data una matrice $A$ qualsiasi. Una matrice $B$ ricavata da $A$ aggiungendole esattamente una riga ed una colonna viene detta matrice orlata di $A$ o orlato di $A$, ed il passare in tal modo da $A$ a $B$ si dice orlare.

Osservazione 3. Com’è chiaro, se $B$ è un orlato di $A$, allora $A$ è una sottomatrice di $B$ e si può considerare come una sua particolare matrice estratta.

 

Teorema di Kronecker

Teorema di Kronecker. Sia data una matrice $A$. Essa ha rango $r$ se e soltanto se esiste $B$ un minore di ordine $r$ di $A$ non nullo e tutte le matrici che si ottengono da $B$ orlandolo con righe e colonne di $A$ hanno determinante nullo.

Osservazione 4. In virtù del Teorema di Kronecker, che non dimostriamo, la procedura che è necessario seguire per determinare il rango della matrice $A$ è notevolmente semplificata, e si può riassumere nell’algoritmo seguente:

  1. Scegliere un elemento di $A$ non nullo (se $A$ è la matrice nulla, il suo rango è $r=0$).
  2. Orlarlo in tutti i modi possibili con righe e colonne di $A$, calcolando tutti i determinanti.
  3. Se tutti i determinanti sono nulli, allora $r=1$. Se così non è, abbiamo trovato una
    matrice estratta da $A$ avente ordine 2 il cui determinante è non nullo.
  4. Orlare tale matrice in tutti i modi possibili con righe e colonne di $A$.
  5. Se tutti i determinanti delle matrici risultanti sono nulli, allora $r=2$. Altrimenti abbiamo una matrice estratta da $A$ avente ordine 3 e determinante non nullo.

Continuando così fino a che non è più possibile orlare il minore in esame, o fermandosi prima se tutti i determinanti esaminati sono nulli, si determina il rango di $A$.

 

Esempi

Esempio 1. Calcolare il rango della matrice
\[
A=\begin{pmatrix}
1 & -1 & 3\\
-1 & 1 & -1\\
2 & 1 & 0\\
\end{pmatrix}
\]
Per risolvere questo esercizio vogliamo adoperare il Teorema di Kronecker, in particolare nella forma fornitaci dall’osservazione 4. A questo proposito osserviamo subito che la matrice è non nulla, e quindi il suo rango non può essere 0; nello scegliere un suo qualsiasi elemento non nullo, tipicamente si preferisce prendere il primo elemento della prima riga, quindi
\[
\begin{array}{ccc}
\begin{pmatrix}
\color{red}1 & -1 & 3\\
-1 & 1 & -1\\
2 & 1 & 0\\
\end{pmatrix}, &
|1|=1\ne 0\Rightarrow &
r\ge 1
\end{array}
\]
Adesso occorre orlare il minore prescelto. Per fare ciò, scegliamo una riga e una colonna cui tale elemento non appartenga, e consideriamo la matrice formata da esse:
\[
\begin{array}{cc}
\begin{pmatrix}
\color{red}1 & \color{green}-\color{green}1 & 3\\
\color{green}-\color{green}1 & \color{green}1 & -1\\
2 & 1 & 0\\
\end{pmatrix}, &
\begin{vmatrix}
1 & -1\\
-1 & 1\\
\end{vmatrix}=0
\end{array}
\]
Il determinante di questa matrice è 0. Ciò non aggiunge nulla alla nostra conoscenza del rango della matrice $A$, perchè solo se tutti gli orlati della matrice rossa hanno determinante nullo allora potremo concludere che $r=1$. Orliamo dunque il primo elemento con una differente combinazione di righe e colonne:
\[
\begin{array}{cc}
\begin{pmatrix}
\color{red}1 & -1 & \color{green}3\\
\color{green}-\color{green}1 & 1 & \color{green}-\color{green}1\\
2 & 1 & 0\\
\end{pmatrix}, &
\begin{vmatrix}
1 & 3\\
-1 & -1\\
\end{vmatrix}=1+3=4\ne 0\Rightarrow r\ge 2
\end{array}
\]
Questa volta abbiamo trovato un minore non nullo. Ciò ci consente di dire che non tutti i minori di $A$ di ordine 2 sono nulli, e che quindi il rango è per lo meno 2. Per accertarcene non resta che orlare il minore di ordine 2 trovato nell’unico modo possibile:
\[
\begin{array}{ccc}
\begin{pmatrix}
\color{red}1 & \color{green}-\color{green}1 & \color{red}3\\
\color{red}-\color{red}1 & \color{green}1 & \color{red}-\color{red}1\\
\color{green}2 & \color{green}1 & \color{green}0\\
\end{pmatrix}, &
\begin{vmatrix}
1 & -1 & 3\\
-1 & 1 & -1\\
2 & 1 & 0\\
\end{vmatrix}=-6\ne 0\Rightarrow &
r=3
\end{array}
\]
Poiché tale determinante non è nullo, il rango di $A$ è $r=3$.

 

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Esercizio proposto

Determinare il rango della seguente matrice:

$((1,b-1,3,1),(b,2,3,1),(1,1,a-1,1),(a+b-5,a-3,a-4,a-4))$

Sei in difficoltà? Guarda la soluzione proposta nel forum di Matematicamente.it!

 

Equazioni esponenziali risolvibili con i logaritmi

Definizione 1: Equazione esponenziale risolvibile con i logaritmi
Siano $f(x)$ e $g(y)$ due funzioni formate da prodotti e quozienti di termini positivi, in cui la $x$ compare solo in alcuni degli esponenti. Allora l’equazione
\[
f(x)=g(x)
\]
è un’equazione esponenziale risolvibile con i logaritmi.
Per esempio $2^{x+1}=3^{2x-1}$ è un’equazione esponenziale.

Metodo risolutivo: La risoluzione di un’equazione del tipo illustrato nella definizione 1 si svolge sempre nello stesso modo, ed è quindi piuttosto semplice. Dal momento che, per definizione, entrambi i membri dell’equazione in esame sono positivi, essi possono essere gli argomenti di opportuni logaritmi di qualsiasi base $b$. Poiché poi il logaritmo è una funzione invertibile tra $\mathbf{R}^+$ e $\mathbf{R}$, senz’altro vale l’equivalenza
\[
f(x)=g(x)\Leftrightarrow\log_{b}f(x)=\log_{b}g(x)
\]
cosicché invece della prima, possiamo risolvere la seconda equazione. Quest’ultima ha il vantaggio di contenere logaritmi di prodotti e quozienti, che diventano somme algebriche di logaritmi applicando le proprietà studiate. Visto che poi l’incognita $x$ compare solo all’esponente, usando la proprietà del logaritmo di una potenza potremo convertire la nostra equazione logaritmica in una algebrica: otterremo cioè solo varie potenze di $x$ moltiplicate per numeri reali, questi tipicamente in forma di logaritmo. Visto che siamo già in grado di risolvere tali equazioni algebriche, potremo poi facilmente ricavare la soluzione a partire da questo passaggio.

Osservazione 1: Quando nel corso del metodo risolutivo applichiamo i logaritmi, questi si possono prendere di qualsiasi base $b$, purché naturalmente risulti $b>0$ e $b\ne1$. Di solito si preferisce adoperare i logaritmi naturali, ma ci possono essere casi in cui l’utilizzo di una base diversa da $e$ semplifica i passaggi successivi.

Osservazione 2: Questo metodo ci consente in realtà di risolvere una classe più ampia di equazioni esponenziali, per la precisione tutte quelle che possono essere ridotte alla forma richiesta dalla definizione 1 attraverso appropriati passaggi preventivi; questi consistono tipicamente in sostituzioni e messe in evidenza.

Osservazione 3: Il fatto che i termini $f(x)$ e $g(x)$ debbano essere entrambi positivi viene adoperato nel corso del metodo risolutivo allorché essi diventano argomenti di logaritmi, che per definizione devono essere maggiori di 0. Se $f(x)$ e $g(x)$ sono entrambi negativi, naturalmente si può cambiare il segno nell’equazione e ridursi al primo caso; se invece essi fossero di segno opposto, allora l’equazione si ridurrebbe a $f(x)=0$ la quale non ammette soluzione poiché il codominio dell’esponenziale è $\mathbf{R}^+$.

 

Esempi di risoluzione con i logaritmi di equazioni esponenziali

Esempio 1: Si vuole risolvere l’equazione \(2^{x+1}=3^{2x-1}\).
In questo esercizio figurano due esponenziali i quali non possono essere ridotti alla stessa base, dal momento che 2 e 3 sono due numeri primi fra loro. D’altro canto, ponendo
\[
f(x)=2^{x+1},\enspace g(x)=3^{2x-1}
\]
l’equazione si può riscrivere come $f(x)=g(x)$, con entrambi i termini positivi, visto che sono esponenziali. Inoltre la $x$ compare solo all’esponente sia in $f(x)$ che in $g(x)$, e in nessuno dei due termini figurano addizioni e sottrazioni: ricadiamo perciò nel caso di un’equazione esponenziale risolubile tramite logaritmi.
Il primo passo del metodo risolutivo consiste nella scelta di una base $b$, e in questo caso le scelte più sensate sono 2, 3 o $e$; com’è buona abitudine, consideriamo $b=e$. Allora segue
\[
\log_{e}f(x)=\log_{e}g(x)\Rightarrow \ln\left(2^{x+1}\right)=\ln\left(3^{2x-1}\right)
\]
Applichiamo subito la proprietà del logaritmo di una potenza: otteniamo così un’equazione algebrica molto facile da risolvere in pochi passaggi:
\[\left(x+1\right)\ln2=\left(2x+1\right)ln3\Rightarrow x\ln2-2x\ln3\\
x\left(\ln2-2\ln3\right)=-\left(\ln3+\ln2\right)\Rightarrow\]

\[ \Rightarrow x=\frac{\ln3+\ln2}{2\ln3-\ln2}=\frac{\ln6}{\ln\frac{9}{2}}=\log_{9/2}6\]
Negli ultimi passaggi abbiamo, come si suol dire, “contratto i logaritmi”: ciò significa che, adoperando successivamente le proprietà di potenza, di prodotto e di quoziente, e in ultimo facendo un cambio di base, ci siamo ridotti a scrivere la soluzione come un unico logaritmo. L’esercizio è così completato.

Esempio 2: Si vuole risolvere l’equazione \(3^{x+1}+3^{2x+1}=6^x+2^x\).
Questa equazione non è direttamente risolubile attraverso l’applicazione dei logaritmi, anche se i due termini sono entrambi positivi; infatti nel membro di sinistra compare un’addizione, che non potremmo semplificare con le proprietà dei logaritmi. Occorre allora fare dei passaggi preventivi che ci riportino, se possibile, alla situazione descritta nella definizione 1. Procederemo così:
\[3^{x+1}+3^{2x+1}=6^x+2^x\Rightarrow 3\cdot3^x+3\cdot3^{2x}=3^x2^x+2^x\Rightarrow\]

\[3\cdot3^x\left(1+3^x\right)=2^x\left(1+3^x\right)\Rightarrow 3^{x+1}=2^x\]
Nei primi due passaggi ci siamo limitati a usare le proprietà delle potenze e a mettere un termine in evidenza. Il terzo passaggio, nel quale abbiamo semplificato tale termine, si può fare perché visto che gli esponenziali sono sempre positivi, l’equazione $1+3^x=0$ non ammette soluzione, cosicché siamo certi di non aver erroneamente semplificato uno 0. L’equazione risultante può essere risolta con il metodo risolutivo esposto prima; in questo caso prenderemo $b=2$.
\[\log_{2}\left(3^{x+1}\right)=\log_{2}2^x\Rightarrow\left(x+1\right)\log_{2}3=x\Rightarrow x=\frac{\log_{2}3}{1-\log_{2}3}\]

 

Proprietà dei logaritmi

Logaritmo di un prodotto

Proprietà 1: Logaritmo di un prodotto
Siano $x$ e $y$ due numeri reali positivi e sia $b>0$, $b\ne1$. Allora vale la formula seguente:
\[
\log_b (xy) = \log_b x + \log_b y
\]

Osservazione 1: Visto che $x>0$ e $y>0$, anche $xy>0$ poiché è il prodotto di due numeri positivi. Questo, unitamente alle condizioni richieste sulla base $b$, assicura che tutti e tre i logaritmi che appaiono nella formula precedente sono ben definiti.

Dimostrazione: La proprietà dei logaritmi in esame discende dalla proprietà inerente il prodotto di due potenze aventi la stessa base. Per rendercene conto, poniamo $t=\log_b x$ e $s=\log_b y$; allora per la definizione stessa di logaritmo avremo che $b^t=x$ e $b^s=y$. Se adesso andiamo a calcolare il prodotto di $x$ e $y$, otteniamo
\[
xy=b^tb^s=b^{t+s}\Rightarrow{t+s}=\log_b(xy)\Rightarrow\log_b(xy)=\log_bx+\log_by
\]
Nel corso del primo passaggio abbiamo applicato la suddetta proprietà delle potenze, nel secondo la definizione di logaritmo e infine nel terzo abbiamo sostituito i valori di $t$ e $s$, ottenendo il risultato richiesto.

Esempio 1: Proviamo a calcolare il $log_{3}(27\cdot81)$ applicando la proprietà appena studiata. Visto che sappiamo che $27=3^3$ e $81=3^4$, possiamo scrivere
\[
\log_{3}(27\cdot81)=\log_{3}27+\log_{3}81=\log_{3}3^3+\log_{3}3^4=3+4=7
\]
Avremmo anche potuto prima svolgere il prodotto e quindi calcolare il logaritmo, ma con quel procedimento avremmo avuto $log_{3}2187$, e sarebbe stato più difficile poi notare che esso equivaleva a $log_{3}3^7=7$. Dunque adoperando la proprietà abbiamo semplificato i calcoli.

 

Logaritmo di un quoziente

Proprietà 2: Logaritmo di un quoziente
Siano $x$ e $y$ due numeri reali positivi e sia $b>0$, $b\ne1$. Allora vale la formula seguente:
\[
\log_{b}\left(\frac{1}{y}\right)=-\log_{b}y
\]

Dimostrazione: Vista la corrispondenza esistente tra i concetti di logaritmo e di funzione esponenziale, è facile immaginare che anche questa proprietà discenda da un’opportuna proprietà relativa alle potenze. Se imponiamo $t=log_{b}x$ e $s=\log_{b}y$, allora dalla maniera in cui è definito il logaritmo è possibile ricavare che $b^t=x$ e $b^s=y$. Calcolando il quoziente che compare nell’argomento del primo logaritmo avremo allora
\[
\frac{x}{y}=\frac{b^t}{b^s}=b^{t-s}\Rightarrow t-s=\log_{b}\left(\frac{x}{y}\right)\Rightarrow\log_{b}\left(\frac{x}{y}\right)=\log_{b}x-\log_{b}y
\]
È ben riconoscibile che la proprietà applicata nel corso del primo passaggio è quella sul rapporto di due potenze aventi la stessa base, mentre nei due successivi passaggi ci siamo limitati ad applicare la definizione di logaritmo.

Esempio 2: Utilizziamo la proprietà appena dimostrata per aiutare il calcolo del seguente logaritmo: $\log_{2}(\frac{\sqrt{8}}{16})$ . Poiché i numeri che compaiono soddisfano tutte le ipotesi richieste, la proprietà è applicabile, e dunque è lecito scrivere
\[
\log_{2}\left(\frac{\sqrt{8}}{16}\right)=\log_{2}\sqrt{8}-\log_{2}16=\log_{2}\sqrt{2^3}-\log_{2}2^4=\log_{2}2^{\frac{3}{2}}-4=\frac{3}{2}-4=-\frac{5}{2}
\]
Oltre all’applicazione della proprietà suddetta, ci è bastato usare più volte la definizione di logaritmo per raggiungere il risultato.

 

Logaritmo di una potenza

Proprietà 3: Logaritmo di una potenza
Siano $x$, $m$ e $b$ tre numeri reali verificanti le condizioni $x>0$, $b>0$, $b\ne1$. Allora vale
\[
\log_{b}x^m=m\log_{b}x
\]

Osservazione 4: Questa proprietà in particolare implica che \(\log_{b}\sqrt[n]{x}=\frac{1}{n}\log_{b}x\), poiché un radicale può sempre essere visto come esponente frazionario. In questo caso, così come in quello generale, è essenziale che risulti $x>0$ visto che $x$ è l’argomento del logaritmo al secondo membro.

Dimostrazione: Dalla definizione di logaritmo segue immediatamente che $b^{\log_{b}x}=x$; se $x$ è elevato all’emmesima potenza, allora
\[
x^m=\left(b^{\log_{b}x}\right)^m=b^{m\log_{b}x}\Rightarrow\log_{b}x^m=m\log_{b}x
\]
Nel primo passaggio si è adoperata solo la proprietà delle potenze che rende lecito fare il prodotto degli esponenti delle potenze applicate in successione, mentre nel secondo passaggio si è fatto uso della definizione di logaritmo, giungendo così al risultato.

Esempio 3: Questa formula ci viene spesso in aiuto nella risoluzione di logaritmi la cui base e argomento non sono l’uno multiplo dell’altra. Quando per esempio vogliamo calcolare $y=\log_{3}32$, come sappiamo non esiste alcun numero intero (o razionale) $y$ tale che $3^y=32$. D’altro canto risulta $32=2^5$, quindi quanto meno potremo scrivere
\[
y=\log_{3}32=\log_{3}2^5=5\log_{3}2
\]
Ciò potrebbe consentirci, in un esercizio più complesso, di confrontare il valore di $y$ con quello di altre grandezze.

 

Cambiamento di base

Proprietà 4: Cambiamento di base
Siano $x$ e $y$ due numeri reali positivi con $y\ne1$, e sia $b>0$, $b\ne1$. Allora vale la formula:
\[
\log_{y}x=\frac{\log_{b}x}{\log_{b}y}
\]
Osservazione 5: Si noti come la richiesta fatta su $y$ questa volta voglia anche che esso non sia $1$, al contrario di quanto osservato nel caso delle proprietà precedenti. È facile capire il perché: nel primo membro della formula precedente $y$ è la base di un logaritmo, e perciò per definizione deve risultare $y\ne1$. Ancora, $y$ non può essere 1 perchè in quel caso avremmo $\log_{b}y=\log_{b}1=0$, e così la divisione che appare al secondo membro non si potrebbe risolvere.

Osservazione 6: Da questa proprietà si ricava un caso particolare interessante: se poniamo $b=x$ otteniamo che
\[
\log_{y}x=\frac{\log_{x}x}{\log_{x}y}=\frac{1}{\log_{x}y}
\]
ovvero che si possono invertire la base e l’argomento di un logaritmo a patto di prenderne l’inverso. Naturalmente affinché ciò sia lecito è necessario che risulti anche $x\ne1$, poiché $x$ diventa la base del nuovo logaritmo. Questa proprietà risulta utile allorché $y>x$.

Dimostrazione: È già noto dalla definizione di logaritmo che vale l’uguaglianza \(x=y^{\log_{y}x}\); similmente conosciamo essere valida anche $y=b^{\log_{b}y}$. Combinando le due equazioni così ottenute potremo scrivere
\[
x=\left(b^{\log_{b}y}\right)^{\log_{y}x}=b^{\log_{b}y\log_{y}x}\Rightarrow\log_{b}x=\log_{b}y\log_{y}x\Rightarrow\log_{y}x=\frac{\log_{b}x}{\log_{b}y}
\]
Nel primo passaggio non abbiamo adoperato altro che la legge delle potenze di potenze, la quale afferma che una potenza di potenza è una potenza avente per base la base della prima potenza e per esponente il prodotto degli esponenti. Nel seguito si è usata la definizione di logaritmo e si sono riarrangiati i termini in una forma più congeniale, cosa questa possibile poiché dalle ipotesi fatte segue che $\log_{b}y$ non è nullo.

Esempio 4: Supponiamo di dover risolvere l’esercizio \(\log_{16}\sqrt{2}\). Notiamo subito che tanto la base del logaritmo quanto il suo argomento sono potenze di 2: in questo caso possiamo applicare la proprietà di cambiamento di base con $b=2$ e scrivere
\[
\log_{16}\sqrt{2}=\frac{\log_{2}\sqrt{2}}{\log_{2}16}=\frac{\frac{1}{2}}{4}=\frac{1}{8}
\]

 

Specchietto riassuntivo delle proprietà dei logaritmi

Logaritmo di un prodotto:
\[\log_{b}\left(xy\right)=\log_{b}x+\log_{b}y\]
Logaritmo di un quoziente:
\[\log_{b}\left(\frac{x}{y}\right)=\log_{b}x-\log_{b}y\]
Logaritmo di una potenza:
\[\log_{b}x^m=m\log_{b}x\]
Cambiamento di base:
\[\log_{y}x=\frac{\log_{b}x}{\log_{b}y}\]

Osservazione 7: Come si è visto, le proprietà dei logaritmi semplificano notevolmente il calcolo di prodotti, quozienti e potenze. È stata proprio questa comodità ad aver spinto Nepero, Briggs e in seguito Eulero, i quali vivevano in un mondo privo di calcolatrici, a sviluppare e perfezionare il concetto di logaritmo.

 

Logica proposizionale: definizioni ed esempi

La Logica, e in particolare la Logica proposizionale, è quella branca della Matematica che si occupa di studiare la verità e la falsità delle affermazioni che possono essere formulate matematicamente. Essa si basa sulle definizioni e sui princìpi seguenti.

Definizione 1: Proposizione.
In logica si chiama proposizione qualsiasi affermazione di cui si possa definire un valore di verità (vero o falso), senza che ciò comporti ambiguità.

Osservazione 1: Dire che per una certa affermazione si può definire un valore di verità significa semplicemente che essa può essere detta vera (V) oppure falsa (F); dire che si può far ciò senza ambiguità significa invece che tale definizione è inoppugnabile, non soggetta ad opinioni.

Esempio 1: Ecco di seguito alcune affermazioni:

  • In questo momento sta piovendo;
  • Praga si trova in Italia;
  • Maradona è il giocatore di calcio più abile che si sia mai visto;
  • La produzione poetica di Dante è del tutto banale;
  • $7×3=\pi$

Di esse, solamente la prima, la seconda e la quinta sono proposizioni, dal momento che il loro valore di verità può essere ben definito, cioè non dipende dalle opinioni di ciascuno. Le affermazioni numero tre e quattro, per lo stesso motivo, non hanno dignità di proposizione, e ciò indipendentemente dal fatto che sia opinione diffusa che la prima di esse sia vera e la seconda sia falsa.

Osservazione 2: In verità la definizione 1 di proposizione andrebbe specializzata in maniera tale da comprendere solo quelle affermazioni che possono essere espresse in linguaggio matematico. Da questo punto di vista, solamente l’ultima affermazione dell’esempio 1 è una proposizione.
Ciò si rende necessario onde evitare la molteplicità delle interpretazioni che possono sorgere dall’utilizzo di un linguaggio non formale, come quello naturale (la prima frase può essere vera un giorno e falsa un altro; la seconda, all’apparenza falsa, potrebbe diventare vera se qualcuno chiamasse “Praga” una cittadina italiana). Ad ogni buon conto, è prassi comune a questo livello naive di esposizione accettare la definizione 1 così com’è.

Definizione 2: Tautologia.
Una proposizione $p$ è detta essere una tautologia quando essa è sempre vera.

Definizione 3: Contraddizione.
Una proposizione $p$ è detta essere una contraddizione quando essa è sempre falsa.

Esempio 2: Si considerino le due seguenti proposizioni:

  • In questo momento sta piovendo, oppure non sta piovendo;
  • In questo momento sta piovendo, e non sta piovendo;

La prima di esse è una tautologia, nel senso che possiamo essere certi che essa sia vera anche senza conoscere il tempo atmosferico corrente. Infatti è indubitabilmente vero che stia succedendo una delle due cose: o piove, o non piove.
Per lo stesso motivo, la seconda proposizione è una contraddizione, nel senso che qualunque siano le condizioni del tempo in questo momento, essa è certamente falsa. Ciò è dovuto al fatto che le eventualità di pioggia e di assenza di quest’ultima non possono verificarsi contemporaneamente.

 

Princìpi

In logica delle proposizioni si assumono solitamente come validi alcuni principi, di cui i due seguenti sono i più importanti:

Principio di non contraddizione:
Una proposizione non può essere allo stesso tempo vera e falsa.

Principio del terzo escluso:
Una proposizione che non sia vera è necessariamente falsa, e viceversa.

Osservazione 3: Dalla combinazione di tali due principi segue che, data una proposizione, essa deve per forza possedere uno ed uno solo dei due valori di verità “Vero” o “Falso”. Si osservi che ciò non è già contenuto nella definizione 1, dal momento che essa non dice né che i valori di verità siano solo due, né che per una proposizione non possa essere definito più di uno di essi. Tale sottile distinzione viene sfruttata da alcuni tipi “esotici” di Logica, come quella cosiddetta intuizionista e quella a più valori di verità, che non accettano i due principi sopra esposti.

 

Operatori logici fondamentali

Così come i numeri possono essere combinati attraverso le quattro operazioni aritmetiche, le proposizioni logiche possono essere combinate attraverso gli operatori logici. I principali operatori sono la negazione, la congiunzione e la disgiunzione.

Definizioni

Definizione 1: Interpretazione.
Siano date $n$ proposizioni $p_{1},p_{2},…,p_{3}$ . Una interpretazione $I$ di tali proposizioni è un qualsiasi elemento di $(V,F)^n$, ovvero una qualsiasi -upla costituita solo da $V$ e $F$.

Definizione 2: Proposizione vera (o falsa) in una interpretazione.
Siano date $n$ proposizioni $p_{1},p_{2},…,p_{n}$ ed una loro interpretazione $I$. Per ogni $i\in1,…,n$, \(\; p_{i}\) è vera (o falsa) nell’interpretazione $I$ se e solo se l’$i$-esimo elemento di $I$ è V (o F).

Osservazione 1: Stanti le definizioni 1 e 2, una tautologia risulta essere null’altro che una proposizione che risulta vera in tutte le possibili interpretazioni; similmente, una contraddizione è una proposizione falsa in tutte le possibili interpretazioni.

Definizione 3: Negazione.
Sia data una proposizione $p$. Si chiama negazione di $p$ e si indica con il simbolo \(\overline{p}\) (che si legge non-p) la proposizione i cui valori di verità sono opposti a quelli di $p$ in tutte le possibili interpretazioni.

Osservazione 2: Se in una determinata interpretazione $I$ la proposizione $p$ risulta vera, allora \(\overline{p}\) è falsa, e viceversa. Tutte le eventualità vengono riassunte nella tabella seguente, detta “tavola di verità della negazione”; in essa, ogni riga orizzontale corrisponde ad una interpretazione $I$ differente:
\[
\displaystyle
\boxed{
\begin{array}{c|c}
p & \overline{p} \\
\hline
V & F \\
F & V
\end{array}
}
\]

Definizione 4: Congiunzione.
Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Si chiama congiunzione di $p$ e $q$ e si indica con il simbolo $p \vee q$ (che si legge p et q) la proposizione che risulta essere vera se e solo se $p$ e $q$ sono entrambe vere.

Osservazione 3: Dal momento che le proposizioni in gioco adesso sono due, per esse esistono $2^2=4$ diverse interpretazioni: esse sono $(V,V), (V,F), (F,V), (F,F)$. I valori di verità assunti dalla congiunzione logica di $p$ e $q$ nelle varie interpretazioni sono riassunti dalla seguente “tavola di verità della congiunzione”:
\[
\displaystyle
\boxed{
\begin{array}{c|c|c}
p & q & p \wedge q \\
\hline
V & V & V \\
V & F & F \\
F & V & F \\
F & F & F
\end{array}
}
\]

Definizione 5: Disgiunzione.

Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Si chiama disgiunzione di $p$ e $q$ e si indica con il simbolo $p \lor q$ (che si legge p vel q) la proposizione che risulta essere falsa se e solo se $p$ e $q$ sono entrambe false.

Osservazione 4: Anche questa volta le proposizioni in gioco sono due, e quindi esse sono soggette alle 4 diverse interpretazioni $(V,V), (V,F), (F,V), (F,F)$. I valori di verità assunti dalla disgiunzione logica di $p$ e $q$ al variare delle interpretazioni sono riassunti dalla seguente “tavola di verità della disgiunzione”:
\[
\displaystyle
\boxed{
\begin{array}{c|c|c}
p & q & p \lor q \\
\hline
V & V & V \\
V & F & V \\
F & V & V \\
F & F & F
\end{array}
}
\]

 

Esempi

Vediamo adesso quali sono i significati intuitivi dei tre operatori suddetti, attraverso alcuni esempi applicativi.
Esempio 1: Si consideri la proposizione $p$ “Marco è più alto di un metro e mezzo”. A che proposizione corrisponde \(\overline{p}\;\)?
In questo semplice esempio, vediamo che per ottenere la negazione logica di una data proposizione è sufficiente contraddire quanto da essa affermato. Ne consegue allora che \(\overline{p}\): “L’altezza di Marco è minore o uguale a un metro e mezzo”. Si osservi che, come atteso, $p$ è vera se e soltanto se \(\overline{p}\) è falsa.

Esempio 2: Si considerino le proposizioni seguenti:
$p$: “In questo momento è più tardi delle 8.00”;
$q$: “In questo momento è più presto delle 7.00”.
A che proposizione corrisponde la congiunzione logica di $p$ e $q$, cioè \(p\wedge q\;\)?
In tal caso basta associare le due proposizioni con la “e” nel senso di “e allo stesso tempo”; ne risulta la proposizione $p \wedge q$ “In questo momento è più tardi delle 8.00 e più presto delle 7.00”. Incidentalmente, dal momento che non esiste un’interpretazione nella quale $p$ e $q$ siano vere contemporaneamente, tale proposizione è sempre falsa e dunque è una contraddizione.

Esempio 3: Si considerino le proposizioni seguenti:
$p$: “In questo momento è più tardi delle 7.00”;
$q$: “In questo momento è più presto delle 8.00”.
A che proposizione corrisponde la disgiunzione logica di $p$ e $q$, cioè \(p\vee q\;\)?
Per la disgiunzione occorre associare le due proposizioni con la “o” nel senso di “una, oppure l’altra, oppure entrambe”; il risultato è la proposizione $p \wedge q$ “In questo momento è più tardi delle 7.00 o più presto delle 8.00”. Incidentalmente, dal momento che qualsiasi orario è tale da essere prima delle 8.00 oppure dopo le 7.00, non esiste alcuna interpretazione nella quale $p$ e $q$ siano false contemporaneamente; ne consegue che tale proposizione è sempre vera e dunque è una tautologia.

Osservazione 5: Notiamo anche, per concludere, che la negazione logica di una tautologia è una contraddizione, e viceversa.

 

Altri operatori logici

Definizioni

Definizione 1: Implicazione.
Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Si chiama implicazione da $p$ a $q$ e si scrive $p\to q$ (che si legge $p$ implica $q$) quella proposizione che risulta falsa se e solo se $p$ è vera e $q$ è falsa.

Osservazione 1: L’implicazione serve a tradurre in linguaggio matematico ragionamenti logici del tipo “se succede $p$, allora succede $q$”. I valori di verità assunti dall’implicazione sono riassunti nella tavola di verità seguente:
\[
\displaystyle
\boxed{
\begin{array}{c|c|c}
p & q & p \to q \\
\hline
V & V & V \\
V & F & F \\
F & V & V \\
F & F & V
\end{array}
}
\]

Osservazione 2: Potrà sembrare strano che dalla falsità di $p$ l’implicazione faccia seguire la verità di $p\to q$ indipendentemente dal valore di verità di $q$, come si legge nelle ultime due righe della precedente tavola di verità. Ciò è ascrivibile all’osservazione che “ex falso quodlibet”, ovvero che “dal falso segue qualsiasi cosa”; si confrontino gli esempi per maggiori chiarimenti in merito a tale questione.

Definizione 2: Doppia implicazione.
Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Si chiama doppia implicazione di $p$ e $q$ e si scrive $p\leftrightarrow q$ (che si legge p se e solo se q) quella proposizione che risulta vera allorché $p$ e $q$ hanno lo stesso valore di verità, e falsa altrimenti.

Osservazione 3: La doppia implicazione ha la funzione di tradurre in linguaggio matematico il concetto di equivalenza tra due proposizioni, ovvero ragionamenti logici del tipo “$p$ si verifica in tutti e soli i casi in cui si verifica $q$” o “$p$ è equivalente a $q$”. I valori di verità assunti dalla doppia implicazione sono riassunti nella tavola di verità seguente:
\[
\displaystyle
\boxed{
\begin{array}{c|c|c}
p & q & p \leftrightarrow q \\
\hline
V & V & V \\
V & F & F \\
F & V & F \\
F & F & V
\end{array}
}
\]

Definizione 3: Disgiunzione esclusiva.
Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Si chiama disgiunzione esclusiva di $p$ e $q$ e si scrive \(p\dot{\vee}q\) (che si legge p xor q) quella proposizione che risulta vera allorché $p$ e $q$ hanno valori di verità distinti, e falsa altrimenti.

Osservazione 4: La disgiunzione esclusiva serve a tradurre in linguaggio matematico i ragionamenti logici del tipo “o si verifica $p$ o si verifica $q$, ma mai entrambe contemporaneamente”. I valori di verità assunti dalla disgiunzione esclusiva sono riassunti nella tavola di verità seguente:
\[
\displaystyle
\boxed{
\begin{array}{c|c|c}
p & q & p\dot{\vee}q \\
\hline
V & V & F \\
V & F & V \\
F & V & V \\
F & F & F
\end{array}
}
\]

Osservazione 5: La negazione della disgiunzione logica equivale alla doppia implicazione, e viceversa: infatti ciascuna di esse è vera se e soltanto se l’altra è falsa, in tutte le possibili interpretazioni. In linguaggio logico, ciò si afferma dicendo che la seguente proposizione
\[
(p\leftrightarrow q)\leftrightarrow (\overline{p\dot{\vee}q})
\]
è una tautologia.

Osservazione 6: La disgiunzione normale e quella esclusiva si differenziano nel caso in cui $p$ e $q$ sono entrambe vere: in tal caso infatti il valore di verità di $p\vee q$ è V, mentre quello di \(p\dot{\vee}q\) è F. Ciò è da ascrivere al fatto che il senso della disgiunzione è “almeno una tra $p$ e $q$ è vera”, mentre quello della disgiunzione esclusiva è “esattamente una tra $p$ e $q$ è vera”.

 

Esempi

Esempio 1: Si considerino le due proposizioni seguenti:

  1. \(\;p\): “Domani pioverà”
  2. \(\;q\): “Domani aprirò l’ombrello”

Si analizzino i significati intuitivi delle varie interpretazioni della proposizione \(p\to q\).

L’implicazione logica \(p\to q\) in tal caso significa “Se domani pioverà, aprirò l’ombrello”. Nel caso in cui l’interpretazione considerata assegni a $p$ il valore di verità V, allora siamo nel caso in cui domani pioverà: se aprirò l’ombrello, \(p\to q\) sarà vera, altrimenti risulterà falsa, come è logico aspettarsi. Se però sin dal principio $p$ è falsa nell’interpretazione, ovvero se domani non pioverà, nulla si può dire della mia volontà di aprire o meno l’ombrello in tale situazione: magari lo aprirò per il troppo sole. Dunque se $p$ è falsa, \(p\to q\) è certamente vera indipendentemente dal valore di verità di $q$.

 

Tavole di verità di espressioni logiche complesse

Espressioni logiche

Definizione 1: Espressione logica.
Si definiscono espressioni logiche tutte e sole le combinazioni finite di simboli costruite secondo le regole seguenti:

  • tutte le proposizioni semplici (come $p$, $q…$) sono espressioni logiche;
  • se $e$ è un’espressione logica, allora \(\overline{e}\) è anch’essa un’espressione logica;
  • se $e_{1}$ ed $e_{2}$ sono espressioni logiche, allora anche \(e_{1}\wedge e_{2}\), \(e_{1}\vee e_{2}\), \(e_{1}\rightarrow e_{2}\), \(e_{1}\leftrightarrow e_{2}\), \(e_{1}\overline{\vee} e_{2}\) sono espressioni logiche.

Esempio 1: La scrittura \((p\vee\overline{q})\to \overline{p\wedge q}\) è un’espressione logica.
Infatti vi compaiono $p$ e $q$, che essendo proposizioni semplici sono espressioni logiche; vi compare anche \(\overline{q}\), ma essendo $q$ un’espressione logica, anche \(\overline{q}\) lo è. Per quanto appena detto, \(p\vee\overline{q}\) e \(p\wedge q\) sono rispettivamente una disgiunzione e una congiunzione di espressioni logiche, e quindi anch’esse rientrano in tale categoria. Dal momento poi che \(p\wedge q\) è espressione logica, lo è anche la sua negazione. Infine, tutta la formula \((p\vee\overline{q})\rightarrow\overline{p\wedge q}\) risulta un’implicazione di espressioni logiche, cosicché essa stessa è un’espressione logica, come volevasi dimostrare.

Osservazione 1: In ogni espressione logica si possono ordinare gli operatori dal più esterno al più interno. Per esempio, nell’espressione dell’esempio 1 abbiamo che l’operatore più esterno è \(\rightarrow\), seguito dalla disgiunzione \(\vee\) e dalla negazione grande, che si trovano entrambe al secondo livello; la negazione piccola e la congiunzione \(\wedge\) sono invece gli operatori più interni.

 

Metodo risolutivo per le tavole di verità di espressioni logiche complesse

Metodo risolutivo: Si consideri ancora l’espressione logica \((p\vee\overline{q})\to\overline{p\wedge q}\) dell’esempio 1. In questa sezione vogliamo scoprire come sia possibile calcolare il valore di verità da essa assunto in tutte le possibili interpretazioni delle proposizioni semplici $p$ e $q$. Cominciamo a tale proposito col riscrivere le negazioni logiche nel modo seguente:
\[
\begin{aligned}
\overline{q} &:\neg q\\
\overline{p\wedge q} &: \neg(p\wedge q)
\end{aligned}
\]
Adesso l’espressione logica iniziale si presenta così: \([p\vee(\neg q)]\rightarrow[\neg(p\wedge q )]\). Tracciamo una tabella in cui ognuno dei simboli su indicati ad esclusione delle parentesi abbia la sua colonna, e in cui ci siano $2^n$ righe, essendo $n$ il numero delle diverse proposizioni semplici presenti; in tal caso, 9 colonne e 4 righe.

Le possibili interpretazioni delle proposizioni $p,q$ sono 4: $(V,V),(V,F),(F,V),(F,F)$. Le righe della precedente tabella sono dedicate ciascuna a una delle interpretazioni; scriviamo allora i valori di verità di $p$ e di $q$ in ciascuna delle loro colonne:

A questo punto procediamo dall’operatore più interno a quello più esterno. Come già visto nel corso dell’osservazione 1, l’ordine degli operatori in questo caso è, dal più interno al più esterno: $\neg,\wedge,\vee,\neg,\rightarrow$. Ciò che faremo sarà quindi adoperare la tavola di verità della negazione per riempire la terza colonna, negando gli elementi della colonna a cui essa si riferisce, cioè $q$:

Allo stesso modo, riferendoci alle ultime due colonne di $p$ e $q$, riempiremo la colonna della congiunzione usando la sua tavola di verità:

Tocca adesso alla disgiunzione $\vee$. Essa si riferisce alla $p$ della prima colonna e alla $q$ negata, i cui valori di verità sono rappresentati nella terza colonna. Usando allora la tavola di verità della disgiunzione, riempiamo la seconda colonna:

Procedendo in modo del tutto simile, riempiamo la sesta colonna con le negazioni dei valori di verità relativi alla congiunzione, a loro volta rappresentati nell’ottava colonna:

Non resta adesso che ripetere il procedimento per l’ultimo operatore rimasto. In questo caso occorre riferirsi alle colonne numero 2 e 6, che sono quelle degli operatori immediatamente più interni all’implicazione:

La colonna indicata in rosso nell’ultima tabella è la soluzione del problema: essa rappresenta la tavola di verità relativa all’espressione logica \((p\vee \overline{q})\rightarrow\overline{p\wedge q}\) in tutte le sue possibili interpretazioni.

 

Proprietà elementari degli operatori logici

Proprietà

Gli operatori logici godono di alcune proprietà, proprio come le operazioni aritmetiche. Esse, anziché in forma di equazioni, vengono date in forma di tautologia: la forma tipica coinvolge due espressioni logiche collegate da una doppia implicazione. Il fatto che una doppia implicazione sia sempre verificata implica che le due espressioni coimplicate sono equivalenti e, quindi, intercambiabili.
Proprietà 1: Involutività di periodo 2 della negazione.
\[
\overline{\overline{p}}\leftrightarrow p
\]
Proprietà 2: Legge di contrapposizione dell’implicazione.
\[
(p\rightarrow q)\leftrightarrow(\overline{q}\rightarrow\overline{p})
\]
Proprietà 3: Idempotenza della congiunzione e della disgiunzione.
\[
\begin{array}{cc}
(p\wedge p)\leftrightarrow p\,\,\,\,; & (p\vee p)\leftrightarrow p
\end{array}
\]
Proprietà 4: Teorema dell’assorbimento di Boole.
\[
\begin{array}{cc}
[p\vee(p\wedge q)]\leftrightarrow p\,\,\,\,; & [p\wedge(p\vee q)]\leftrightarrow p
\end{array}
\]
Proprietà 5: Proprietà commutativa della congiunzione e della disgiunzione.
\[
\begin{array}{cc}
(p\wedge q)\leftrightarrow(q\wedge p)\,\,\,\,; & (p\vee q)\leftrightarrow(q\vee p)
\end{array}
\]

Proprietà 6: Proprietà associativa della congiunzione e della disgiunzione.
\[
\begin{array}{cc}
[(p\wedge q)]\leftrightarrow[p\wedge(q\wedge r)]\,\,\,\,; & [(p\vee q)\vee r]\leftrightarrow[p\vee(q\vee r)]
\end{array}
\]

Proprietà 7: Proprietà distributiva della congiunzione rispetto alla disgiunzione e viceversa.
\[
\begin{array}{cc}
[p\wedge(q\vee r)]\leftrightarrow[(p\wedge q)\vee(p\wedge r)]\,\,\,\,; & [p\vee(q\wedge r)]\leftrightarrow[(p\vee q)\wedge(p\vee r)]
\end{array}
\]

 

Dimostrazioni

Dimostrare una di tali proprietà è equivalente al far vedere che essa è una tautologia. Per far ciò, occorre calcolarne la tavola di verità e far vedere che il risultato finale è una colonna contenente solamente il risultato V per ogni interpretazione. Ciò indica che la verità della proposizione studiata non dipende dall’interpretazione considerata, ma solo dalla struttura della formula stessa. Nel seguito vedremo alcune dimostrazioni scelte:
Dimostrazione della proprietà 2: Vogliamo far vedere che vale \((p\rightarrow q)\leftrightarrow(\overline{q}\leftarrow\overline{p})\). Tracciamo a tale proposito la solita tabella, che in questo caso ha 9 colonne e 4 righe, e riempiamola con tutte le possibili interpretazioni di ? e ?.

Calcoliamo adesso i valori di verità degli operatori più interni, cioè riempiamo le colonne seconda, quinta e ottava secondo le colonne cui si riferiscono:

Tocca adesso all’implicazione della colonna numero sette:

Infine, calcoliamo i valori di verità assunti dalla doppia implicazione in ciascuna delle quattro interpretazioni disponibili, e concludiamo la dimostrazione osservando che si tratta di una tautologia, come volevasi dimostrare.

Dimostrazione della proprietà 6: Per dimostrare la prima formula della proprietà 6 dovremo adoperare una tabella composta da 11 colonne e ben 8 righe; ciò è dovuto al fatto che, essendo in questo caso le proposizioni semplici $n=3$, il numero delle loro possibili interpretazioni è $2^n=2^3=8$. Disegnamo quindi la tabella e inseriamo le interpretazioni per $p$, $q$ ed $r$ in tutti gli ordini concepibili:

Continuiamo come di consueto, calcolando prima le colonne verdi delle congiunzioni interne, poi le colonne rosse delle congiunzioni esterne:

Completiamo la dimostrazione calcolando la doppia implicazione, che come sempre capita per queste proprietà è l’operatore più esterno: otteniamo così

cioè la tautologia che ci aspettavamo.

 

Osservazioni

Osservazione 1: Per quanto appena dimostrato, dal momento che è la stessa cosa scrivere \((p\wedge q)\wedge r\) oppure \(p\wedge(q\wedge r)\), si preferisce scrivere semplicemente $p\wedge q\wedge r$. Tale cosa, che si fa anche con la disgiunzione, è lecita perché non possono sorgere ambiguità. È anche uso comune dare le seguenti definizioni:

Definizione 1: Congiunzione e disgiunzione di $n$ elementi.
Siano date $n$ proposizioni $p_1,p_2,…p_n$. Per quanto osservato, possiamo considerare senza ambiguità la congiunzione e la disgiunzione di tutte e $n$ le proposizioni; esse vengono indicate con i simboli seguenti:
\[
\begin{array}{cc}
\displaystyle
\bigwedge_{i=1}^n p_{i}=p_{1}\wedge p_{2}\wedge … \wedge p_{n}, & \displaystyle\bigvee_{i=1}^n p_{i}=p_{1}\vee p_{2}\vee …\vee p_{n}
\end{array}
\]

 

Le leggi di De Morgan

Formulazione

Le leggi di De Morgan sono due importanti teoremi di Logica proposizionale attraverso i quali è possibile trasformare la congiunzione nella disgiunzione e viceversa. Esse sono date, nella versione più semplice possibile, dalle formule seguenti:

Prima legge di De Morgan: Siano $p$ e $q$ due proposizioni. Allora $\overline{p\wedge q}\leftrightarrow\overline{p}\vee\overline{q}$.

Seconda legge di De Morgan: Siano $p$ e $q$ due proposizioni. Allora $\overline{p\vee q}\leftrightarrow\overline{p}\wedge\overline{q}$.

Osservazione 1: Le leggi di De Morgan dicono, in buona sostanza, che la “negazione della congiunzione” è la disgiunzione, e viceversa. Naturalmente questo è solo un modo intuitivo di esprimere le precedenti formule, in quanto in Logica proposizionale non ha alcun senso negare un operatore.

 

Dimostrazioni

A titolo d’esempio, dimostreremo la prima delle due leggi di De Morgan nel solito modo delle tavole di verità, e poi faremo vedere come la seconda di esse possa essere ricavata dalla prima adoperando le proprietà elementari degli operatori che ci sono già note.

Dimostrazione della prima legge di De Morgan: Siano $p$ e $q$ due proposizioni qualsiasi; costruiamo come al solito la tabella di verità dell’espressione logica da dimostrare, avendo cura di assegnare alle proposizioni date tutte e $2^2=4$ le interpretazioni possibili:

Calcoliamo allo stesso tempo la congiunzione della terza colonna e le due negazioni delle colonne numero sei e nove:

Quindi, calcoliamo la negazione della prima colonna e la disgiunzione dell’ottava, e concludiamo infine il calcolo trovando i valori di verità relativi alla doppia implicazione:

Poiché la formula è una tautologia, essa è verificata in tutte le interpretazioni ed è dunque una legge logica, proprio come volevamo dimostrare.

Dimostrazione della seconda legge di De Morgan: Siano $p$ e $q$ due proposizioni qualsiasi, e consideriamo le loro rispettive negazioni $\overline{p}$ e $\overline{q}$. Dal momento c he anche queste ultime due sono a tutti gli effetti delle proposizioni logiche, per esse vale la prima legge di De Morgan. Possiamo quindi a buon diritto scrivere
\[
\displaystyle
\overline{(\;\overline{p}\wedge\overline{q}\;)}\leftrightarrow(\;\overline{\overline{p}}\vee\overline{\overline{q}}\;)
\]
Se queste espressione logica è, come è, una tautologia, allora i due termini separati dalla doppia implicazione hanno gli stessi valori di verità in tutte le interpretazioni. Se neghiamo entrambi i termini, i loro valori di verità risulteranno tutti invertiti, e quindi ancora uguali tra di loro. Anche la seguente formula è perciò una tautologia:
\[
\overline{\overline{(\;\overline{p}\wedge\overline{q}\;)}}\leftrightarrow\overline{(\;\overline{\overline{p}}\vee\overline{\overline{q}}\;)}
\]
A questo punto ricordiamo che due negazioni applicate in sequenza ad una proposizione equivalgono alla proposizione stessa non negata. Ne consegue che $\overline{\overline{p}}\leftrightarrow p$,\(\;\) $\overline{\overline{q}}\leftrightarrow q$ e $\overline{\overline{(\overline{p}\wedge\overline{q})}}\leftrightarrow\overline{p}\wedge\overline{q}$, cosicchè, effettuando le tre sostituzioni nella formula precedente,
\[
\overline{p}\wedge\overline{q}\leftrightarrow\overline{p\vee q}
\]

 

Ulteriori osservazioni

Osservazione 2: Supponiamo di avere $n$ proposizioni $p_1, p_2, …, p_n$. Le leggi di De Morgan, in virtù delle dimostrate proprietà di associatività della congiunzione e della disgiunzione, possono essere scritte più in generale come segue:
\[
\begin{array}{cc}
\displaystyle\overline{\bigwedge_{i=1}^n p_{i}}\leftrightarrow\displaystyle\bigvee_{i=1}^n\overline{p_{i}}, & \displaystyle\overline{\bigvee_{i=1}^n p_{i}}\leftrightarrow\displaystyle\bigwedge_{i=1}^n\overline{p_{i}}
\end{array}
\]
Osservazione 3: Le leggi De Morgan si estendono anc he alla Teoria degli Insiemi. Siano $A$ e $B$ due insiemi dati, e sia \(\complement\) l’operazione di complemento di un insieme rispetto a un determinato insieme $U$ tale che $A\cup B\subset U$; allora valgono le due formule
\[
\begin{array}{cc}
\displaystyle\complement(A\cap B)=\complement A\cup\complement B, &
\displaystyle\complement(A\cup B)=\complement A\cap\complement B
\end{array}
\]
Ciò indica che la validità delle leggi di De Morgan non dipende dal fatto che si stia parlando di proposizioni logiche o di insiemi, ma solo dalla struttura in cui tutti questi vari enti sono organizzati.

 

La Logica dei predicati: definizioni ed esempi

Mentre la logica proposizionale si occupa di studiare i rapporti di verità che intercorrono tra le varie proposizioni, la logica dei predicati riguarda la composizione e la struttura interna delle proposizioni stesse. Essa si basa sule definizioni seguenti.

Definizioni

Definizione 1: Variabile.
In logica dei predicati si chiama variabile qualsiasi ente per cui abbia senso dire che una determinata proprietà vale o meno. Le variabili vengono normalmente indicate con le lettere $x,y…$

Definizione 2: Predicato.
In logica dei predicati si chiama predicato una qualsiasi proprietà che possa o meno valere per una variabile o per un gruppo di variabili. I predicati vengono indicati con vari simboli a seconda delle necessità; il simbolo generico è $p$, e per dire che la variabile $x$ verifica il predicato $p$ si usa il simbolo $p(x)$.

Osservazione 1: Le definizioni 1 e 2 di variabile e predicato così come le abbiamo date sono estremamente naive, e danno luogo a numerosi paradossi; esse si basano infatti sui concetti supposti primitivi di “ente” e “proprietà”, che in realtà sono troppo generici per assicurare la coerenza della teoria che descriveremo. Tali definizioni sono comunque sufficienti per effettuare un’analisi superficiale delle idee della logica dei predicati.

Esempio 1: Consideriamo i seguenti predicati:

  • $p_1$: “essere un numero pari”;
  • $p_2$: “essere un numero primo”;
  • \(>\;\): “essere maggiore di”.

Consideriamo inoltre il seguente insieme di variabili: $A={2,3,4,5,6}$.
Per le variabili $2,4$ e $6$ il primo predicato è certamente verificato, quindi potremo scrivere che $p_1(2),p_1(4)$ e $p_1(6)$; allo stesso modo potremo scrivere $p_{2}(2),p_{2}(3)$ e $p_{2}(5)$, essendo tali variabili tre numeri primi. Non è lecito ad esempio scrivere $p_{1}(3)$, poiché per la variabile $x=3$ non vale il predicato $p_{1}$.

Il predicato che abbiamo indicato con il simbolo \(>\;\) è binario: ciò significa che si riferisce a due variabili contemporaneamente. Potremo allora dire che $>(5,2$, per intendere che per le due variabili $x=5$ e $y=2$ vale il predicato \(>\;\), cioè che 5 è maggiore di 2. È prassi comune nel caso dei predicati binari preferire il simbolo $5>2$ al simbolo $>(5,2)$, che pure ha lo stesso significato.

Osservazione 2: Capita spesso in logica dei predicati di voler asserire in termini matematici che un certo predicato è verificato per tutti gli elementi di un determinato insieme, oppure che in un prefissato insieme esiste un elemento per cui vale un certo predicato. A questo proposito si adoperano le due definizioni seguenti.

Definizione 3: Quantificatore universale.
Il simbolo \(\forall\;\) prende il nome di quantificatore universale. Se sono prefissati un insieme $A$ e un predicato $p$, esso si può utilizzare per scrivere la formula $\forall x\in A,p(x)$ che si legge “per ogni $x$ appartenente ad $A$ vale (o risulta) $p(x)$”. Tale formula indica che la proprietà espressa dal predicato $p$ è verificata da tutti gli elementi dell’insieme di variabili $A$.

Osservazione 3: A volte si vuole essere ancora più precisi, e dire che esiste uno e un solo elemento dell’insieme $A$ che verifica il predicato $p$. Tale eventialità si esprime con la formula \(\exists!x\in A:p(x)\), dove il punto esclamativo \(!\;\) si legge appunto “uno e un solo”.

Esempio 2: Si considerino le tre seguenti proposizioni:

  • Tutti i numeri naturali sono interi;
  • Esiste almeno un numero naturale che è un quadrato perfetto;
  • Esiste esattamente un numero pari che è primo.

Siano $N$ l’insieme dei numeri naturali, $P$ l’insieme dei numeri pari, $Z$ il predicato “essere un numero intero”, $q$ il predicato “essere un quadrato perfetto” e infine il predicato “essere un numero primo”. Allora le tre proposizioni date si scrivono nei modi seguenti:
\[
\begin{array}{ccc}
\forall x\in \mathbb{N},z(x), & \exists x\in N:q(x), & \exists!x\in P:p(x)
\end{array}
\]

 

Logica dei predicati: la negazione

Definizioni

Osservazione 1: Sia data una proposizione $q$. Sappiamo dalla logica proposizionale che è lecito considerare la sua negazione \(\overline{q}\); dal momento però che in logica dei predicati $q$ può possedere una struttura interna complessa, con uno o più predicati e/o quantificatori, occorre scoprire in che modo negare tutti questi nuovi simboli.

Definizione 1: Negazione di un predicato.
Si consideri un generico predicato $p$; si chiama negazione di $p$ e si indica con il simbolo \(\overline{p}\) un nuovo predicato tale che \(\overline{p}(x)\) se e soltanto se la proprietà espressa da $p$ non vale per la variabile $x$.

Osservazione 2: La definizione 1 dice, in buona sostanza, che se un certo predicato $p$ non vale per $x$, allora per $x$ vale un altro predicato \(\overline{p}\), il quale esprime la proprietà “per $x$ non vale $p$”. Il fatto che un determinato predicato non valga è cioè esso stesso un predicato.

Definizione 2: Negazione del quantificatore universale.
Siano dati un insieme $A$ e un predicato $p$; come sappiamo essi possono essere utilizzati per scrivere la formula \(\forall x\in A,p(x)\). Per tutte le formule di questo tipo vale l’equivalenza seguente:
\[
\overline{\forall x\in A, p(x)}\leftrightarrow\exists x\in A:\overline{p}(x)
\]

Definizione 3: Negazione del quantificatore esistenziale.
Siano dati un insieme $A$ e un predicato $p$; come sappiamo essi possono essere utilizzati per scrivere la formula \(\exists x\in A:p(x)\). Per tutte le formule di questo tipo vale l’equivalenza seguente:
\[
\overline{\exists x\in A:p(x)}\leftrightarrow\forall x\in A,\overline{p}(x)
\]
Osservazione 3: Come vediamo dalle definizioni 2 e 3, si potrebbe dire in termini imprecisi ed intuitivi che la negazione del quantificatore universale è il quantificatore esistenziale, e viceversa.
La formula data nella definizione 2 asserisce che: “il fatto che non sia vero che $p$ vale per tutti gli elementi di $A$ equivale a dire che esiste almeno un elemento di $A$ per cui non vale $p$”. Per contro, la formula della definizione 3 afferma: “Il fatto che non sia vero che esista almeno un elemento di $A$ per cui vale $p$ equivale a dire che $p$ non vale per nessun elemento di $A$”. Tali fatti costituiscono il fondamento della logica dei predicati.

Esempi

Esempio 1: Si convertano le seguenti affermazioni nel linguaggio della logica dei predicati, quindi se ne trovino le negazioni:

  • tutte le mele sono rosse;
  • alcune mele sono verdi o gialle;
  • nessuna mela che sia verde è rossa.

Introduciamo in primo luogo l’insieme $M$ delle mele e i tre predicati $r,v$ e $g$ corrispondenti alle eventualità che la “variabile mela” abbia la proprietà di essere rossa, verde o gialla.
La prima affermazione si traduce facilmente come \(\forall x\in M,r(x)\). La negazione di questa formula si trova come semplice applicazione della regola fornita nella definizione 2: avremo dunque \(\overline{\forall x\in M,r(x)}\leftrightarrow\exists x\in M:\overline{r}(x)\), e il secondo termine dell’equivalenza si potrebbe leggere come “esiste almeno una mela che non è rossa”.

Prima di convertire la seconda affermazione, occorre ragionare un po’. In logica non esiste alcun quantificatore che traduca l’idea di “alcuni”, dal momento che essa è imprecisa e quindi inadatta al nostro linguaggio formale. D’altro canto, dire che alcune mele sono verdi o gialle equivale a dire che esiste almeno una mela che è verde o gialla; quindi scriveremo \(\exists x\in M:[v(x)\vee g(x)]\). In tal caso il predicato “essere verde o gialla” è scritto come disgiunzione dei due predicati “essere verde” ed “essere gialla”. Procediamo adesso alla negazione; adoperando la definizione 3 potremo scrivere
\[
\overline{\exists x\in M:[v(x)\vee g(x)]}\leftrightarrow\forall x\in M,\overline{v(x)\vee g(x)}
\]
A questo punto non resta che applicare la seconda legge di De Morgan per concludere che la negazione della seconda affermazione è \(\forall x\in M,\overline{v(x)}\wedge\overline{g(x)}\); questa si legge come “ogni mela è non-verde e non-gialla”, cioè “nessuna mela è verde e nessuna mela è gialla”.

In merito all’ultima affermazione, ragioneremo come segue: dire che nessuna mela che sia verde è rossa equivale a dire che ogni mela che è verde non è rossa; ciò è lo stesso che dire che, data una mela, se questa è verde non è rossa, e ciò vale per tutte le mele. Dunque la frase va scritta come \(\forall x\in M, [v(x)\rightarrow\overline{r}(x)]\). Passiamo adesso alla negazione: usando ancora la definizione 2 scriveremo
\[
\overline{\forall x\in M,[v(x)\rightarrow\overline{r}(x)]}\leftrightarrow\exists x\in M:\overline{[v(x)\rightarrow\overline{r}(x)]}
\]
Ricordando dalla logica proposizionale che \((p\rightarrow q)\leftrightarrow(\overline{p}\vee q)\), scriveremo l’ultima formula come \(\exists x\in M:\overline{[\overline{v}(x)\vee\overline{r}(x)]} \) col che, applicando ancora la seconda legge di De Morgan, risulta \(\exists x\in M: [v(x)\wedge r(x)]\). Concludiamo così che la negazione della terza affermazione è “esiste una mela che è sia verde che rossa”.

 

Logica deduttiva: definizioni e dimostrazioni

La Logica deduttiva è quella branca della Logica che si occupa di verificare la validità dei ragionamenti e delle dimostrazioni matematiche, visti come sequenze di proposizioni. A tale proposito essa adopera alcuni prefissati schemi di ragionamento, che costituiscono particolari tautologie. I principali sono dati dalle definizioni seguenti:

Definizioni

Definizione 1: Modus ponens.
Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Supponiamo che le proposizioni $p$ e $p\to q$, dette premesse, siano entrambe vere; allora la proposizione $q$, detta conclusione, è a sua volta vera. In simboli si usa scrivere
\[
\frac{p, p\to q}{\therefore q}
\]
Definizione 2: Modus tollens.
Siano date due proposizioni $p$ e $q$. Supponiamo che le proposizioni $\overline{q}$ e $p \to q$, dette premesse, siano entrambe vere; allora la proposizione $\overline{p}$, detta conclusione, è a sua volta vera. In simboli si usa scrivere
\[
\frac{\overline{q},p\to q}{\therefore\overline{p}}
\]
Definizione 3: Sillogismo.
Siano date tre proposizioni $p,q$ ed $r$. Supponiamo che le proposizioni $p\to q$ e $q\to r$, dette premesse, siano entrambe vere; allora la proposizione $p\to r$, detta conclusione, è a sua volta vera. In simboli si usa scrivere
\[
\frac{p\to q,q\to r}{\therefore p\to r}
\]
Osservazione 1: In ciascuna delle scritture simboliche date, le premesse sono scritte al di sopra della riga orizzontale, separate da una virgola, mentre le conclusioni sono scritte al di sotto della riga stessa, precedute dal simbolo $\therefore$. Tale simbolo significa “è un teorema” o “risulta dimostrato che”.

Osservazione 2: I nomi delle regole deduttive tradiscono la loro antica origine. “Modus ponens” significa “il modo (di ragionare) che pone (la verità di $p$)”, mentre “modus tollens” significa “il modo (di ragionare) che toglie (la verità di $p$)”. “Sillogismo” viene invece dal greco, e significa “ragionamento concatenato”.

Dimostrazioni

Dimostrazione del Modus ponens: Onde dimostrare che il Modus ponens è una maniera lecita di ragionare, ci basterà far vedere che l’espressione logica $[p\wedge(p\to q)]\to q$ è una tautologia. Invece di ricorrere come al solito alle tavole di verità, cerchiamo di effettuare la dimostrazione in modo semplice e veloce.
Affinché l’espressione data non sia una tautologia, poiché essa è un’implicazione, deve succedere che $q$ sia falsa e, al contempo, $p\wedge(p\to q)$ sia vera; in particolare ciò significa che sia $p$ sia $p\toq$ devono essere vere. Ma se $q$ è falsa, $p\to q$ può essere vera se e solo se $p$ è falsa, mentre dovrebbe essere vera. Ne deduciamo che $[p\wedge(p\to q)]\to q$ è in effetti una tautologia, come volevasi.

Dimostrazione del Modus tollens: Per dimostrare il Modus tollens ci limiteremo ad usare il già dimostrato Modus ponens. Dal momento che quest’ultimo vale per ogni possibile coppia di proposizioni $p$ e $q$, esso dovrà in particolare valere per le loro negazioni $\overline{p}$ e $\overline{q}$. Ciò ci consente di scrivere
\[
\frac{\overline{p},\overline{p}\to\overline{q}}{\therefore\overline{q}}
\]
A questo punto ricordiamo che l’implicazione $\overline{p}\to\overline{q}$ è equivalente alla $q\to p$; dunque possiamo riscrivere la formula precedente come
\[
\frac{\overline{p},q\to p}{\therefore\overline{q}}
\]
che è proprio quella relativa al Modus tollens, a patto di scambiare tra loro i nomi delle proposizioni $p$ e $q$.

Dimostrazione del sillogismo: Vogliamo adesso dimostrare che l’espressione \([(p\to q)\wedge(q\to r)]\to(p\to r)\) è una tautologia; potremmo come al solito farlo con le tavole di verità, ma ricorreremo invece a un ragionamento diverso.
Dal momento che l’espressione data è un’implicazione, essa sarà falsa se e solo se \([(p\to q)\wedge(q\to r)]\) è vera, ma $(p\to r)$ è falsa; da quest’ultimo fatto possiamo dedurre che $p$ dev’essere vera ed $r$ dev’essere falsa. Poiché poi la congiunzione è vera, sia $(p\to q)$ sia $(q\to r)$ devono essere vere. Dalla prima di esse, poiché $p$ è vera, deduciamo che $q$ è vera; dalla seconda, poiché $r$ è falsa, deduciamo che $q$ è falsa. Non potendo $q$ essere sia falsa che vera, comprendiamo che in nessun caso l’espressione data può essere falsa, e quindi si tratta di una tautologia.

Osservazione 3: Nella formula del Modus tollens nulla impedisce di scegliere $p=\overline{q}$. In questo caso la deduzione diventa
\[
\frac{\overline{q},\overline{q}\to q}{\therefore q}
\]
Questo modo di ragionare è molto importante in tutta la Matematica, e prende il nome di “dimostrazione per assurdo”. Esso asserisce che, volendo dimostrare una proposizione $q$, è lecito, per quanto strano sembri, assumere come ipotesi $\overline{q}$; se così facendo riusciamo a far vedere che $\overline{q}\to q$ è vera, ovvero raggiungiamo un cosiddetto assurdo, siamo autorizzati a dedurre che la proposizione $q$ stessa è vera.

Logica deduttiva: esempi

Esempi

Esempio 1: Si dica quali dei seguenti ragionamenti derivano da applicazioni corrette del Modus ponens, identificando le proposizioni in esame.

  • Se accendi la luce potrò leggere. Hai acceso la luce. Dunque posso leggere.
  • Se accendi la luce potrò leggere. Posso leggere. Dunque hai acceso la luce.
  • Se non accendi la luce, non potrò leggere. Hai acceso la luce. Dunque posso leggere.

Siano $a$: “accendi la luce” e $b$: “posso leggere” le due proposizioni di cui si parla nelle varie affermazioni in esame. Ricordiamo la regola del Modus ponens:
\[
\frac{p, p\to q}{\therefore q}
\]
A questo punto non resta che capire, in ognuno dei tre ragionamenti suddetti, quali sono le premesse e quali le conclusioni. Il primo di essi asserisce che $[(a\to b)\wedge a]\to b$, che è esattamente quanto affermato dal Modus ponens, a patto di porre $a=p$ e $b=q$.
Il secondo ragionamento, scritto in termini matematici, diventa invece $[(a\to b)\wedge b]\to a$. Tale scrittura non corrisponde al Modus ponens, nemmeno se poniamo al contrario di prima $a=q$ e $b=p$; ciò è dovuto al fatto che la direzione dell’implicazione fornita per ipotesi, da $a$ a $b$, rimane fissata.
Passiamo adesso all’ultimo ragionamento, che in formule si scrive $[(\overline{a}\to\overline{b})\wedge a]\to b$. Neppure questo caso è un’applicazione corretta del Modus ponens: se infatti ricordiamo la proprietà di contrapposizione dell’implicazione, scopriamo che si può scrivere $[(b\to a)\wedge a]\to b$, ma questa scrittura è formalmente identica a quella del caso due, a patto di scambiare $a$ e $b$. Siccome il ragionamento di prima era sbagliato, anche questo lo è.

Esempio 2: Si dica quali dei seguenti ragionamenti derivano da applicazioni corrette del Modus tollens, identificando le proposizioni in esame.

  • Se studio sarò promosso. Non ho studiato. Dunque non sono stato promosso.
  • Se studio sarò promosso. Non sono stato promosso. Dunque non ho studiato.
  • Se non studio non sarò promosso. Ho studiato. Dunque sono stato promosso.

Siano $a$: “studio” e $b$: “sono promosso” le due proposizioni citate nei tre ragionamenti. Scriviamo la regola relativa al Modus tollens:
\[
\frac{\overline{q},p\to q}{\therefore\overline{p}}
\]
Nel primo caso certamente abbiamo $a\to b$, ma dal momento che l’altra premessa è $\overline{a}$, non siamo autorizzati a dedurre $\overline{b}$. Il Modus tollens non è stato quindi applicato correttamente; d’altra parte, anche da un punto di vista intuitivo, è concepibile che si venga promossi anche senza aver studiato, magari per un colpo di fortuna. Non è però lecito in ambito matematico fare dei ragionamenti del genere, poiché non sono rigorosi.
Nel secondo caso abbiamo ancora la stessa implicazione che avevamo nel primo, ma stavolta l’altra premessa è $\overline{b}$, come richiesto dal Modus tollens; è allora sensato dedurre $\overline{a}$, come nell’esempio considerato.
Quanto affermato dall’ultimo ragionamento, in formule, è che $[(\overline{a}\to\overline{b})\wedge a]\to b$. Questa scrittura, malgrado adesso le si dia un significato diverso, evidenzia la stessa struttura dell’esempio 1.3, e dunque non è un ragionamento valido, né come Modus ponens né tantomeno come Modus tollens.

Esempio 3: Si dica quali dei seguenti ragionamenti sono sillogismi corretti, identificando le proposizioni in esame.

  • Se studierò, sarò promosso. Se sarò promosso, andrò in vacanza. Ne consegue che se studierò, andrò in vacanza.
  • Se non studierò, non sarò promosso. Se non sarò promosso, non andrò in vacanza. Dunque se studierò, andrò in vacanza.

Siano $a$: “studierò”, $b$: “sarò promosso” e $c$: “andrò in vacanza”. Il sillogismo funziona nel modo seguente:
\[
\frac{p\to q, q\to r}{\therefore p\to r}
\]
Scriviamo in termini matematici il primo ragionamento: esso corrisponde a $[(a\to b)\wedge(b\to c)]\to(a\to c)$, ed ha esattamente la struttura di un sillogismo una volta dopo aver posto $a=p$, $b=q$, $c=r$.
Il secondo ragionamento tradotto in formule assume la forma $[(\overline{a}\to \overline{b})\wedge(\overline{b}\to\overline{c})]\to(a\to c)$. La prima parte è indubbiamente adatta a formare le premesse di un sillogismo, ma la conclusione cui si può giungere da esse è $(\overline{a}\to\overline{c})$, ovverosia $(c\to a)$, e non come si voleva $(a\to c)$. Quindi questo esempio non costituisce un vero sillogismo; lo sarebbe stato qualora come conclusione avessimo avuto “Dunque se andrò in vacanza, avrò studiato”.

Equazioni logaritmiche

Definizione 1: Equazione logaritmica
Si chiama equazione logaritmica un’equazione in cui l’incognita $x$ appare nell’argomento di uno o più logaritmi e in nessun altro luogo.

Definizione 2: Equazione logaritmica in forma canonica
Un’equazione logaritmica viene detta essere in forma canonica allorché è scritta come
\[
\log_{b}f\left(x\right)=\log_{b}g\left(x\right)
\]
in cui \(f\left(x\right)\) e \(g\left(x\right)\) sono due qualsiasi funzioni della $x$ e $b>0$, $b\ne1$

Metodo risolutivo: La prima cosa da fare per risolvere un’equazione logaritmica consiste nel riscriverla in forma canonica; ciò si può spesso fare agevolmente ricorrendo alle proprietà di prodotto, quoziente, potenza e cambio di base dei logaritmi.
Una volta che l’equazione di presenta nella forma \(\log_{b}f\left(x\right)=\log_{b}g\left(x\right)\), ci occorre solo ricordare che dal momento che il logaritmo è una funzione biiettiva tra $\mathbf{R}^+$ e $\mathbf{R}$, è sempre lecito effettuare il passaggio seguente
\[
\log_{b}f\left(x\right)=\log_{b}g\left(x\right)\rightarrow f\left(x\right)=g\left(x\right)
\]
indipendentemente da quale sia la base $b$ dei logaritmi. Quando si fa questo passaggio, si suole dire che si è “passati agli argomenti”, dal momento che tutto ciò che resta nella seconda equazione sono gli argomenti dei logaritmi che avevamo prima. Da questo punto in avanti l’equazione, che tipicamente adesso è puramente algebrica, si può risolvere con qualcuno dei metodi già studiati.
Una volta ottenute le soluzioni, bisogna verificare che esse siano accettabili. Può infatti capitare che qualcuna delle soluzioni ottenute non cada all’interno di tutti i domini dei logaritmi considerati nell’equazione, e quindi debba essere scartata. Al limite, se ciò si verifica per tutte le soluzioni trovate, si dirà che l’equazione logaritmica è impossibile.

Osservazione 1: Come detto, il metodo risolutivo esposto funziona solo se l’equazione logaritmica da risolvere è in forma canonica, cioè come richiesto dalla definizione 2. Malgrado sia vero che, con opportune applicazioni delle proprietà dei logaritmi, molte equazioni logaritmiche si possono ricondurre alla forma canonica, tuttavia le funzioni \(f\left(x\right)\) e \(g\left(x\right)\) risultanti non sono sempre tanto semplici da consentire il ritrovamento delle soluzioni.

Osservazione 2: Quel che in realtà si suppone si stia facendo nel momento in cui si “passa agli argomenti” è il seguente passaggio, che viene solitamente omesso:
\[
\log_{b}f\left(x\right)=\log_{b}g\left(x\right)\Rightarrow b^{\log_{b}f\left(x\right)}=b^{\log_{b}g\left(x\right)}\Rightarrow f\left(x\right)=g\left(x\right)
\]
Come si vede, esso dipende dalla biiettività della funzione esponenziale di base $b$. Ciò spiega anche perché, nel caso in cui l’equazione si riduca a \(\log_{b}f\left(x\right)=a\), si possa passare direttamente a \(f\left(x\right)=b^a\).

Osservazione 3: Il fondamentale controllo di validità delle soluzioni provvisorie trovate con il metodo risolutivo su esposto va effettuato, come si suol dire, a priori o a posteriori. Nel controllo a priori calcoliamo prima i domini dei vari logaritmi imponendo che i loro argomenti siano strettamente positivi, quindi li intersechiamo, ottenendo così il dominio dell’equazione, e infine controlliamo quali delle soluzioni provvisorie appartengono a quest’ultimo. Spesso però è difficile trovare il dominio di un logaritmo; in questi casi, e solo in questi, si procede con il metodo a posteriori, che consiste nel sostituire una alla volta le soluzioni provvisorie nell’equazione è controllare se essa è verificata. Normalmente si preferisce adoperare il metodo a priori perché quello a posteriori richiede di solito molto più tempo.

 

Esempi di risoluzione di equazioni logaritmiche

Esempio 1: Si vuole risolvere l’equazione \(2\ln x+\frac{1}{\log_{2}e}=\ln\left(3x+2\right)\).
L’equazione data è certo logaritmica, perché come da definizione 1 l’incognita figura solo negli argomenti di alcuni dei logaritmi presenti; essa non è però in forma canonica, visto che non è un’uguaglianza di due logaritmi come richiesto dalla definizione 2. Per questo motivo, i primi passaggi saranno volti a rendere canonica l’equazione:
\[
\begin{array}{ccc}
\ln{x^2}+\ln2=\ln\left(3x+2\right) & \Rightarrow & \ln x^2=\ln\left(3x+2\right)-\ln2\\
\ln{x^2}=\ln\left(\frac{3x+2}{2}\right) & \Rightarrow & \ln{x^2}=\ln\left(\frac{3}{2}x+1\right)
\end{array}
\]
Nel primo passaggio abbiamo applicato sia la regola del logaritmo di una potenza per portare il fattore 2 all’esponente della $x$, sia il cambiamento di base per trasformare in logaritmo naturale l’unico logaritmo presente la cui base non era $e$. Dopo alcuni passaggi algebrici, abbiamo applicato la regola del quoziente e ottenuto così un’equazione in forma canonica. Si noti che avremmo potuto ottenere, con diversi passaggi, più equazioni diverse tutte in forma canonica e tutte, naturalmente, equivalenti.
Come detto nel metodo risolutivo, dobbiamo adesso passare agli argomenti. Dunque si ha
\[
x^2=\frac{3}{2}x+1\rightarrow x^2-\frac{3}{2}x-1=0\rightarrow x=2,\: x=-\frac{1}{2}
\]
cosicché 2 e $-\frac{1}{2}$ sono le soluzioni provvisorie. Controlliamo adesso se sono accettabili, calcolando il dominio dell’equazione logaritmica a priori:
\[
\begin{array}{ccccc}
\left\{ \begin{array}{ll}
x>0 \\
3x+2>0
\end{array} \right. &
\rightarrow &
\left\{ \begin{array}{ll}
x>0 \\
x>-\frac{2}{3}
\end{array} \right. &
\rightarrow &
x>0
\end{array}
\]
Visto che $2>0$, la prima delle due soluzioni provvisorie è accettabile; lo stesso però non si può dire della seconda, visto che $-\frac{1}{2}<0$. Ne consegue che l’unica soluzione della nostra equazione logaritmica è $x=2$.

Esempio 2: Si vuole risolvere l’equazione \(\ln\left(x+2^x-1\right)=2\ln\sqrt{x}\).
In questo caso risulta piuttosto difficile calcolare a priori il dominio dell’equazione, a causa dell’argomento del primo logaritmo. Tenteremo allora di risolverla e ottenere le soluzioni provvisorie, per poi controllare a posteriori se queste sono accettabili o meno; agiremo cioè come illustrato dall’osservazione 3.
Osserviamo prima di tutto che, a causa del fatto che la $x$ compare sotto radice quadrata, necessariamente sarà $x\ge 0$. Dunque si può senz’altro applicare la regola del logaritmo di una potenza al secondo membro, e portare così in forma canonica l’equazione:
\[
\ln\left(x+2^x-1\right)=2\ln\sqrt{x}\rightarrow\ln\left(x+2^x-1\right)=\ln x
\]
Passando, com’è lecito, agli argomenti, avremo $x+2^x-1$, cioè $2^x-1$; l’iniettività della funzione esponenziale ci assicura allora che l’unica eventuale soluzione sarà $x=0$.
Quando però passiamo al controllo di accettabilità, scopriamo che l’argomento del primo logaritmo, e in verità anche quello del secondo, si annulla per $x=0$; dovendo esso essere strettamente positivo, l’unica soluzione provvisoria $x=0$ va scartata. Ne consegue che l’equazione logaritmica è in realtà impossibile.

 

Definizione di logaritmo

Definizione generale di logaritmo

Dati due numeri reali $a>0$ e $b<0$, $b \ne 0$ si definisce logaritmo di base $b$ e argomento $a$ l’esponente da attribuire alla base $b$ per ottenere una potenza uguale all’argomento $a$. Ciò si scrive nella forma
\[ \begin{equation}x=\log_b a\Leftrightarrow b^x=a \label{eq1}\end{equation} \]

Definizione di logaritmo naturale o neperiano

Un logaritmo la cui base è il numero di Nepero $e$ è detto logaritmo naturale o neperiano. In simboli ciò si indica in uno dei due modi seguenti, anche se normalmente di predilige il secondo:
\[
x=\log_e a\;\text{o}\;x=\ln a
\]

Definizione di logaritmo decimale o di Briggs

Un logaritmo la cui base è 10 viene chiamato logaritmo decimale o di Briggs. In simboli ciò si indica nei modi seguenti:
\[
x=\log_{10}a\;\;\text{o}\;\;x=\text{Log}\,a
\]

Osservazione 1: Quando si dà una nuova definizione occorre sempre controllare che essa non sia contraddittoria. Nella definizione 1 viene detto che il logaritmo è precisamente quell’esponente da attribuire a $b$ onde ottenere $a$; ciò presuppone che esista uno e un sol numero con tale proprietà. Effettivamente ciò corrisponde a verità, in quanto la funzione esponenziale di base $b$ è iniettiva, e quindi non esistono due $x$ diversi che consentano di ottenere $a$ attraverso il calcolo proposto nella (1).

 

Definizione di logaritmo

 

Osservazione 2: Dalla definizione 1 risulta che la base $b$ di un logaritmo deve consistere in un numero reale positivo differente da 1. Questa richiesta, a prima vista complicata, è facilmente spiegata osservando che per la (1) deve essere $b^x=a$: visto allora che $b$ deve essere anche la base di una funzione esponenziale, i valori negativi vanno eliminati a causa di come è definita quest’ultima. Se invece fosse $b=1$, avremmo che $a=1^x=1$ indipendentemente dal valore di $x$, ovvero il nostro logaritmo si ridurrebbe alla funzione $y=1$. Posto allora $b>0$, $b>1$ può risultare o $b>1$ o \(0 < b <1\) ; i due grafici possibili in questi due casi per la funzione $y=\log_b a$ sono rappresentati nelle immagini precedenti.

Osservazione 3: La definizione 1, e di conseguenza anche la 2 e la 3 che da essa dipendono, richiede esplicitamente che risulti $a > 0$. Ciò è dovuto a quanto scritto nella formula (1) e alle proprietà della funzione esponenziale. Visto che infatti deve risultare $b^x=a$ e che la funzione esponenziale di base $b$ assume valori solo in $\mathbb{R}^+$, necessariamente il valore di $a$ sarà positivo.

Osservazione 4: Il legame tra funzione esponenziale e logaritmo espresso dalla (1) si può anche visualizzare nel modo che segue. Si consideri il grafico già noto relativo alla funzione esponenziale di base $b$ (nell’immagine seguente lo si è rappresentato in rosso e si è scelto $b > 1$) e la bisettrice del primo e terzo quadrante (in viola nel grafico). Riflettendo detto grafico rispetto alla retta data si ottiene il nuovo grafico in blu: esso è il grafico della funzione $y=\log_b a$, ovvero del logaritmo.
Le proprietà dell’esponenziale valgono riflesse per il logaritmo: se l’esponenziale è definita su tutto $\mathbb{R}$, assume valori in $\mathbb{R}^+$, passa per il punto $(0, 1)$ e tende a $0^+$ per \(x \rightarrow -\infty\), allora il logaritmo è definito su $\mathbb{R}^+$, assume valori in tutto $\mathbb{R}$, passa per il punto $(1, 0)$ e tende a $-\infty$ per $x\rightarrow 0^+$. In particolare ciò significa che poichè l’esponenziale possiede un asintoto orizzontale, il logaritmo ne ha uno verticale.
Un legame di questo tipo tra i grafici di queste due funzioni è dovuto al fatto che esse sono una la funzione inversa dell’altra.

 

Grafici delle funzioni esponenziale e logaritmo

 

Esempi elementari di calcolo di logaritmi

Esempio 1: Proviamo a calcolare il valore di $x=log_b 1$. Come richiesto dalla definizione 1, per risolvere questo problema dovremo trovare quel valore, che esiste ed è unico in virtù dell’osservazione 1, tale che $b^x=1$. Indipendentemente da quale sia la base $b$, sappiamo che elevandola alla 0 otterremo 1, cioè \(b^0=1\), $\forall b$. Quindi il risultato sarà $log_b 1=0$. In effetti, l’osservazione 4 ci assicurava già che il grafico del logaritmo passa per il punto $(1, 0)$ quale che sia la base $b$, cosicché il risultato era in effetti banale.

Esempio 2: Calcoliamo adesso $log_b b$. Adoperando ancora la definizione 1, sappiamo che il numero ricercato deve essere tale che $b^x=b$. Com’è noto già dalle proprietà delle potenze, l’elevazione di un numero qualsiasi alla 1 ci restituisce il numero stesso; dunque certamente $log_b b=1$ per ogni $b$.

Esempio 3: Utilizzando sempre lo stesso metodo, è possibile verificare i seguenti risultati:
\( x=\text{Log}1000\rightarrow x=log_{10}1000\rightarrow 10^x=1000=10^3\rightarrow x=3 \)

\( x=\ln \sqrt{e} \rightarrow x = \log_e \sqrt{e} \rightarrow e^x = \sqrt{e} = e^{1/2} \rightarrow x = \frac{1}{2} \)
Nel primo dei due esercizi è stata usata la definizione 3 per consentire il primo passaggio. Similmente, il primo passaggio del secondo esercizio vale in virtù della definizione 2.

Esempio 4: Proviamo infine a calcolare il valore di $x=log_{2}3$. Se come al solito ricorriamo alla definizione 1, scopriamo solo che $2^x=3$; ciò non ci è di grande aiuto, visto che non conosciamo alcun numero $x$ “semplice” che verifichi questa equazione. Infatti comunque eleviamo 2 a un numero naturale otteniamo sempre un numero pari, ed essendo 3 dispari l’uguaglianza non può mai valere.
D’altro canto la funzione esponenziale è definita su tutto $\mathbb{R}$, quindi una soluzione deve necessariamente esistere. Visto che non la conosciamo con precisione, possiamo quanto meno tentare di approssimarla: visto allora che $2 < 3 < 4$, è lecito scrivere
\[
2^1 < 2^x<2^2
\]
Questo, unitamente al fatto che la funzione esponenziale è crescente, ci assicura che l’$x$ da noi ricercato appartiene all’intervallo $(1, 2)$; in effetti usando una calcolatrice scientifica risulta che $x\approx1.585$, e quindi la nostra stima è corretta.

 

Sistemi di tre o più equazioni

I sistemi di equazioni possono essere composti da un numero qualsiasi di equazioni, e un numero qualsiasi di incognite. In particolare, vengono trattati principalmente i sistemi lineari in cui il numero di equazioni è uguale al numero di incognite e, per questo tipo di sistemi, le nozioni riguardanti i sistemi lineari a due incognite possono essere generalizzati.

Evidenziamo alcuni concetti base:

  • una soluzione di un sistema a tre incognite è costituita da una terna ordinata di numeri reali;
  • una soluzione di un sistema a quattro incognite è costituita da una quaterne ordinata di numeri reali;
  • ….

In generale, una soluzione di un sistema a n incognite è costituita da una n-pla ordinata di numeri reali.

  • Per i sistemi a tre, quattro, …, n equazioni in tre, quattro, …, $n$ incognite valgono i concetti di sistema equivalente, sistema determinato, indeterminato e impossibile già esaminati per i sistemi a due equazioni in due incognite; anche i concetti di grado di un sistema, e grado di un’equazione sono gli stessi.

 

Risoluzione dei sistemi lineari di tre o più equazioni

I metodi risolutivi dei sistemi a due equazioni in due incognite, in particolare modo il metodo di sostituzione, di eliminazione, e la regola di Cramer, possono essere applicati anche ai sistemi di tre o più equazioni.

Il metodo di sostituzione

Il metodo di sostituzione è applicabile, senza modifiche, ai sistemi di tre o più equazioni; tuttavia, a volte i calcoli possono diventare particolarmente laboriosi. Vediamo, quindi, alcune linee guida da seguire per semplificare l’operazione:

  • si ricava un’incognita dalla prima equazione e si sostituisce nella seconda, nella terza, ecc.;
  • si semplificano le equazioni in cui sono state fatte le sostituzioni;
  • si ricava un’altra incognita dalla seconda equazione, e si sostituisce nella terza, nella quarta, ecc. (non nella prima!);
  • si semplificano le equazioni in cui sono state fatte le sostituzioni;
  • si procede in questo modo finché non si trova un’equazione che ha una sola incognita; si risolve, quindi, questa equazione;
  • si sostituisce nella penultima equazione il valore dell’incognita trovata, determinando così un’altra incognita;
  • si procede a ritroso, fino a tornare alla prima equazione, determinando così il valore di tutte le incognite.

Esempio

Risolviamo con il metodo di sostituzione il seguente sistema lineare a tre equazioni in tre incognite:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x-y+z=-1 & \\
x+2y-z=8 & \\
3x-y+2z=3 &
\end{array}
\right.
$$
Ricaviamo $x$ dalla prima equazione:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
x+2y-z=8 & \\
3x-y+2z=3 &
\end{array}
\right.
$$
e sostituiamola nella seconda e nella terza:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
-1+y-z+2y-z=8 & \\
3(-1+y-z)-y+2z=3 &
\end{array}
\right.
$$
semplifichiamo le equazioni:
$$
\begin{array}{cc}
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
3y-2z=9 & \\
-3+3y-3z-y+2z=3 &
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
3y-2z=9 & \\
2y-z=6 &
\end{array}
\right.
&
\end{array}
$$
Ora, ricaviamo $y$ dalla seconda equazione e sostituiamola nella terza:
$$
\begin{array}{cc}
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
y=\dfrac{9+2z}{3} & \\
2y-z=6 &
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
y=\dfrac{9+2z}{3} & \\
2\cdot\dfrac{9+2z}{3}-z=6 &
\end{array}
\right.
&
\end{array}
$$
La terza equazione ha solo l’incognita $z$, che può essere subito determinata:
$$
\begin{array}{cc}
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
y=\dfrac{9+2z}{3} & \\
\dfrac{18+4z}{3}-z=6 &
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
y=\dfrac{9+2z}{3} & \\
18+4z-3z=18 &
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
y=\dfrac{9+2z}{3} & \\
z=0
\end{array}\right.
\end{array}
$$
Sostituiamo il valore trovato di $z$ nella seconda equazione, determinando così $y$:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+y-z & \\
y=\dfrac{9+2\cdot 0}{3}=3 & \\
z=0
\end{array}
\right.
$$
Sostituiamo i valori di $y$ e $z$ nella prima equazione, determinando così anche $x$:
$$
\begin{array}{cc}
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-1+3-0=2 & \\
y=3 & \\
z=0
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
x=0 & \\
y=3 & \\
z=0
\end{array}
\right.
\end{array}
$$

 

Il metodo di eliminazione

Il principio di riduzione, già visto per i sistemi lineari a due equazioni in due incognite, può essere applicato per tutti i sistemi lineari, che possono essere risolti con il metodo di eliminazione; tuttavia, invece di formulare un metodo generale di eliminazione per i sistemi a più equazione, mostriamo come questo metodo possa essere applicato ad alcuni tipi di sistemi per semplificare notevolmente i calcoli.

Esempio

Consideriamo il seguente sistema:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x+y+z=0 & \\
x-y-z=4 & \\
-z+y-z=-4
\end{array}
\right.
$$
Notiamo che la prima e la seconda equazione hanno i coefficienti di $y$ e $z$ opposti; possiamo quindi applicare il metodo di eliminazione a queste due equazioni, determinando così la prima incognita:
\[(x+y+z)+(x-y-z)=0+4\\ 2x=4\rightarrow x=2 \]
Anche la seconda e la terza equazione hanno i termini di $x$ e di $y$ opposti; applichiamo quindi l’eliminazione anche alla seconda e alla terza equazione:
\[(x-y-z)+(-x+y-z)=4-4\\ -2z=0\rightarrow z=0\]
Ora che conosciamo il valore di due delle tre incognite del sistema, per trovare la terza sarà sufficiente sostituire i loro valori in una delle equazioni del sistema, per esempio la prima:
$$
\begin{array}{cc}
\left\{
\begin{array}{ll}
2+y+0=0 & \\
x=2 & \\
z=0 &
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
y=-2 & \\
x=2 & \\
z=0 &
\end{array}
\right.
\end{array}
$$

 

La regola di Cramer

Questa regola può essere applicata anche ai sistemi di tre equazioni, con alcune modifiche per il calcolo del determinante.

Consideriamo un sistema generico:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
a_1x+b_1y+c_1z=d_1 & \\
a_2x+b_2y+c_2z=d_2 & \\
a_3x+b_3y+c_3z=d_3 &
\end{array}
\right.
$$
Il cui determinante viene espresso in questo modo:
$$
D=\left\bracevert
\begin{array}{cc}
a_1 & b_1 & c_1 & \\
a_2 & b_2 & c_2 & \\
a_3 & b_3 & c_3 &
\end{array}
\right\bracevert
$$

Per calcolare questo determinante si ricorre alla Regola di Sarrus, per cui si procede moltiplicando i termini, disposti nel seguente modo, nell’ordine delle frecce, ricordandosi che quando si procede da sinistra a destra di scrive il prodotto con il suo segno, mentre quando si procede da destra a sinistra si scrive il prodotto con il segno cambiato:

Come nel caso dei determinanti per le i sistemi a due incognite, abbiamo:
$$
\begin{array}{ll}
D=\left\bracevert
\begin{array}{cc}
d_1 & b_1 & c_1 \\
d_2 & b_2 & c_2 \\
d_3 & b_3 & c_3
\end{array}
\right\bracevert
&
D=\left\bracevert
\begin{array}{cc}
a_1 & d_1 & c_1 \\
a_2 & d_2 & c_2 \\
a_3 & d_3 & c_3
\end{array}
\right\bracevert
&
D=\left\bracevert
\begin{array}{cc}
a_1 & b_1 & d_1 \\
a_2 & b_2 & d_2 \\
a_3 & b_3 & d_3
\end{array}
\right\bracevert
\end{array}
$$
E la soluzione, se il determinante del sistema è diverso da zero, è una terna ordinata formata in questo modo:
$$
\left\lgroup
\begin{array}{ccc}
\dfrac{D_x}{D}; &
\dfrac{D_y}{D}; &
\dfrac{D_z}{D}
\end{array}
\right\rgroup
$$

 

Problemi con i sistemi di primo grado

Risoluzione dei problemi

Per alcuni tipi di problemi non basta impostare una sola equazione per giungere alla conclusione, ma è necessario impostarne due. Per questo tipo di problemi dobbiamo impostare due equazioni, inserirle in un sistema e risolvere il sistema per determinare la soluzione.

Non è possibile stabilire un criterio generale di risoluzione, poiché non tutti i problemi sono uguali, e ognuno rappresenta un caso a parte. Tuttavia, possiamo dare delle regole guida generali che ci aiutino ad affrontarli:

  • si legge attentamente il problema e si analizzano i dati;
  • si individuano le incognite;
  • si impongono le eventuali condizioni di accettabilità della soluzione;
  • si scrivono due equazioni che esprimono le relazioni tra i dati noti e le incognite;
  • si risolve il sistema formato dalle due equazioni così trovate;
  • si confronta la soluzione così trovata con le condizioni di accettabilità;
  • si formula la soluzione del problema.

Ecco alcuni esempi di problemi che richiedono l’uso di un sistema a due equazioni.

Esempio di problema risolvibile con un sistema lineare

Il semiperimetro di un rettangolo è cinque volte la base e l’altezza supera di tre centimetri la base. Determinare le dimensioni del rettangolo.

Il problema chiede esplicitamente di determinare le dimensioni del rettangolo. Assegniamo, quindi, ai lati del rettangolo le due incognite che ci serviranno per impostare il problema:

Poiché i lati del triangolo sono grandezze geometriche, saranno necessariamente positive; poniamo quindi come condizioni di accettabilità:
\[x > 0, y > 0 \]
Ora, potendo esprimere i lati del rettangolo mediante le incognite, possiamo determinare il semiperimetro del rettangolo: $p = x + y$.

Sappiamo che il semiperimetro del rettangolo è cinque volte la base; possiamo, quindi, già scrivere la prima equazione:
$$
\mbox{semiperimetro}=5*\mbox{base}\\
x+y=5y
$$
Poi, sapendo che l’altezza supera di tre centimetri la base, possiamo scrivere anche la seconda equazione:
\[\mbox{altezza} = \mbox{base} + 3\space cm\\
x = y + 3\]
Ora che abbiamo due equazioni, mettiamole a sistema:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x+y=5y & \\
x=y+3
\end{array}
\right.
$$
Poiché abbiamo già esplicitata la $x$ nella seconda equazione, risolviamo il sistema con il metodo della sostituzione:
$$
\begin{array}{ll}
\left\{
\begin{array}{ll}
x+y-5y=0 & \\
x=y+3
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
x-4y=0 & \\
x=y+3
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
\left(y+3\right)-4y=0 &\\
x=y+3
\end{array}
\right.\\
\left\{
\begin{array}{ll}
y+3-4y=0 &\\
x=y+3
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
-3y=-3 &\\
x=y+3
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
y=1 &\\
x=y+3
\end{array}
\right.\\
\left\{
\begin{array}{ll}
y=1 &\\
x=1+3
\end{array}
\right.
&
\left\{
\begin{array}{ll}
y=1 &\\
x=4
\end{array}
\right.
&
\end{array}
$$
Abbiamo quindi trovato che la base del rettangolo misura \(4\space cm\), mentre la sua altezza misura \(1\space cm\).

Esempio 2 di problema risolvibile con un sistema lineare

In un negozio di articoli sportivi vi sono 31 scatole di palline da tennis. Alcune scatole contengono 3 palline, altre ne contengono 4, per un totale di 104 palline nel negozio. Determinare il numero di scatole da tre palline e da quattro palline presenti nel negozio.

Poniamo come incognite $x$ ed $y$ le informazioni che ci vengono chieste:
\[x = \mbox{numero di scatole contenenti 3 palline;}\\
y = \mbox{numero di scatole contenenti 4 palline;}\]
Sapendo che nel negozio vi sono in totale 31 palline da tennis, e ipotizzando che queste siano costituite esclusivamente da quella da 3 e 4 palline, possiamo affermare che:
\[n^°\space \mbox{tot. di scatole} = n^°\space \mbox{scatole da 3 palline} + n^°\space \mbox{scatole da 4 palline}\]
e quindi possiamo creare la prima equazione:
\[31 = x + y\]
Inoltre, il numero totale delle palline è dato da tutte le palline presenti nelle scatole da 3 più tutte le palline presenti nelle scatole da 4; sapendo che il numero di scatole da 3 palline è $x$, e che in ogni scatola sono presenti palline, il numero totale di palline presenti in queste scatole sarà $3*x$; allo stesso modo, il numero di palline presenti nelle scatole da 4 sarà $4*y$. Possiamo quindi impostare anche la seconda equazione:
\[3x + 4y = 104\]
Avendo le due equazioni, possiamo creare il sistema:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
3x+3y=93 & \\
3x+4y=104
\end{array}
\right.
\left\{
\begin{array}{ll}
x+y=31 &\\
3x+4y=104
\end{array}
\right.
$$
Risolviamo il sistema con il metodo di eliminazione, moltiplicando la prima equazione per tre:
\[(3x+3y)-(3x+4y)=93-104\\-y=-11\rightarrow y=11\]
Per trovare velocemente l’altra incognita, possiamo sostituire il valore di $y$ trovato ad una delle due equazioni del sistema:
$$
\left\{
\begin{array}{ll}
x+11=31 &\\
y=11
\end{array}
\right.
\left\{
\begin{array}{ll}
x=31-11=20 &\\
y=11
\end{array}
\right.
$$
Abbiamo quindi trovato che, nel negozio, sono presenti 20 scatole di palline contenenti 3 palline, e 11 contenenti 4 palline.

Metodi di risoluzione dei sistemi lineari

In un sistema lineare di equazioni a due incognite, non sempre le equazione ci sono date già ridotte in forma normale; tuttavia, applicando le regole già viste per le equazioni lineari ad una incognita, applicando diversi passaggi, possiamo semplificarle, ottenendo equazioni equivalenti.

Vediamo ora due princìpi che sono propri dei sistemi, e sono il principio di sostituzione e il principio di riduzione.

Il metodo di sostituzione

Il principio di sostituzione afferma che risolvendo un’equazione rispetto ad una incognita e sostituendo al posto di tale incognita, nelle equazioni restanti, l’espressione così trovata, si ottiene un sistema equivalente a quello dato.

Consideriamo un sistema lineare di due equazioni in due incognite ($x$ e $y$ ); per risolverlo applichiamo i seguenti passaggi:

  • riduciamo il sistema in forma normale, utilizzando i tre principi di equivalenza per le sue equazioni;
  • risolviamo una delle due equazioni rispetto ad una delle due incognite, cioè trasformiamo una delle due equazioni nella forma $x = A$ o $y = B$, dove $A$ è un’espressione in cui non compare $x$ (ma possono comparire $y$ e dei termini noti) e $B$ è un’espressione in cui non compare $y$ (ma possono comparire $x$ e dei termini noti);
  • se abbiamo trovato $x$, sostituiamo alla $x$ dell’altra equazione l’espressione $A$; se abbiamo trovato $y$, sostituiamo $B$ alla $y$ dell’altra equazione; in questo modo, ci troveremo ad avere un’equazione in una sola incognita;
  • risolviamo l’equazione i una sola incognita, determinando il valore di $x$ o di $y$;
  • sostituiamo questo valore trovato all’altra equazione, determinando il valore dell’altra incognita.

In questo modo, mediante diversi passaggi, il sistema viene trasformato in sistemi equivalenti.

Esempio

Risolviamo, con il metodo della sostituzione, il seguente sistema:
\[
\left\{ \begin{array}{lcr}
3x+1=4y &\\
6x+2y-3=0 &
\end{array}\right.\]

Scriviamo il sistema in forma normale:
\[\left\{ \begin{array}{lcr}
3x-4y=-1 &\\
6x+2y=3 &
\end{array}\right.\]

Ricaviamo $x$ dalla prima equazione:
\[
\left\{ \begin{array}{lcr}
3x=-1+4y &\\
6x+2y=3 &
\end{array}\right. \Rightarrow
\left\{\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y &\\
6x+2y=3 &
\end{array}\right.\]

Sostituiamo il valore di x, trovato nella prima equazione, nella seconda:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y &\\
6\cdot\left(-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y \right)+2y=3 &
\end{array}\right.
\]
Risolviamo la seconda equazione, determinando $y$:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y &\\
-2+8y+2y=3 &
\end{array}
\right.
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y &\\
10y=5 &
\end{array}
\right.
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y &\\
y=\dfrac{1}{2} &
\end{array}
\right.\]

Sostituiamo il valore di $y$ nella prima equazione, trovando così anche $x$:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}\cdot\dfrac{1}{2} &\\
y=\dfrac{1}{2} &
\end{array}
\right.
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{2}{3} &\\
y=\dfrac{1}{2} &
\end{array}
\right.
\left\{
\begin{array}{ll}
x=\dfrac{1}{3} &\\
y=\dfrac{1}{2} &
\end{array}
\right.
\]

 

Il metodo di confronto

Il metodo di confronto è un altro tipo di procedimento che si può adottare per risolvere sistemi di equazioni lineari in due incognite; vediamo le regole che dobbiamo applicare:

  • riduciamo il sistema in forma normale;
  • ricaviamo $x$ da entrambe le equazioni del sistema e confrontiamo, cioè uguagliamo, le due espressioni ottenute, trovando un’equazione nella sola incognita $y$;
  • risolviamo questa equazione, determinando il valore di $y$;
  • applichiamo lo stesso procedimento ricavando $y$ da entrambe le equazioni.

Esempio

Applichiamo il metodo del confronto al sistema visto nell’esempio precedente:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
3x-4y=-1 &\\
6x+2y=3 &
\end{array}
\right.
\]
Ricaviamo $x$ da entrambe le equazioni:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
x=-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y &\\
x=\dfrac{1}{2}-\dfrac{1}{3}y &
\end{array}
\right.
\]
Uguagliamo le due espressioni ottenute, e risolviamo l’equazione in $y$:
\[-\dfrac{1}{3}+\dfrac{4}{3}y=\dfrac{1}{2}-\dfrac{1}{3}y\]

\[ \frac{4}{3}y+\frac{1}{3}y=\frac{1}{2}+\frac{1}{3} \]

\[ \frac{5}{3}y = \frac{5}{6} \]

\[ y = \frac{5}{6}\cdot \frac{3}{5} = \frac{1}{2} \]

Allo stesso modo, ricaviamo y da entrambe le equazioni e troviamo $x$:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
y=\dfrac{1}{4}+\dfrac{3}{4}x &\\
y=\dfrac{3}{2}-3x &
\end{array}
\right.\\
\dfrac{1}{4}+\dfrac{3}{4}x=\dfrac{3}{2}-3x \\
1+3x=6-12x\rightarrow 15x=5\rightarrow x=\dfrac{1}{3}
\]

 

Il metodo di eliminazione

Il metodo di eliminazione può essere utilizzato per risolvere sistemi lineari di due equazioni in due incognite, si basa sul principio di riduzione:

dato un sistema di due equazioni, se ad una di esse si sostituisce l’equazione che otteniamo sommando o sottraendo membro a membro le due equazioni del sistema, si ottiene un sistema equivalente a quello dato.

Ecco alcune regole da seguire per applicare questo procedimento:

  • si riduce il sistema a forma normale;
  • se i coefficienti della incognita $y$ nelle due equazioni sono uguali, si passa al punto successivo, altrimenti si moltiplicano entrambi i membri dell’equazione per un attore, in modo da rendere i coefficienti di $y$ nelle due equazioni uguali;
  • se i coefficienti dell’incognita $y$ sono opposti, si sommano membro a membro le due equazioni, se invece sono uguali si sottraggono membro a membro le due equazioni;
  • si risolve l’equazione in $x$ così ottenuta;
  • si ripetono i passi precedenti per l’altra incognita.

Esempio

Applichiamo il metodo del confronto al sistema visto nell’esempio precedente:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
3x-4y=-1 & \\
6x+2y=3 &
\end{array}
\right.\]

Per fare in modo che i coefficienti della $y$ siano uguali, moltiplichiamo la seconda equazione per due:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
3x-4y=-1 & \\
12x+4y=6 &
\end{array}
\right.
\]
Ora, sommiamo membro a membro i termini delle equazioni, e risolviamo:
\[
(3x-4y)+(12x+4y)=-1+6 \\
15x=5\rightarrow x=\dfrac{1}{3}
\]
Applichiamo lo stesso procedimento per il coefficiente della $y$, e moltiplichiamo la prima equazione per due:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
6x-8y=-2 & \\
6x+2y=3 &
\end{array}\\
\right.
(6x-8y)-(6x+2y)=-2-3\\
-10x=-5\rightarrow x=\dfrac{1}{2}
\]

 

La regola di Cramer

Questo sistema permette di risolvere velocemente alcuni tipi di sistemi di due equazioni in due incognite. Consideriamo un sistema nella forma:
\[
\left\{
\begin{array}{ll}
a_1x+b_1y=c_1 & \\
a_2x+b_2y=c_2 &
\end{array}
\right.
\]

Il determinante del sistema è il seguente numero:
\[a_1b_2-a_2b_1\]
che indichiamo in questo modo:
\[
D=\left|
\begin{array}{ll}
a_1 & b_2 \\
a_2 & b_1
\end{array}
\right|=a_1b_2-a_2b_1
\]

I determinanti delle incognite, invece, si ottengono sostituendo, nella formula del determinante del sistema, i termini noti al posto dei coefficienti dell’incognita stessa. Si avrà quindi, il determinante di $x$:
\[
D_x=\left|
\begin{array}{ll}
c_1 & b_1 \\
c_2 & b_2
\end{array}
\right|=c_1b_2-c_2b_1
\]
e il determinante di $y$:
\[
D_y=\left|
\begin{array}{ll}
a_1 & c_1 \\
a_2 & c_2
\end{array}
\right|=a_1c_2-a_2c_1
\]
Ora, la soluzione del sistema è data da:

\[
\left\{
\begin{array}{ll}
x=\frac{D_x}{D} & \\
y=\frac{D_y}{D}
\end{array}
\right.
\]

Sistemi lineari di equazioni

Definizioni

  • Un sistema di equazioni è un insieme di due o più equazioni considerate contemporaneamente.

Le equazioni che fanno parte del sistema si scrivono una sotto l’altra, su righe diverse, e si riuniscono con una parentesi graffa posta alla loro sinistra.

  • Il grado di un sistema di equazioni è il prodotto dei gradi delle equazioni che lo compongono.

Queste definizioni sono valide per qualsiasi tipo di equazione; infatti non tengono conto del numero di incognite che vi compaiono.

I sistemi di primo grado sono composti da equazioni di primo grado, e vengono definiti sistemi lineari di equazioni. Un esempio di sistemi lineari sono quelli costituiti da due equazioni a due incognite, come il seguente:
$$
\left\{ \begin{array}{rl}
a_1x+b_1y=c_1 &\\
a_2x+b_2y=c_2 &
\end{array}\right.
$$

Questo sistema, in cui nelle equazioni tutti i termini con le incognite sono al primo membro e i termini noti al secondo, viene detto in forma normale, o canonica.

Soluzioni di un sistema a due incognite

Una coppia ordinata di numeri reali è soluzione di un sistema di equazioni in due incognite se, sostituendo tali numeri alle corrispondenti variabili, tutte le equazioni del sistema si trasformano in uguaglianze vere.

Così come per le equazioni, due sistemi di equazioni sono equivalenti se hanno le stesse soluzioni.

Notiamo che ogni soluzione del sistema è anche soluzione delle singole equazioni; possiamo affermare, quindi, che l’insieme delle soluzioni di un sistema di equazioni è equivalente all’ intersezione degli insiemi delle soluzioni di tutte le sue equazioni.

Risolvere un sistema significa determinare l’insieme delle sue soluzioni.

Un sistema di equazioni può essere:

  • determinato: se l’insieme delle soluzioni è costituito da un numero finito di elementi;
  • indeterminato: se l’insieme delle soluzioni è costituito da un numero infinito di elementi;
  • impossibile: se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto.

Per controllare che una coppia di numeri reali è soluzione del sistema, occorre sostituirla alle incognite delle singole equazione, e verificare che ciascuna di esse dia luogo ad un’uguaglianza vera; se anche solo un’equazione porta ad un’uguaglianza falsa, la coppia considerata non è soluzione del sistema.

Se un’equazione del sistema risulta essere impossibile, allora l’intero sistema sarà impossibile.

Interpretazione grafica dei sistemi lineari di equazioni

Consideriamo in generale sistema di equazioni a due incognite:

$$
\left\{ \begin{array}{rl}
a_1x+b_1y=c_1 &\\
a_2x+b_2y=c_2 &
\end{array}\right.
$$

Chiamiamo le equazioni del sistema eq.1 e eq.2.

Come abbiamo affermato in precedenza, l’insieme delle soluzioni desistemmo è dato dall’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole equazioni, quindi:

\[S=S_1 \cap S_2 \]

Ogni equazione che compone il sistema può essere ricondotta alla forma $y = mx + q$, e rappresenta quindi, nel piano cartesiano, l’equazione di una retta. Chiamiamo le due equazioni in questo modo:
\[
r_1:a_1x+b_1y=c_1\\
r_2:a_2x+b_2y=c_2
\]

Ogni retta nel piano cartesiano rappresenta un insieme infinito di coppie di punti, che corrisponde all’insieme delle soluzioni della relativa equazione. Quindi, dato che possiamo indicare l’insieme delle soluzioni delle equazioni con le rette stesse, l’insieme delle soluzioni del nostro sistema è rappresentato, sul piano cartesiano, da:
\[
r_1 \cap r_2
\]

Questo insieme può essere anche vuoto.

Vediamo ora i tre casi che si possono presentare:

  1. Se le rette coincidono, le soluzioni del sistema saranno tutte le coppie ordinate di punti che appartengono alla retta; poiché una retta è costituita da un insieme infinito di punti, il sistema avrà infinite soluzioni, e sarà quindi indeterminato: \[r_1 \cap r_2 = r_1 \rightarrow S_1 \cap S_2 = S_1 \]
  2. Se le due rette sono parallele, le rette non hanno nessun punto in comune; di conseguenza, non esiste nessun punto che sia soluzione comune delle equazione che le rappresentano, e l’insieme delle soluzioni del sistema è l’insieme vuoto; il sistema è pertanto impossibile: \[r_1 \cap r_2 = \oslash \rightarrow S_1 \cap S_2 = \oslash \]
  3. Se le due rette sono incidenti, cioè si intersecano in un punto $P ( x0 ; y0 )$, le coordinate di questo punto appartengono ad entrambe le rette; quindi, le coordinate del punto sono soluzione di entrambe le equazioni, e rappresentano dunque l’unica soluzione del sistema; il sistema è quindi determinato: \[r_1 \cap r_2 = \{P\} \rightarrow S_1 \cap S_2 = \{(x_0;y_0)\}\]

Riassumiamo quanto detto in uno schema grafico:

 

Sistema determinato

 

Sistema indeterminato

 

Sistema impossibile

 

Sistemi di equazioni in due incognite

Introduzione ai sistemi di equazioni

Un’equazione in due incognite è un’equazione in cui, come suggerisce il nome stesso, compaiono due lettere come incognite; solitamente si indicano con le lettere \( x \) ed \( y \).

Un esempio di equazione in due incognite è il seguente:
\[2x+3y=20\]
Una coppia ordinata di numeri reali è soluzione di un’equazione in due incognite se, sostituendo il primo numero alla prima incognita e il secondo numero alla seconda incognita, l’equazione si trasforma in un’uguaglianza vera.

Nell’esempio di prima possiamo affermare che una soluzione dell’equazione in due incognite è la coppia ordinata \( (1; 6) \), infatti, sostituendo nell’equazione:
\[2\cdot1+3\cdot6=2+18=20\]
Notiamo che tale soluzione non è unica; infatti, anche la coppia ordinata $(16; -4)$ è soluzione dell’equazione:
\[2\cdot16+3\cdot(-4)=32-12=20\]
L’insieme delle soluzioni di un’equazioni in due incognite è perciò un insieme di coppie ordinate di numeri reali; poiché ogni coppia di punti rappresenta un punto nel piano cartesiano, possiamo considerare l’insieme delle soluzioni come un sottoinsieme dell’insieme dei punti del piano:
\[S\subseteq\mathbb{R}\times\mathbb{R}\]
Anche un’equazione in due incognite, così come le equazioni ad una incognita, può essere determinata, indeterminata, o impossibile:

  • un’equazione in due incognite si dice determinata se l’insieme delle sue soluzioni è costituito da un numero finito di coppie ordinate di numeri reali.

 

Esempio di equazione determinata

L’equazione \(x^2+y^2=0\) è determinata; infatti, la somma di due quadrati (che sono quantità positive o nume) è zero se e solo se entrambi i numeri sono zero; quindi, l’unica coppia ordinata che soddisfa l’equazione è $(0 ; 0)$.

Un’equazione in due incognite si dice indeterminata se l’insieme delle sue soluzioni è costituito da un numero infinito di coppie ordinate di numeri reali.

 

Esempio di equazione indeterminata

Consideriamo la seguente equazione:
\[y=2x\]
Alcune delle sue soluzioni sono le coppie \((1; 2), (2; 4), (5; 10)…\)
Notiamo che tutte le coppie in cui il primo elemento sia la metà del secondo sono soluzioni dell’equazione, e le coppie di numeri reali di questo tipo sono infinite.

  • Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle sue soluzioni è l’insieme vuoto.

 

Esempio di equazione impossibile

Consideriamo l’equazione
\[x^2+y^2=-1\].
La somma di due quadrati, che sono quantità positive o nulle, necessariamente deve essere positiva o nulla; non può quindi essere una quantità negativa. Concludiamo che qualunque coppia ordinata di numeri reali, sostituita alle incognite, porterà ad un’uguaglianza falsa.

  • Un’equazione in due incognite è un’identità se qualunque coppia ordinata di numeri reali è una sua soluzione (escluse quelle coppie che fanno perdere significato all’equazione stessa).

 

Esempio di identità

Consideriamo la seguente equazione, che rappresenta lo sviluppo del quadrato del binomio:
\[(x+y)^2=x^2+2xy+y^2\]
Poiché l’equazione rappresenta una formula universale, qualsiasi coppia ordinata che viene sostituita alle incognite darà un’uguaglianza vera.
Così come le equazioni ad una incognita, anche quelle a due incognite possono essere intere, frazionarie o letterali.
I principi di equivalenza sono validi anche per le equazioni a due incognite e, anche per questo tipo di equazioni si può parlare di forma canonica, espressa in questo modo:
\[P(x;y)=0\]

Rappresentazione grafica delle soluzioni di un’equazione

Sapendo che le soluzioni delle equazioni a due incognite sono coppie ordinate e che le coppie ordinate rappresentano punti del piano cartesiano, possiamo pensare di rappresentare l’insieme delle soluzioni graficamente. Consideriamo l’equazione
\[2x+3y=20\]
Risolviamo l’equazione ricavando $y$:
\[3y=-2x+20\\
y=-\frac{2}{3}x+\frac{20}{3}\]
Le equazioni del tipo \(y = mx + q\) rappresentano delle funzioni lineari, che nel piano cartesiano sono delle rette. Notiamo, infatti, che le equazioni di questo tipo sono indeterminate, perché si possono trovare infinite coppie di numeri reali che sostituite alle incognite danno un’uguaglianza vera.

Per disegnare in grafico corrispondente, è sufficiente riportare nel piano cartesiano due coppie di punti che rappresentano due soluzioni, e tracciare poi una retta che li congiunga:

Possiamo considerare un’equazione in due incognite in forma generale:
\[ax+by+c=0\]
Esaminiamo diversi casi:

  • se $b$ è diverso da zero, possiamo trasformare l’equazione in questo modo:\[ax+by+c=0\rightarrow\\by=-ax-c\rightarrow\\y=-\frac{a}{b}x-\frac{c}{b}\] L’insieme delle soluzioni rappresenta, in questo caso, una retta non parallela all’asse delle $y$.
  • Se \(b=0 \wedge a\neq0\) l’equazione si può scrivere in questo modo:\[x=-\frac{c}{a}\] e l’equazione rappresenta una retta parallela all’asse delle $y$.
  • Se invece \(b=0 \wedge a=0 \), l’equazione si riduce a $c=0$, quindi avremmo un’identità se $c=0$, altrimenti l’equazione sarà impossibile.

 

Equazioni letterali intere

Equazioni letterali intere

Le equazioni letterali intere in un’incognita sono equazioni in cui, oltre alla lettera che rappresenta l’incognita, appaiono altre lettere, dette parametri, che rappresentano quantità numeriche note, anche se non specificate.

Per esempio, le seguenti equazioni sono letterali intere, nell’incognita \(x\):

\[\begin{gather*}x+3a=ax-5\\
\frac{x-2}{a+3}+5=3ax\end{gather*}\]

Il calcolo letterale è utile per affrontare dei tipi di problemi in cui alcuni tipi di dato possono cambiare, cioè problemi in cui si può trovare una risoluzione generale che consente, una volta che siano noti i dati, di ricavare immediatamente la soluzione, senza dover ogni volta impostare un’equazione diversa. Questi dati che possono cambiare vengono espressi mediante le lettere definite parametri.

Risoluzione di un’equazione letterale intera

Poiché i parametri sono sostanzialmente numeri, anche se non noti, la risoluzione delle equazioni letterali intere è molto simile a quella delle equazioni numeriche; valgono infatti i primi due principi di equivalenza delle equazioni e le loro conseguenze.

E’ possibile, quindi:

  • Sommare o sottrarre una stessa quantità numerica ad ambo i membri dell’equazione ottenendo un’equazione equivalente a quella data (primo principio);
  • Moltiplicare o dividere entrambi i membri dell’equazione per  una stessa quantità numerica, diversa da zero, ottenendo un’equazione equivalente a quella data (secondo principio).

In relazione al secondo principio, ricordiamo che quando moltiplichiamo i membri dell’equazione per una quantità numerica contenente un parametro, dovremmo escludere i valori di quel parametro che fanno annullare la quantità numerica.

Risoluzione di un’equazione letterale intera

Ipotizziamo che, dopo diversi passaggi risolutivi, l’equazione si presenti nella forma:
\[Ax=B\]

dove \(A\) e \(B\) possono essere numeri, monomi o polinomi, eventualmente espressi nelle lettere che rappresentano i parametri.
Esaminiamo ora due casi:

  1. Se \(A\) è un numero diverso da zero, si trova immediatamente la soluzione: si dividono entrambi i membri per \(A\) e si trova la soluzione nella forma \(x = A/B\);
  2. Se \(A\) è un monomio o un polinomio, si determinano gli eventuali valori dei parametri per cui l’espressione si annulla, e si procede poi alla discussione.

Discutere un’equazione letterale della forma \(Ax = B\) significa determinare i valori dei parametri per cui l’equazione risulta determinate, indeterminata o impossibile.

Esempio di discussione di un’equazione letterale

Consideriamo la seguente equazione letterale in incognita \(x\):
\[2bx-3(b-1)=bx-2b\]
Per ridurla nella forma sopra descritta, svolgiamo alcuni passaggi:
\[\begin{gather*}2bx-bx=3b-3-2b\\
bx=b-3\end{gather*}\]
Ora notiamo che $x$ ha come coefficiente \(b\); poiché non ci viene detto nulla riguardo questa lettera, essa potrebbe assumere qualsiasi valore; in particolare, \(b\) può essere uguale a zero.
Consideriamo allora i seguenti due casi:

  1. \(\space b=0\): sostituiamo questo valore di $b$ al parametro $b$ dell’equazione: \[0 \cdot x=0-3\\0=-3\] otteniamo un’uguaglianza falsa; di conseguenza, per questo valore di $b$ l’equazione risulta impossibile.
  2. \(\space b\neq 0\): in questo caso, possiamo determinare il risultato dell’equazione dividendo entrambi i membri per il coefficiente di $x$, ottenendo: \[x=\frac{b-3}{b}\]

Condizioni di esistenza

Nelle equazioni in cui compaiono frazioni i cui denominatori sono costituiti da espressioni letterali, è necessario imporre delle condizioni che ci garantiscano che il denominatore delle frazioni non si annulli. Per esempio, nel caso in cui abbiamo un’equazione di questo tipo:
\[\frac{x-2}{a+3}+5=3ax\]
dobbiamo porre \(a+3\neq 0\), quindi \(a\neq -3\).
Queste ipotesi vengono chiamate condizioni di esistenza (e si indicano $C.E.$) dell’equazione. Per i valori dei parametri che soddisfano le condizioni di esistenza, tutti i denominatori risultano diversi da zero, ed è quindi possibile applicare il secondo principio di equivalenza.

Equazioni letterali frazionarie

Le equazioni letterali frazionarie sono equazioni letterali in cui compaiono incognite al denominatore.

Ecco alcuni esempi di equazioni letterali frazionarie:
\[\frac{3x+2}{x}=5a+2x\\
\frac{x+3}{ax-1}=5\]
Per risolvere questo tipo di equazione si procede tenendo conto delle regole riguardanti le equazioni intere frazionarie, e le equazioni letterali, anche se per questo tipo di equazioni la verifica non risulta sempre immediata. Infatti, sia le condizioni di accettabilità che le soluzioni dell’equazione possono essere rappresentate da espressioni letterale che, pur essendo differenti nella forma, possono coincidere per qualche valore del parametro. Per questo, sarà necessario eseguire anche la discussione dell’accettabilità delle soluzioni trovate.

Vediamo il seguente esempio:
\[1-\frac{5}{m+2}=\frac{1}{x}-\frac{2}{x(m+2)}\]
Poniamo le condizioni di accettabilità (riguardanti la $x$) e le condizioni di esistenza (riguardanti il parametro):
\[\mbox{C.A.:}\space x\neq 0\\
\mbox{C.E.:}\space m\neq -2\]
Possiamo procedere calcolando il $m.c.m.$ dei denominatori, sommando le frazioni e svolgendo i calcoli, fino ad arrivare ad avere l’equazioni della forma $Ax = B$:
\[\frac{x(m+2)-5x}{x(m+2)}=\frac{m+2-2}{x(m+2)}\\
x(m+2)-5x=m+2-2\\
xm+2x-5x=m\\
xm-3x=m\\
(m-3)x=m\]
Effettuiamo ora la discussione di questa equazione:

  • se $m = 3$ si ha: $0 = 3$, quindi l’equazione è impossibile;
  • se $m$ è diverso da 3, ricaviamo $x$ dall’equazione:\[x=\frac{m}{m-3}\]

Notiamo, quindi, che le condizioni di accettabilità e la soluzione dell’equazione sono rappresentate da espressioni diverse, ma per $m = 0$, esse sono uguali. Quindi, per $m = 0$, troviamo $x = 0$, che è un valore che non può essere accettato, perché escluso dalle condizioni di accettabilità.
Possiamo quindi riassumere:
\(m=-2\rightarrow\mbox{l’equazione perde significato;}\)
\(m=0\vee m=3\rightarrow\mbox{l’equazione è impossibile;}\)
\(m\neq-2\wedge m\neq 0\wedge m\neq 3\rightarrow\mbox{l’equazione è determinata e si ha:}\)
\(x=\frac{m}{m-3}\)

 

Altre risorse utili

 

 

 

 

 

 

 

 

30 domande di test sulle equazioni di primo grado

 

Problemi di primo grado

Risoluzione di problemi di primo grado

Imparare ad utilizzare le equazioni è molto importante, perché esse possono essere utilizzate per risolvere svariati tipi di problemi. Poiché le tipologie di problemi possono essere molto differenti tra di loro, non è possibile stabilire esatti passi da eseguire per risolverli, ma possiamo elencare delle indicazioni generali.

Per risolvere un problema è necessario tradurlo in un’equazione che ne rappresenti il modello matematico. Per prima cosa, quindi, dobbiamo analizzare il problema individuando i dati noti, poi procediamo in questo modo:

  1. Individuiamo l’incognita, cioè il dato il cui valore numerico non può essere facilmente dedotto, e associamolo ad una lettera (si usa generalmente la lettera \(x\)), che sarà la lettera dell’equazione;
  2. Poniamo le eventuali condizioni di accettabilità (C.A.) della soluzione, cioè le limitazioni al valore dell’incognita che garantiscono la possibilità di ottenere risultati accettabili.
  3. Scriviamo l’equazione: per farlo, cerchiamo di utilizzare i dati a disposizione e di creare un’uguaglianza fra una espressione contenente l’incognita e una parte nota, o tra due espressioni contenenti l’incognita;
  4. Risolviamo l’equazione così ottenuta;
  5. Confrontiamo la soluzione con le condizioni di accettabilità per stabilire se questa può essere accettata o meno;
  6. Utilizziamo il dato ottenuto dall’equazione per concludere il problema e determinare la sua soluzione.

Vediamo ora qualche esempio di risoluzione di problemi di primo grado.

Esempio di risoluzione di un problema con le equazioni

Un padre ha 40 anni e suo figlio ne ha 14. Tra quanti anni l’età del padre sarà il doppio dell’età del figlio?

Per risolvere questo problema riguardante questioni di età, possiamo procedere con i passaggi prima indicati. Per prima cosa, analizziamo i dati che abbiamo:

\[\mbox{età del padre: 40 anni;}\\
\mbox{età del figlio: 14 anni;}\]

Ora, poniamo le condizioni di accettabilità: poiché stiamo cercando una quantità che rappresenta un numero di anni, il valore trovato dovrà essere necessariamente positivo; escludiamo il caso in cui il numero di anni sia nullo, perché possiamo subito vedere che in questo momento, il padre non ha età doppia del figlio; quindi poniamo \(x>0\).

Cerchiamo ora di scrivere l’equazione, considerando i dati raccolti:

\[\text{età del padre (oggi): 40 anni;}\\
\text{età del figlio (oggi): 14 anni;}\\
\text{età del padre (tra}\space x\space\text{anni):}\space (40+x)\space\text{anni}\\
\text{età del figlio (tra}\space x\space\text{anni):}\space (14+x)\space\text{anni;}\]

Poiché l’età del padre, dopo x anni, dovrà essere doppia rispetto a quella del figlio, l’equazione richiesta sarà la seguente:

\[40 + x = 2 ( 14 + x )\]

Risolviamo ora l’equazione:

\[40 + x = 28 + 2x\\
x – 2x = 28 – 40\\
-x = – 12\\
x = 12\]

Quindi, abbiamo scoperto che tra 12 anni l’età del padre sarà doppia di quella del figlio; possiamo accettare il risultato poiché il valore trovato è positivo.

Per essere certi del risultato ottenuto, possiamo anche fare una verifica: basterà aggiungere all’età di padre e figlio il valore di \(x\) ottenuto:

\[\text{età del padre fra 12 anni:}\space40 + 12 = 52\\
\text{età del figlio fra 12 anni:}\space14 + 12 = 26\]

ed, effettivamente, 52 è il doppio di 26.

Esempio 2

Aumentando il lato di un quadrato di due centimetri, la sua area aumenta di 16 cm\(^2\). Determinare il lato del quadrato.

Problemi di primo grado: quadrato ottenuto aumentando di due centrimetri il lato

Poiché dobbiamo determinare il lato del quadrato iniziale, che chiamiamo quadrato 1, scegliamo come incognita proprio questo valore:
\[x =\space\text{lato quadrato}\space1\]
A volte, per risolvere problemi di natura geometrica, può essere utile anche fare una figura che riassuma i dati conosciuti:

Ora, sapendo che il lato del quadrato 1 misura \(x\), possiamo determinare la sua area; allo stesso modo, aumentando di due centimetri questo lato, otteniamo la misura del lato del quadrato 2, e possiamo calcolare la sua area. I dati che abbiamo sono quindi questi:
\[\text{lato quadrato 1 :}\space x cm;\\
\text{lato quadrato 2 :}\space (x + 2) cm\\
\text{area quadrato 1 :}\space x^2 cm^2\\
\text{area quadrato 2 :}\space (x + 2) ^2 cm^2\]

Sapendo che, aumentando di 2 il lato del quadrato 1, la sua area aumenta di 16 \(cm^2\), possiamo scrivere la nostra equazione:

\[(x+2)^2 = x^2 + 16\]

Risolviamo ora l’equazione:

\[x^2+4x+4=x^2+16\\
x^2+4x-x^2=16-4\\
4x=12\\
x=3\]

Concludiamo, quindi, che il lato del quadrato era inizialmente di 3 cm.

Altre risorse utili

55 esercizi svolti su equazioni e problemi di primo grado

Discussioni dal forum sull’argomento

Problemi di primo grado (equazioni di primo grado)