Massimi e minimi relativi, punto di flesso

Punto di massimo relativo

Consideriamo la funzione $ y = f(x) $, definita in un intervallo $ I $. Se $ c $ è un punto dell’intervallo $ I $, si dice che $ c $ è un punto di massimo relativo per la funzione $ f(x) $ se esiste un intorno di  $ c $, contenuto in $ I $, tale che, per tutti i punti $ x $ di tale intorno, si abbia: \[ f(x) \le f(c) \]

Quindi, il valore $ f(c) $ è il valore massimo che la funzione assume nell’intorno considerato di  $ c $, e quindi $ f(c) $ viene definito massimo relativo della funzione $ f(x) $.

 

Punto di minimo relativo

Consideriamo sempre una generica funzione $ y = f(x) $, definita in un intervallo $ I $. Se $ c $ è un punto dell’intervallo $ I $, diciamo che $ c $ è un punto di minimo relativo per la funzione $ f(x) $ se esiste un intorno di $ c $, contenuto in $ I $, tale che, per tutti i punti $ x  $di tale intorno, si ha: \[ f(x) \ge f(c) \]

Quindi, in questo caso, il valore $ f(c) $ è il valore minimo che la funzione assume nell’intorno considerato di $ c $, e quindi $ f(c) $ viene definito minimo relativo della funzione $ f(x) $.

I punti $ c $ di massimo e minimo vengono anche definiti punti estremanti per la funzione, e i loro corrispettivi valori $ f(c) $ si definiscono estremi relativi.

In particolare, i massimi e i minimi relativi vengono anche definiti massimi e minimi locali, in quanto si riferiscono solo ad un particolare intorno del punto $ c $, e non in tutto l’intervallo $ I $, in cui la funzione può avere più di un punto di massimo o minimo relativo.

 

Estremi relativi forti e deboli

Consideriamo la funzione $ y = f(x) $, definita in un intervallo  $ I $, e sia $ c $ un punto di massimo relativo per $ f(x) $. Ciò significa che esiste un intorno di $ c $ in cui \( f(x) \le f(c) \). Se esiste un intorno di $ c $ per tutti gli  $ x $ del quale (escluso al più $ x = c $) si ha: \[ f(x) \lt f(c) \]

allora $ c $ viene definito punto di massimo relativo forte (o proprio) e $ f(c) $ di dice massimo relativo forte.

Altrimenti, $ c $ si definisce punto di massimo relativo debole (o improprio), e $ f(c) $ è un massimo relativo debole.

Allo stesso modo, se esiste un intorno di $ c $ in cui per tutti gli $ x $ di tale intorno (escluso al più $ x = c $) si ha: \[ f(x) \gt f(c) \]

$ c $ viene definito punto di minimo relativo forte (o proprio) e $ f(c) $ si dice minimo relativo forte.

In caso contrario, $ c $ si definisce punto di minimo relativo debole (o improprio), e $ f(c) $ è un minimo relativo debole.

 

Il punto di flesso

Consideriamo una funzione $ y = f(x) $; se esiste la retta, non parallela all’asse $ y $, tangente al grafico della funzione nel punto $ (x_0 ; f(x_0)) $, e se esiste un intorno di $ x_0 $, che indichiamo \( (x_0 – \delta; x_0 + \delta) \) in cui la funzione, in corrispondenza dell’intorno destro e sinistro, si trovi in parti opposte rispetto alla retta tangente, allora il punto $ (x_0 ; f(x_0)) $ è un flesso della curva di equazione $ y = f(x) $.

In particolare, ricordiamo che se la funzione è derivabile nel punto $ x_0 $, la retta tangente ha equazione: \[ t(x) = f'(x_0)(x-x_0)+f(x_0) \]

In base alla posizione della funzione rispetto alla retta tangente e agli interni destro e sinistro, possiamo classificare i flessi in flessi ascendenti e discendenti.

Nel caso in cui si abbia

Funzione con punto di flesso ascendente

 

\( \begin{cases} f(x) \le t(x) \text{ per } x_0 – \delta \lt x \lt x_o \\ f(x) \ge t(x) \text{ per } x_0 \lt x \lt x_0 + \delta \end{cases}  \)

il flesso è ascendente.

 

 

 

Altrimenti, se abbiamo:

Funzione con punto di flesso discendente

 

\( \begin{cases} f(x) \gt t(x) \text{ per } x_0 – \delta \lt x \lt x_0 \\ f(x) \le t(x) \text{ per } x_0 \lt x \lt x_0 + \delta \end{cases} \)

allora, il flesso è discendente.

 

 

 

Il teorema di De L’Hopital

Il teorema di De L’Hopital presenta le seguenti ipotesi: si considerano due funzioni f(x) e g(x) definite e derivabili in tutti i punti di un intorno I di un punto c (finito o infinito), escluso al più c stesso; se il limite del rapporto per x che tende a c delle funzioni si presenta in una forma indeterminata del tipo [0/0] o \( [\infty/\infty]\), se la derivata della funzione g(x) è diversa da zero in tutti i punti di I, escluso x = c, e se esiste il limite per \( x \rightarrow c \) del rapporto delle derivate delle funzioni, allora esiste anche il limite, per \( x \rightarrow c \), del rapporto delle funzioni stesse, e i due limiti coincidono:

\[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{g(x)} = \lim_{x \rightarrow c} \frac{f'(x)}{g'(x)} \]

Da questo teorema possiamo ricavare una regola molto utile, da applicare per risolvere certi limiti che si presentano nelle forme indeterminate sopra elencate; tale regola viene definita regola di De L’Hopital:

  • Il limite del rapporto di due funzioni, che si presenta nella forma indeterminata [0/0] o \( [\infty/\infty] \), è uguale al limite del rapporto delle loro derivate , purché siano soddisfatte tutte le ipotesi del teorema.

In particolare, il teorema e la regola di De L’Hopital sono validi considerando il limite per x che tende a c, sia nel caso in cui c è un valore finito, sia nel caso in cui esso sia un valore infinito.

Inoltre, se c è un valore finito, il teorema vale anche se I è un intorno solamente destro, o solamente sinistro di c.

Ci sono alcuni casi, poi, in cui capita che anche il limite per \( x \rightarrow c \) delle derivate delle funzioni si presenti in una forma indeterminata del tipo [0/0] o \( [\infty/\infty] \):

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow c} \frac{f'(x)}{g'(x)} = \frac{0}{0} \text{ oppure } \lim_{x \rightarrow c} \frac{f'(x)}{g'(x)} = \frac{\infty}{\infty} \)

in questo caso, la regola di De L’Hopital può essere applicata nuovamente sul rapporto delle derivate, e in questo caso si ha che:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{g(x)} = \lim_{x \rightarrow c} \frac{f'(x)}{g'(x)} = \lim_{x \rightarrow c} \frac{f”(x)}{g”(x)} \)

Quindi, il teorema può essere applicato ripetutamente, finché non si giunge ad un limite che non si trova più in una forma indeterminata.

 

Applicazioni al confronto di particolari infiniti

Il teorema di De L’Hopital può essere applicato allo studio di infiniti particolari. Consideriamo, per esempio, la funzione logaritmica, \( y = \log x \), e paragoniamola alla funzione $ y = x $. Studiamo, quindi, il seguente limite:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{\log x}{x^{\alpha}} \)

cercando di capire se esiste un esponente di x positivo per cui il limite sia finito e non nullo.

Poiché il limite si presenta nella forma indeterminata \( [\infty/\infty] \), possiamo applicare il teorema di De L’Hopital:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{\log x}{x^{\alpha}} = \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{\frac{1}{x}}{\alpha \cdot x^{\alpha – 1}} = \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{1}{\alpha \cdot x^{\alpha}} = 0 \)

Possiamo quindi affermare che il limite sopra scritto è sempre nullo:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{\log x}{x^{\alpha}} = 0 \text{, } \forall \alpha \in \mathbb{R^{+}} \)

Questo ci permette di dire che il logaritmo in base $ e $ è un infinito di ordine inferiore a qualsiasi potenza di x ad esponente positivo, e quindi non esiste un numero che possa esprimerne l’ordine di grandezza.

Similmente, possiamo studiare la funzione esponenziale $ y = e^x $, calcolando il seguente limite:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{x^{\alpha}} \)

Poiché, anche in questo caso il limite si presenta nella forma indeterminata $[\infty/\infty]$, possiamo applicare il teorema di De L’Hopital:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{x^{\alpha}} = \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{\alpha \cdot x^{\alpha-1}} \)

Notiamo che, essendo la derivata di $ e^x $ sempre $ e^x $, non abbiamo cambiamenti al numeratore, e al denominatore abbiamo sempre potenze di x; dobbiamo, quindi, applicare il teorema finché al denominatore non resta un fattore che moltiplica x:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{\alpha \cdot x^{\alpha-1}} = \ldots = \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{k \cdot x} =\lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{k} = +\infty \)

Quindi, il limite precedente vale sempre più infinito:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \frac{e^x}{x^{\alpha}} = +\infty, \,\,\, \forall \alpha \in \mathbb{R^{+}} \)

Possiamo, quindi, affermare che l’esponenziale $ e^x $ è un infinito di ordine superiore a qualsiasi potenza di x ad esponente positivo, e quindi, anche in questo caso, non esiste un numero che ne esprima l’ordine di infinito.

 

Funzioni crescenti, descrescenti e teorema di Cauchy

Funzioni crescenti e decrescenti in un intervallo

Una funzione y = f(x) definita in un intervallo I, limitato o illimitato, si dice strettamente crescente in I (o semplicemente crescente in I) se:

\[ \forall x_1, x_2 \in I\,\,, \,\, x_1 \lt x_2 \rightarrow f(x_1) \lt f(x_2) \]

Invece, la funzione f(x) si dice strettamente decrescente in I (o semplicemente decrescente in I ) se accade che:

\[ \forall x_1, x_2 \in I \,\,, \,\, x_1 \lt x_2 \rightarrow f(x_1) \gt f(x_2) \]

Vediamo ora un teorema che è una conseguenza del teorema di Lagrange, e mette in relazione la crescenza o la decrescenza di una funzione con il segno della sua derivata; ciò ci permette di determinare gli intervalli di monotonia di una funzione cioè gli intervalli in cui la funzione è crescente o decrescente.

Teorema

Consideriamo una funzione y = f(x) continua in un intervallo I (limitato o illimitato) e derivabile nei punti interni di I. Se la derivata della funzione è sempre positiva in I, allora la funzione è crescente in I; se, invece, la derivata della funzione è sempre negativa in I, allora la funzione è decrescente in I.

Possiamo quindi dire che il fatto che una funzione abbia derivata positiva, o negativa, nei punti interni di un intervallo I è condizione sufficiente per affermare che la funzione è crescente o decrescente in quell’intervallo.

Il teorema precedente può essere invertito, e si ha il seguente:

Teorema

Data una funzione y = f(x) continua in un intervallo I e derivabile nei punti interni di tale intervallo, se f(x) è crescente in I, allora nei punti interni di I la sua derivata è positiva: \( f’(x) \ge 0 \); altrimenti, se f(x) è decrescente in I, la sua derivata è negativa nei punti interni di I, cioè \( f’(x) \le 0 \).

Esempio

 

Rappresentazione intervalli in cui la funzione è crescente o decrescente

 

 

 

 

Consideriamo la seguente funzione, e stabiliamo in quali intervalli essa è crescente, e in quali è decrescente:

\[ y = f(x) = \frac{x}{1+x^2} \]

Notiamo che la funzione è definita in tutto R, quindi l’unione degli intervalli in cui la funzione è crescente e decrescente è uguale a R. Come abbiamo visto in precedenza, poiché la crescenza e la decrescenza di una funzione sono legate al segno della derivata, calcoliamo la derivata della funzione.

Applichiamo la regola vista nel caso in cui la funzione è data dal rapporto di due funzioni:

\( f'(x) = \frac{1+x^2-x\cdot 2x}{(1+x^2)^2} =\frac{1+x^2-2x^2}{(1+x^2)^2} =\frac{1-x^2}{(1+x^2)^2} \)

Studiamo ora il segno della derivata, e cerchiamo gli intervalli in cui essa è positiva; risolviamo, quindi, la seguente disequazione:

\[ f'(x) \ge 0 \rightarrow \frac{1-x^2}{(1+x^2)^2} \ge 0 \]

Poiché il denominatore, essendo il quadrato di una somma di quadrati, è sempre positivo, e non si annulla mai, il segno della frazione è dato dal segno del numeratore:

\[ 1 – x^2 \ge 0 \]

La disequazione è risolta per valori interni all’intervallo delle radici; quindi, la derivata della funzione f(x) è positiva nel seguente intervallo:

\[ -1 \le x \le 1 \]

E, in questo intervallo, quindi, la funzione è crescente.

Di conseguenza, essendo la derivata della funzione negativa per \( x \lt -1 \text{ e } x \lt 1 \), in tali intervalli la funzione è decrescente.

 

Teorema di Cauchy

Nel teorema di Cauchy, si considerano due funzioni y = f(x) e y = g(x), entrambe continue nell’intervallo chiuso [a;b] e derivabili nell’intervallo aperto (a;b). Se la funzione g(x) ammette derivata diversa da zero in tutti i punti dell’intervallo (a;b), allora esiste un punto c, interno all’intervallo, nel quale si ha che:

\[ \frac{f(b)-f(a)}{g(b)-g(a)} = \frac{f'(c)}{g'(c)} \]

Questo teorema viene anche definito teorema degli accrescimenti finiti, in quanto esso esprime che, se due funzioni soddisfano le condizioni indicate, allora il rapporto tra gli incrementi delle due funzioni in un intervallo indicato è uguale al rapporto delle derivate delle funzioni calcolate in uno stesso punti interno all’intervallo.

 

Teorema di Lagrange

Il teorema di Lagrange, o del valor medio, afferma che, data una funzione y = f(x) continua nell’intervallo chiuso e limitato [a;b], e derivabile nell’intervallo aperto (a;b), esiste almeno un punto c, interno all’intervallo [a;b], tale che si abbia:

\[ \frac{f(b)-f(a)}{b-a} = f'(c) \]

Il teorema, quindi, esprime l’uguaglianza tra il rapporto incrementale della funzione nell’intervallo [a;b] e la derivata della funzione in un punto c, interno all’intervallo.

Interpretiamo, ora, il teorema di Lagrange dal punto di vista geometrico.

 

Interpretazione geometrica del teorema di Lagrange

 

 

 

 

 

 

 

 

Consideriamo una curva di equazione y = f(x), e chiamiamo AB l’arco di questa funzione i cui estremi hanno ascisse a e b. Come sappiamo, il coefficiente angolare della retta AB è dato dal quoziente della differenza delle ascisse e la differenza delle ordinate di due punti qualsiasi appartenenti alla retta.

In questo caso, considerando i punti A e B, e sapendo che essi hanno coordinate, rispettivamente, (a; f(a)) e (b; f(b)), il coefficiente angolare della retta AB è dato da:

\[ m_{AB} = \frac{y_b – y_A}{x_B – x_A} = \frac{f(b)-f(a)}{b-a} \]

Dal teorema di Lagrange, abbiamo che m = f’(c), dove c è un punto interno all’intervallo [a;b]; sapendo che f’(c) è il coefficiente angolare della retta tangente alla curva in un punto P, possiamo affermare che tale retta è parallela alla retta passante per i punti A e B.

 

Applicazioni del teorema di Lagrange

Vediamo alcuni teoremi che ci illustrano delle applicazioni del teorema di Lagrange:

Teorema: Se una funzione continua ha derivata nulla in tutti i punti di un intervallo I (limitato, o illimitato ), allora essa è costante in quell’intervallo.

Teorema: Se due funzioni continue f(x) e g(x) hanno derivate uguali in tutti i punti di un intervallo, esse differiscono per una costante.

Infatti, se chiamiamo F(x) la differenza tra le funzioni f(x) e g(x), cioè:

\[ F(x) = f(x) – g(x) \]

sappiamo che la sua derivata è data dalla somma algebrica delle derivate delle singole funzioni:

\[ F'(x) = f'(x) – g'(x) \]

ma, dal momento che le derivate di f(x) e g(x) sono uguali in tutti i punti dell’intervallo considerato, abbiamo che:

\[ f'(x) = g'(x) \Rightarrow f'(x) – g'(x) = 0 \]

e quindi, anche $ F’(x) = 0 $; ciò significa che F(x) è una costante.

 

Teorema di Rolle

Consideriamo una funzione f(x) continua in un intervallo chiuso di estremi a e b, e derivabile nei punti interni di tale intervallo; se la funzione assume valori uguali agli estremi a e b dell’intervallo, allora esiste almeno un punto c, interno all’intervallo, in cui la funzione ha derivata nulla, cioè tale che $  f’(c) = 0 $.

Possiamo schematizzare il teorema di Rolle in questo modo:

\( \left. \begin{array}{l} \text{$f(x)$ continua in } [a;b] \\ \text{$f(x)$ derivabile in } (a;b) \\ f(a) = f(b)\end{array} \right\} \Rightarrow \exists c \in (a;b) | f'(c) = 0 \)

Vediamo ora alcuni casi in cui si verificano le ipotesi del teorema di Rolle; chiamiamo m e M i valori minimo e massimo assunti dalla funzione nell’intervallo [a;b]:

  • Se m = M, la funzione assume, in tutto l’intervallo, lo stesso valore, che corrisponde a m = M; la funzione è, quindi, la funzione costante, e in particolare, si avrà anche che f (c) = m = M. Pertanto, in tutti i punti dell’intervallo, e quindi anche in c, la derivata della funzione sarà nulla.

 

Grafico funzione costante

 

 

 

 

 

 

 

  • Se \( m \lt M \), la funzione non è costante in [a;b]; in questo caso possiamo capire meglio il teorema di Rolle anche dal punto di vista geometrico. Sappiamo, infatti, che la derivata di una funzione in un punto rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente alla funzione in quel punto; se in un intervallo [a;b] esiste un punto c tale che si ha $ f’(c) = 0 $, allora in quel punto la tangente alla funzione è parallela all’asse x.

 

Grafico funzione tangente punti con derivata nulla

 

 

 

 

 

 

 

Significa che F(x) è una costante.

 

Quali sono gli elementi di novità nello stile de “Il Cristo giallo” di Gauguin?

Il Cristo giallo” è un olio su tela dipinto da Gauguin nel 1889. Il quadro rappresenta un Crocifisso come tanti che all’epoca si vedevano nelle campagne della Bretagna; ai piedi tre donne bretoni con i costumi tradizionali, mentre sullo sfondo un paesaggio surreale, con tinte forti, dove prevalgono i gialli e rosso mattone, quasi un paesaggio autunnale.
La composizione riprende molte immagini medievali, ma al posto della Madonna, la Maddalena e gli apostoli, ci sono tre contadine moderne. Come in altre opere di Gauguin, anche in questo caso le figure sono contornate da una linea nera piuttosto marcata, quasi che le figure siano state ritagliate e incollate sulla tela.
La tecnica di delimitare con una linea nera i contorni delle figure è stata ripresa da Gauguin dall’arte gotica; si tratta del “cloisonnè”, impiegata nelle vetrate gotiche e nell’oreficeria.
La novità di questo dipinto sta nel fatto che un evento del passato si ripete nel presente. “Il Cristo giallo” fu particolarmente caro al pittore, che non se ne separò fino alla morte, anzi, lo utilizzò come sfondo per un suo autoritratto.
Il colore prevalente è il giallo: gialli sono i campi di grano e giallo è il corpo del Crocifisso. Pur essendo i colori reali (il giallo dei campi così come il rosso mattone degli alberi, e i colori degli abiti delle donne), vengono utilizzati in maniera irreale; è per questo che in questo dipinto si parla di antinaturalismo.
Gli elementi che segnano una svolta, un cambio di direzione rispetto alle tendenze imperanti all’epoca, sono: la bidimensionalità, l’uso del colore, il soggetto (la Crocifissione diventa un fatto immerso nella quotidianità di un momento della giornata nelle campagne della Bretagna).

 

Il differenziale

Il differenziale di una funzione

Se consideriamo una funzione f(x), derivabile in un intervallo I, sappiamo che comunque preso un punto x in tale intervallo, e incrementando x di un valore h in modo che x + h appartenga ancora ad I, la frazione che ha per numeratore la differenza tra la funzione calcolata in x + h e la funzione calcolata in x, e per denominatore h, si dice rapporto incrementale; inoltre, sappiamo che il limite per h che tende a zero di tale rapporto è la derivata prima della funzione.

Ora, indichiamo con \( \Delta x \) l’incremento della variabile indipendente, cioè:

\( \Delta x = (x+h) – x = x +h – x = h \)

e con \( \Delta y \) l’incremento della variabile dipendente, cioè:

\( \Delta y = f(x+h) – f(x) \)

Per quanto detto prima, sappiamo che il limite per \( \Delta x \) che tende a zero del rapporto tra \( \Delta y \) e \( \Delta x \) corrisponde alla derivata della funzione:

\( \displaystyle \lim_{\Delta x \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f(x+h)-f(x)}{h} = f'(x) \)

Inoltre, dato che la funzione f(x) è derivabile, sappiamo che la derivata f’(x) esiste sempre; in base al valore di f’(x) possiamo stabilire la relazione tra gli incrementi, e in particolare abbiamo che:

  • se \( f’(x)  \ne 0 \) , allora \( \Delta y \) e \( \Delta x \) sono infinitesimi dello stesso ordine;
  • se \( f’(x) = 0 \), allora \( \Delta y \) è un infinitesimo di ordine superiore a \( \Delta x \).

Ricordando, poi, il concetto di scrittura fuori dal limite, possiamo scrivere il limite precedente in questo modo:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = f'(x) + \epsilon(\Delta x) \)

dove, \( \epsilon \) è funzione di \( \Delta x \), e tale che il suo limite per \( \Delta x \) che tende a zero è zero.

Dalla relazione precedente, moltiplicando ambi i membri per ∆x, otteniamo:

\( \Delta y = f'(x) \cdot \Delta x + \epsilon ( \Delta x ) \cdot \Delta x \)

e l’espressione \( f’(x) \cdot  \Delta x \), che si indica con \( df(x) \), o con $ dy $, prende il nome di differenziale della funzione f(x) nel punto x, relativamente all’incremento \( \Delta x \).

Quindi, il differenziale di una funzione in un punto, in cui la funzione è derivabile, corrisponde al prodotto della derivata della funzione stessa per l’incremento della variabile indipendente:

\[ dy = f'(x) \cdot \Delta x \]

In particolare, se la funzione in questione è la funzione $ y = f(x) = x $, la sua derivata è uguale a 1, quindi il suo differenziale corrisponde all’incremento \( \Delta x \):

\( dx = \Delta x \Leftarrow \begin{cases} dy = f'(x) \cdot \Delta x = 1 \cdot \Delta x = \Delta x \\ dy = df(x) = dx \end{cases} \)

Quindi, poiché il differenziale della variabile indipendente coincide con il suo incremento, possiamo affermare che il differenziale di una funzione è il prodotto tra la derivata della funzione stessa per il differenziale della variabile indipendente:

\( dy = f'(x) \cdot dx \)

Operazioni con i differenziali

Possiamo calcolare il differenziale di funzioni in vari casi, per esempio nel caso di somma o differenza di funzioni, prodotto o quoziente di funzioni. Le regole di derivazione che valgono per la somma, la differenza, il prodotto e il quoziente di funzioni valgono anche per calcolare tali differenziali.

In particolare, esaminiamo i vari casi:

  • Differenziale della somma algebrica di funzioni

Il differenziale della somma algebrica di due o più funzioni è uguale alla somma algebrica dei differenziali delle singole funzioni:

\( d[f(x)\pm g(x)] = df(x) \pm dg(x) \)

  • Differenziale del prodotto di due (o più) funzioni

Il differenziale del prodotto di due funzioni è uguale alla somma del prodotto del differenziale della prima funzione per la seconda, più il prodotto della prima funzione per il differenziale della seconda:

\( d[f(x) \cdot g(x)] = df(x) \cdot g(x) + f(x) \cdot dg(x) \)

  • Differenziale del quoziente di due funzioni

Il differenziale del quoziente di due funzioni è uguale ad una frazione che ha per denominatore il quadrato del divisore, e per numeratore il prodotto del differenziale del dividendo per il divisore diminuito del prodotto tra il dividendo e il differenziale del divisore:

\( d\Big[ \frac{f(x)}{g(x)} \Big] = \frac{df(x) \cdot g(x) – f(x) \cdot dg(x)}{[g(x)]^2} \)

Significato geometrico di differenziale

 

Significato geometrico del differenziale

 

 

 

 

 

 

 

 

Consideriamo una funzione $ y = f(x) $, e la sua tangente $ t $ nel punto $ P [ x ; f(x) ] $.

Il differenziale della funzione f(x) nel punto x, relativo a un incremento h, è l’incremento che subisce l’ordinata di un punto, muovendosi sulla retta tangente al grafico della funzione nel punto $ P [x; f(x)] $, quando la sua ascissa passa da x a x + h.

Considerando la figura precedente, possiamo dire che il differenziale dy è rappresentato dall’incremento dell’ordinata del punto P (di ascissa x ), che si sposta lungo la tangente, fino ad arrivare al punto T, che ha ascissa x + h; il differenziale è, quindi, rappresentato dalla misura del segmento MT.

 

Derivate di ordine superiore al primo

Come abbiamo visto in precedenza, considerando una funzione generica f(x), e calcolando il limite del rapporto incrementale per h che tende a zero, otteniamo la derivata della funzione, che indichiamo con $ f’(x) $: \[ \displaystyle \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f(x+h)-f(x)}{f(x)} = f'(x) \]

Se, ora, consideriamo la funzione $ f’(x) $, possiamo applicare lo stesso ragionamento effettuato per $ f(x) $, cioè possiamo calcolare il limite del rapporto incrementale di $ f’(x) $, per trovare la derivata di $ f’(x) $. Tale derivata viene definita derivata seconda, o derivata del secondo ordine di $ f(x) $, e si indica $ f’’(x) $: \[ \displaystyle \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f'(x+h) – f'(x)}{h} = f”(x) \]

Allo stesso modo, possiamo continuare, determinando le derivate del terzo, quarto ordine, e così via.

Per tali derivate, e per le derivate successive, si parla di derivate di ordine superiore della $ f(x) $.

Esempio di derivate di ordini superiori

\( f(x) = 4x^3-9x^2+3x-1 \)

\( f'(x) = 12x^2 – 18x + 3 \)

\( f”(x) = 24x – 18 \)

\( f”'(x) = 24 \)

\( f^{IV}(x) = 0 \)

 

Esempio 2

\( f(x) = \sin (x) \)

\( f'(x) = \cos (x) \)

\( f”(x) = -\sin (x) \)

\( f”'(x) = -\cos (x) \)

\( f^{IV}(x) = \sin (x) \)

 

Retta tangente in un punto al grafico di una funzione

La derivata di una funzione in un punto rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente alla funzione in quel punto. Sfruttando questa relazione, è possibile determinare l’equazione della retta tangente al grafico di una funzione $ f(x) $, conoscendo l’ascissa ($ x_0 $) del punto P in cui la retta è tangente alla curva.

Tale retta, infatti, dovrà soddisfare i seguenti requisiti:

  • Sapendo che il punto P in cui la retta è tangente alla curva ha ordinata x0, e sapendo che tale punto appartiene alla curva $ f(x) $, sappiamo che la sua ordinata è $ f(x_0) $. Quindi, la retta in questione passa per il punto $ P(x_0 ; f(x_0)) $. La sua equazione sarà quindi del tipo: \[ y = f(x_0) = m (x-x_0) \]dove m indica il suo coefficiente angolare.
  • Sapendo, poi, che la derivata della funzione nel punto x0 rappresenta proprio il coefficiente angolare della retta cercata, abbiamo: \[ m = f'(x_0) \]

Dalle relazioni precedenti, possiamo dare l’equazione della retta richiesta, ottenibile conoscendo l’ascissa del punto di tangenza, e la derivata della curva in questione in quel punto: \[ y = f'(x_0) \cdot (x-x_0) + f(x_0) \]

 

Retta tangente in un punto del grafico di una funzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notiamo che l’equazione precedente si riferisce ad una retta non parallela agli assi; infatti, se la retta fosse parallela all’asse $ y $, essa avrebbe equazione $ x = x_0 $.

In questo caso, la funzione non sarebbe derivabile in $ x_0 $, in quanto ammetterebbe derivata infinita.

Vediamo ora alcuni casi particolari, in cui nei punti in questione la funzione non è derivabile:

Punto angoloso

La funzione $ f(x) $ è continua in $ x_0 $, ma non è derivabile in $ x_0 $, per esempio nel caso in cui il rapporto incrementale relativo al punto $ x_0 $ non ha limite, in quanto sono diversi i limiti sinistro e destro.

Grafico funzione: punto angolos

 

 

 

 

 

 

 

 

In questo caso, infatti, anche le derivate destra e sinistra sono diverse, quindi la funzione non è derivabile in $ x_0 $, ma esisteranno due rette tangenti alla funzione nel punto $ x0 $, che prende il nome di punto angoloso.

Quindi: \[ {f’}_{+}(x) = l_1 \in \mathbb{R} \wedge {f’}_{-}(x) = l_2 \in \mathbb{R} \]

e si ha che: \[ l_1 \ne l_2 \]

Il punto angoloso si ha anche quando una delle due derivate nel punto $ x_0 $ (la derivata destra, o quella sinistra) è finita, e l’altra infinita, e viceversa.

\[ {f’}_{+}(x) = \pm \infty \wedge {f’}_{-}(x) = l \in \mathbb{R} \]

oppure:

\[ {f’}_{+}(x) = l \in\mathbb{R} \wedge {f’}_{-}(x) = \pm\infty \]

Cuspide

Grafico funzione: cuspide

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Può accadere che in un punto $ x_0 $, in cui la funzione non è derivabile, vi siano due rette tangenti coincidenti, che sono parallele all’asse $ y $; si dice che il punto $ x_0 $ è una cuspide, che può essere definita come un caso particolare di punto angoloso.

In questo caso, le derivate destra e sinistra sono entrambe infinite, ma con segno opposto.

\[ {{f’}_{+}(x) = +\infty \wedge {f’}_{-}(x) = -\infty \,\,\,\, \mbox{ oppure } \,\,\,\, {{f’}_{+}(x) = -\infty \wedge {f’}_{-}(x) = +\infty

Flesso a tangente verticale

Grafico funzione: flesso a tangente verticale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La funzione $ f(x) $ non è derivabile nel punto $ x_0 $, in quanto i valori delle derivate, destra e sinistra, sono uguali, ma entrambi infiniti.

Abbiamo quindi che: \[ {f’}_{+}(x) = +\infty \wedge {f’}_{-}(x) = +\infty \]

oppure: \[ {f’}_{+}(x) = -\infty \wedge {f’}_{-}(x) = – \infty \]

 

Derivata della funzione inversa

Consideriamo una generica funzione $ y = f(x) $, invertibile; sappiamo, allora, che possiamo calcolare la sua inversa, che indicheremo con: \[ f^{-1}(x) = F(y) \]

Possiamo, inoltre, calcolare la derivata di una funzione inversa anche senza calcolare l’inversa stessa; infatti, vale il seguente teorema:

Teorema: La derivata di una funzione inversa è il reciproco della derivata della funzione data, in tutti i punti in cui quest’ultima ha derivata non nulla: \[ {f^{-1}}'(x) = F(y) = \frac{1}{f'(x)} \,\,\,\, , \,\,\,\, f'(x) \ne 0 \]

Esaminiamo, ora, alcune funzioni di cui già sappiamo calcolare la derivata, ma che possono essere considerate funzioni inverse di altre più semplici, o più semplicemente derivabili.

  • Consideriamo la funzione radice n-esima, di equazione: \[ y = \sqrt[n]{x} \,\,\,\, , \,\,\,\, n \in \mathbb{N_0} \,\,\,\, , \,\,\,\, x \gt 0 \]

Possiamo considerare questa funzione come funzione inversa della potenza n-esima, e possiamo scrivere: \[ y = \sqrt[n]{x} \Leftrightarrow x = y^n \]

Quindi, se vogliamo calcolare la derivata della funzione radice n- esima, possiamo applicare la formula vista precedentemente: \[ y’ = \frac{1}{D(y^n)} \]

Svolgiamo ora i calcoli, e determiniamo la derivata della funzione $ y^n $: \[ y’ = \frac{1}{D(y^n)} = \frac{1}{n \cdot y^{n-1}} \]

Sapendo che le funzioni sono una l’inversa dell’altra, abbiamo la seguente uguaglianza: \[ y’ = \frac{1}{n \cdot y^{n-1}} = \frac{1}{n \cdot (\sqrt[n]{x})^{n-1}}  = \frac{1}{n \cdot \sqrt[n]{x^{n-1}}} \]

Che corrisponde proprio alla formula che utilizziamo per calcolare la derivata della funzione radice n-esima.

  • Consideriamo ora la funzione esponenziale di equazione: \[ y = a^x \,\,\,\, , \,\,\,\, x \in \mathbb{R} \,\,\,\, , \,\,\,\, a \gt 0 \]

Come sappiamo, la funzione inversa dell’esponenziale è la funzione logaritmica, infatti abbiamo la seguente relazione: \[ y = a^x \Leftrightarrow x = \log_a y \]

Anche in questo caso, possiamo calcolare la derivate della funzione esponenziale utilizzando la formula vista in precedenza: \[ y’ = \frac{1}{D(\log_a y)} = \frac{1}{\frac{1}{y} \cdot \frac{1}{\log a}} = y \cdot \log a \]

Dalla relazione che abbiamo tra le funzioni x ed y, possiamo riscrivere la derivata in questo modo: \[ y’ = a^x \cdot \log a \]

 

Derivate delle inverse delle funzioni goniometriche

Così come per le funzioni viste in precedenza, anche nel caso delle funzioni goniometriche possiamo calcolare le derivate delle inverse.

Derivata della funzione inversa del seno

La funzione inversa del seno è la funzione arcoseno, che è espressa dalla seguente equazione: \( y = \arcsin x \). La derivata di questa funzione può essere calcolate con la seguente formula: \[ y = \arcsin x \Rightarrow y’ = \frac{1}{\sqrt{1 – x^2}} \]

Derivata della funzione inversa del coseno

La funzione inversa del coseno è la funzione arcocoseno, che ha equazione: \( y = \arccos x \). La derivata di questa funzione può essere calcolata con la seguente formula: \[ y = \arccos x \Rightarrow y’ = -\frac{1}{\sqrt{1-x^2}} \]

Derivata della funzione inversa della tangente

La funzione inversa della tangente è la funzione arcotangente, con equazione: \( y = arctan x \). La derivata di questa funzione può essere calcolate con la seguente formula: \[ y = \arctan x \Rightarrow y’ = \frac{1}{1+x^2} \]

Derivata della funzione inversa della cotangente

La funzione inversa della cotangente è la funzione arcocotangente, con equazione: \(\def\arccot{\mbox{arccot}} y = \arccot x \). La derivata di questa funzione può essere calcolate con la seguente formula: \[ y = \arccot x \Rightarrow y’ = -\frac{1}{1+x^2} \]

Notiamo che, mentre le derivate delle inverse della tangente e della cotangente sono definite per ogni x reale, le derivate delle inverse di seno e coseno non sono definite per x = 1 e x = -1, anche se per questi valori sono definite le funzioni di partenza. in questo caso, quindi, i domini delle funzioni di partenza e di quelle derivate non coincidono.

 

Esempio: Calcoliamo la derivata della seguente funzione composta: \[ y = \arctan(\sqrt{x}) \]

Come sappiamo, per calcolare la derivata di una funzione composta, espressa come \( f(x) \circ g(x) \), dobbiamo calcolare il prodotto tra la derivata della funzione stessa \( (f’(g(x)) \) per la derivata della funzione \( g’(x) \). In questo caso, abbiamo quindi: \[ y’ = D\Big[ \arctan(\sqrt{x}) \Big] \cdot D(\sqrt{x}) \]

Calcoliamo quindi le derivate, e svolgiamo i calcoli: \[ y’ = \frac{1}{1+(\sqrt{x})^2} \cdot \frac{1}{2\sqrt{x}} = \frac{1}{1+x} \cdot \frac{1}{2\sqrt{x}}= \frac{1}{2(1+x)\sqrt{x}} \]

 

Derivata di funzione composta, e altre derivate fondamentali

Molto spesso, le funzioni con cui abbiamo a che fare sono formate dalla composizioni di funzioni che possono esser ricondotte alle elementari.

Per esempio, consideriamo due funzioni f(x) e g(x); la funzione composta, che chiamiamo h(x), è data da \( f(x) \circ g(x) \), che si può anche scrivere come $ h(x) = f(g(x)) $. In questo caso, se vogliamo calcolare la derivata di funzione composta, cioè $ h’(x) $, sappiamo che questa è data dal prodotto della derivata di g(x) per la derivata della funzione $ f(g(x)) $, cioè:

\[ \color{red}{\boxed{\color{black}{y = f(g(x)) \Rightarrow y’ = g'(x) \cdot f'(g(x))}}} \]

 

Esempio: Consideriamo la seguente funzione: \[ y = (2x^2 – 3x + 1)^3 \]

Possiamo considerare la funzione come composizione di due funzioni, che chiamiamo f(x) e g(x), che sono le seguenti:

\[ f(x) = x^3\,\,\,\,\,\, , \,\,\,\,\, g(x) = 2x^2 – 3x + 1 \]

Sapendo che la derivata di f(x) è $ f’(x) = 3x^2 $, possiamo facilmente calcolare la derivata della funzione $ f(g(x)) $, che è la seguente:

\( f'(g(x)) = 3 \cdot (2x^2 – 3x + 1)^2 \cdot (4x – 3) \)

Inoltre, conosciamo la derivata di g(x), che è un polinomio di secondo grado:

\( g'(x) = 2 \cdot 2x – 3 = 4x – 3 \)

Quindi, per calcolare la derivata della funzione composta, applicando la regola vista precedentemente abbiamo:

\( y’ = 3 \cdot (4x-3)(2x^2 – 3x + 1)^2 \)

Esaminiamo, ora, una particolare funzione composta, di equazione \( y = \log(f(x)) \), con \( f(x) \gt 0 \). Come abbiamo visto in precedenza, la derivata di questa funzione si può calcolare in questo modo:

\[ \color{red}{\boxed{\color{black}{y = \log[f(x)] \Rightarrow y’  = \frac{1}{f(x)} \cdot f'(x) = \frac{f'(x)}{f(x)}}}} \]

 

Derivate fondamentali

Con le nozioni finora acquisite, siamo in grado di determinare le derivate di altre funzioni, che possiamo assumere come derivate fondamentali.

  • Consideriamo la seguente funzione: \[ y = x^\alpha \,\,\,\, , \,\,\,\, x \gt 0 \,\,\,\, , \,\,\,\, \alpha \in \mathbb{R} \]

Anche in questo caso, vale la regola che abbiamo visto nel caso in cui l’esponente è intero e positivo, quindi la derivata della funzione potenza con esponente reale è data da:

\[ y = x^\alpha \Rightarrow y’ = \alpha \cdot x^{\alpha – 1} \]

La regola vale anche nel caso in cui l’esponente sia frazionario, per esempio se abbiamo come esponente

\[ \alpha = \frac{1}{n} \]

con n intero e positivo; in questo caso, infatti, se x è elevato ad un esponente frazionario, è come se venisse applicata ad x una radice ennesima, infatti:

\[ x^{\frac{1}{n}} = \sqrt[n]{x} \]

Per calcolare la derivata di una radice ennesima, applichiamo la seguente formula:

\[ \color{red}{\boxed{\color{black}{y = \sqrt[n]{x} \Rightarrow y’=\frac{1}{n \cdot \sqrt[n]{x^{n-1}}} }}} \]

 

Esempio: Calcoliamo la derivata della seguente funzione: \[ y = \sqrt[3]{x} + \sqrt[5]{x} – \sqrt{x} \]

Questa funzione è composta dalla somma di tre radici di x, che sono tutte funzioni derivabili; la sua derivata, pertanto, equivale alla somma delle derivate delle singole funzioni. Applicando la formula vista in precedenza, abbiamo:

\( y’ = \frac{1}{3\sqrt[3]{x^{3-1}}} + \frac{1}{5\sqrt[5]{x^{5-1}}} – \frac{1}{2\sqrt{x^{2-1}}} = \frac{1}{3\sqrt[3]{x^2}} + \frac{1}{5\sqrt[5]{x^4}} – \frac{1}{2\sqrt{x}} \)

Possiamo calcolare la derivata della funzione precedente anche seguendo la regola vista per le funzioni potenza; sappiamo, infatti, che ogni radice può essere espressa come potenza, quindi possiamo scrivere la funzione precedente in questo modo:

\( y = x^{\frac{1}{3}} + x^{\frac{1}{5}} – x^{\frac{1}{2}} \)

Applicando, poi, la regola di derivazione per le potenze, otteniamo:

\( y’ = \frac{1}{3} x^{\frac{1}{3}-1} + \frac{1}{5} x^{\frac{1}{5}-1} – \frac{1}{2} x^{\frac{1}{2}-1} = \frac{1}{3} x^{-\frac{2}{3}} + \frac{1}{5} x^{-\frac{4}{5}} – \frac{1}{2} x^{-\frac{1}{2}} \)

Possiamo ritrasformare le potenze in radici, poiché esse hanno esponente frazionario; inoltre, poiché gli esponenti sono negativi, sappiamo che x si troverà al denominatore delle frazioni:

\( y’ = \frac{1}{3} \cdot \frac{1}{x^{\frac{2}{3}}} + \frac{1}{5} \cdot \frac{1}{x^{\frac{4}{5}}} – \frac{1}{2} \cdot \frac{1}{x^{\frac{1}{2}}} = \frac{1}{3} \cdot \frac{1}{\sqrt[3]{x^3}} + \frac{1}{5} \cdot \frac{1}{\sqrt[5]{x^4}} – \frac{1}{2} \cdot \frac{1}{\sqrt{x}} \)

la funzione derivata ottenuta, quindi, è uguale alla precedente, calcolata con la formula:

\( y’ = \frac{1}{3\sqrt[3]{x^2}} + \frac{1}{5\sqrt[5]{x^4}} – \frac{1}{2\sqrt{x}} \)

 

  • Consideriamo, ora, la seguente funzione: \[ y = [f(x)]^{g(x)} \]

sapendo che f(x) deve essere maggiore di zero. Per calcolare la derivata della funzione possiamo applicare la seguente formula:

\[ y= [f(x)]^{g(x)} \Rightarrow y’ = [f(x)]^{g(x)} \cdot \Big\{\Big[ g'(x) \log f(x) + g(x) \frac{f'(x)}{f(x)} \Big]\Big\} \]

 

Esempio: Consideriamo la seguente funzione, e calcoliamo la sua derivata:

\( y = x^{2x} \)

possiamo calcolarne la derivata applicando la formula vista precedentemente, cioè:

\( y’ = x^{2x} \cdot \Big\{\Big[D(2x) \cdot \log x + 2x \cdot \frac{D(x)}{x}\Big]\Big\} \)

Calcoliamo le derivare delle funzioni che compaiono, e svolgiamo i conti:

\( y’ = x^{2x} \cdot \Big\{\Big[ 2 \log x + 2x \cdot \frac{1}{x} \Big]\Big\} = x^{2x} \cdot (2 \log x + 2) = 2x^{2x} \cdot (\log x + 1) \)

Per avere una conferma, possiamo calcolare la derivata con un metodo alternativo; sappiamo che le funzioni di questo tipo possono essere espresse come potenze con base e, quindi, la nostra funzione può essere scritta in questo modo:

\( y = x^{2x} = e^{2x \cdot \log x} \)

Possiamo, poi, calcolare questa derivata come derivate di due funzioni composte, una delle quali è $e^x$, e l’altra è \( 2x\log(x) \), quindi:

\( y’ = D(e^{2x\cdot \log x}) \cdot D(2x \cdot \log x) \)

Calcoliamo le derivate delle funzioni:

\( y’ = e^{2x \cdot \log x} \cdot \Big(2\log x + 2x \cdot \frac{1}{x}\Big) = \)

\( = e^{2x \cdot \log x} \cdot (2 \log x + 2) = 2x^{2x} \cdot (\log x + 1) \)

 

Teoremi sul calcolo delle derivate

Teorema: La derivata della somma di due funzioni derivabili è uguale alla somma delle derivate delle funzioni stesse; si ha quindi:

\[ y = f(x) + g(x) \Rightarrow y’ = f'(x) + g'(x) \]

Un teorema molto simile si ha per la differenza di due funzioni derivabili, ed è il seguente:

Teorema: La derivata della differenza tra due funzioni derivabili è uguale alla differenza tra le derivate delle due funzioni, cioè:

\[ y = f(x) – g(x) \Rightarrow y’ = f'(x) – g'(x) \]

In generale, possiamo quindi dire che la derivata della somma algebrica di due o più funzioni derivabili è uguale alla somma algebrica delle derivate delle due funzioni.

Esempio: Consideriamo la seguente funzione, e calcoliamo la sua derivata:

\[ f(x) = \cos x + x – \log x + 3 \]

Questa funzione è costituita dalla somma algebrica di quattro funzioni; come abbiamo visto in precedenza, la sua derivata è data dalla somma algebrica delle derivate delle singole funzioni, quindi abbiamo che:

\[ f'(x) = -\sin x + 1 – \frac{1}{x} \]

Teorema: La derivata del prodotto di due funzioni derivabili è uguale al prodotto della derivata della prima funzione per la seconda funzione non derivata, più il prodotto della prima funzione (non derivata) per la derivata della seconda:

\[ y = f(x) \cdot g(x) \Rightarrow y’ = f'(x) \cdot g(x) + f(x) \cdot g'(x) \]

In particolare, se una delle due funzioni è la funzione costante, allora la derivata del prodotto delle due funzioni è uguale al prodotto della funzione costante per la derivata dell’altra funzione (infatti, sappiamo che la derivata di una funzione costante è sempre uguale a zero):

\[ y = f(x) \cdot c \Rightarrow y’ = f'(x) \cdot c \]

Questa regola, che riguarda il prodotto di due funzioni, può essere estesa al prodotto di più funzioni; quindi, possiamo dire che, in generale, la derivate del prodotto di più funzioni derivabili è uguale alla somma dei prodotti della derivata di ciascuna funzione per tutte le altre non derivate.

Esempio: Calcoliamo la derivata del prodotto delle funzioni seguenti:

\[ f(x) = \sin x \,\,\,\, , \,\,\,\, g(x) = \cos x \]

Sapendo che, la derivata di sinx è cosx e che la derivata di cosx è – sinx, possiamo calcolare la derivata della funzione prodotto:

\[ y = \sin x \cdot \cos x \Rightarrow y’ = \cos x \cdot \cos x + \sin x \cdot (-\sin x) \]

Quindi, svolgendo i calcoli, otteniamo:

\[ y’ = \cos^2 x – \sin^2 x \]

Teorema: La derivate del quoziente di due funzioni derivabili (la funzione che è al denominatore deve essere diversa da zero nei punti in cui si calcola la derivata) è uguale ad una funzione che ha per denominatore il quadrato della funzione divisore, e al numeratore il prodotto tra la derivata del dividendo e il divisore, diminuito del prodotto tra il dividendo per la derivata del divisore, cioè:

\[ y = \frac{f(x)}{g(x)} \Rightarrow y’ = \frac{f'(x)\cdot g(x) – f(x) g'(x)}{[g(x)]^2} \]

In particolare, se la funzione ha per numeratore 1, allora la sua derivata ha per denominatore il quadrato del divisore, e per numeratore la derivata del divisore con segno cambiato, perché, infatti, la derivata di 1 è uguale a zero:

\[ y = \frac{1}{g(x)} \Rightarrow y’ = \frac{-g'(x)}{[g(x)]^2} \]

Esempio: Consideriamo la seguente funzione, e calcoliamo la sua derivata:

\[ y = \frac{2x-1}{x^2+1} \]

Sappiamo che la derivata del numeratore è 2, mentre la derivata del denominatore è 2x; quindi, il numeratore è dato dal prodotto tra 2 e $ (x^2 -1) $, diminuito del prodotto tra (2x -1) per 2x, mentre il denominatore è dato dal quadrato del divisore:

\[ y’ = \frac{2 \cdot (x^2+1) – 2x \cdot 2x}{(x^2+1)^2} \]

Svolgiamo i calcoli:

\( y’ = \frac{2 \cdot (x^2+1) – (2x-1) \cdot 2x}{(x^2+1)^2} = \frac{2x^2+2-4x^2+2x}{(x^2+1)^2} = \frac{2+2x-2x^2}{(x^2+1)^2} \)

Applicando i teoremi che abbiamo visto in precedenza, possiamo ricavare le derivate di altre funzioni.

Per esempio, sapendo che la tangente è data dal rapporto tra il seno e il coseno di un angolo, e conoscendo le derivate di questi, possiamo calcolare la derivata della tangente, che è data dalle seguente formula:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \tan x \Rightarrow y’ = \frac{1}{\cos^2 x} = 1 + \tan^2 x}}} \]

Allo stesso modo, sapendo che la cotangente di un angolo è data dal rapporto tra il coseno e il seno di un angolo, possiamo calcolare la sua derivata, che è data da:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \cot x \Rightarrow y’ = -\frac{1}{\sin^2 x} = -(1+\cot^2 x)}}} \]

 

Derivate fondamentali

In base alla definizione di derivata, è possibile calcolare le derivate di diverse funzioni; vediamo come calcolare le derivate delle funzioni elementari.

Derivata della funzione costante y = c

Consideriamo la funzione costante di equazione $ f(x) = c $, dove $ c $ è appunto una costante. Applicando la definizione di derivata, e calcolando il valore del rapporto incrementale, notiamo che questo è uguale a zero. Quindi, sarà zero anche il suo limite:

\[ \displaystyle \lim_{\Delta \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{\Delta \rightarrow 0} 0 = 0 \]

Quindi, possiamo affermare che la derivata della funzione costante è sempre uguale a zero:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = c \rightarrow y’ = 0}}} \]

In particolare, poiché la derivata di una funzione corrisponde al coefficiente angolare della tangente al grafico della funzione, possiamo affermare che il coefficiente angolare della tangente al grafico della funzione $ y = c $ in ogni suo punto è zero.

Derivata della funzione variabile indipendente y = x

Consideriamo ora la funzione $ f(x) = x $; calcolando il rapporto incrementale della funzione, ci accorgiamo che questo è uguale a 1; quindi, il limite del rapporto incrementale è dato da:

\[ \displaystyle \lim_{\Delta \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{\Delta x \rightarrow 0} 1 = 1 \]

Concludiamo quindi che la derivata della variabile indipendente è uguale a 1:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = x \rightarrow y’ = 1}}} \]

Ciò significa che il coefficiente angolare della tangente alla retta di equazione $ y = x $, cioè alla bisettrice del primo e del terzo quadrante, è uguale a 1.

Derivata della funzione potenza n-esima $ y = x^n $

Applichiamo lo stesso ragionamento per la funzione esponenziale, $ y = f(x) = x^n $, con $ n $ intero e positivo. In questo caso, il rapporto incrementale della funzione è dato da:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{f(x+h)-f(x)}{h} = \frac{(x+h)^n-x^n}{h} \)

Svolgendo i calcoli, abbiamo:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{x^n+nx^{n-1}+h+\ldots + m_{n-1}xh^{n-1}+h^n-x^n}{h} = nx^{n-1} + \ldots+m_{n-1}xh^{n-2}+h^{n-1} \)

Quindi, calcolando il limite per h che tende a zero, abbiamo che:

\( \displaystyle \lim_{\Delta x \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{\Delta x \rightarrow 0} (nx^{n-1}+\ldots+m_{n-1}xh^{n-2}+h^{n-1}) = nx^{n-1} \)

Generalizzando, possiamo affermare che la derivata della funzione potenza n-esima, e quindi il coefficiente angolare delle tangenti alle funzioni di equazioni $ y = x^n $, è data da:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y=x^n \rightarrow y’=nx^{n-1}\,\,\, , \,\,\, n \in \mathbb{N_0}}}} \]

Derivata della funzione radice quadrata $ y = \sqrt{x} $

Consideriamo la funzione radice quadrata, $ y = f(x) = \sqrt{x} $; calcoliamo il suo rapporto incrementale:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{f(x+h)-f(x)}{h} = \frac{\sqrt{x+h}-\sqrt{x}}{h} \)

Razionalizzando, e svolgendo i calcoli, otteniamo:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{1}{\sqrt{x+h}+\sqrt{x}} \)

Calcoliamo, ora, il limite del rapporto incrementale per h che tende a zero:

\( \displaystyle \lim_{\Delta x \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{h \rightarrow 0} \frac{1}{\sqrt{x+h}+\sqrt{x}} = \frac{1}{2\sqrt{x}} \)

Quindi, possiamo riassumere affermando che la derivata della funzione radice quadrata, che corrisponde al coefficiente angolare della tangente al grafico di equazione $ y = \sqrt{x} \), è data da:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y=\sqrt{x} \rightarrow y’=\frac{1}{2\sqrt{x}}}}} \]

Derivata delle funzioni \( y = \sin x \) e \( y = \cos x \)

Calcoliamo il rapporto incrementale della funzione \( y = f(x) = \sin x \):

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{f(x+h)-f(x)}{h} = \frac{\sin(x+h)-\sin(x)}{h} \)

applicando al numeratore una delle formule di prostaferesi, otteniamo che:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{\sin \frac{h}{2}}{\frac{h}{2}} \cdot \cos\Big( x + \frac{h}{2}\Big) \)

Se calcoliamo ora il limite del rapporto incrementale per h che tende a zero, otteniamo \( \cos x \), in quanto il primo fattore del rapporto incrementale può essere ricondotto al limite notevole \( sinx/x \):

\( \displaystyle \lim_{\Delta x \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{h \rightarrow 0} \frac{\sin \frac{h}{2}}{\frac{h}{2}} \cdot \cos \Big( x + \frac{h}{2} \Big) = \cos x \)

Concludiamo, quindi, che la derivata di \( \sin x \) è \( \cos x \):

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \sin x \rightarrow y’ = \cos x}}} \]

Con ragionamenti analoghi, e seguendo lo stesso procedimento, possiamo calcolare la derivata della funzione \( y = \cos x \), che vale \( -\sin x \):

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \cos x \rightarrow y’ = -\sin x}}} \]

Derivata della funzione logaritmica

Consideriamo la seguente funzione logaritmica:

\( y = f(x) = \log_a x \,\,\,\, , \,\,\,\, a \in \mathbb{R^{+}} – \{1\} \)

Anche in questo caso, calcoliamo il valore del rapporto incrementale:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{f(x+h)-f(x)}{h} = \frac{\log_a(x+h)-\log_a(x)}{h} \)

Sfruttando le proprietà dei logaritmi, la scrittura precedente può essere trasformata nella seguente:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{1}{x} \log_a \Big( 1 + \frac{h}{x}\Big)^{\frac{x}{h}} \)

Volendo calcolare il suo limite per h che tende a zero, dobbiamo effettuare un cambio di incognita, ponendo $ z = x/h $, quindi:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{1}{x} \log_a \Big( 1 + \frac{1}{z} \Big)^z \)

Calcolando il suo limite, per z che tende a infinito, abbiamo che:

\( \displaystyle \lim_{\Delta x \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} = \lim_{z \rightarrow \infty} \frac{1}{x} \log_a \Big( 1 + \frac{1}{z} \Big)^z = \frac{1}{x} \log_a e \)

Riassumendo, la derivata della funzione logaritmica, e quindi il coefficiente angolare della retta ad essa tangente, è data da:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \log_a x \rightarrow y’ = \frac{1}{x} \log_a e = \frac{1}{x \cdot \log a} }}} \]

In particolare, se $a = e$, abbiamo:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \log x \rightarrow y’ = \frac{1}{x}}}} \]

Derivata della funzione esponenziale $y = a^x$

Consideriamo la funzione esponenziale $ y = a^x $, con $ a $ positivo, e calcoliamo il suo rapporto incrementale:

\( \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{f(x+h)-f(x)}{h} =\frac{a^{x+h}-a^x}{h} \)

Calcolando il limite per h che tende a zero, abbiamo che:

\( \displaystyle \lim_{\Delta \rightarrow 0} \frac{\Delta y}{\Delta x} =\lim_{h \rightarrow 0} \frac{a^{x+h}-a^x}{h} = \lim_{h \rightarrow 0} \frac{a^x (a^h-1)}{h} = a^x \cdot \log a \)

Quindi, possiamo riassumere affermando che la derivata della funzione esponenziale, e quindi il coefficiente angolare della retta ad essa tangente, è data da:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = a^x \rightarrow y’ = a^x \cdot \log a}}} \]

In particolare, se $ a = e $, abbiamo:

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y=e^x \rightarrow y’=e^x}}} \]

Tabella delle derivate elementari

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = c \rightarrow y’ = 0}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = x \rightarrow y’ = 1}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = x^n \rightarrow  y’ = nx^{n-1} \,\,\,\, , \,\,\,\, n \in \mathbb{N_0}}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \sqrt{x} \rightarrow y’ = \frac{1}{2\sqrt{x}}}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \sin x \rightarrow y’ = \cos x}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \cos x \rightarrow y’ = -\sin x}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \log_a x \rightarrow y’ = \frac{1}{x} \log_a e = \frac{1}{x \cdot \log a} }}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = \log x \rightarrow y’ = \frac{1}{x}}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = a^x \rightarrow y’ = a^x \cdot \log a}}}\]

\[ \color{red}{\boxed{\color{blue}{y = e^x \rightarrow y’ = e^x}}}\]

 

Continuità delle funzioni derivabili

Teorema: Ogni funzione, che ammette derivata finita in un punto, è continua in quel punto.

Il teorema non è invertibile, cioè non è detto che una funzione che è continua in un punto sia anche derivabile in quel punto. Infatti, esistono delle funzioni per cui, in determinati punti, al tendere di h (incremento) il rapporto incrementale o non ammette limite, o tende all’infinito.

Possiamo quindi affermare che la continuità di una funzione è condizione necessaria, ma non sufficiente per la sua derivabilità.

Esempio di funzione continua ma non derivabile

Consideriamo la seguente funzione: \[ y = f(x) = |x| \]

Analizziamo il suo comportamento nel punto x = 0. La funzione è continua in x = 0, in quanto è definita in tale punto: \[ f(0) = |0| = 0 \]

Esiste il limite della funzione per \( x \rightarrow 0 \), in quanto esistono i limiti destri e sinistri per \( x \rightarrow 0 \):

\( \lim_{x \rightarrow 0^{+}} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} |x| = \lim_{x \rightarrow 0^{+}} x = 0 \)

\( \lim_{x \rightarrow 0^{-}} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} |x| = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} -x = 0 \)

da cui segue

\( \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = 0 \)

Il limite per \( x \rightarrow 0 \) coincide proprio con il valore che la funzione assume nel punto x = 0:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = f(0) = 0 \]

Affinché la funzione sia anche derivabile in x = 0 è necessario che esista il limite del rapporto incrementale per \( h \rightarrow 0 \):

\( \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{h} = \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f(0+h)-f(0)}{h} = \)

\( \lim_{h \rightarrow 0} \frac{|h|-0}{h} = \lim_{h \rightarrow 0} \frac{|h|}{h} \)
Tuttavia, tale limite non esiste, poiché il limite destro e sinistro per \( h \rightarrow 0 \) sono differenti:

\( \lim_{h \rightarrow 0^{+}} \frac{|h|}{h} = \lim_{h \rightarrow 0^{+}} \frac{h}{h} = 1 \)

\( \lim_{h \rightarrow 0^{-}} \frac{|h|}{h} = \lim_{h \rightarrow 0^{-}} \frac{-h}{h} = -1 \)

 

Significato geometrico della derivata

Il rapporto incrementale di una funzione f(x) calcolato nel punto x0, relativamente ad un incremento h, corrisponde al coefficiente angolare della retta secante il grafico di y = f(x) nei suoi punti P e Q di ascisse, rispettivamente, $ x_0 $ e $x_0 + h $, ed è anche la tangente goniometrica dell’angolo che tale retta forma con il semiasse positivo delle ascisse.

Prendiamo una funzione f(x) derivabile nel punto $x_0$. Notiamo che, se facciamo tendere h a zero, cioè se attribuiamo all’incremento valori sempre più piccoli, il punto Q si avvicinerà sempre di più al punto P, quindi, la retta secante per PQ tenderà a diventare la retta tangente alla funzione nel punto P.

 

Derivata: retta tangente in un punto

 

 

 

 

 

 

 

Quindi, il coefficiente angolare della retta per PQ, che corrisponde al rapporto incrementale seguente:

\[ m_{PQ} = \frac{f(x_o+h)-f(x_0)}{h} \]

tenderà sempre di più ad avvicinarsi al coefficiente angolare della retta tangente al grafico in P; sapendo che il limite del rapporto incrementale per \( h \rightarrow 0 \) è uguale alla derivata della funzione nel punto $ x_0 $, possiamo scrivere che:

\[ \lim_{h \rightarrow 0} \frac{}{} = f_{x_0}'(x_0) = m_1 \]

Possiamo affermare che il limite del rapporto incrementale, o la derivata di una funzione nel punto $x_0$, è il coefficiente angolare della retta tangente al grafico di y = f(x) nel punto di ascissa $ x_0 $.

O anche che, la derivata di una funzione in un suo punto $ x_0 $ è la tangente goniometrica dell’angolo formato dalla retta tangente al grafico di y = f(x) nel suo punto di ascissa $ x_0 $ con il semiasse positivo delle ascisse.

In particolare, notiamo che se la derivata in un punto è infinita, la retta tangente al grafico della funzione in quel punto formerà con l’asse delle ascisse una angolo di 90°, e sarà quindi parallela all’asse delle y.

Viceversa, se la derivata in un punto $ x_0 $ è zero, allora la retta tangente al grafico della funzione in quel punto risulterà parallela all’asse delle x; infatti, il coefficiente angolare della retta x = 0, e di tutte le rette ad essa parallele, è nullo.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione: La derivata: definizione e significato geometrico

 

 

 

 

 

 

 

Rapporto incrementale e definizione di derivata

Consideriamo la funzione f(x) definita in un intorno I del punto $ x_0 $. Se incrementiamo $ x_0 $ di una quantità h, cioè abbiamo un incremento \( \Delta x = h \), positivo o negativo, tale che \( x_0 + h \in I \), la funzione f(x) assumerà in quel punto il valore \( f(x_0 + h) \).

Tale incremento della funzione viene indicato con \( \Delta y = f(x_o + h) – f(x_0) \), e può essere positivo, negativo o nullo.

Consideriamo ora il rapporto tra l’incremento della funzione e l’incremento della variabile corrispondente:

\[ \frac{\Delta y}{\Delta x} = \frac{f(x_0 + h)-f(x_0)}{h} \]

Questo rapporto viene definito rapporto incrementale della funzione f(x) relativo al punto \( x_0 \) e all’incremento h.

Rappresentiamo graficamente il concetto di rapporto incrementale.

 

Derivate: rappresentazione grafica del rapporto incrementale

 

 

 

 

 

 

 

 

Consideriamo, nel piano cartesiano, una curva generica f(x), e siano P e Q i punti di tale curva tali che le loro ascisse siano, rispettivamente, \( x_0 \) e \( x_0 + h \).

Sappiamo che il coefficiente angolare di una retta si può ottenere come il rapporto tra la differenza delle ordinate e la differenza delle ascisse di due qualsiasi punti della curva. Quindi, considerando la retta per P e Q, il suo coefficiente angolare è dato da:

\[ m_{PQ} = \frac{y_Q – y_P}{x_Q – x_P} = \frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{x_0+h-x_0} = \frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{h} \]

Quindi, possiamo affermare che il rapporto incrementale è uguale al coefficiente angolare della retta secante il grafico di y = f(x) nei suoi punti di ascissa \( x_0 \) e \( x_0 + h \).

Inoltre, consideriamo la retta per PQ e l’angolo che essa forma con il semiasse positivo delle ascisse, che chiamiamo \( \phi \).

Gli angoli \( \phi \) e QPM sono congruenti, perché angoli corrispondenti rispetto alle parallele Ox e PM con la trasversale PQ.

Ricordando le proprietà delle funzioni goniometriche, la tangente di tali angoli è data da:

\[ \tan \phi = \frac{MQ}{PM} = \frac{y_Q – y_M}{x_M – x_P} = \frac{y_Q – y_P}{x_Q – x_P} = \frac{f(x_o+h)-f(x_0)}{h} \]

Possiamo quindi concludere affermando che il rapporto incrementale è uguale alla tangente goniometrica dell’angolo formato dal semiasse positivo delle ascisse e dalla secante al grafico di y = f(x) passante per i suoi punti di ascisse \( x_0 \) e \( x_0 + h \).

 

La derivata

Consideriamo la funzione f(x) definita in un intorno completo di $x_0$ e consideriamo il rapporto incrementale, essendo h l’incremento. Facciamo tendere a zero l’incremento h, e consideriamo quindi il limite del rapporto incrementale, quando l’incremento tende a zero:

\[ \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f(x_0 + h) – f(x_0)}{h} \]

Se tale limite esiste ed è finito, si dice che la funzione è derivabile nel punto $ x_0 $, e tale limite prende il nome di derivata della funzione per \( x = x_0 \).

Tale derivata si indica con \( f'(x_0) \).

Se, invece, tale limite non esiste, non esiste neanche la derivata.

Se il limite del rapporto incrementale è infinito, la funzione non è derivabile, e si dice che la derivata è infinita.

Quindi, ricapitolando, la derivata di una funzione f(x) in un punto $ x_0 $ è il limite, se esiste, del rapporto incrementale, al tendere a zero dell’incremento dato alla variabile indipendente.

Per definizione, abbiamo quindi che:

\[ \lim_{h \rightarrow 0} \frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{h} = f'(x_0) \]

Si dice, inoltre, che una funzione è derivabile in un intervallo (a; b) se è derivabile in ogni punto dell’intervallo (a; b). In questo caso, la derivata è definita in ogni punto \( x \in (a; b ) \), e risulta essere anch’essa una funzione di x, che viene definita funzione derivata.

Inoltre, considerando la funzione f(x) nel solo punto $ x_0 $, e in particolare in un suo intorno destro o sinistro, possiamo parlare, rispettivamente, di derivata destra o derivata sinistra, che si indicano in questo modo:

\[ \lim_{h \rightarrow 0^{+}} \frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{h} = f_{+}'(x_0) \rightarrow \mbox{( derivata destra )}\]

\[ \lim_{h \rightarrow 0^{-}} \frac{f(x_0+h)-f(x_0)}{h} = f_{-}'(x_0) \rightarrow \mbox{( derivata sinistra )} \]

In particolare, una funzione è derivabile in un punto solo se esistono finite e sono uguali tra loro le derivate destra e sinistra in quel punto.

Se una funzione è definita in un intervallo chiuso [a; b ], diremo che, se esistono, \( f'(a) \) è la derivata destra, mentre \( f'(b) \) è la derivata sinistra. La funzione è inoltre derivabile in tutto [a; b] se è derivabile in tutti i punti interni di [a; b ] e negli estremi.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione: derivata definizione e significato geometrico

 

 

 

 

 

 

 

Combinazioni

Formule

Definizione 1: Combinazioni

Se il numero $ n $ degli oggetti e il numero $ k $ dei posti sono tali che $ n != k $ e inoltre non conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti, allora il raggruppamento è detto combinazione.

Formula 1: Numero di combinazioni di $ n $ oggetti su $ k $ posti senza ripetizioni

Supponiamo che gli $ n $ oggetti da combinare siano tutti tra loro distinguibili. Allora per dar luogo a una combinazione procederemo come segue:

  • In primo luogo creiamo una disposizione di $ n $ oggetti su $ k $ posti senza ripetizioni. Per far ciò utilizzeremo chiaramente quanto già noto in merito alle disposizioni;
  • Consideriamo adesso i $ k $ oggetti facenti parte della disposizione prefissata al punto 1; l’unica distinzione tra disposizioni e combinazioni è che nelle ultime non conta l’ordine, e dunque dovremo considerare come uguali tutte quell disposizioni date da una permutazione dei $ k $ elementi di quella prefissata.

Per concludere dunque quante combinazioni ci sono in tutto dovremo solo dividere il numero di disposizioni di $ n $ oggetti su $ k $ posti per il numero di permutazioni di $ k $ oggetti:

\[ \begin{equation} C_{n,k} = \frac{D_{n,k}}{P_k} = \frac{n!}{k!(n-k)!} = \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} \label{eq1} \end{equation} \]

Quel che otteniamo è il coefficiente binomiale di $ n $ su $ k $, che è stato definito proprio a questo scopo. Per le combinazioni valgono perciò tutte le proprietà che sono già note per il coefficiente binomiale.

Formula 2: Numero di combinazioni di $ n $ oggetti su $ k $ posti con ripetizioni

Per trovare questa formula dovremo seguire un ragionamento del tutto diverso, articolato nei seguenti passaggi:

  • In primo luogo ordiniamo gli $ n $ oggetti da combinare assegnando loro dei nomi con numeri crescenti, del tipo \( e_1, e_2, \ldots, e_n \). Gli oggetti si possono a priori ordinare in qualsiasi modo vogliamo, quindi non facciamo altro che fissare arbitrariamente un ordinamento;
  • Osserviamo che dalla Definizione 1 segue che in una combinazione l’ordine in cui compaiono gli oggetti è irrilevante. Conveniamo allora di costruire la combinazione mettendo prima tutte le copie di \( e_1 \), poi quelle di \( e_2 \) e così via, rispettando l’ordine dato agli oggetti nel punto 1;
  • Indichiamo ciascuna copia di \( e_1 \) che intendiamo usare nella combinazione con un cerchietto; mettiamo una virgola di separazione, poi indichiamo allo stesso modo le copie di \( e_2 \) che vogliamo inserire, e procediamo fino alla fine;
  • Se non vogliamo inserire copie di un determinato oggetto, non inseriremo cerchietti e metteremo direttamente la nuova virgola di separazione;
  • In tal modo ricaviamo un codice per indicare le varie combinazioni in maniera univoca. Per esempio, supponendo che sia \( k = 7 \) e \( n = 4 \), le scritture seguenti

Rappresentazione combinazioni semplici

 

 

 

 

indicano rispettivamente le combinazioni:

\[ e_1 \,\,\, e_1 \,\,\, e_2 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_4 \]

\[ e_1 \,\,\, e_1 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_4 \]

\[ e_1 \,\,\, e_1 \,\,\, e_2 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \,\,\, e_3 \]

 

  • Contare le combinazioni è dunque equivalente al contare il numero di diversi ordini di cerchietti e virgole che possono essere formati. Notiamo che il numero di cerchi è sempre $ k $, poiché equivale al numero di posti, mentre il numero di virgole è sempre $ n – 1 $, in quanto l’ultimo gruppo di oggetti non richiede una virgola;
  • Il risultato ricercato è perciò uguale al numero di permutazioni di $ n + k – 1 $ oggetti organizzati in due sottoinsiemi di oggetti uguali, comprendenti rispettivamente $ k $ ed $ n – 1 $ oggetti:

\[ \begin{equation} C_{n,k}^r = P_{n+k-1}^r = \frac{(n+k-1)!}{k!(n-k)!} = \begin{pmatrix} n+k-1 \\ k \end{pmatrix} \label{eq2} \end{equation} \]

 

Esempi

Esempio 1: Quanti sottoinsiemi di 3 elementi esistono di un insieme che ne contiene 9?

Questo è il tipico caso nel quale si utilizzano le combinazioni: infatti vogliamo scegliere 3 elementi da 9, ovvero disporre 9 oggetti su 3 posti senza che conti l’ordine. Il risultato si ottiene con la Formula \( \ref{eq1} \), poiché siccome un elemento può apparire una sola volta in ogni insieme non esistono ripetizioni:

\[ C_{9,3} = \begin{pmatrix} 9 \\ 3  \end{pmatrix} = \frac{9!}{3!6!} = \frac{9 \cdot 8 \cdot 7 \cdot 6!}{6 \cdot 6!} = \frac{9 \cdot 8 \cdot 7}{6} = 3 \cdot 4 \cdot 7 = 84 \]

Esempio 2: Quanti diversi risultati si possono ottenere lanciando contemporaneamente tre dadi a sei facce?

Si osservi che in questo caso ci sono 6 oggetti (i diversi risultati che possono scaturire dal lancio di un singolo dado), 3 posti (i dadi), non conta l’ordine (i dadi cadono in maniera casuale) e ci possono essere ripetizioni (due dadi diversi possono dare lo stesso risultato). Quindi occorre adoperare la Formula \( \ref{eq2} \) delle combinazioni con ripetizione:

\[ C_{6,3}^r = \begin{pmatrix} 6+3-1 \\ 3 \end{pmatrix} \begin{pmatrix} 8 \\ 3 \end{pmatrix} = \frac{8!}{3!5!} = \frac{8 \cdot 7 \cdot 6 \cdot 5!}{6 \cdot 5!} = 8 \cdot 7 = 56 \]

 

Altro materiale di supporto

Videolezione: combinazioni con ripetizione

 

 

 

 

 

 

 

 

Disposizioni

Formule

Definizione 1: Disposizioni

Se il numero $ n $ degli oggetti e il numero $ k $ dei posti sono tali che $ n != k $ e inoltre conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti, allora il raggruppamento è detto disposizione.

Formula 1: Numero di disposizioni di ? oggetti su ? posti senza ripetizioni

Supponiamo che gli $ n $ oggetti da disporre siano tutti tra loro distinguibili. Allora per dar luogo a una disposizione procederemo come segue:

  • Creiamo prima di tutto una permutazione di tutti e ? gli oggetti disponibili. Per far ciò adoperiamo naturalmente quanto già noto sulle permutazioni;
  • Per definizione $ k $ è minore di $ n $, o altrimenti siccome non ci sono ripetizioni alcuni dei posti dovrebbero per forza restare vuoti. Diciamo allora che gli oggetti interessanti per la nostra disposizione sono i primi $ k $ della permutazione formata al punto 1;
  • Ne consegue che, scelti tali oggetti, i rimanenti $ n – k $ si possono organizzare in qualsiasi ordine dal momento che il loro raggruppamento è irrilevante ai fini della disposizione. Dunque occorre considerare come uguali tra loro tutti quei raggruppamenti che si ottengono da quello prefissato permutando in modo qualsiasi gli oggetti non selezionati per la disposizione.

 

Per concludere adesso quante disposizioni ci sono in tutto dovremo solo scrivere dividere il numero di permutazioni di ? oggetti per il numero di permutazioni di $ n – k $ oggetti:

\[ \begin{equation} D_{n, k} = \frac{P_n}{P_{n-k}} = \frac{n!}{(n-k)!} \label{eq1} \end{equation} \]

Osservazione 1: Va da sé che dal momento che il fattoriale al numeratore può essere scritto come

\[ n! = (n-k)! (n-k+1)(n-k+2) \ldots (n-1) n \]

per forza di cose il numero di disposizioni di $ n $ oggetti su $ k $ posti è naturale, proprio come ci si aspetterebbe logicamente.

Formula 2: Numero di disposizioni di $ n $ oggetti su $ k $ posti con ripetizioni

Per trovare questo numero di disposizioni ragioneremo in maniera un po’ diversa, senza tirare in gioco permutazioni e fattoriali, secondo il seguente procedimento:

  • Scegliamo l’oggetto tra gli $ n $ dati che occuperà il primo posto nella disposizione; ciò può naturalmente farsi in esattamente ? modi diversi, poiché supponiamo che gli oggetti siano tutti distinguibili;
  • Proprio come si fa per le permutazioni, scegliamo adesso il secondo oggetto; dal momento che ogni oggetto può essere però ripetuto un numero arbitrario di volte, in questo caso il numero di scelte disponibili è ancora $ n$;
  • Ripetiamo detto procedimento per ? volte, finché i posti non terminano. Osserviamo che in questo caso non è necessario che sia \( k \le n \).

Seguendo questo ragionamento otteniamo al fine la formula

\[ \begin{equation} D_{n,k}^r = \underbrace{n \cdot n \cdot \ldots \cdot n}_\text{k volte} = n^k \label{eq2} \end{equation} \]

Osservazione 2: Nel caso delle permutazioni si è osservato che consentire la ripetizione di oggetti costituiva un limite del tutto equivalente al considerare che alcuni oggetti fossero tra loro indistinguibili, e di conseguenza il numero di permutazioni con ripetizioni risultava minore di quello di permutazioni senza ripetizioni. Per le disposizioni avviene l’esatto contrario: poter ripetere gli oggetti è in questo caso una possibilità per più ordinamenti, e quindi si ha sempre che

\[ D_{n,k} \le D^r_{n,k} \Leftrightarrow \frac{n!}{(n-k)!} \le n^k \mbox{, } \,\,\,\, \forall n, k: 0 \le k \le n \]

La formula a destra è comunque facilmente dimostrabile anche per via algebrica.

Osservazione 3: Se nella Formula \( \ref{eq1} \) abbiamo $ n = k $, essa si riduce a \( D_{n,n} = n!/0! = n! = P_n \). Ciò non è sorprendente, in quanto una disposizione senza ripetizioni in cui il numero degli oggetti è pari a quello dei posti è essenzialmente una permutazione.

 

Esempi

Esempio 1: Cinque amici partecipano a una gara di atletica leggera. In quanti modi diversi è possibile che essi occupino il podio alla fine della competizione?

Si tratta di effettuare un raggruppamento di $ n = 5 $ oggetti (gli amici) su $ k = 3 $ posti (i gradini del podio), senza ripetizioni (ognuno degli amici occupa al più un solo gradino del podio) e in cui conta l’ordine (non è la stessa cosa arrivare primi, secondi o terzi). Occorre perciò adoperare la Formula \( \ref{eq1} \):

\[ D_{5,3} = \frac{5!}{(5-3)!} = \frac{5!}{2!} = 3 \cdot 4 \cdot 5 = 60 \]

Esempio 2: Si calcoli il numero di sottoinsiemi distinti di un insieme di 8 elementi.

Questo esercizio a prima vista non sembra di calcolo combinatorio, e si potrebbe pensare che si possa risolvere semplicemente elencando i sottoinsiemi e contandoli; ciò è vero in linea di principio, ma non si può fare perché il numero di sottoinsiemi è molto più grande di quanto si sarebbe portati a credere.

Consideriamo, stranamente, gli 8 elementi dell’insieme come i posti, e come oggetti da raggruppare gli elementi dell’insieme {?,?}, che stanno per “vero” e “falso”: abbiamo in questo caso $ n = 2, k = 8 $. Effettuiamo una disposizione con ripetizione con gli oggetti e i posti dati: alla fine avremo che a ciascuno degli 8 elementi dell’insieme sarà stato assegnato o un ? o un ?; interpreteremo ciò dicendo che gli elementi cui è stato associato ? appartengono al sottoinsieme, e quelli cui è stato associato ? no. Effettuando tutte le disposizioni con ripetizioni possibili, avremo enumerato tutti i sottoinsiemi. Adoperando la Formula \( \ref{eq2} \), essi risultano dunque essere

\[ D_{2,8}^r = 2^8 = 256 \]

 

Altro materiale di supporto

Videolezione: permutazioni semplici

 

 

 

 

 

 

 

Permutazioni

Formule

Definizione 1: Permutazioni

Se il numero $ n $ degli oggetti e il numero $ k $ dei posti sono tali che $ n = k $ e inoltre conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti, allora il raggruppamento è detto permutazione.

Formula 1: Numero di permutazioni di $ n $ oggetti senza ripetizioni

Supponiamo che gli $ n $ oggetti da permutare siano tutti tra loro distinguibili. Allora per formare una permutazione procederemo come segue:

  • Si sceglie il primo oggetto tra gli ? disponibili; questo può naturalmente essere fatto in esattamente $ n $ modi diversi.
  • Si deve adesso scegliere il secondo oggetto, ricordando che uno degli oggetti già è stato scelto e che non può essere utilizzato di nuovo, visto che non ci sono ripetizioni. Rimangono perciò $ n – 1 $ oggetti tra cui selezionare il secondo.
  • Così in successione il numero degli oggetti diminuisce ad ogni passo: al terzo passo ce ne saranno $ n – 2 $, al quarto $ n – 3 $ e così via.
  • All’ultimo passo rimarrà un solo oggetto da scegliere, ovvero l’ultima scelta sarà obbligata dal momento che saranno terminati gli oggetti.

 

Per concludere adesso quante permutazioni ci sono in tutto, consideriamo che per ognuna delle scelte già effettuate tutte le successive sono ancora disponibili. Ciò significa che il numero totale di permutazioni sarà dato da \( n \cdot (n -1) \cdot (n – 2) \cdot \ldots \cdot 2 \cdot 1 \), ovvero

\[ \begin{equation}P_n = n! \label{eq1} \end{equation} \]

Formula 2: Numero di permutazioni di $ n $ oggetti con ripetizioni

Supponiamo adesso di avere $ n $ oggetti da permutare, ma che a differenza di prima questi siano organizzabili in $ m $ sottoinsiemi composti ciascuno da oggetti tutti uguali. Sia $ r_j $ con \( 1 \le j \le m \) il numero di oggetti appartenenti al ?-esimo sottoinsieme; ne consegue che \( r_1 + r_2 + \ldots + r_m = n \). Per determinare il numero di permutazioni con ripetizioni procediamo come segue:

  • Determiniamo in primo luogo il numero di permutazioni senza ripetizioni relativo agli oggetti dati, come se questi fossero tutti diversi; dalla Formula 1 segue che tale numero è esattamente $ n!$ ;
  • Fissata adesso una di tali permutazioni, consideriamo tutti gli oggetti appartenenti al primo sottoinsieme che figurano in essa; essi sono, come già detto, in numero di $ r_1 $. Se permutiamo tra loro in un modo qualsiasi solo gli oggetti del primo sottoinsieme e lasciamo fissi tutti gli altri otteniamo ancora la stessa permutazione generale, poiché gli oggetti mischiati erano tutti uguali. Queste permutazioni, che per la Formula \( \ref{eq1} \) sono in totale $ r_1! $, vanno considerate uguali al fine del calcolo che stiamo effettuando; dunque il numero $ n! $ va diviso per $ r_1! $.
  • Possiamo adesso ripetere per tutti gli altri sottoinsiemi di oggetti il ragionamento fatto per il primo sottoinsieme; da ciò risulta che il numero di permutazioni con ripetizioni che volevamo ricavare è pari a

\[ \begin{equation} P_n^r = \frac{n!}{r_1! r_2!\ldots r_m!} \label{eq2} \end{equation} \]

 

Osservazione 1: Consideriamo il numero di permutazioni con ripetizioni relativo ad ? oggetti tutti tra loro differenti. In questo caso possiamo ancora adoperare la Formula \( \ref{eq2} \), ma ciascuno dei sottoinsiemi sarà composto da un solo oggetto; poiché il numero totale di oggetti dovrà sempre essere $ n $, va da sè che dovranno esserci tanti sottoinsiemi quanti sono gli oggetti, ovvero che $ n = m $. La Formula \( \ref{eq2} \) risulta allora scritta come

\[ P_n^r = \frac{n!}{r_1! r_2! \ldots r_n!} = \frac{n!}{1! 1! \ldots 1!} = n! = P_n \]

Ciò è in assoluto accordo con il fatto che gli oggetti erano tutti tra loro diversi, e quindi che avremmo potuto utilizzare anche la Formula \( \ref{eq1} \).

Osservazione 2: Nell’osservazione 1 abbiamo visto che nel caso che tutti gli oggetti siano diversi i valori risultanti dalle due formule coincidono. Se però accade che anche solo due degli oggetti dati sono uguali, il valore della seconda formula è strettamente minore di quello della prima.

Osservazione 3: In virtù delle proprietà del coefficiente binomiale, la Formula \( \ref{eq2} \) restituisce sempre un numero naturale per ogni possibile scelta degli oggetti. Ciò adesso assume significato, visto che non avrebbe senso parlare di una quantità non intera o negativa di permutazioni.

 

Esempi

Esempio 1: Tre squadre di atleti si sfidano in un torneo sportivo. Determina in quanti modi diversi esse potranno occupare il podio.

In questo esempio abbiamo 3 posti e 3 oggetti: i primi sono costituiti dai gradini del podio, mentre i secondi sono le tre squadre. Poiché naturalmente una stessa squadra non può occupare al contempo due diverse posizioni in classifica, si tratta di una permutazione senza ripetizioni. Dunque: \[ P_3 = 3! = 6 \]

Esempio 2: Ad una tavolata di 6 amici arrivano 3 pizze margherite, 2 alla marinara e 1 quattro formaggi. Calcola in quanti modi diversi tali pizze possono essere distribuite.

In tal caso immaginiamo di ordinare i 6 amici dal primo al sesto, considerandoli come posti, e di dividere i 6 oggetti, le pizze, in tre famiglie composte da oggetti tutti uguali: $ r_1 = 1 $ per la quattro stagioni, $ r_2 = 2 $ per le marinare ed $ r_3 = 3 $ per le margherite. Adoperando la Formula \( \ref{eq2} \) avremo subito

\[ P_6^r = \frac{6!}{1! 2! 3!} = \frac{3! \cdot 4 \cdot 5 \cdot 6}{1 \cdot 2 \cdot 3!} = \frac{4 \cdot 5 \cdot 6}{2} = 3 \cdot 4 \cdot 5 = 60 \]

Pertanto le pizze possono essere distribuite in ben 60 modi essenzialmente diversi.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione: permutazioni

 

 

 

 

 

 

 

Calcolo combinatorio: generalità

Definizioni

Lo scopo del calcolo combinatorio è l’enumerazione della quantità di modi essenzialmente differenti in cui è possibile raggruppare un prefissato numero di oggetti su di un prefissato numero di posti. Tali quantità vengono usualmente indicate rispettivamente con $ n $ e $ k $.

Definizione 1: Permutazioni

Se il numero $ n $ degli oggetti e il numero $ k $ dei posti sono tali che $ n = k $ e inoltre conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti, allora il raggruppamento è detto permutazione.

Definizione 2: Disposizioni

Se il numero $ n $ degli oggetti e il numero $ k $ dei posti sono tali che $ n != k $ e inoltre conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti, allora il raggruppamento è detto disposizione.

Definizione 3: Combinazioni

Se il numero ? degli oggetti e il numero ? dei posti sono tali che $ n != k $ e inoltre non conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti, allora il raggruppamento è detto combinazione.

Osservazione 1: È fondamentale distinguere di volta in volta a seconda della situazione quale degli enti di cui si discute sia da identificare come “oggetto” e quale come “posto”, poiché talvolta ciò non è elementare come sembrerebbe.

Osservazione 2: Ciascuno dei raggruppamenti presentati nelle Definizioni 1, 2 e 3 può essere con o senza ripetizione di oggetti. La ripetizione di oggetti si ha allorché alcuni degli oggetti da raggruppare sono uguali, e conseguentemente il numero di raggruppamenti essenzialmente diversi diminuisce; se gli oggetti sono invece tutti distinguibili l’uno dall’altro, il raggruppamento sarà considerato senza ripetizione di oggetti.

Osservazione 3: Il lettore potrebbe aver notato che dai casi delle Definizioni 1, 2 e 3 viene escluso quello in cui il numero $ n $ degli oggetti e il numero $ k $ dei posti sono tali che $ n = k $ e inoltre non conta l’ordine con cui si dispongono gli oggetti. Ciò è chiaramente dovuto al fatto che se $ n = k $ l’unico elemento di variabilità che distingue i raggruppamenti tra loro è l’ordine degli oggetti, e che se quest’ultimo non viene considerato i raggruppamenti sono tutti essenzialmente identici.

Esempi

Esempio 1: Si consideri il problema del calcolo del numero totale di anagrammi differenti, compresi quelli privi di senso, che si possono formare usando le lettere della parola CIAO. Di che tipo di raggruppamento si tratta? Valgono le ripetizioni oppure no?

Il problema può essere riformulato nel modo seguente:

Supponiamo di avere 4 oggetti tra loro differenti, che indicheremo con le lettere C, I, A ed O, e 4 posizioni numerate, indicate con i nomi “prima lettera”, “seconda lettera”… . Quanti modi differenti esistono di disporre i 4 oggetti sui 4 posti, in modo tale che ognuno di essi compaia una ed una sola volta?

Questa riformulazione equivalente ci porta subito ad alcune considerazioni:

  • $ n = 4, k = 4 $; dunque si ha che $ n = k $.
  • L’ordine degli oggetti conta; infatti qualora così non fosse le parole CIAO e CAIO andrebbero considerate come identiche, mentre sono evidentemente anagrammi diversi.
  • Non vi sono ripetizioni; infatti se così non fosse non sarebbe vero che gli oggetti compaiono tutti una ed una sola volta, cioè sono escluse le parole CCCA, CIAA…

Dunque il raggruppamento considerato è una permutazione senza ripetizione di oggetti.

Esempio 2: Si consideri il problema del calcolo del numero totale di parole di 3 lettere, comprese quelle prive di senso, che si possono formare usando le lettere dell’alfabeto italiano. Di che tipo di raggruppamento si tratta? Valgono le ripetizioni oppure no?

Il problema sembra simile a quello dell’esempio precedente; in realtà la sua riformulazione seguente rende chiaro che si tratta di un tipo di raggruppamento del tutto diverso:

Supponiamo di avere 21 oggetti tra loro differenti, che indicheremo con le lettere A, B, C… Z, e 3 posizioni numerate, indicate con i nomi “prima lettera”, “seconda lettera” e “terza lettera”. Quanti modi differenti esistono di disporre i 21 oggetti sui 3 posti, potendo ciascun oggetto essere adoperato più volte?

Osserviamo così che essendo $ n = 21 $ e $ k = 3 $ risulta in questo caso $ n != k $; oltretutto ci sono ripetizioni, poiché una stessa parola di 3 lettere può avere più lettere uguali come nel caso della parola ALA. Infine conta naturalmente l’ordine delle lettere, o le parole PIO e POI sarebbero considerate uguali. Concludiamo perciò che il raggruppamento è una disposizione con ripetizione di oggetti.

Osservazione 4: La strategia di riformulare il problema in termini di oggetti, posti e numero di ripetizioni può sempre essere applicata nei problemi di questo tipo; essa serve a chiarire i ruoli degli enti presenti e a riconoscere le formule da adoperare per trovare la soluzione.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione: esercizi di base sul calcolo combinatorio.

 

 

 

 

 

 

 

Identità ed equazioni con coefficienti binomiali

Identità con coefficienti binomiali

Definizione 1: Identità con coefficienti binomiali

Un’equazione nella quale figurino coefficienti binomiali con incognite e che debba essere verificata per ogni possibile valore di queste ultime è detta identità con coefficienti binomiali.

Osservazione 1: Ad esempio, la proprietà \( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} \begin{pmatrix} n \\ n-k \end{pmatrix} \) dei coefficienti binomiali è un’identità del tipo appena definito; in essa figurano infatti dei coefficienti binomiali e due incognite, ed è vera per ogni possibile valore di queste ultime. In tal caso, l’identità è verificata ogni qual volta valga \( 0 \le k \le n \). Naturalmente, anche tutte le altre proprietà studiate dei coefficienti binomiali sono identità come da definizione 1.

Verificare un’identità con coefficienti binomiali: La tipica richiesta che ci viene fatta nel caso di identità con coefficienti binomiali è quella di trovare gli eventuali valori delle incognite per cui essa risulta verificata; ad esempio, l’identità vista nell’osservazione 1 non è verificata se \( k \gt n \). È possibile arrivare al risultato seguendo questi passi:

  1. Porre prima di tutto le condizioni di esistenza: il valore inferiore di ogni coefficiente binomiale va posto sempre non negativo e minore o uguale del valore superiore dello stesso coefficiente;
  2. Intersecare, per quanto possibile, le condizioni di esistenza, così da ottenere le disequazioni che le incognite devono verificare. Già a questo passo se risulta che una delle incognite non può avere alcun valore possiamo concludere che l’identità non è verificata;
  3. Esplicitare ogni coefficiente binomiale con la formula fattoriale;
  4. Adoperare ripetutamente la proprietà \( (n+1)! = n!(n+1) \) allo scopo di ottenere la messa in evidenza di tutti i fattoriali presenti;
  5. Semplificare i fattoriali, facendo in modo che tutto ciò che resta sia una semplice equazione algebrica;
  6. Mostrare che detta equazione è verificata per tutti i valori possibili delle incognite.

Osservazione 2: All’occorrenza, alcune altre proprietà studiate per i coefficienti binomiali possono essere preventivamente adoperate tra i passi 2 e 3 dell’algoritmo precedente, con lo scopo di facilitare i calcoli.

Esempio 1: Verificare la seguente identità: \( k \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} – n \begin{pmatrix} n-1 \\ k-1 \end{pmatrix} \)

Seguiamo passo passo il metodo delineato nel corso del paragrafo precedente:

  1. Condizioni di esistenza: \(n \ge k \ge 0 \mbox{; } n-1 \ge k-1 \ge 0 \)
  2. Dalla prima condizione ricaviamo \( n \ge k \mbox{, } k \ge 0 \), mentre dalla seconda possiamo ottenere \( n \ge k, k \ge 1 \). Intersecando tali disequazioni scopriamo che le incognite devono verificare le seguenti prescrizioni: \[ n \ge k, k \ge 1 \]
  3. Esplicitiamo tramite fattoriali tutti i coefficienti binomiali presenti nell’identità: \[ k \color{red}{\frac{n!}{k!(n-k)!}} – n \color{red}{\frac{(n-1)!}{(k-1)!(n-k)!}} = 0 \]
  4. Adoperiamo la formula per mettere in evidenza i fattoriali presenti; tipicamente si scelgono i fattoriali più piccoli del denominatore e del numeratore. \[ k \frac{\color{red}{(n-1)!n}}{\color{red}{(k-1)!}k(n-k)!} – n \frac{(n-1)!}{(k-1)!(n-k)!} = 0 \] Si osservi che l’ultimo passaggio non sarebbe lecito qualora una delle due incognite fosse 0, perché ciò darebbe luogo a fattoriali di numeri negativi, che non abbiamo definito in alcun modo. Fortunatamente, le condizioni che abbiamo discusso precedentemente assicurano la stretta positività di ambo le incognite.
  5. Semplificando la \( k \) che compare nel primo addendo (fatto questo lecito poichè si sa che \( k \ne 0 \)) e osservando l’equazione, si scopre subito che essa è uguale a 0. L’identità è perciò verificata \( \forall k \ge 1, \forall n \ge k \).

 

Equazioni con coefficienti binomiali

Definizione 2: Equazioni con coefficienti binomiali

Un’equazione nella quale figurino dei coefficienti binomiali ed un’incognita ? è detta una equazione con coefficienti binomiali.

Risolvere un’equazione con coefficienti binomiali

La risoluzione di un’equazione nella quale compaiano coefficienti binomiali è formalmente identica alla verifica di un’omonima identità per tutti e cinque i primi passaggi. La differenza sorge allorché, giunti infine ad una equazione algebrica, in essa figura la sola incognita \( x \); ciò che occorre fare in questo momento è tentare la risoluzione dell’equazione per \( x \). Tale procedimento può dar luogo a nessuna, una o più soluzioni, o ancora infinite soluzioni.

Esempio di equazione con coefficienti binomiali

Risolvere la seguente equazione: \( 2 \begin{pmatrix} x-1 \\ 1 \end{pmatrix} + 3 \begin{pmatrix} x+1 \\ 3 \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} x \\ 2 \end{pmatrix} \).

In primo luogo ricaviamo le condizioni d’esistenza: osservando i tre coefficienti binomiali possiamo dire

\[ x-1 \ge 1 \Rightarrow x \ge 2 \]

\[ x + 1 \ge 3 \Rightarrow x \ge 2 \]

\[ x \ge 2 \]

Ciò ci consente di concludere che un’eventuale risoluzione dell’equazione, per poter essere considerata accettabile, deve essere maggiore o uguale a 2. Passiamo adesso a riscrivere l’equazione usando i fattoriali:

\[ 2 \frac{(x-1)!}{1!(x-2)!} + 3 \frac{(x+1)!}{3!(x-2)!} = \frac{x!}{2!(x-2)!} \]

Passiamo tutti gli addendi al primo membro, calcoliamo i fattoriali puramente numerici e mettiamo in evidenza quanto possibile:

\[ 2 \frac{(x-1)!}{(x-2)!} + 3 \frac{(x+1)!}{6(x-2)!} – \frac{x!}{2(x-2)!} = 0 \]

\[ \frac{1}{(x-2)!} \Big\{ 2(x-1)!+\frac{(x+1)!}{2} -\frac{x!}{2} \Big\} = 0 \Rightarrow 2(x-1)!+ \frac{(x+1)!}{2} – \frac{x!}{2} = 0 \]

Procediamo come al solito, scomponendo i fattoriali più grandi con la formula nota:

\[ 2(x-1)!+\frac{(x+1)x(x-1)!}{2}-\frac{x(x-1)!}{2}=0 \Rightarrow \frac{(x-1)!}{2}\{4+(x+1)x-x\} = 0 \]

Siamo così giunti all’equazione algebrica \( 4+ (x+1)x – x \), che diviene \( x^2 + 4 = 0 \). Dal momento che la quantità al primo membro risulta sempre essere strettamente positiva, concludiamo che l’equazione data non ha alcuna soluzione o, il che è lo stesso, è impossibile.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione sui coefficienti binomiali

 

 

 

 

 

 

 

Proprietà del coefficiente binomiale

Proprietà 1: In virtù della sua definizione, il coefficiente binomiale è una frazione di fattoriali; poiché questi ultimi sono numeri naturali in quanto prodotti di numeri naturali, il coefficiente binomiale è in generale un numero razionale. É un fatto non elementare che i numeratori e i denominatori di tutti i coefficienti binomiali siano sempre semplificabili al punto che ogni coefficiente binomiale risulta essere un numero naturale.

Ciò si dimostra usando la formula \(\begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} n-1 \\ k-1  \end{pmatrix} + \begin{pmatrix} n-1 \\ k \end{pmatrix} \) e ragionando induttivamente. Consideriamo la somma \( n + k \), in cui tali valori sono scelti in modo tale da poter costituire un coefficiente binomiale; se la somma fa 0, l’unica scelta possibile è \( n = 0, k = 0 \) e in questo caso il coefficiente binomiale è \( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} 0 \\ 0 \end{pmatrix} = 1 \), un numero naturale. Ciò funge da base induttiva.

Supponiamo adesso per induzione che la proprietà del coefficiente binomiale di essere un numero intero sia verificata per tutti quei coefficienti binomiali in cui la somma è minore o uguale di \( s \). Se adesso consideriamo \( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} \) tale che \( n + k = s + 1 \), adoperando la formula su scritta decomponiamo il coefficiente binomiale nella somma \( \begin{pmatrix} n-1 \\ k-1\end{pmatrix} + \begin{pmatrix} n-1 \\ k \end{pmatrix} \). Si noti che i due coefficienti binomiali ottenuti sono tali che nel primo la somma fa \( n + k – 2 = s – 1 \), mentre nel secondo fa \( n + k – 1 = s \); per ipotesi induttiva, ciò implica che i due coefficienti binomiali sono numeri naturali. Ne segue che anche \( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} \), essendo somma di due numeri naturali, è un numero naturale. Ciò completa la dimostrazione.

Proprietà 2: Un’altra proprietà importante è quella per cui \( \displaystyle 2^n = \sum_{k=0}^n \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} \). Essa è una versione semplificata della più complessa \( (a + b)^n = \sum_{k=0}^n \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} a^k b^{n-k} \), valida per ogni valore di \( a \) e \( b \) e detta Binomio di Newton, corrispondente alla scelta \( a = b = 1 \). Anch’essa si dimostra facilmente per induzione.

Partiamo, per base induttiva, dal considerare n=0. In tal caso la formula da dimostrare si riduce a \( \displaystyle 2^0 = \sum_{k=0}^0 \begin{pmatrix} 0 \\ k \end{pmatrix} \), ovvero all’identità \( \begin{pmatrix} 0 \\ 0 \end{pmatrix} = 1 \) che già sappiamo essere verificata.

Supponiamo adesso la proprietà già verificata per ogni numero naturale minore o uguale di \( n \), e proviamola vera per \( n+1 \); in tal caso la formula diventa \( \displaystyle 2^{n+1} = \sum_{k=0}^{n+1} \begin{pmatrix} n+1 \\ k \end{pmatrix} \), e

\( \displaystyle \sum_{k=0}^{n+1} \begin{pmatrix} n+1 \\ k \end{pmatrix} = \begin{pmatrix}n+1 \\ 0 \end{pmatrix} + \sum_{k=1}^{n+1} \begin{pmatrix} n+1 \\ k \end{pmatrix} = 1 + \sum_{k=0}^n \begin{pmatrix} n+1 \\ k+1 \end{pmatrix} = \)

\( \displaystyle 1 + \sum_{k=0}^n \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} + \sum_{k=0}^n \begin{pmatrix} n \\ k+1 \end{pmatrix} = 1 – \begin{pmatrix} n \\ 0 \end{pmatrix} + 2 \sum_{k=0}^n \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} = \)

\( 2 \cdot 2^n = 2^{n+1} \)

Tutto ciò che abbiamo adoperato nel corso della dimostrazione è stato, oltre ad alcune opportune sostituzioni di indici, l’ipotesi induttiva e la formula di riduzione del coefficiente binomiale adoperata anche nella dimostrazione della proprietà precedente. Quest’ultima proprietà, in particolare, è stata usata all’inizio del secondo rigo. Queste considerazioni completano la dimostrazione.

Proprietà 3: Un’ulteriore proprietà interessante e di fondamentale importanza nel corso dello studio del calcolo combinatorio è la seguente. Consideriamo un numero naturale \( n \gt 0 \), e scriviamolo in un modo qualsiasi come somma di \( k \) numeri naturali non nulli. Avremo cioè

\[ n = r_1 + \ldots + r_{k-1} + r_k \]

naturalmente con \( k \le n \) perchè la scrittura sia possibile. La proprietà dice che il numero

\[ \frac{n!}{r_1! \ldots r_{k-1}! r_k!} \]

che somiglia ad un coefficiente binomiale con molti fattori, è un numero naturale per ogni possibile scelta degli \( r \). Ciò è dimostrabile in maniera induttiva.

Supponiamo da principio che \( k = 1 \). In questo caso dovremmo scrivere \( n \) come “somma di un solo numero”; saremo cioè costretti a scegliere \( r_1 = n \), col che \( n!/r_1!\) è certamente un numero naturale. Ciò funge da base induttiva.

Supponiamo adesso che la proprietà sia dimostrata per ogni numero di addendi minore o uguale a \( k \), e proviamola per \( k+1 \). In questo caso scriveremo

\[ \frac{n!}{r_1! \ldots r_{k-1}! r_k! r_{k+1}!} \]

Senz’altro ciò è equivalente allo scrivere

\[ \frac{n!}{r_1! \ldots r_{k-1}! (r_k+r_{k+1})!} \cdot \frac{(r_k+r_{k+1})!}{r_k!r_{k+1}!} \]

Osserviamo che il secondo dei due fattori dati è un coefficiente binomiale, esattamente \( \begin{pmatrix} r_k+r_{k+1} \\ r_k \end{pmatrix} \), come si vede facilmente applicando la definizione. In virtù della Proprietà 1, esso è allora un numero naturale. Il primo fattore invece è una frazione come quella che appare nella proprietà da dimostrare, solo che il numero \( n \) è scritto come somma di soli \( k \) addendi e dunque, per ipotesi induttiva, esso è un numero naturale. Ne consegue che \( \frac{n!}{r_1!r_{k-1}!r_k!r_{k+1}!} \), in quanto prodotto di due numeri naturali, è esso stesso un numero naturale. Ciò completa la dimostrazione.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione sul binomio di Newton.

 

 

 

 

 

 

 

Fattoriale e coefficiente binomiale

Definizioni

Definizione 1: Definizione di fattoriale

Sia dato un numero naturale \( ? \gt 1 \). Si chiama \( n \) fattoriale e si indica con il simbolo \( n! \) il prodotto degli \( n \) numeri naturali strettamente positivi minori o uguali a \( n \). In formule:

\[ \begin{equation} n! = n \cdot (n-1) \cdot \ldots \cdot 3 \cdot 2 \cdot 1 \label{eq1} \end{equation} \]

Esempio 1: Consideriamo ad esempio il calcolo di \( 4! \). Dovendo esso consistere nel prodotto dei 4 numeri naturali positivi minori o uguali a 4, sarà verificato che

\[ 4! = 4 \cdot 3 \cdot 2 \cdot 1 = 24 \]

Nello stesso modo avremo ad esempio \( 3!=6 \), oppure \( 5!=120 \).

Osservazione 1: Naturalmente segue dalla prima definizione data che \( 1!=1 \), poiché è il prodotto il cui unico fattore è quel numero strettamente positivo minore o uguale a 1, cioè 1 stesso. Dalla definizione \( \ref{eq1} \) non si può invece ricavare quanto valga \( 0! \); per convenzione, si assume che \( 0!=1 \). Ciò è motivato dal fatto che, essendo 1 l’elemento neutro del prodotto, una moltiplicazione “senza fattori” si assume pari a 1, nello stesso modo in cui una somma “senza addendi” dà come risultato 0.

Osservazione 2: Sia dato \( n \ge 0 \). Dalla definizione \( \ref{eq1} \) sappiamo che sono verificate entrambe le seguenti uguaglianze:

\[ n! = n \cdot (n-1) \cdot \ldots \cdot 3 \cdot 2 \cdot 1 \]

\[ (n+1)! = (n+1) \cdot n \cdot (n-1) \cdot \ldots \cdot 3 \cdot 2 \cdot 1 \]

Facendo il rapporto della seconda sopra la prima e semplificando tutti i fattori comuni, otteniamo immediatamente che

\[ \frac{(n+1)!}{n!} = n + 1 \Rightarrow (n+1)! = n! (n+1) \]

Questa formula, che esprime il fattoriale di un numero in termini del fattoriale del suo predecessore, torna spesso utile nel corso del calcolo di probabilità e combinazioni.

Definizione 2: Definizione di coefficiente binomiale

Siano dati un numero \( n \ge 0 \) e un numero \( 0 \le k \le n \). Si chiama coefficiente binomiale di \( n \) su \( k \) e si indica con il simbolo \( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} \) il seguente prodotto di fattoriali:

\( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} = \frac{n!}{k!(n-k)!} \)

Osservazione 3: In virtù delle supposizioni fatte sui numeri \( n \) e \( k \), siamo certi che nessuno dei fattoriali da calcolare per trovare il coefficiente binomiale di \( n \) su \( k \) sia di un numero negativo, quindi la computazione può essere sempre effettivamente eseguita.

Esempio 2: Calcoliamo a titolo d’esempio il coefficiente binomiale di 7 su 5:

\( \begin{pmatrix} 7 \\ 5 \end{pmatrix} = \frac{7!}{5!(7-5)!} = \frac{7!}{5!\cdot 2!} = \frac{5040}{120\cdot 2} = 21 \)

Proviamo adesso a calcolare il coefficiente binomiale di 7 su 2:

\( \begin{pmatrix} 7 \\ 2 \end{pmatrix} = \frac{7!}{5!(7-2)!} = \frac{7!}{2!\cdot 5!} = \frac{5040}{2 \cdot 120} = 21 \)

Osservazione 4: Il lettore avrà certamente osservato che i due coefficienti binomiali calcolati nel corso dell’esempio 2 hanno dato lo stesso risultato. In effetti, questa è una proprietà generale che può essere riassunta nella formula seguente:

\( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} n \\ n – k \end{pmatrix} \)

Essa è di facile dimostrazione. Siano dati infatti due numeri \( n \) e \( k \) tali da soddisfare le richieste della definizione 2; allora anche \( n \) e \( n – k \) sono in grado di soddisfare tali richieste, ed entrambi i coefficienti binomiali considerati nella formula sono in effetti ben definiti. Per quanto poi riguarda l’uguaglianza, basta osservare che

\( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} = \frac{n!}{k!(n-k)!} = \frac{n!}{(n-k)!k!} = \frac{n!}{(n-k)![n-(n-k)]!} \begin{pmatrix} n \\ n – k \end{pmatrix} \)

Osservazione 5: Vogliamo adesso provare un’altra proprietà fondamentale del coefficiente binomiale, ovvero che \( \begin{pmatrix} n \\ n \end{pmatrix} = 1 \). Per farlo occorre solamente ricorrere alla definizione 2 e svolgere i calcoli:

\[ \begin{pmatrix} n \\ n \end{pmatrix} = \frac{n!}{n!(n-n)!} = \frac{n!}{n!\cdot 0!} = \frac{n!}{n!} = 1\mbox{, } \,\,\, \forall n \]

Abbiamo naturalmente adoperato anche il risultato dell’osservazione 1 in virtù del quale il fattoriale di 0 è pari a 1. Si osservi che tale proprietà implica in particolare che \( \begin{pmatrix}  1 \\ 1 \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} 0 \\ 0 \end{pmatrix} = 1 \); unendo poi tale risultato con quello dell’osservazione 4, ricaviamo che vale pure \( \begin{pmatrix} n \\ 0 \end{pmatrix} = 1\).
Osservazione 6: Analizziamo un’ultima proprietà elementare del coefficiente binomiale:

\[ \begin{pmatrix} n+1 \\ k+1 \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} n \\k  \end{pmatrix} + \begin{pmatrix} n \\ k+1 \end{pmatrix} \]

Essa consente di ricondurre il calcolo di un coefficiente binomiale del numero \( n + 1 \) in due relativi al numero \( n \). Questo può non parere un fatto di grande aiuto, ma è invece teoricamente importante: esso consente infatti di ragionare per induzione per quanto riguarda la dimostrazione di altre proprietà del coefficiente binomiale. La dimostrazione di questa formula procede senza intoppi secondo la definizione:

\( \begin{pmatrix} n+1 \\ k+1 \end{pmatrix} = \frac{(n+1)!}{(k+1)![(n+1)-(k+1)]!} = \frac{(n+1)n!}{(k+1)k!(n-k)!} \)

\( \begin{pmatrix} n \\ k \end{pmatrix} + \begin{pmatrix} n \\ k+1 \end{pmatrix} = \frac{n!}{k!(n-k)!} + \frac{n!}{(k+1)!(n-k-1)!} = \frac{n!}{k!(n-k-1)!(n-k)} + \frac{n!}{k!(k+1)(n-k-1)!} = \)

\( \frac{n!}{k!(n-k-1)!} \Big( \frac{1}{n-k}+\frac{1}{k+1}\Big) = \frac{n!}{k!(n-k-1)!} \cdot \frac{(n+1)}{(n-k)(k+1)} = \frac{(n+1)n!}{(k+1)k!(n-k)!} \)

Nelle due formule non abbiamo adoperato altro che la definizione 2 e la proprietà del fattoriale di cui all’osservazione 2. Confrontando i due risultati ottenuti, risulta chiara la loro uguaglianza e dunque la validità della proprietà da dimostrare.

 

Disequazioni irrazionali

Una disequazione si dice irrazionale se in essa compaiono uno o più radicali contenenti l’incognita.

Così come per le equazioni, che nel caso delle disequazioni dobbiamo ricordarci che, se abbiamo a che fare con radicali di indice dispari, il radicale è definito purché sia definito il suo radicando, quindi non dobbiamo porre condizioni di esistenza;

mentre, nel caso in cui il radicale abbia indice pari, è necessario che il suo radicando sia maggiore o uguale a zero.

Risoluzione

Vediamo ora come risolvere le disequazioni irrazionali; per semplicità, vediamo separatamente i casi in cui il radicale presente sia cubico, e i casi in cui è quadratico.

Disequazioni irrazionali con radicale cubico

Per risolvere questo tipo di disequazione, dobbiamo cercare di eliminare il radicale cubico elevando entrambi i membri della disequazione al cubo, senza preoccuparci di porre alcuna condizione, eccetto i casi in cui la disequazione sia anche frazionaria.

Esempio: vediamo come risolvere una disequazione con radicale cubico: \[ \sqrt[3]{1+8x^3} \lt 1 + 2x \]

Possiamo procedere elevando il primo e il secondo membro della disequazione alla terza:

\( \Big( \sqrt[3]{1+8x^3} \Big)^3 \lt (1+2x)^3 \)

Svolgiamo i calcoli:

\( 1+8x^3 \lt  1+8x^3+6x+12x^2  \)

Portiamo tutto a primo membro e semplifichiamo:

\( 1+8x^3-1-8x^3-6x-12x^2 \lt 0 \)

\( -6x -12x^2 \lt 0 \rightarrow x + 2x^2 \gt 0 \)

Risolviamo l’equazione associata per trovare gli estremi dell’intervallo delle radici:

\( x+2x^2 = 0 \rightarrow x(1+2x) = 0 \rightarrow x = 0 \vee x = -\frac{1}{2} \)

poiché l’ultima disequazione che abbiamo ha primo coefficiente positivo, ed è maggiore di zero, le soluzioni sono date dai valori esterni all’intervallo delle radici:

\( S: x \lt -\frac{1}{2} \vee x \gt 0 \)

Disequazioni irrazionali con radicali quadratici

In questo caso, si procede cercando di eliminare la radice, mediante elevamenti al quadrato di entrambi i membri della disequazione; dobbiamo prima, però, determinare il dominio della disequazione, le condizioni di esistenza dei radicali quadratici e delle eventuali frazioni presenti.

Inoltre, è possibile elevare al quadrato i membri della disequazione solo se essi sono entrambi positivi o nulli; in questo modo, si ottiene una disequazione equivalente a quella data, ma solo nel dominio.

Esempio: consideriamo la disequazione: \( \sqrt{x-3} \lt 4 \)

Per risolverla, è utile impostare un sistema, in cui includiamo le condizioni di esistenza e eleviamo entrambi i membri della disequazione al quadrato:

\( \begin{cases} x-3\ge 0 \\ ( \sqrt{x-3})^2 \lt 4^2 \end{cases} \)

Procediamo con i calcoli:

\( \begin{cases} x \ge 3 \\ x-3 \lt 16 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} x \ge 3 \\ x \lt 19 \end{cases} \)

Otteniamo quindi:

\( S: 3 \le x \lt 19 \)

Risoluzione delle disequazioni del tipo \( \sqrt{x} \lt g(x) \)

Per le disequazioni di questo tipo, in cui f(x) e g(x) sono espressioni in x, facciamo alcune considerazioni:

  • è necessario che il radicando sia positivo o nullo, quindi dobbiamo porre \( f(x) \ge 0 \);
  • dato che g(x) deve essere maggiore di una quantità positiva o nulla, è necessario che anche esso sia positivo, quindi poniamo \( g(x) \gt 0 \);
  • per eliminare la radice, eleviamo al quadrato entrambi i membri;

Poiché queste osservazioni devono valere contemporaneamente, per risolvere disequazioni irrazionali del tipo \( \sqrt{f(x)} \lt g(x) \), possiamo impostare un sistema:

\( \begin{cases} f(x) \ge 0 \\ g(x) \gt 0 \\ f(x) \lt [g(x)]^2 \end{cases} \)

Risoluzione delle disequazioni del tipo \( \sqrt{f(x)} \gt  g(x) \)

In questo caso, dobbiamo sicuramente porre le condizioni di esistenza del radicale, e quindi \( f(x) \ge 0 \); poi, notiamo che, a disprezza del caso precedente, il secondo membro ora può essere positivo, nullo, ma anche negativo.

In particolare, se il secondo membro è positivo o nullo, procediamo elevando al quadrato entrambi i membri della disequazione; altrimenti, se il secondo membro è negativo, la disequazione è soddisfatta per tutti i valori di x (che soddisfino le C.E.).

Le soluzioni della disequazione sono date quindi dall’unione di due sistemi:

\( \begin{cases} f(x) \ge 0 \\ g(x) \ge 0 \\ f(x) \gt [g(x)]^2 \end{cases} \vee \begin{cases} f(x) \ge 0 \\ g(x) \lt 0 \end{cases} \)

Notiamo che il primo sistema può essere semplificato: la terza condizione, infatti, afferma che f(x) è maggiore di un quadrato, che è una quantità positiva o nulla; afferma, quindi, che necessariamente f(x) è una quantità positiva. Quindi, la prima condizione è implicita nella terza, e possiamo riscrivere i sistemi in questo modo:

\( \begin{cases} g(x) \ge 0 \\ f(x) \gt [g(x)]^2 \end{cases} \vee \begin{cases} f(x) \ge 0 \\ g(x) \lt 0 \end{cases} \)

L’insieme delle soluzioni è dato dall’unione degli insiemi delle soluzioni

\( S = S_1 \cup S_2 \)

 

Disequazioni binomie e trinomie

Disequazioni binomie

Le disequazioni binomie sono disequazioni che hanno a primo membro una potenza di x, e al secondo membro un numero reale; sono quindi del tipo:

\( x^n \gt a\mbox{, } \,\,\,\,\, x^n \ge a \)

\( x^n \lt a\mbox{, } \,\,\,\,\, x^n \le a \)

con \( n \in \mathbb{N^*}\mbox{, } \,\,\, a \ne 0 \).

In particolare, nel caso in cui n = 1, le disequazioni esprimono già le loro soluzioni;
nel caso in cui a = 0, le disequazioni si trasformano in disequazioni monomie, e la loro soluzione si può facilmente dedurre.

Negli altri casi, consideriamo i due casi separatamente:

  • n dispari:

in questo caso, possiamo semplicemente porre entrambi i membri della disequazione sotto radice n-esima: in questo modo, troveremo i valori di x che soddisfano la disequazione:

\( x^n \gt a \rightarrow x \gt \sqrt[n]{a}\mbox{, } \,\,\,\,\, x^n \ge a \rightarrow x \ge \sqrt[n]{a} \)

\( x^n \lt a \rightarrow x \lt \sqrt[n]{a}\mbox{, } \,\,\,\,\, x^n \le a \rightarrow x \le \sqrt[n]{a} \)

con \( n \mbox{ dispari, } a \in \mathbb{R} \).
Vediamo alcuni esempi:

Esempio: calcoliamo la seguente disequazione: \( 8x^3 + 1 \gt 0 \)

portiamo il termine noto al secondo membro:

\( 8x^3 \gt -1 \)

dividiamo primo e secondo membro per 8:

\( x^3 \gt -\frac{1}{8} \)

calcoliamo la radice cubica del primo e del secondo membro:

\( \sqrt[3]{x^3} \gt \sqrt[3]{-\frac{1}{8}} \rightarrow x \gt -\sqrt[3]{\frac{1}{8}} \rightarrow x \gt -\frac{1}{2} \)

l’insieme delle soluzioni è dato, quindi, da:

\( S: \Big(-\frac{1}{2}; +\infty\Big) \)

  • n pari:

supponiamo che sia n = 2: sappiamo che le soluzioni della disequazione sono dati dai valori interni dell’intervallo delle radici se il segno della disequazione è \( \lt 0 \le \), sono invece i valori esterni se il segno è \( \gt 0 \ge \); questo ragionamento può essere generalizzato nel caso di qualunque indice \( n \mbox{ pari, } a \gt 0 \):

\( x^n \gt a \rightarrow x \lt -\sqrt[n]{a} \vee x \gt \sqrt[n]{a} \)

\( x^n \ge a \rightarrow x \le -\sqrt[n]{a} \vee x \ge \sqrt[n]{a} \)

\( x^n \lt a \rightarrow -\sqrt[n]{a} \lt x \lt \sqrt[n]{a} \)

\( x^n \le a \rightarrow -\sqrt[n]{a} \le x \le \sqrt[n]{a} \)

Ricordiamo che questo ragionamento può essere applicato solo nel caso in cui il radicando a sia positivo.

Esempio: calcoliamo la seguente disequazione: \( 2x^4 – 3 \lt 0 \)

portiamo il termine noto al secondo membro:

\( 2x^4 \lt 3 \)

dividiamo primo e secondo membro per 2:

\( x^4 \lt \frac{3}{2} \)

Risolviamo, ora, l’equazione associata e troviamo gli estremi dell’intervallo delle radici:

\( x^4 = \frac{3}{2} \)

calcoliamo la radice quarta del primo e del secondo membro:

\( \sqrt[4]{x^4} = \pm\sqrt[4]{\frac{3}{2}} \rightarrow x \pm \sqrt[4]{\frac{3}{2}} \)

Poiché il simbolo della disequazione è \( \lt \), l’insieme delle soluzioni è dato dai valori interni all’intervallo delle radici:

\( -\sqrt[4]{\frac{3}{2}} \lt x \lt \sqrt[4]{\frac{3}{2}} \)

l’insieme delle soluzioni è dato, quindi, da:

\( S: \Big( -\sqrt[4]{\frac{3}{2}}; \sqrt[4]{\frac{3}{2}} \Big) \)

Disequazioni trinomie

Le disequazioni trinomie, ridotte in forma canonica, sono del tipo:

\( ax^{2n} + bx^n + c \gt 0\mbox{, } \,\,\, ax^{2n} + bx^n + c \ge 0 \)

\( ax^{2n} + bx^n + c \lt 0\mbox{, } \,\,\, ax^{2n} + bx^n + c \le 0 \)

con \( n \in \mathbb{N^*}\mbox{, } \,\, a \ne 0 \).

Sono dissertazioni, cioè, in cui la x di grado maggiore ha grado doppio della x del secondo coefficiente.

Questo tipo di disequazioni, così come abbiamo visto per le equazioni trinomie, possono essere risolte mediante un cambio di incognita; in particolare, si opera una sostituzione del tipo:

\[ y = x^n \]

cosicché la disequazione si riduce ad una disequazione di secondo grado in forma normale.

Esempio: risolviamo la seguente disequazione trinomia: \[ x^6 + 7x^3 – 8 \gt 0 \]

effettuiamo la sostituzione seguente:

\( y = x^3 \)

otteniamo quindi:

\( y^2 + 7y – 8 \gt 0 \)

la disequazione è già ridotta in forma normale, quindi risolviamo l’equazione associata per trovare gli estremi dell’intervallo delle radici:

\( y^2 + 7y – 8 = 0 \rightarrow y = \frac{-7\pm\sqrt{49+32}}{2} = \frac{-7\pm\sqrt{81}}{2} = \frac{-7 \pm 9}{2} \)

\( y = \frac{-7+9}{2} \vee y = \frac{-7-9}{2} \rightarrow y = \frac{2}{2} \vee y = \frac{-16}{2} \rightarrow y= 1 \vee y = -8 \)

Poiché la disequazione ha simbolo \( \gt \) , l’insieme delle soluzioni è dato dai valori esterni all’intervallo delle radici:

\( y \lt -8 \vee y \gt 1 \)

Sostituiamo ora ad y x alla terza per trovare le soluzioni della disequazione di partenza, in x:

\( x^3 \lt -8 \vee x^3 \gt 1 \rightarrow x \lt -2 \vee x \gt 1 \)

Concludiamo, quindi, che l’insieme delle soluzioni della disequazione è il seguente:

\( S: (-\infty; -2) \cup (1; +\infty) \)

 

Segno del trinomio di secondo grado

Studiare il segno del trinomio di secondo grado significa stabilire per quali valori di x, esso è positivo o negativo.

Possiamo studiare il segno del trinomio di secondo grado per via grafica, o per via algebrica.

\[ ax^2 + bx + c \]

Studio grafico

Lo studio grafico del trinomio di secondo grado avviene mediante lo studio della parabola di equazione \[ y = ax^2 + bx + c \]

e in particolare, studiare il segno dei valori di y al variare di x, cioè i valori delle ordinate dei punti della parabola.

Studio algebrico

Distinguiamo i tre casi che si presentano al variare del discriminante:

  • \( \Delta \gt 0 \):

Se il discriminante è positivo, l’equazione associata alla disequazione ha due soluzioni distinte, e può essere scomposta in fattori: \[ ax^2 + bx + c = a (x -x_1)(x – x_2) \]

Studiamo ora il segno del prodotto:

 

 

 

 

deduciamo che se:

\( x \lt x_1\ \mbox{ e } x \gt x_2 \)

il prodotto è positivo, quindi il trinomio assume valori concordi con il coefficiente a;

\( x_1 \lt x \lt x_2 \)

il prodotto è negativo, e il trinomio assume valori discordi con il primo coefficiente a;

  • se \( \Delta = 0 \):

il trinomio ha due radici coincidenti, e si può scomporre come: \[ ax^2 + bx + c = a (x – x_1)^2 \]

il trinomio assume valori concordi con il primo coefficiente a per qualunque valore di x, escludendo il caso in cui il quadrato si annulla.

  • se \( \Delta \lt 0 \):

in questo caso, il trinomio non h radici, e quindi non si annulla mai. In questo caso, il trinomio assume valori concordi con il segno del primo coefficiente per qualsiasi valore di x.

 

Disequazioni di secondo grado

Risoluzione grafica

Le disequazioni di secondo grado ridotte in forma normale sono formate da un polinomio di secondo grado nell’incognita x al primo membro, e da zero al secondo membro; possono quindi essere di questo tipo:

\[ ax^2 + bx + c \gt 0 \mbox{, } \,\,\,\,\,\,\,\,\,\, ax^2 + bx + c \ge 0 \]

\[ ax^2 + bx + c \lt 0 \mbox{, } \,\,\,\,\,\,\,\,\,\, ax^2 + bx + c \le 0 \]

La risoluzione delle disequazioni di secondo grado può avvenire per via grafica, facendo riferimento all’equazione associata, che farà del tipo:

\[ ax^2 + bx + c = 0 \]

e, in particolare, al grafico della funzione

\[ y = ax^2 + bx + c \]

che rappresenta, nel piano cartesiano, una parabola.

Sappiamo già che, in base al discriminante dell’equazione, la parabola sarà disposta in un certo modo:

  • se \( \Delta = 0 \) la parabola incontra l’asse delle x in un solo punto;
  • se \( \Delta \gt 0 \) la parabola ha due punti di intersezione con l’asse delle x;
  • se \( \Delta \lt 0 \) la parabola non ha punti di intersezione con l’asse x;

e in base al segno del primo coefficiente la parabola avrà diversa concavità:

  • se \( a \gt  0 \) la parabola ha concavità rivolta verso l’alto;
  • se \( a \lt 0 \) la parabola ha concavità rivolta verso il basso;

Per risolvere le disequazioni di secondo grado, quindi, procediamo in questo modo:

  • Se la disequazione è del tipo: \( ax^2 + bx + c \gt 0 \)

dobbiamo rappresentare nel piano cartesiano l’equazione: \[ y = ax^2 + bx + c \]

e determinare i punti di questa parabola che si trovano al di sopra dell’asse x; per questi punti, si ha, infatti, \( y \gt 0\); l’insieme di tutti questi punti rappresenta l’insieme delle soluzioni della disequazione.

  • Se invece la disequazione è del tipo: \( ax^2 + bx + c \lt 0 \)

dobbiamo rappresentare nel piano cartesiano l’equazione: \[ y = ax^2 + bx + c \]

e determinare i punti di questa parabola che si trovano al di sotto dell’asse x; per questi punti, si ha, infatti, \( y \lt 0\); l’insieme di tutti questi punti rappresenta l’insieme delle soluzioni della disequazione.

Nel caso in cui il simbolo della disequazione sia \( \le 0 \mbox{ o } \gt 0 \), dobbiamo includere nell’insieme delle soluzioni della disequazione anche i punti in cui la parabola interseca l’asse delle x, punti in cui si ha y = 0.

Esempio di disequazioni svolta per via grafica

Risolviamo, per via grafica, la seguente disequazione: \[ 4(x^2-1) \lt 4x – 1 \]

per prima cosa, rendiamo la disequazione in forma normale, portando tutti i termini al primo membro:

\( 4x^2 – 4 – 4x + 1 \lt 0 \)

\( 4x^2 – 4x – 3 \lt 0 \)

ora, consideriamo l’equazione associata:

\( 4x^ – 4x – 3 = 0 \)

e rappresentiamo nel piano cartesiano la funzione relativa all’equazione associata:

\( y = 4x^2 – 4x – 3 \)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Possiamo determinare i punti di intersezione della parabola con l’asse x sapendo che in questi punti si ha y = 0, quindi risolviamo la seguente equazione:

\( 4x^2 – 4x – 3 = 0 \)

\( x = \frac{2 \pm \sqrt{2^2 – 4 \cdot (-3)}}{4} = \frac{2 \pm \sqrt{4+12}}{4} = \frac{2 \pm \sqrt{16}}{4} = \frac{2 \pm 4}{4} \)

\( x = \frac{2 \pm 4}{4} \rightarrow x = \frac{2+4}{4} \vee x = \frac{2-4}{4} \rightarrow x = \frac{6}{4} \vee x = \frac{-2}{4} \rightarrow x = \frac{3}{2} \vee x = -\frac{1}{2} \)

Poiché la disequazione di partenza ha il simbolo \( \lt \), sappiamo che dobbiamo considerare i punti della parabola che si trovano al di sotto dell’asse x, quindi la soluzioni della disequazione è rappresentata dal seguente intervallo:

\( -\frac{1}{2} \lt x \lt \frac{3}{2} \)

Possiamo anche scrivere:

\( S = \Big(-\frac{1}{2}; \frac{3}{2}\Big) \)

Esempio: risolviamo, per via grafica, la seguente disequazione:

\( \frac{3(x^2-1)}{4} \gt 3x^2 + \frac{5}{2} \)

Per prima cosa, riduciamo la disequazione in forma normale:

\( \frac{3(x^2 – 1}{4} \gt \frac{4\cdot 3x^2}{4} + \frac{2 \cdot 5}{4} \)

\( 3 (x^2 – 1) \gt 12x^2 + 10 \)

\( 3x^2 – 3 – 12x^2 – 10 \gt 0 \)

\( -9x^2 – 13 \gt 0 \rightarrow 9x^2 + 13 \lt 0 \)

Notiamo subito che, già a questo punto, possiamo capire che la disequazione è impossibile: infatti due quantità positive non possono essere minori di zero.

In ogni caso, rappresentiamo la funzione dell’equazione associata nel piano cartesiano:

\( 9x^2 + 13 = 0 \)

 

 

 

 

 

 

 

 

I valori che soddisfano la disequazione sono i valori per cui la parabola si trova al di sotto dell’asse x, perché la disequazione che abbiamo nell’ultimo passaggio ha il verso \( \lt \). Ma la parabola si trova tutta al di sopra dell’asse x: ciò ci conferma che la disequazione è  impossibile.

 

Procedimento risolutivo

In generale, l’insieme delle soluzioni delle disequazioni di secondo grado è costituito da un intervallo, o dalla unione di due intervalli.

Se \( x_1 \mbox{ e } x_2 \) sono i punti in cui la parabola interseca l’asse x, chiamiamo l’intervallo di questi estremi intervallo delle radici.

Inoltre, i numeri reali x che sono compresi tra i due estremi, \[ x_1 \lt x \lt x_2 \] sono i valori interni dell’intervallo delle radici.

Mentre, i valori non sono interni all’intervallo delle radici, cioè tali che: \[x \lt x_1 \vee x \gt x_2 \] si dicono valori esterni all’intervallo delle radici.

Possiamo fissare delle regole generali per la risoluzione delle disequazioni di secondo grado, ridotte in forma canonica:

\[ ax^2 + bx + c \gt 0 \]

\[ ax^2 + bx + c \lt 0 \]

Analizziamo i tre possibili casi che si hanno considerando il discriminante dei trinomi della disequazione:

  • se \( \Delta \gt 0 \) abbiamo che:
    • se \( a \gt  0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \gt \), o se \( a \lt  0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \lt \), le soluzioni della disequazione sono i valori esterni all’intervallo delle radici: \[ x \lt x_1 \vee x \gt x_2 \]
    • se \( a \gt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \lt \), o se \( a \lt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \gt \), le soluzioni della disequazione sono i valori interni all’intervallo delle radici: \[ x_1 \lt x \lt x_2 \]
  • se \( \Delta = 0 \) abbiamo che:
    • se \( a \gt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( gt \), o se \(a  \lt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \lt \) , la disequazione è soddisfatta per tutti i valori di x;
    • se \( a \gt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \lt \), o se \( a \lt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \gt \) , la disequazione è impossibile;
  • se \( \Delta \lt 0 \) abbiamo che:
    • se \( a \gt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \gt \), o se \( a \lt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \lt \), la disequazione è soddisfatta per tutti i valori di x;
    • se \( a \gt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \lt \), o se \( a \lt 0 \) e la disequazione ha il simbolo \( \gt \), la disequazione è impossibile;

Nel caso in cui la disequazione abbia simbolo \( \le \mbox{ o } \ge \), dobbiamo considerare anche i valori di x che annullano il trinomio al primo membro.

Esempio: risolviamo la seguente disequazione: \[ 4x (x- 2) \lt 11 + (x-4)^2 \]

Per prima cosa, semplifichiamo la disequazione rendendola in forma normale:

\( 4x^2 – 8x \lt 11 + x^2 + 16 – 8x \)

\( 4x^2 – 8x -11 – x^2 – 16 + 8x \lt 0 \)

\( 3x^2 – 27 \lt 0 \)

Risolviamo l’equazione associata, trovando gli estremi dell’intervallo delle radici:

\( 3x^2 – 27 = 0 \rightarrow 3x^2 = 27 \rightarrow x^2 = \frac{27}{3} \)

\( x = \pm \sqrt{\frac{27}{3}} = \pm \sqrt{9} = \pm 3 \)

Poiché il trinomio deve essere minore di zero, e il primo coefficiente è positivo, la soluzione della disequazione è l’insieme dei valori che sono interni all’intervallo delle radico, quindi:

\( S : – 3 \lt x \lt 3 \)

 

Disequazioni frazionarie

La regola dei segni è una regola che ci permette di risolvere disequazioni di secondo grado o di grado superiore, e disequazioni frazionarie.

Una disequazione frazionaria è scritta in forma canonica se è di uno di questi tipi:

\( \frac{A(x)}{B(x)} \gt 0 \,\,\,\,\,\,\,\,\,\, \frac{A(x)}{B(x)} \ge 0 \)

\( \frac{A(x)}{B(x)} \lt 0 \,\,\,\,\,\,\,\,\,\, \frac{A(x)}{B(x)} \le 0 \)

Con A(x) e B(x) polinomi di primo grado, o scomponibili in fattori di primo grado, e B(x) è diverso dal polinomio nullo.

La regola dei segni ci permette di risolvere anche disequazioni lineari in cui la forma canonica è data da

\( P(x) \lt 0 \,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\, P(x) \le 0 \)

\( P(x) \gt 0 \,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\, P(x) \ge 0 \)

dove P(x) è un polinomio scomponibile in due o più fattori di primo grado.

La regola dei segni può essere generalizzata e applicata in entrambi i casi;

 

Regola dei segni

Se a, b, c, d…. sono numeri reali, non nulli, abbiamo che:

  • \( (a \cdot b \cdot \ldots ) \gt 0 \mbox{ e } \frac{a \cdot b \cdot \ldots}{c \cdot d \cdot \ldots} \gt 0 \) se il numero dei fattori negativi è pari;
  • \( (a \cdot b \cdot \ldots ) \lt 0 \mbox{ e } \frac{a \cdot b \cdot \ldots}{c \cdot d \cdot \ldots} \lt 0 \) se il numero dei fattori negativi è dispari;

Vediamo ora il procedimento da seguire:

  • Per prima cosa, trasportiamo tutti i termini della disequazione al primo membro, cosicché il secondo membro sia zero; rendiamo, quindi, la disequazione in forma canonica;
  • scomponiamo il primo membro, in modo da fa comparire solo fattori di primo grado, o fattori di segno costante;
  • se la disequazione è frazionaria, poniamo le condizioni di accettabilità delle soluzioni, o determiniamo il dominio della disequazione;
  • studiamo il segno di ciascun fattore del primo membro;
  • tracciamo un schema grafico che indichi il variare del segno dei singoli fattori al variare dell’incognita; applichiamo la regola dei segni e determiniamo il segno che assume l’espressione al primo membro;
  • determiniamo l’insieme delle soluzioni della disequazione;

 

Esempio

Risolviamo la seguente disequazione fratta: \( \frac{x-1}{3-x} \le 0 \)

Poniamo le condizioni di accettabilità: \( \mbox{C.A.: } x \ne 3 \)

La disequazione è già in forma canonica, quindi possiamo procedere con lo studio del segno.

Studiamo il numeratore, e individuiamo i valori per cui esso è positivo, negativo o nullo, e riportiamo la situazione in un grafico:

 

 

 

 

 

\( N \gt 0 \rightarrow x -1 \gt 0 \rightarrow x \gt 1 \)

\( N \lt 0 \rightarrow x – 1 \lt 0 \rightarrow x \lt 1 \)

\( N = 0 \rightarrow x – 1 = 0 \rightarrow x = 1 \)

Allo stesso modo, studiamo il segno del denominatore:

\( D \gt 0 \rightarrow 3 – x \gt 0 \rightarrow x \lt 3 \)

\( D \lt 0 \rightarrow 3 – x \lt 0 \rightarrow x \gt 3 \)

\( D = 0 \rightarrow 3 – x = 0 \rightarrow x = 3 \)

Costruiamo, ora, uno schema grafico che sintetizzi la situazione del numeratore e del denominatore;

il segno dell’intera frazione è dato dal prodotto dei segni che si hanno al numeratore e al denominatore; ad esempio, nel tratto x < 1, il numeratore è negativo, mentre in denominatore è positivo; il segno della frazione in x < 1 è quindi:

 

 

 

 

 

Poiché la frazione iniziale doveva essere minore o uguale a zero, le soluzioni saranno gli intervalli i cui la frazione è negativa, quindi:

\( S: x \le 1 \vee x \gt 3 \)

\( S = (-\infty; 1] \cup (3; +\infty) \)

 

Sistemi di disequazioni

Definizioni

Sistema di disequazioni

  • Un sistema di disequazioni in una incognita è un insieme di due o più disequazioni, tutte nella stessa incognita, considerate contemporaneamente.

Soluzioni di un sistema di disequazioni

  • Un numero è soluzione di un sistema di disequazioni se, sostituendolo all’incognita, tutte le disequazioni del sistema si trasformano in disuguaglianze vere.
  • Risolvere un sistema di disequazioni significa determinare l’insieme delle soluzioni che sono comuni a tutte le disequazioni del sistema:

se il sistema è formato da n disequazioni, chiameremo i rispettivi insiemi delle soluzioni \[ S_1, S_2, S_3, \ldots, S_n \]

e indicheremo l’insieme delle soluzioni del sistema come l’intersezione di tutti questi: \[ S = S_1 \cap S_2 \cap S_3 \cap \ldots \cap S_n \]

Se un numero, sostituito all’incognita delle disequazioni, rende anche una sola di esse una disuguaglianza falsa, quel numero non appartiene all’insieme delle soluzioni;

se il sistema non ammette soluzioni, si ha che \( S = \varnothing \).

 

Risoluzione di un sistema di disequazioni

Per risolvere un sistema di disequazioni, dobbiamo risolvere ciascuna disequazione, determinare i loro insiemi delle soluzioni, ed individuare le soluzioni comuni a tutte e disequazioni.

Per determinare le soluzioni comuni, è utile rappresentare gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni graficamente, rappresentandoli come intervalli sulla retta reale; l’insieme delle soluzioni del sistema è costituito dagli intervalli in cui sono soddisfatte contemporaneamente tutte le disequazioni del sistema.

Vediamo un esempio pratico; risolviamo il seguente sistema di disequazioni lineari:

\( \begin{cases} \frac{x-1}{3} + \frac{x-2}{2} \lt 2 \\ x – \frac{3-x}{2} \gt 1 \end{cases} \)

Per semplicità, risolviamo una disequazione per volta; cominciamo dalla prima:

\( \frac{x-1}{3} + \frac{x-2}{2} \lt 2 \)

Riduciamo le frazioni a denominatore comune, sommiamole, ed eliminiamo il denominatore:

\( \frac{2(x-1)+3(x-2)}{6} \lt \frac{2 \cdot 6}{6} \)

\( 2(x-1) + 3(x-2) \lt 2 \cdot 6 \)

Ora, svolgiamo i calcoli portando poi tutti i termini con l’incognita a primo membro, e i numeri al secondo:

\( 2x + 3x \lt 12 + 2 + 6 \)

\( 5x \lt 20 \rightarrow x \lt 4 \)

Passiamo ora alla seconda disequazione, e risolviamola:

\( x – \frac{3-x}{2} \gt 1 \)

\( \frac{2x – (3-x)}{2} \gt 2 \)

\( 2x – (3 -x) \gt 2 \)

\( 2x – 3 + x \gt 2 \)

\( 2x + x \gt 2 + 3 \)

\( 3x \gt 5 \rightarrow x \gt \frac{5}{3} \)

Dopo aver risolto entrambe le disequazioni, consideriamo gli insiemi delle loro soluzioni:

\( S_1 = (-\infty; 4) \)

\( S_2 = \Big(\frac{5}{3}; +\infty\Big) \)

L’insieme delle soluzioni del sistema è dato dall’intersezione tra i due precedenti insiemi; per calcolarlo, è utile rappresentare gli insiemi delle soluzioni precedenti graficamente, come intervalli sulla retta reale:

 

 

 

 

 

Dobbiamo considerare gli intervalli che sono comuni a tutti gli insiemi delle soluzioni, cioè dobbiamo considerare, nel grafico, le zone in cui tutti gli intervalli appaiono con la linea piena:

 

 

 

 

 

L’insieme delle soluzioni S è quindi il seguente:

\( S = S_1 \cap S_2 = \Big(\frac{5}{3}; 4\Big) \)

 

Risoluzione delle disequazioni

Risoluzione di una disequazione lineare

Vediamo alcuni passaggi che ci aiuteranno nella risoluzione delle disequazioni lineari, cioè di primo grado, nell’incognita x:

  • Per prima cosa, si eseguono le eventuali operazioni, semplificando la scrittura, e si eliminano i denominatori delle eventuali frazioni;
  • Si trasportano tutti i termini contenenti l’incognita al primo membro e tutti i fattori numerici al secondo membro;
  • si svolgono i conti, semplificando gli eventuali termini simili;
  • A questo punto, la disuguaglianza si presenterà in una delle quattro forme seguenti: \( ax \gt b \); \( ax \lt b \); \( ax \le b \);  \( ax \ge b \); distinguiamo due casi:
    • Se \( a \ne 0 \) si dividono entrambi i membri della disequazione per a, tenendo conto del suo segno: se a è negativo, dobbiamo cambiare il verso delle disequazione;
    • Se a = 0, il primo membro assume il valore 0 qualunque sia il valore di x. In base al valore di b la disequazione si trasformerà in una disuguaglianza sempre vera o sempre falsa; di conseguenza, avremmo una disequazione verificata per ogni x ( l’insieme delle soluzioni è R ) oppure una disequazione mai verificata ( l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto);

 

Esempio: risolviamo la seguente disequazione: \( \frac{2(1+2x)}{5} – \frac{2x+3}{4} – \frac{1}{5} \lt \frac{3}{10}x + 1 \)

cominciamo riducendo le frazioni al denominatore comune, e sommando le frazioni:

\( \frac{4 \cdot 2 (1+2x) – 5\cdot(2x+3)-4}{20} \lt \frac{2\cdot 3x + 20}{20} \)

dato che il denominatore è positivo, possiamo eliminarlo, ottenendo sempre una disequazione equivalente:

\( 4 \cdot 2(1+2x) – 5 \cdot (2x+3) – 4 \lt 2 \cdot 3x + 20 \)

svolgiamo i calcoli, portando tutti i termini con l’incognita al primo membro, e tutti numeri al secondo membro:

\( 8 + 16x – 10x – 15 – 4 \lt 6x + 20 \)

\( 16x – 10x – 6x \lt 20 – 8 + 15 + 4 \)

La disequazione ottenuta si trasforma in una disuguaglianza vera ( \( 0 \lt 31 \) ), qualunque sia il valore di x; concludiamo che la disequazione è sempre verificata, e scriviamo: \[ S = \mathbb{R} \]

 

Esempio: risolviamo la seguente disequazione: \( (x+2)^2 – 2x \lt x^2 – 4x – 3 \)

svolgiamo il quadrato del binomio:

\( x^2 + 4 + 4x – 2x \lt x^2 – 4x – 3 \)

notiamo che in entrambi i membri compare il termine x alla seconda, che possiamo eliminare:

\( 4 + 4x – 2x \lt -4x – 3 \)

trasportiamo i termini contenenti l’incognita al primo membro, e i numeri al secondo, poi sommiamo i termini simili:

\( 4x – 2x + 4x \lt -3 – 4 \)

\( 6x \lt -7 \)

dividiamo entrambi i membri per il coefficiente di x:

\( \frac{6x}{6} \lt \frac{-7}{6} \)

\( x \lt -\frac{7}{6} \)

Possiamo anche scrivere l’insieme delle soluzioni in questo modo:

\( S = \Big( -\infty; -\frac{7}{6} \Big) \)

 

Risoluzione grafica delle disequazioni lineari

Consideriamo una disequazione ridotta in forma normale, come si presenta, cioè, dopo i passaggi si semplificazione;

  • supponiamo di avere una disequazione del tipo \( ax \lt  b\), cioè \( ax – b \lt 0 \).

Osserviamo che il suo primo membro può essere considerato come l’espressione analitica di una funzione lineare, e precisamente della funzione di equazione \( y = ax – b \), l’equazione di una retta.

Per risolvere graficamente una disequazione di questo tipo, dobbiamo considerare i punti della retta di equazione $ y = ax – b $ che si trovano al di sotto dell’asse x, poiché per questi punti si ha \( y \lt 0 \). L’insieme delle soluzioni è dato dall’insieme di tutti questi punti.

Esempio: consideriamo la disequazione \( 2x + 1 \lt 0 \)

l’equazione della retta che dovremmo rappresentare è \( y = 2x + 1 \)

per tracciare il grafico della retta, diamo ad x vedi valori arbitrari, trovando i corrispettivi valori di y:

\( x = 0 \rightarrow y = 1 \)

\( x = 1 \rightarrow y = 2 + 1 = 3 \)

sapendo che la retta passa per i punti ( 0 ; 1 ) e ( 1 ; 3 ), possiamo rappresentarla

nel piano cartesiano:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La soluzioni della disequazione è l’insieme dei numeri per cui la retta assume valori negativi, cioè si trova al di sotto dell’asse delle ascisse; il punto in cui la retta interseca l’asse x si può trovare ponendo y = 0:

\( \begin{cases} y = 0 \\ y = 2x + 1 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} y = 0 \\ x = -\frac{1}{2} \end{cases} \)

Il punto di intersezione è quindi ( – 1/2 ; 0 ); per valori minori di x la retta si trova al di sotto dell’asse x; quindi, l’insieme delle soluzioni è dato da:

\( S = \Big(-\infty; -\frac{1}{2} \Big) \)

  • supponiamo ora di avere una disequazione del tipo \( ax \gt  b\), cioè \( ax – b \gt 0\).

Questa volta, dobbiamo considerare i punti della retta di equazione \( y = ax – b \) che si trovano al di sopra dell’asse x, poiché per questi punti si ha \( y \gt 0\). L’insieme delle soluzioni è dato dall’insieme di tutti questi punti.

 

Esempio: consideriamo la disequazione \( -\frac{1}{2}x + 4 \gt 0 \)

l’equazione della retta che dovremmo rappresentare è \( y = -\frac{1}{2}x + 4 \)

per tracciare il grafico della retta, diamo ad x vedi valori arbitrari, trovando i corrispettivi valori di y:

\( x = 0 \rightarrow y = 4 \)

\( x = 2 \rightarrow y = -1 + 4 = 3 \)

sapendo che la retta passa per i punti ( 0 ; 4 ) e ( 2 ; 3 ),tracciamo il suo grafico:

 

 

 

 

 

 

 

 

La soluzioni della disequazione è l’insieme dei valori per cui la retta assume valori positivi, cioè si trova al di sopra dell’asse delle ascisse; il punto in cui la retta interseca l’asse x si può trovare ponendo y = 0:

\( \begin{cases} y = 0 \\ y = -\frac{1}{2}x + 4 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} y = 0 \\ x = 8 \end{cases} \)

Il punto di intersezione è quindi ( 8 ; 0 ); per valori minori di x la retta si trova al di sopra dell’asse x; quindi, l’insieme delle soluzioni è dato da:

\( S = (-\infty; 8) \)

 

Principi di equivalenza e grado di una disequazione

Principi di equivalenza delle disequazioni

Due disequazioni si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme delle soluzioni.

Per risolvere una disequazione, così come abbiamo fatto per le equazioni, si procede semplificando la disequazione, passando per disequazioni equivalenti, fino ad ottenere una disequazione molto semplice, che può essere risolta facilmente.

Vediamo, quindi, alcuni principi che ci permettono di passare da una disequazione ad un’altra equivalente.

Primo principio di equivalenza delle disequazioni

Sommando o sottraendo a entrambi i membri di una disequazione una stessa espressione algebrica intera, si ottiene una disequazione equivalente a quella data.

Secondo principio di equivalenza delle disequazioni

Moltiplicando o dividendo entrambi i membri di una disequazione per uno stesso numero positivo, si ottiene una disequazione equivalente a quella data.

Terzo principio di equivalenza delle disequazioni

Moltiplicando o dividendo entrambi i membri di una disequazione per uno stesso numero negativo e cambiando il verso del simbolo di disuguaglianza, si ottiene una disequazione equivalente a quella data.

Vediamo ora delle regole che ci permetteranno di svolgere i calcoli, e semplificare i passaggi con le disequazioni.

  • è possibile “trasportare” i termini di una disequazione da un membro all’altro cambiandogli il segno ( questa operazione, infatti, equivale a sommare o sottrarre una stessa quantità numerica da entrambi i membri);

esempio: consideriamo la disequazione \( 2x^2 + 3x \gt 5x + 1 \)

possiamo trasportare al primo membro il termine 5x, cambiandogli il segno; è come se avessimo sottraessimo ad ambo i membri la quantità 5x.

\( 2x^2 + 3x – 5x \gt 5x – 5x +1 \)

\( 2x^2 + 3x – 5x \gt 1 \)

  • è possibile “cancellare” un termine dalla disequazione se esso figura, con lo stesso segno, in entrambi i membri;

esempio: consideriamo la disequazione \( x^2 + 4x \gt 4x + 1 \)

il termine 4x può essere cancellato; è come se ad entrambi i membri della disequazione sottraessimo 4x:

\( x^2 + 4x – 4x \gt 4x – 4x + 1 \)

\( x^2 \gt 1 \)

  • è possibile “cancellare” uno stesso fattore numerico positivo se esso compare in entrambi i membri;

esempio: consideriamo la disequazione \( 2x^2 ( 3x – 5) \gt 2(x-1) \)

possiamo dividere entrambi i membri per 2, ottenendo

\( x^2 (3x – 5) \gt x – 1 \)

  • se in entrambi i membri della disequazione compare uno stesso fattore numerico negativo, esso può essere cancellato purché si cambi il verso della disequazione.

esempio: consideriamo la disequazione \( -2x^2 (3x – 5) \gt -2(x-1) \)

possiamo dividere entrambi i membri per – 2, e cambiare verso alla disequazione, ottenendo

\( \frac{-2x^2(3x-5)}{-2} \lt \frac{-2(x-1)}{-2} \)

\( x^2 (3x – 5) \lt x -1  \)

  • si può cambiare seguo ad entrambi i membri della disequazione se si cambia anche il verso della stessa;

esempio: consideriamo la disequazione \( -x^2 + 2 \gt -3x \)

se volessimo cambiare segno ad entrambi i membri, cioè moltiplicare entrambi i membri per – 1, dobbiamo anche cambiare il verso della disequazione:

\( – (-x^2 + 2) \lt – (-3x) \)

\( x^2 – 2 \lt 3x \)

  • si possono scambiare tra loro i due membri della disequazione, cambiando anche il verso della stessa;
  • se in una disequazione intera compaiono frazioni, o termini con coefficienti frazionari, è possibile, dopo aver espresso entrambi i membri come frazioni aventi uno stesso denominatore positivo, eliminare i denominatori.

esempio: consideriamo la seguente disequazione: \( \frac{1}{3} + \frac{2}{5} \gt \frac{1}{10}x^2 \)

dopo aver calcolato il minimo comune multiplo dei denominatori, e dopo aver ridotto tutte le frazioni allo stesso denominatore, possiamo eliminare il denominatore delle frazioni:

\( \frac{10+12x}{30} \gt \frac{3x^2}{30} \)

\( 10+12x \gt 3x^2 \)

 

Grado di una disequazione

Una disequazione può sempre essere ricondotta alla forma canonica, cioè alla forma

\( P(x) \lt 0 \,\,\,\, \mbox{ o } \,\,\,\, P(x) \gt 0 \,\,\,\, \mbox{ o } \,\,\,\,  P(x) \le 0 \,\,\,\, \mbox{ o } \,\,\,\,  P(x) \ge 0 \)

dove P(x) è un polinomio; per una disequazione di questo tipo si può parlare di grado:

il grado di una disequazione nell’incognita x, ridotta in forma normale, è il grado rispetto alla lettera x del polinomio P(x), che si trova al primo membro.

Per determinare il grado di una disequazione, quindi, occorre sempre ridurla in forma normale; una disequazione di primo grado viene definita disequazione lineare.

 

Altro materiale di supporto

Videolezione sulle disequazioni

 

 

 

 

 

 

 

Disequazioni e intervalli

Un numero è soluzione di una data disequazione se, sostituito all’incognita della disequazione, trasforma la disequazione in una disuguaglianza vera.

Così come per le equazioni, anche per le disequazioni frazionarie in alternativa al dominio si possono porre le condizioni di accettabilità delle soluzioni.

Insieme delle soluzioni

L’insieme delle soluzioni di una disequazione, che viene indicato con S, rappresenta l’insieme di tutti i numeri che sono soluzione della disequazione. A differenza delle equazioni, solitamente l’insieme delle soluzioni delle disequazioni è costituito da infiniti termini.

Risolvere una disequazione significa determinare l’insieme delle sue soluzioni.

Una disequazione si dice impossibile quando non ha soluzioni, quando cioè l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto: \( S = \varnothing \).

Intervalli

Gli insiemi delle soluzioni delle disequazioni sono generalmente insiemi infinitivi numeri, e, in molti casi, essi sono degli intervalli.

Gli intervalli possono essere rappresentati sulla retta reale, cioè la retta dei numeri reali, poiché ad ogni punto della retta si può associare un numero.

Gli intervalli possono essere limitati quando sono rappresentati da segmenti, illimitati de rappresentato da semirette, o dall’intera retta reale.

Intervalli limitati

Esaminiamo ora gli intervalli limitati; essi possono essere aperti, chiusi, o semichiusi, in base al fatto di contenere o meno i loro estremi:

Intervalli aperti

si indicano con ( a ; b ), con a e b estremi non compresi; rappresentano l’insieme dei numeri maggiori di a e minori di b.

 

 

Intervalli chiusi

si indicano con [ a ; b ], con a e b estremi compresi; rappresentano l’insieme dei numeri maggiori o uguali di a e minori o uguali di b.

 

 

Intervalli semichiusi

sono intervalli in cui solo uno dei due estremi è compreso nell’intervallo; possono essere di due tipi:

Intervalli chiusi a sinistra e aperti a destra

si indicano con [ a ; b ), con a estremo compreso e b estremo non compreso; rappresentano l’insieme dei numeri maggiori o uguali di a e minori di b.

 

 

Intervalli chiusi a destra e aperti a sinistra

 

 

si indicano con ( a ; b ], con a estremo non compreso e b estremo compreso; rappresentano l’insieme dei numeri maggiori di a e minori o uguali di b.

I numeri compresi tra i due estremi dell’intervallo si dicono interni all’intervallo, mentre i numeri non compresi fra gli estremi si dicono esterni all’intervallo.

Se a e b sono gli estremi dell’intervallo, l’ampiezza dell’intervallo è data dal numero b – a.

Intervalli illimitati

Gli intervalli illimitati possono essere costituiti da semirette, ed essere quindi aperti o chiusi, o dall’intera retta reale.

Intervallo illimitato a destra e aperto a sinistra

si indica \( ( a ; +\infty )  \) ed è costituito dai numeri maggiori di a, che è un estremo non incluso;

 

 

Intervallo illimitato a destra e chiuso a sinistra

si indica \( [ a ; +\infty ) \)  ed è costituito dai numeri maggiori o uguali di a, che è un estremo incluso;

 

 

 

Intervallo illimitato a sinistra e aperto a destra

si indica \( ( -\infty ; b ) \) ed è costituito dai numeri minori di b, che è un estremo non incluso;

 

 

 

Intervallo illimitato a sinistra e chiuso a destra

si indica \( ( -\infty ; b ] \) ed è costituito dai numeri minori o uguali di b, che è un estremo incluso;

 

 

Intervallo illimitato sia a sinistra che a destra

si indica \( ( -\infty ; +\infty ) \) e rappresenta tutto l’insieme dei numeri reali.

 

Altro materiale utile

 

 

 

 

 

 

 

 

Test sulle disequazioni di primo grado

 

Introduzione alle disequazioni

Disuguaglianze

Per esprimere la relazione di disuguaglianza tra numeri si utilizzano i simboli di maggiore ( > ) e minore ( < ), per esempio:

4 < 9 ; 10 > 3

e la scrittura è equivalente se letta al contrario, cioè:

9 > 4 ; 3 < 10

Quindi, in generale possiamo dire che:

  • $a \gt b$ : il numero a è maggiore del numero b; \[ a \ge b \Leftrightarrow a \gt b \vee a = b \]
  • $a \lt b$ : il numero a è minore del numero b; \[ a \le b \Leftrightarrow a \lt b \vee a = b \]

Poi, si possono utilizzare anche i seguenti simboli: \( \le \) ( minore o uguale) \( \ge \) ( maggiore o uguale ) per esprimere una relazione fra due numeri che può essere di disuguaglianza o di uguaglianza, cioè:

  • $ a \ge b$ : il numero a è maggiore o uguale del numero b;
  • $ \le b$ : il numero a è minore o uguale del numero b;

Nelle disuguaglianze, il numero che si trova a sinistra del simbolo viene definito primo membro, mentre il numero che si trova a destra secondo membro.

Vediamo ora alcune proprietà di cui godono le disuguaglianze.

Precisiamo che, per disuguaglianza dello stesso verso si intende una disuguaglianza che abbia lo stesso simbolo della precedente; mentre, una disuguaglianza di verso opposto è una disuguaglianza che che il simbolo \( \lt \) ( o \( \le \) ) se la disuguaglianza precedente aveva \( \gt \) ( o \( \ge \)) e viceversa.

  • Sommando o sottraendo una stessa quantità da ciascun membro di una disuguaglianza, si ottiene una disuguaglianza dello stesso verso;

esempio: consideriamo la disuguaglianza \( 3 \lt  7 \) e aggiungiamo ad entrambi i membri il numero 2:

\( 3 + 2 \lt 7 + 2 \rightarrow 5 \lt 9 \)

oppure, sottraiamo il numero 4:

\( 3 – 4 \lt  7 – 4 \rightarrow – 1 \lt  3 \)

  • Moltiplicando o dividendo per una stessa quantità positiva entrambi i membri di una disuguaglianza, si ottiene una disuguaglianza dello stesso verso;

esempio: consideriamo la disuguaglianza \( 3 \lt  6 \) e moltiplichiamo entrambi i membri per 5:

\( 3 \cdot 5 \lt 6 \cdot 5 \rightarrow 15 \lt 30 \)

ora, dividiamo entrambi per 3:

\( 3 : 3 \lt 6 : 3 \rightarrow 1 \lt 2 \)

  • Moltiplicando o dividendo per una stessa quantità negativa entrambi i membri di una disuguaglianza, si ottiene una disuguaglianza di verso opposto;

esempio: consideriamo la stessa disuguaglianza \( 3 \lt 6 \) e moltiplichiamo entrambi i membri per -5:

\( 3 \cdot ( – 5 ) \lt 6 \cdot ( – 5 ) \rightarrow – 15 \lt – 30 \rightarrow – 15 \gt – 30 \)

ora, dividiamo entrambi per – 3:

\( 3 : ( – 3 ) \lt 6 : ( – 3 ) \rightarrow – 1 \lt – 2 \rightarrow – 1 \gt – 2 \)

  • la disuguaglianza tra due numeri concordi è di verso opposto a quello della disuguaglianza tra i loro reciproci;

esempio: consideriamo la disuguaglianza \( 3 \lt 10\); passando ai loro reciproci, abbiamo che:

\[ \frac{1}{3} \gt \frac{1}{10} \]

 

Generalità sulle disequazioni

Una disequazione è una disuguaglianza tra due espressioni in cui compare una o più lettere, dette incognite.

Così come le equazioni, anche le disequazioni possono essere numeriche, letterali, intere o frazionarie:

Disequazioni numeriche: disequazioni in cui figura solo la lettera che rappresenta l’incognita;

Disequazioni letterali: disequazioni in cui, oltre alla lettera incognita, compaiono altre lettere delle parametri;

Disequazioni intere: disequazioni in cui le incognite compaiono solo al numeratore delle frazioni eventualmente presenti;

Disequazioni frazionarie: disequazioni in cui le incognite compaiono anche al denominatore delle frazioni eventualmente presenti;

Come per le equazioni, le disequazioni si trasformano in disuguaglianze quando vi si sostituisce, al posto dell’incognita, un valore numerico; le disuguaglianze possono essere vere o false.

Dominio di una disequazione

Si definisce dominio di una disequazione l’insieme dei numeri reali che, se sostituiti all’incognita, trasformano la disequazione in una disuguaglianza dotata di significato, cioè vera o falsa.

esempio: consideriamo la disequazione \( \frac{3+2x}{x-1} \gt 0 \)

sappiamo che il denominatore di una frazione non può mai annullarsi, quindi dobbiamo escludere dalle possibili soluzioni quelle per cui il denominatore si annulla: la disequazione ha quindi domino: \( D = \mathbb{R} – \{1\} \)

Ecco alcune osservazioni sul dominio delle equazioni:

  • Tutte le equazioni intere in una sola incognita hanno come dominio l’insieme R dei numeri reali;
  • Alcune disequazioni frazionarie possono avere come dominio R; sono quelle disequazioni in cui compare una frazione il cui denominatore non può mai annullarsi, ad esempio: \[ \frac{1}{x^2+4} \gt 0 \]

 

Equazioni di grado superiore al secondo

Equazioni binomie

Le equazioni binomie sono equazioni di grado superiore al secondo che possono essere scritte in questo modo:

\[ x^n = a \,\,\,\,\,\, n \in \mathbb{N^{*}}, \,\, a \ne 0 \]
Il procedimento di risoluzione per le equazioni binomie varia a seconda che n sia pari o dispari; esaminiamo i due casi:

  • n pari:

sappiamo già risolvere il caso in cui n = 2, e un procedimento analogo può essere applicato per n = 4, n = 6, ….
Infatti, per risolvere equazioni binomie con n pari basta calcolare la radice n-esima del valore a, ricordandoci di prendere sia il valore positivo che quello negativo;
ricordiamoci, inoltre, che, dato che l’indice della radice è pari, dobbiamo assicurarci che il valore di a sia positivo: \[ x^n = a \rightarrow x = \pm \sqrt[n]{a}\,\,,\,\, n \mbox{ pari, }\,\, a \ge 0 \]

  • n dispari:

le equazioni binomie con esponente dispari si possono risolvere così come quelle con indice pari, calcolando cioè la radice n-esima del valore a che, però, in questo caso può essere sia positivo che negativo:

Vediamo alcuni esempi:

  • risolviamo la seguente equazione binomia: \( x^4 = 81 \)

poiché 81 è un numero positivo, l’equazione ammette soluzioni:

\[ x^4 = 81 \rightarrow x = \pm\sqrt[4]{81} = \pm 3 \]

  • risolviamo la seguente equazione binomia: \( x^{12} = -3 \)

in questo caso, invece, abbiamo una potenza elevata ad esponente pari uguale ad un numero negativo; l’equazione è pertanto impossibile. Infatti, se volessimo fare un ulteriore passo, ci ritroveremmo un valore negativo sotto una radice di indice pari:

\[ x^{12} = -3 \rightarrow x = \pm\sqrt[12]{-3} \]

  • risolviamo la seguente equazione binomia: \( x^5 = 243 \)

risolviamo l’equazione calcolando la radice quinta di 243:

\[ x^5 = 243 \rightarrow x = \sqrt[5]{243} = 3 \]

  • risolviamo la seguente equazione binomia: \( x^5 = -243 \)

poiché l’esponente di x è dispari, possiamo tranquillamente risolvere l’equazione:

\[ x^5 = -243 \rightarrow x = \sqrt[5]{-243} = -\sqrt[5]{243} = -3 \]

 

Equazioni monomie

Un’equazione monomia è una particolare equazione binomio, dove però si ha a = 0:

\[ x^n = 0 \,\,\,\,\,\, n \in \mathbb{N^{*}} \]

Si può facilmente notare che qualunque equazione monomia di grado n ha esattamente n radici coincidenti uguali a zero.

Si può anche dire che x = 0 è una radice di molteplicità n dell’equazione monomia.

 

Equazioni trinomie

Le equazioni trinomie sono equazioni della forma:

\[ ax^{2n} + bx^n + c = 0\,\,\,\,\,\, , \,\,\,\,\,\, a \ne 0 \]

nelle quali, cioè, la x di grado massimo ha grado doppio rispetto alla x del secondo coefficiente.

Questo tipo di equazioni si possono risolvere attraverso un cambio di incognite, che ci permette di ricondurle a delle semplici equazioni di secondo grado.

Per risolvere le equazioni trinomie si opera la seguente sostituzione:

\[ x^n = y \]

in questo modo, andando a sostituire nell’equazione generica, otteniamo:

\[ ay^2 + by + c = 0 \]

cioè, un’equazione di secondo grado in y. Dopo aver risolto questa equazione, e trovato il valor di y, basterà sostituire questo valore nell’uguaglianza precedente, e risolvere l’equazione binomia, trovando così i valori di x.
Esempio: risolviamo la seguente equazione trinomia: \( 8x^6 – 7x^3 – 1 = 0 \)

In questo caso, la sostituzione che dobbiamo fare è la seguente: \( x^3 = y \)

otteniamo quindi:

\( 8y^2 – 7y – 1 = 0 \)

risolviamo questa equazione di secondo grado in y, trovando i valori di y:

\( y = \frac{7 \pm\sqrt{7^2 + 4 \cdot 8}}{2 \cdot 8} = \frac{7\pm\sqrt{49+32}}{16} = \frac{7 \pm \sqrt{81}}{16} = \frac{7 \pm 9}{16} \)

\( y = \frac{7 \pm 9}{16} \rightarrow y = \frac{7 + 9}{16} \vee y = \frac{7-9}{16} \rightarrow y = \frac{16}{16} \vee y = \frac{-2}{16} \rightarrow y = 1 \vee y = -\frac{1}{8} \)

ora, sostituiamo i valori di y trovati nell’equazione binomia precedente, e risolviamola per trovare i valori di x:

\( y = 1 \vee y = -\frac{1}{8} \rightarrow x^3 = 1 \vee x^3 = -\frac{1}{8} \)

\( x^3 = 1 \rightarrow x= \sqrt[3]{1} = 1 \)

\( x^3 = -\frac{1}{8} \rightarrow x = \sqrt[3]{-\frac{1}{8}} = – \sqrt[3]{\frac{1}{8}} = – \frac{1}{2} \)

concludiamo quindi che:

\( x = 1 \vee x = -\frac{1}{2} \)

 

Equazioni risolubili mediante la legge di annullamento del prodotto

Alcune equazioni di grado superiore al secondo non sono riconducibili agli esempi visti in precedenza; in questo casi, per risolverle, occorre scomporle in fattori, e applicare la legge di annullamento del prodotto.

Consideriamo un’equazione ridotta in forma normale: P(x) = 0.

Possiamo cercare di scomporre il polinomio P(x) in un prodotto di fattori:

\( P(x) = 0 \rightarrow A(x) \cdot B(x) \cdot \ldots = 0 \)

Applicando poi la legge di annullamento del prodotto, possiamo trovare le soluzioni dell’equazione ponendo uguali a zero i singoli fattori:

\( A(x) = 0, B(x) = 0, \ldots \)

Se la scomposizione in fattori del polinomio P(x) non è immediata, si può procedere con il metodo di Ruffini, cercando un numero c tale che P(c) = 0.

Si procede, poi, trovando il polinomio Q(x) tale che P(x) = (x – c) ∙ Q(x).

 

Le equazioni parametriche

Le equazioni parametriche sono equazioni letterali in cui si deve determinare il valore dei parametri che verificano determinate condizioni, senza risolvere l’equazione stessa.

Vediamo alcune condizioni che possono essere richieste, e come si deve fare per soddisfarle; si può chiedere di determinare il valore del parametro affinché:

  • l’equazione abbia due soluzioni:

in questo caso, non ci viene specificato se le soluzioni devono essere uguali o distinte, l’importante è che siano due; sappiamo che un’equazione di secondo grado ammette soluzioni se il suo delta è maggiore o uguale a zero, quindi basterà imporre: \[ \Delta 0 \rightarrow b^2 – 4ac \ge 0 \]

  • l’equazione abbia due soluzioni distinte:

nel caso precedente, in cui dovevamo garantire l’esistenza di due soluzioni, abbiamo posto ∆ ≥ 0, ora dobbiamo escludere il caso in cui le soluzioni siano coincidenti, quindi: \[ \Delta \gt 0 \rightarrow b^2 -4ac \gt 0 \]

  • l’equazione non abbia soluzioni reali:

un’equazione che non ammette soluzioni reali è impossibile, quindi ha \( \Delta \lt 0 \): \[ \Delta \lt 0 \rightarrow b^2 – 4ac \lt 0 \]

  • le radici siano coincidenti:

se le radici sono coincidenti si ha: \[ \Delta = 0 \rightarrow b^2 – 4ac = 0 \]

  • una radice sia uguale ad un numero h:

consideriamo un’equazione di secondo grado ridotta in forma normale; sappiamo che se un numero è soluzione dell’equazione, se lo sostituiamo all’incognita dell’equazione otterremmo che il promo membro è uguale a zero; quindi, per trovare il valore del parametro, basterà sostituirà il numero dato alla x dell’equazione, e risolvere la stessa in funzione del parametro.

  • il prodotto delle radici sia uguale ad un numero h:

come già sappiamo, il prodotto delle radici di un’equazione di secondo grado, nei coefficienti a,b,c, può essere espresso come \( c / a \): \[ x_1 \cdot x_2 = \frac{c}{a} \]

se vogliamo che questa espressione sia uguale ad un numero h, poniamo: \[ \frac{c}{a} = h \]

  • la somma delle radici sia uguale ad un numero h:

sappiamo che la somma delle radici di un’equazione di secondo grado, nei coefficienti a,b,c, può essere espresso come  \( -b / a \): \[ x_1 + x_2 = -\frac{b}{a} \]

se vogliamo che questa espressione sia uguale ad un numero h, poniamo: \[ -\frac{b}{a} = h \]

  • le radici siano opposte:

in questo caso, possiamo sfruttare la formula che rappresenta la somma delle radici: infatti, se le radici sono opposte si ha che: \[ x_1 = -x_2 \rightarrow x_1 + x_2 = 0 \]

quindi, basta porre: \[ -\frac{b}{a} = 0 \]

  • le radici siano reciproche:

se le radici sono reciproche si ha: \[ x_1 = \frac{1}{x_2} \]

quindi: \[ x_1 = \frac{1}{x_2} \rightarrow x_1 \cdot x_2 = 1 \rightarrow \frac{c}{a} = 1 \]

  • una radice sia opposta al reciproco dell’altra:

dall’enunciato deduciamo che deve essere: \( x_1 = -\frac{1}{x_2} )

quindi, moltiplicando otteniamo: \[ x_1 = -\frac{1}{x_2} \rightarrow x_1 \cdot x_2 = -1 \rightarrow \frac{c}{a} = -1 \]

  • la somma dei quadrati delle radici sia uguale ad un numero h:

in questo caso, ci viene richiesto di calcolare i quadrati delle radici, e poi di sommarli, e di far in modo che questa somma sia uguale ad una certa quantità: \[ x_1^2 + x_2^2 = h \]

Ricordando lo sviluppo del quadrato del binomio, abbiamo che: \[ (x_1 + x_2)^2 = x_1^2 + x_2^2 + x_2^2 + 2x_1x_2 \]

ricaviamo da questa formula la somma dei quadrati delle radici: \[ x_1^2 + x_2^2 = (x_1 + x_2)^2 – 2x_1x_2 \]

poniamo ora questa quantità uguale ad h: \[ (x_1 + x_2)^2 – 2x_1x_2 = h \]

Quindi, tradotto in termini di coefficienti: \[ \Big(-\frac{b}{a}\Big)^2 – 2 \cdot \frac{c}{a} = h \]

  • la somma dei cubi delle radici sia uguale ad un numero h:

procediamo come per la somma dei quadrati delle radici: ricaviamo la somma dei cubi delle radici dallo sviluppo del cubo di un binomio:

\[ (x_1 + x_2)^3 = x_1^3 + 3x_1^2x_2 + 3x_1x_2^2 \]

\[ x_1^3 + x_2^3 = (x_1 + x_2)^3 – 3x_1^2x_2 – 3x_1x_2^2 \]

\[ x_1^3 + x_2^3 = (x_1 + x_2)^3 – 3x_1x_2 (x_1 + x_2) \]

Poiché la somma dei cubi delle radici deve essere uguale ad h, abbiamo:

\[ x_1^3 + x_2^3 = h \rightarrow (x_1 + x_2)^3 – 3x_1x_2 (x_1 + x_2) = h \]

\[ \Big(-\frac{b}{a}\Big)^3 – 3\cdot \frac{c}{a} \cdot \Big(-\frac{b}{a}\Big) = h \]

 

Vediamo un esempio pratico:

consideriamo l’equazione parametrica seguente: \[ x^2 – (k+1)x + k = 0 \]

Determiniamo i valori di k affinché:

a) le radici siano coincidenti;

b) la somma delle radici sia \( \sqrt{2} \);

c) la somma dei reciproci delle radici sia 4;

d) una radice sia nulla;

e) le radici siano opposte;

f) la somma dei quadrati delle radici sia 10;

 

Svolgimento dell’esercizio

a) se le radici sono coincidenti, dobbiamo porre \( \Delta = 0\), quindi: \[ \Delta = 0 \rightarrow b^2 – 4ac = 0 \]

sostituiamo i coefficienti alle lettere e semplifichiamo l’espressione:

\[ [-(k+1)]^2 – 4k = 0 \]

\[ k^2 + 1 + 2k – 4k = 0 \]

\[ k^2 + 1 – 2k = 0 \]

L’espressione ottenuta è il quadrato di un binomio, quindi si ha: \[ (k-1)^2 = 0 \rightarrow k = 1 \]

b) calcoliamo la somma delle radici e poniamo la quantità ottenuta uguale a due:

\[ x_1 + x_ 2 = 2 \rightarrow -\frac{b}{a} = \sqrt{2} \]

sostituiamo i valori e risolviamo l’equazione:

\[ – \frac{-(k+1)}{1} = \sqrt{2} \rightarrow k + 1 = \sqrt{2} \rightarrow k = \sqrt{2} – 1 \]

c) calcoliamo la somma dei reciproci delle radici:

\[ \frac{1}{x_1} + \frac{1}{x_2} = \frac{x_2 + x_1}{x_1 \cdot x_2} \]

Poniamolo uguale a 4:

\[ \frac{x_2 + x_1}{x_1 \cdot x_2} = 4 \]

sostituiamo i coefficienti:

\[ \frac{-\frac{b}{a}}{\frac{c}{a}} = 4 \rightarrow  -\frac{b}{a} \cdot \frac{a}{c} = 4 \rightarrow -\frac{b}{c} = 4 \]

d) se una radice è nulla, sappiamo che sostituendo zero alla x dell’equazione dobbiamo ottenere un’uguaglianza vera, cioè il primo membro deve essere uguale a zero:

\[ 0^2 – (k+1) \cdot 0 + k = 0 \rightarrow k = 0 \]

e) affinché le radici siano opposte, poniamo:

\[ x_1 = -x_2 \rightarrow x_1 + x_2 = 0 \]

quindi:

\[ -\frac{b}{a} = 0 \rightarrow – \frac{-(k+1)}{1} = 0 \rightarrow k = -1 \]

f) poniamo la somma dei quadrati uguale a 10:

\[ x_1^2 + x_2^2 = (x_1 + x_2)^2 – 2x_1x_2 = 10 \]

sostituiamo i coefficienti e risolviamo:

\[ \Big(-\frac{b}{a}\Big)^2 – 2 \cdot \frac{c}{a} = 10 \]

\[ (k+1)^2 – 2 \cdot \frac{k}{1} = 10 \rightarrow k^2 + 1 + 2k – 2k = 10 \rightarrow k^2 + 1 = 10 \]

\[ k^2 + 1 = 10 \rightarrow k^2 = 9 \rightarrow k = \pm 3 \]

 

Relazione tra radici e coefficienti

Somma e prodotto delle radici

Consideriamo una generica equazione di secondo grado: \[ ax^2 + bx + c = 0 \]

e supponiamo che ammetta soluzioni, cioè che si abbia \( \Delta \ge 0 \); allora, essa avrà due soluzioni che sono:

\[ x_1 = \frac{-b + \sqrt{b^2 – 4ac}}{2a} \,\,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\,\, x_2 = \frac{-b – \sqrt{b^2 – 4ac}}{2a} \]

Sommiamo le due soluzioni:

\[ x_1 + x_2 = \frac{-b + \sqrt{b^2 – 4ac}}{2a} + \frac{-b – \sqrt{b^2 – 4ac}}{2a} = \]

\[ \frac{-b+\sqrt{b^2-4ac}+(-b)-\sqrt{b^2-4ac}}{2a} = \frac{-2b}{2a} = -\frac{b}{a} \]

Ora calcoliamo il loro prodotto:

\[ x_1\cdot x_2 = \frac{-b + \sqrt{b^2 – 4ac}}{2a} \cdot \frac{-b – \sqrt{b^2 – 4ac}}{2a} = \]

\[ \frac{(-b)^2-(\sqrt{b^2-4ac})^2}{(2a)^2} = \frac{b^2-b^2+4ac}{4a^2} = \frac{4ac}{4a^2} = \frac{c}{a} \]

Se consideriamo l’equazione di secondo grado generica, e dividiamo ciascun membro dell’equazione per a otteniamo:

\[ ax^2 + bx + c = 0 \rightarrow x^2 + \frac{b}{a}x + \frac{c}{a} = 0 \]

Notiamo che il secondo coefficiente è uguale all’opposto della somma delle radici, e il terzo è uguale al loro prodotto; possiamo generalizzare dicendo che:

in ogni equazione di secondo grado con il primo coefficiente uguale a 1, si ha che la somma delle radici è uguale all’opposto del secondo coefficiente, e che il prodotto delle radici è uguale al terzo coefficiente:

\[ x^2 – (x_1 + x_2) x + x_1 \cdot x_2 = 0 \]

Si può anche scrivere l’equazione come \( x^2 – sx + p = 0 \)

indicando con s la somma delle radici, e con p il loro prodotto; il trinomio che compare al primo membro viene detto trinomio notevole.

Un trinomio di secondo grado può essere scomposto in fattori, e la scomposizione dipende dal numero di radici che esso ammette; come abbiamo già detto, un’equazione di secondo grado può avere due, una o nessuna soluzione, in base al suo \( \Delta \):

  • se \( \Delta \lt 0 \) l’equazione risulta impossibile, quindi il trinomio di secondo grado non è scomponibile ( è irriducibile );
  • se \( \Delta \gt 0 \), l’equazione ammette due soluzioni distinte, quindi il trinomio di secondo grado è scomponibile; la scomposizioni in fattori del trinomio è la seguente: \[ ax^2 + bx + c = a(x – x_1)(x – x_2) \]
  • se \( \Delta = 0 \) sappiamo che l’equazione ammette due soluzioni coincidenti, quindi il trinomio è scomponibile e presenta nella scomposizione il quadrato di un binomio: \[ ax^2 +bx + c = a(x – x_1)(x – x_1) = a(x – x_1)^2 \]

 

Regola di Cartesio

La regola di Cartesio ci permette di determinare i segni delle radici di un’equazione di secondo grado senza risolvere l’equazione, ma semplicemente osservando i segni dei coefficienti.

La regola di Cartesio si basa sulla permanenza e sulla variazione del segno dei coefficienti: si ha una permanenza del segno quando due coefficienti consecutivi hanno lo stesso segno, e una variazione quando hanno segno opposto.

Consideriamo ora una generica equazione di secondo grado: \[ ax^2 + bx + c = 0 \]

Consideriamo il primo coefficiente, a, positivo: se fosse negativo, infatti, potremmo renderlo positivo moltiplicando entrambi i membri per – 1.

Schematizziamo tutti i casi che possono presentarsi:

Regola di Cartesio:

Esaminiamo caso per caso:

  • primo caso: \( a \gt 0, b \gt 0, c \gt 0 \): abbiamo che \( c/a \gt 0 \), mentre \( – b/a \lt 0 \), quindi: \[ x_1 \cdot x_2 \gt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_1 + x_2 \lt 0 \]

poiché il prodotto delle radici è positivo, le radici sono concordi; e dato che la loro somma è negativa, concludiamo che sono entrambe negative: \[ x_1 \lt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_2 \lt 0 \]

  • secondo caso: \( a \gt 0, b \lt 0, c \lt 0 \): abbiamo che \( c/a \lt 0 \), mentre \( – b/a \gt 0 \), quindi: \[ x_1 \cdot x_2 \lt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_1 + x_2 \gt 0 \]

poiché il prodotto delle radici è negativo, le radici sono discordi; la loro somma è positiva, quindi la radice maggiore (in valore assoluto) sarà positiva, l’altra negativa: \[ x_1 \lt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_2 \gt 0 \,\,\, (\mbox{ con } |x_1| \lt x_2) \]

  • terzo caso: \( a \gt 0, b \lt 0, c \gt 0 \): abbiamo che \( c/a \gt 0\), e \( – b/a \gt 0\), quindi: \[ x_1 \cdot x_2 \gt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_1 + x_2 \gt 0 \]

poiché il prodotto delle radici è positivo, le radici sono concordi; e dato che la loro somma è positiva, concludiamo le radici che sono entrambe positive: \[ x_1 \gt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_2 \gt 0 \]

  • quarto caso: \( a \gt 0, b \gt 0, c \lt 0 \): abbiamo che \( c/a \lt 0\), e \(- b/a \lt 0 \), quindi: \[ x_1 \cdot x_2 \lt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_1 + x_2 \lt 0 \]

poiché il prodotto delle radici è negativo, le radici sono discordi; la loro somma è negativa, quindi la radice maggiore (in valore assoluto) sarà positiva, l’altra positiva: \[ x_1 \gt 0 \,\,\, \mbox{ e } \,\,\, x_2 \lt 0 \,\,\,\,\,\, (\mbox{con } |x_1| \lt x_2) \]

Possiamo riassumere la regola di Cartesio in questo modo:

in ogni equazione di secondo grado, ridotta in forma normale, con il discriminante positivo o nullo, ad ogni variazione dei segni dei coefficienti corrisponde una soluzione positiva, e ad ogni permanenza una soluzione negativa; inoltre, se l’equazione ha radici discordi e se la variazione precede la permanenza, la radice maggiore in valore assoluto è positiva, mentre se la permanenza precede la variazione essa è negativa.

 

Equazioni di secondo grado complete

Risoluzione dell’equazione di secondo grado completa

Per risolvere le equazioni di secondo grado complete si ricorre ad una formula, che ci permette di determinare subito le due soluzioni.

In una equazione di secondo grado completa viene definito discriminante, e indicato con la lettera greca \( \Delta \) ( delta ), la seguente espressione: \[ \Delta = b^2 – 4ac \]

Se questa quantità è maggiore di zero, allora l’equazione ammette due soluzioni distinte, che sono date dalla seguente formula:

\[ x_1 = \frac{-b + \sqrt{\Delta}}{2a} \,\,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\,\, x_2 = \frac{-b – \sqrt{\Delta}}{2a} \]

equivalentemente:

\[ x_1 = \frac{-b + \sqrt{b^2-4ac}}{2a} \,\,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\,\, x_2 = \frac{-b – \sqrt{b^2-4ac}}{2a} \]

 

Esempio: troviamo le soluzioni della seguente equazione di secondo grado: \( 6x^2 – 5x – 6 = 0 \)

Applichiamo la formula di risoluzione:

\[ x = \frac{-(-5) \pm \sqrt{(-5)^2-4 \cdot 6 \cdot (-6)}}{2 \cdot 6} = \]

svolgiamo i calcoli:

\[ \frac{5 \pm \sqrt{25+144}}{12} = \frac{5 \pm \sqrt{169}}{12} = \frac{5 \pm 13}{12} \]

otteniamo quindi due soluzioni distinte, che sono:

\[ x_1 = \frac{5+13}{12} = \frac{18}{12} = \frac{3}{2} \]

\[ x_2 = \frac{5-13}{12} = \frac{-8}{12} = -\frac{2}{3} \]

Poiché il delta si trova sotto una radice quadrata, è necessario che esso sia una quantità positiva; tuttavia, vi sono dei casi un cui si ha che il delta è minore di zero o uguale a zero:

  • se \( \Delta = 0 \) possiamo utilizzare le formule precedenti per trovare le soluzioni dell’equazione:

\[ x_1 = \frac{-b+\sqrt{0}}{2a} \,\,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\,\, x_2 = \frac{-b-\sqrt{0}}{2a} \]

da cui:

\[ x_1 = \frac{-b}{2a} \,\,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\,\, x_2 = \frac{-b}{2a} \]

possiamo quindi concludere che, nel caso in cui una equazione di secondo grado abbia il delta uguale a zero, essa ha due soluzioni coincidenti date dalla formula:

\[ x_1 = x_2 = -\frac{b}{2a} \]

  • se \( \Delta \lt 0 \) : sappiamo che non è possibile avere una quantità negativa sotto una radice quadrata, quindi non sono valide le formule viste in precedenza; concludiamo, quindi, che l’equazione è impossibile, non ammette soluzioni.

Riassumendo quanto appena detto:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Formula ridotta

Vediamo un’eccezione della formula vista in precedenza, che si può applicare nel caso in cui il secondo coefficiente è un numero pari, cioè nel caso in cui l’equazione di secondo grado completa si presenti in questo modo: \[ ax^2 + bx + c = 0 \,\,\,\,\, \mbox{ con } b \mbox{ pari} \]

Possiamo scrivere l’equazione in questo modo:

\[ ax^2 + 2\beta x + c = 0 \]

essendo \( b = 2\beta \);

applichiamo la formula risolutiva vista precedentemente in questo caso:

\[ x_{1,2} = \frac{-2\beta \pm \sqrt{(2\beta)^2 – 4ac}}{2a} \]

svolgiamo calcoli all’interno della radice:

\[ x_{1,2} = \frac{-2\beta \pm \sqrt{(2\beta)^2 – 4ac}}{2a} = \frac{-2\beta \pm \sqrt{4\beta^2 – 4ac}}{2a} = \]

mettiamo in evidenza il numero 4, e portiamolo fuori dalla radice:

\[ \frac{-2\beta \pm \sqrt{4(\beta^2-ac)}}{2a} = \frac{-2\beta \pm 2\sqrt{\beta^2 -a c}}{2a} = \]

mettiamo in evidenza il numero 2, e semplifichiamo:

\[ \frac{-2(\beta \pm \sqrt{\beta^2 – ac}}{2a} = \frac{-\beta \pm \sqrt{\beta^2 -ac}}{2a} \]

Ricordandoci che \( b = 2\beta \), possiamo scrivere la formula in questo modo:

\[ \frac{-\beta \pm \sqrt{\beta^2 -ac}}{2a} = \frac{-\frac{b}{2} \pm \sqrt{\Big(\frac{b}{2}\Big)^2 -ac}}{a} \]

Quindi, in tutte le equazioni di secondo grado complete i cui il secondo coefficiente è pari, le soluzioni dell’equazione sono date dalla formula:

\[ x_{1,2} = \frac{-\frac{b}{2} \pm \sqrt{\Big(\frac{b}{2}\Big)^2-ac}}{a} \]

In questa formula, l’espressione che compare sotto radice rappresenta la quarta parte del delta che usiamo nella formula generale:

\[ \frac{\Delta}{4} = \frac{b^2-4ac}{4} = \frac{b^2}{4} -\frac{4ac}{4} = \Big( \frac{b}{2}\Big)^2 – ac \]

 

Equazioni di secondo grado e parabole

La risoluzione di un’equazione di secondo grado può anche essere interpretata graficamente: in un piano cartesiano, un’equazione di secondo grado rappresenta una parabola con esse di simmetria parallelo all’asse y e concavità verso l’alto.

Le soluzioni di un’equazione di secondo grado rappresentano, nel piano cartesiano, i punti in cui la parabola interseca l’asse x.

Vediamo, di preciso, il grafico della parabola nei tre casi:

  • \( \Delta \gt 0 \) : l’equazione ha due soluzioni distinte, quindi la parabola ha due punti di intersezione con l’asse x; se \( a \gt 0 \) la parabola è rivolta verso l’alto, mentre se \( a \lt 0\), la parabola ha concavità verso il basso:

  • \( \Delta = 0 \) : l’equazione ha due soluzioni coincidenti, quindi la parabola ha un solo punto di intersezione con l’asse x; se \( a \gt  0 \) la parabola è rivolta verso l’alto, mentre se \( a \lt 0\), la parabola ha concavità verso il basso:

  • \( \Delta \lt 0 \): l’equazione è impossibile, quindi la parabola non ha punti di intersezione con l’asse x; in particolare, se \( a \gt 0 \) la parabola si trova al di sopra dell’asse x, mentre se \( a \lt 0 \), la parabola si trova al di sotto

Equazioni di secondo grado

Generalità

Una equazione di secondo grado è una equazione nella quale l’incognita compare elevata al quadrato, può anche contenere termini con l’incognita al primo grado.

Come le equazioni di primo grado, anche le equazioni di secondo grado si possono scrivere in forma normale, o canonica, in modo tale, cioè, che il primo membro sia un polinomio P(x) di secondo grado, mentre il secondo membro sia zero:

\[ ax^2 + bx + c = 0 \]

Le lettere a, b, c rappresentano dei numeri reali, e a deve essere diverso da zero. questi tre valori sono anche detti, rispettivamente, primo, secondo e terzo coefficiente; il termine c viene anche definito termine noto.

Le equazioni di secondo grado possono essere classificate in base alla loro composizione: se tutti i coefficienti sono diversi da zero, l’equazione si dice completa, altrimenti, se almeno uno tra b e c è zero, essa si dice incompleta, e le equazioni incomplete si dividono in tre tipi:

  • un’equazione di secondo grado incompleta si dice monomia se b = 0 e c = 0, ed è della forma: \[ ax^2 = 0 \]
  • un’equazione di secondo grado incompleta si dice pura se b = 0 e \( c \ne 0 \), ed è della forma: \[ ax^2 + c = 0 \]
  • un’equazione di secondo grado incompleta si dice spuria se \( b  \ne 0 \) e c = 0, ed è della forma: \[ ax^2 + bx = 0 \]

 

Soluzioni di un’equazione di secondo grado

Un’equazione di secondo grado può avere zero, una o due soluzioni; in particolare, quando un’equazione di secondo grado ha una soluzione, si dice che essa è una soluzione doppia, oppure che l’equazione ha due soluzioni coincidenti.

Per esempio, diremo che l’equazione di secondo grado

\[ x^2 -2x + 1 = 0 \]

che equivale a

\[ (x-1)^2 = 0 \]

ha una soluzione doppia, che è x = 1.

 

Risoluzione di un’equazione monomia

Un’equazione monomia è della forma

\[ ax^2 = 0 \]

Per risolvere un’equazione di questo tipo possiamo dividere entrambi i membri dell’equazione per il coefficiente di x alla seconda:

\[ ax^2 = 0 \rightarrow \frac{ax^2}{a} = \frac{0}{a} \rightarrow x^2 = 0 \]

Possiamo notare, quindi che indipendentemente dal coefficiente a, l’equazione si riduce sempre alla forma

\[ x^2 = 0 \]

che implica x = 0.

Concludiamo, quindi, che l’equazione nomai di secondo grado ha sempre due soluzioni coincidenti, e che x = 0 è l’unica soluzione doppia dell’equazione.

 

Risoluzione di un’equazione pura

Le equazioni pure sono della forma

\[ ax^2 + c = 0 \]

Per risolvere questo tipo di equazione, trasportiamo il termine noto al secondo membro, e poi dividiamo entrambi i membri dell’equazione per il coefficiente di x alla seconda:

\[ ax^2 + c = 0 \rightarrow ax^2 = -c \rightarrow x^2 = -\frac{c}{a} \]

A questo punto, dobbiamo distinguere due casi:

  • se a e c sono concordi, a/c è positivo, quindi, il suo opposto – a/c è negativo. Poiché un quadrato non può mai essere uguale ad un numero negativo, l’equazione è impossibile;
  • se a e c sono discordi, allora a/c è negativo, e il suo opposto – a/c è positivo. In questo caso, possiamo risolvere l’equazione trovando due radici opposte: \[ x_1 = +\sqrt{-\frac{c}{a}} \,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\, x_2 = – \sqrt{-\frac{c}{a}} \]

 

Risoluzione delle equazioni spurie

Le equazioni spurie sono della forma \( ax^2 + bx = 0 \);

per risolverle, mettiamo in evidenza x al primo membro:

\( ax^2 + bx = 0 \rightarrow x(ax + b) = 0 \)

Per la legge di annullamento del prodotto, almeno uno dei due fattori deve essere zero, quindi:

\( x = 0 \vee ax + b = 0 \rightarrow x = 0 \vee x = -\frac{b}{a} \)

Concludiamo, quindi, che ogni equazione spuria ha sempre due soluzioni, delle quali una è zero, e l’altra è data da – b/a:

\[ x_1 = 0 \,\,\,\, \mbox{ e } \,\,\,\, x_2 = -\frac{b}{a} \]

Le equazioni complete sono esaminate nella scheda seguente.

 
Scarica la scheda completa sulle equazioni di secondo grado

I sistemi di secondo grado

Risoluzione di sistemi di due equazioni in due incognite

Un sistema di secondo grado è costituito da un’equazione di secondo grado e una di primo grado; infatti, il grado complessivo del sistema è dato dal prodotto dei gradi delle equazioni che lo compongono.

Come si procede per risolvere i sistemi di secondo grado? Si risolve per prima cosa l’equazione di primo grado, rispetto ad una delle incognite, poi si sostituisce nell’equazione di secondo grado l’incognita trovata.

Supponiamo di aver trovato x dall’equazione di primo grado, e di averla sostituita in quella di secondo grado; co troviamo ad avere un’equazione in y, detta equazione risolvente; si possono presentare due casi:

  • l’equazione risolvente è di secondo grado: le soluzioni del sistema dipendono dal delta dell’equazione:
    • se \( \Delta \lt 0 \) l’equazione è impossibile, e quindi l’intero sistema è impossibile;
    • se \( \Delta = 0 \) l’equazione ha due soluzioni coincidenti; si sostituisce il valore di y nell’altra equazione, determinando il valore di x; si dice che il sistema ha una soluzione doppia;
    • se \( \Delta \gt 0 \) l’equazione ha due soluzioni distinte: si sostituiscono nell’altra equazione, uno alla volta, i valori di y, trovando i rispettivi valori di x: il sistema ha quindi due soluzioni;
  • l’equazione è di primo grado, della forma \( ay = b \):
    • se l’equazione è determinata, quindi \( a \ne 0 \), si risolve, trovando il valori di y e sostituendolo poi nell’altra equazione; il sistema ha quindi una soluzione;
    • se l’equazione è indeterminata, o impossibile, il sistema risulta, rispettivamente, indeterminato o impossibile;

Esempio: risolviamo il seguente sistema:

\( \begin{cases} 3x = y + 2 \\ x^2 – xy + y^2 = 36 + xy \end{cases} \)

dobbiamo ricavare una delle due incognite dalla equazione di primo grado; per semplicità dei calcoli, troviamo y; nella seconda equazione, intanto, trasportiamo tutti i termini contenti le incognite al primo membro:

\( \begin{cases} 3x = y + 2 \\ x^2 – xy + y^2 = 36 + xy \end{cases} \rightarrow \begin{cases} y = 3x – 2 \\ x^2 – 2xy + y^2 = 36 \end{cases} \)

prima di procedere con i calcoli, notiamo che nella seconda equazione è presente un quadrato del binomio svolto, che possiamo raccogliere, poi sostituiamo il valore di y trovato:

\( \begin{cases} y = 3x – 2 \\ (x-y)^2 = 36 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} y = 3x – 2 \\ (x – 3x + 2)^2 – 36 = 0 \end{cases} \)

procediamo con i calcoli, e troviamo il valore di x:

\( \begin{cases} y = 3x – 2 \\ (-2x + 2)^2 – 36 = 0 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} y = 3x – 2 \\ 4x^2 – 8x + 4 – 36 = 0 \end{cases} \)

\( \begin{cases} y = 3x – 2 \\  4x^2 -8x – 32 = 0 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} y = 3x – 2 \\ x^2 – 2x – 8 = 0 \end{cases} \)

Risolviamo l’equazione di secondo grado in x:

\( x^2 – 2x – 8 = 0 \rightarrow x = \frac{1 \pm \sqrt{1+8}}{1} = 1 \pm 3 \)

\( x = 1 + 3 \vee x = 1 – 3 \rightarrow x = 4 \vee x = -2 \)

Sostituiamo i valori di x trovati alla prima equazione del sistema:

\( x = 4 \rightarrow y = 3 \cdot 4 – 2 = 12 – 2 = 10 \)

\( x = -2 \rightarrow y = 3 \cdot (-2) – 2 = -6 – 2 = -8 \)

In sistema, quindi, ha due soluzioni, che sono le seguenti:

\( \begin{cases} x = 4 \\ y = 10 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} x = -2 \\ y = -8  \end{cases} \)

 

Sistemi simmetrici

Un sistema in due incognite si dice simmetrico se è formato da equazioni simmetriche, cioè equazioni in due incognite tale che, scambiando tra loro le incognite, l’equazione rimane invariata.

In questi particolari sistemi, anche le soluzioni sono “simmetriche”: infatti, se una coppia ordinata (a ; b) è soluzione del sistema, lo è anche la coppia ordinata (b ; a).

Risoluzione

Un sistema simmetrico di secondo grado in due incognite si dice ridotto in forma canonica o normale se è del tipo:

\( \begin{cases} x + y = s \\ xy = p \end{cases} \)

e s e p sono due numeri reali.

La risoluzione di questi sistemi si può ricondurre al caso in cui si devono trovare due numeri di cui si conosce la somma e il prodotto; possiamo creare un’equazione associata al sistema di questo tipo:

\( t^2 – st + p = 0 \)

Le soluzioni del sistema dipendono dal discriminante di questa equazione:

  • se \( \Delta \gt 0 \) l’equazione associata ha due soluzioni distinte, che sono anche soluzione del sistema: \[  \begin{cases} x = t_1 \\ y = t_2 \end{cases} \vee \begin{cases} x = t_2 \\ y = t_1 \end{cases} \]
  • se \( \Delta = 0 \) l’equazione associata ha due soluzioni coincidenti; in questo caso, anche il sistema ha una soluzione doppia: \[ \begin{cases} x = t_1 \\ y = t_ 1\end{cases} \]
  • se \( \Delta \lt 0 \) l’equazione associata è impossibile, e anche il sistema è impossibile.

Esempio: risolviamo il seguente sistema simmetrico: \[ \begin{cases} x+y = 3\sqrt{3} \\ xy = 6 \end{cases} \]

dobbiamo determinare due numeri tali che la loro somma sia uguale a \( 3 \sqrt{3} \) , e il loro prodotto sia uguale a 6; l’equazione che dobbiamo risolvere è quindi la seguente:

\( t^2 – (x+y)t +xy = 0 \)

\(t^2 – 3\sqrt{3}t + 6 = 0 \)

determiniamo i valori di t:

\( t = \frac{3\sqrt{3}\pm \sqrt{(3\sqrt{3})^2-4\cdot 6}}{2} = \frac{3\sqrt{3}\pm\sqrt{27-24}}{2} = \frac{3\sqrt{3}\pm\sqrt{3}}{2} \)

\( t_1 = \frac{3\sqrt{3}+\sqrt{3}}{2} = \frac{4\sqrt{3}}{2} = 2\sqrt{3} \)

\( t_2 = \frac{3\sqrt{3}-\sqrt{3}}{2} = \frac{2\sqrt{3}}{2} = \sqrt{3} \)

Quindi, le soluzioni del sistema sono:

\( \begin{cases} x = \sqrt{3} \\ y = 2 \sqrt{3} \end{cases} \,\,\,\, , \,\,\,\, \begin{cases} x = 2\sqrt{3} \\ y = \sqrt{3} \end{cases} \)

 

Equazioni irrazionali con radicali quadratici

Un’equazione nell’incognita x si dice irrazionale quando al suo interno compaiono dei radicali che hanno, come radicando, un’espressione contenente x.

Per procedere nello studio di queste equazione, ricordiamo che :

  • le condizioni di esistenza ( C.E. ) di un radicale con indice pari si hanno ponendo il radicando maggiore o uguale a zero;
  • il dominio di un’equazione è l’insieme dei valori che, sostituiti all’incognita dell’equazione, la rendono un’uguaglianza vera.

Alcune equazioni irrazionali con radicali quadratici possono essere risolte in modo immediato; vediamo alcuni casi; chiamiamo f(x) un polinomio nell’incognita x, e consideriamo le seguenti equazioni:

  • \( \sqrt{f(x)} = -a\mbox{, } \,\, a \gt 0 \)

poiché una radice quadrata è sempre positiva ( o nulla ), non potrà mai essere uguale ad un valore negativo; concludiamo, quindi, che l’equazione è impossibile.

  • \( \sqrt[2n+1]{f(x)} = 0\mbox{, } \,\, n \in \mathbb{N^*} \)

sappiamo che una radice, di indice dispari, è uguale a zero se e solo se il suo radicando è zero; perciò, le soluzioni si ottengono risolvendo la seguente equazione: \( f(x) = 0 \)

  • \( \sqrt{f(x)} + \sqrt{g(x)} = 0 \)

poiché due radicali on indice pari sono sempre positivi o nulli, l’equazione ammette soluzioni se e solo se entrambi i radicandi sono uguali a zero; quindi, abbiamo che:

\[ f(x) = 0 \wedge g(x) = 0 \]

Vediamo ora dei metodi generali per la risoluzione di equazioni irrazionali.

Per risolvere un’equazione irrazionale, dobbiamo cercare per prima cosa di eliminare i radicali, e per farlo si elevano entrambi i membri dell’equazione, una o più volte, all’indice della radice.

Esaminiamo due metodi possibili con i quali si può procedere:

Risoluzione con verifica delle soluzioni

Supponiamo che nell’equazione compaiano radicali quadratici; il procedimento può essere applicato qualunque sia l’indice delle radici.

Il procedimento con verifica delle soluzioni si effettua in questo modo:

  • si elevano al quadrato, una o più volte, entrambi i membri dell’equazione, fino ad ottenere un’equazione razionale;
  • si trovano le soluzioni dell’equazione ottenuta;
  • si esegue una verifica delle soluzioni per stabilire quali delle soluzioni trovate possano essere accettate, sostituendo ciascuna soluzione all’incognita nell’equazione irrazionale.

Esempio: risolviamo la seguente equazione irrazionale:

\[ \sqrt{2x-3} = 5 – 2x \]

cerchiamo di eliminare la radice e di rendere l’equazione razionale; eleviamo primo e secondo membro alla seconda:

\( \Big( \sqrt{2x-3}\Big)^2 = (5-2x)^2 \)

\( 2x – 3 = 25 + 4x^2 – 20x \)

portiamo tutti i termini al primo membro e rendiamo l’equazione in forma normale:

\( -4x^2 + 2x – 3 – 25 + 20x = 0 \)

\( -4x^2 + 22x – 28 = 0 \rightarrow 2x^2 – 11x + 14 = 0 \)

determiniamo le soluzioni dell’equazione:

\(  x = \frac{11 \pm \sqrt{11^2-4\cdot 2 \cdot 14}}{2 \cdot 2} = \frac{11 \pm \sqrt{121 – 112}}{4} = \frac{11 \pm \sqrt{9}}{4} = \frac{11 \pm 3}{4} \)

\( x = \frac{11+3}{4} \vee x = \frac{11 – 3}{4} \rightarrow x = \frac{14}{4} \vee x = \frac{8}{4} \rightarrow x = \frac{7}{2} \vee x = 2 \)

Ora, per verificare se le soluzioni trovate sono accettabili o meno, dobbiamo sostituirle nella prima equazione, quella irrazionale; cominciamo dalla prima soluzione:

\( \sqrt{2 \cdot \frac{7}{2} -3} = 5 – 2 \cdot \frac{7}{2} \)

\( \sqrt{7-3} = 5-7 \rightarrow \sqrt{4} = -2 \rightarrow 2 = -2 \)

dato che abbiamo ottenuto un’uguaglianza falsa, non possiamo accettare questa soluzione; proviamo con l’altra:

\( \sqrt{2 \cdot 2 – 3} = 5 – 2 \cdot 2\)

\( \sqrt{4-3} = 5 – 4 \rightarrow \sqrt{1} = 1 \rightarrow 1= 1 \)

In questo caso, otteniamo un’uguaglianza vera; concludiamo che l’unica soluzione dell’equazione irrazionale è x = 2.

 

Risoluzione con le condizioni di accettabilità

A differenza del metodo precedente, in questo caso, prima di procedere con la risoluzione dell’equazione, si pongono le condizioni di accettabilità delle soluzioni; le soluzioni che si ottengono dall’equazione razionale dovranno quindi soddisfare le condizioni di appartenenza al dominio dell’equazione, cioè le condizioni di esistenza, e le condizioni di concordanza del segno tra i due membri dell’equazione.

Vediamo un esempio:

consideriamo l’equazione irrazionale dell’esempio precedente:

\( \sqrt{2x -3} = 5 – 2x \)

Per prima cosa, essendo la radice di indice pari, poniamo le condizioni di esistenza della radice stessa:

\( \mbox{C.E.: } 2x – 3 \ge 0 \rightarrow x \ge \frac{3}{2} \)

Notiamo, poi, che il primo membro, essendo una radice di indice pari, sarà sempre positivo o nullo; dobbiamo quindi imporre la condizione di concordanza del segno per il secondo membro:

\( \mbox{C.C.S.: } 5 – 2x \ge 0 \rightarrow x \le \frac{5}{2} \)

Le soluzioni che troveremo dovranno soddisfare contemporaneamente entrambe le condizioni, quindi, per ottenere le condizioni di accettabilità delle soluzioni, mettiamo a sistema le due condizioni precedenti:

\( \begin{cases} x \ge \frac{3}{2} \\ x \le \frac{5}{2} \end{cases} \rightarrow \mbox{C.A.: } \frac{3}{2} \le x \le \frac{5}{2} \)

Procediamo ora con la risoluzione dell’equazione:

\( \sqrt{2x – 3} = 5 – 2x \rightarrow 2x – 3 = 25 + 4x^2 -20x \)

\( 2x^2 – 11x + 14 = 0 \rightarrow x = \frac{7}{2} \vee x = 2 \)

Dobbiamo ora confrontare le soluzioni ottenute, e vedere se sono comprese nell’intervallo delle condizioni di accettabilità; dato che 7/2 > 5/2, escludiamo questa soluzione, in quanto con appartiene all’intervallo; invece, poiché 2 è compreso tra 3/2 e 5/2, possiamo accettare la soluzione x = 2.

Sulla base di quest’ultimo esempio, possiamo affermare che tutte le equazioni del tipo

\[ \sqrt{f(x)} = g(x) \]

possono essere risolte determinando le soluzioni del seguente sistema:

\[ \begin{cases} g(x) \ge 0 \\ f(x) = [g(x)]^2 \end{cases} \]

 

Equazioni irrazionali con radicali di indice dispari

Le equazioni irrazionali che hanno radici con indici dispari, possono essere risolte più facilmente di quelle con indice pari, in quanto non dobbiamo preoccuparci di porre condizioni di esistenza o di accettabilità delle soluzioni.

Risoluzione

Il procedimento risolutivo delle equazioni irrazionali con radicali di indice dispari, avviene in maniera simile rispetto a quelle con radicali quadratici;

per risolvere le equazioni, infatti, si cerca sempre di eliminare le radici per ottenere un’equazione razionale equivalente.

Inoltre, dopo aver trovato le soluzioni dell’equazione razionale non è necessario effettuare una verifica delle soluzioni: possiamo accettare tutte le soluzioni trovate.

Esempio: risolviamo la seguente equazione irrazionale:

\[ \sqrt[3]{x^3+4x^2-3} = x + 1 \]

Possiamo procedere subito elevando al cubo sia il primo che il secondo membro dell’equazione:

\( \Big( \sqrt[3]{x^3+4x^2-3} \Big)^3 = (x+1)^3 \)

eliminiamo la radice e calcoliamo il cubo del binomio:

\( x^3 +4x^2 – 3 = x^3 + 1 + 3x^2 + 3x \)

portiamo tutti i termini al primo membro, semplificando gli eventuali termini simili, e rendendo l’equazione in forma normale:

\( 4x^2 – 3 – 1 – 3x^2 – 3x = 0 \)

\( x^2 – 3x – 4 = 0 \)

Calcoliamo ora le radici dell’equazione:

\( x= \frac{3\pm\sqrt{3^2+4\cdot 4}}{2} = \frac{3\pm\sqrt{9+16}}{2} = \frac{3\pm \sqrt{25}}{2} = \frac{3\pm 5}{2} \)

\( x= \frac{3+5}{2} \vee x = \frac{3-5}{2} \rightarrow x = \frac{8}{2} \vee x = \frac{-2}{2} \rightarrow x = 4 \vee x = -1 \)

Possiamo accettare le soluzioni trovate come soluzioni anche dell’equazione irrazionale, senza effettuare alcuna verifica delle soluzioni.

Altri tipi di equazioni irrazionali

Vediamo ora come risolvere, in generale, tutti i tipi di equazioni irrazionali che hanno radicali con indice maggiore di 3. In generale, possiamo fare le seguenti considerazioni:

  • Elevando entrambi i membri di un’equazione ad una potenza con esponente pari, si ottiene un’equazione che non è equivalente a quella alla precedente, in quanto può avere soluzioni che non possono essere accettate per l’equazione di partenza (soluzioni estranee);
  • elevando entrambi i membri di un’equazione ad una potenza con esponente dispari, si ottiene un’equazione equivalente a quella data.

Possono capitare dei casi in cui siano presenti nell’equazione due o più radici, che possono avere indici uguali, ma anche diversi.

In questi casi, se abbiamo a che fare con più radicali, dovremmo elevare al quadrato più volte entrambi i membri dell’equazione; vediamo un esempio:

Risolviamo la seguente equazione: \( \displaystyle \sqrt{x-2} = \sqrt{8-x}-2 \)

Per prima cosa, poniamo le condizioni di esistenza dei radicali:

\( \begin{cases} x-2 \ge 0 \\ 8-x \ge 0 \end{cases} \rightarrow \begin{cases} x\ge 2 \\ x \le 8 \end{cases} \rightarrow \mbox{C.E.: } 2 \le x \le 8 \)

Ora, scriviamo l’equazione nella forma equivalente

\( \sqrt{x-2}+2 = \sqrt{8-x} \)

in modo che, in base alle condizioni di esistenza, siano verificate anche le condizioni di concordanza di segno fra primo e secondo membro; possiamo scrivere quindi:

\( \mbox{C.A.: } 2 \le x \le 8 \)

Ora, possiamo procedere elevando entrambi i membri alla seconda:

\( \Big( \sqrt{x-2} + 2 \Big)^2 = \Big( \sqrt{8-x}\Big)^2 \)

Calcoliamo i due quadrati:

\( x – 2 + 4 + 4 \sqrt{x-2} = 8 -x \)

Lasciamo il radicale al primo membro, e portiamo tutti gli altri termini al secondo; poi, semplifichiamo l’equazione:

\( 4 \sqrt{x-2} = 8 – x – x + 2 – 4 \)

\( 4 \sqrt{x-2} = 6 – 2x \rightarrow 2 \sqrt{x-2} = 3 – x \)

Eleviamo nuovamente al quadrato entrambi i membri dell’equazione:

\( \Big( 2\sqrt{x-2} \Big)^2 = (3-x)^2 \)
Calcoliamo i quadrati:

\( 4x – 8 = 9 + x^2 – 6x \)

\( 4x – 8 – 9 – x^2 + 6x = 0 \rightarrow x^2 – 10x + 17 = 0 \)

Determiniamo ora le soluzioni dell’equazione:

\( x = \frac{5\pm \sqrt{25-17}}{1} = 5 \pm \sqrt{8} = 5 \pm 2\sqrt{2} \)

Confrontando le soluzioni trovate con le condizioni di esistenza dell’equazione, possiamo concludere che l’unica soluzione dell’equazione è \( x = 5 – 2 \sqrt{2} \).

Se i radicali hanno indici diversi, invece, dobbiamo elevare entrambi i membri dell’equazione ad una potenza in modo tale da eliminare tutte le radici presenti; generalmente, si sceglie l’esponente uguale al minimo comune multiplo degli esponenti delle radici presenti.

Esempio: risolviamo la seguente equazione:

\[ \sqrt[4]{x^2+5x+6} = \sqrt{x+4} \]

Prima di cominciare con i calcoli, notiamo che le due radici che compaiono hanno indice pari; dobbiamo quindi porre le condizioni di esistenza:

\( \begin{cases} x^2+5x +6 \ge 0 \\ x+4 \ge 0 \end{cases} \rightarrow \begin{cases}  x \le -3 \vee x \ge -2 \\ x \ge -4 \end{cases} \)

da cui otteniamo:

\( \mbox{C.E.: } -4 \le x \le -3 \vee x \ge -2 \)

Notiamo che compaiono due radicali che hanno indice diverso; poiché

\( \mbox{m.c.m.} (4,2) = 4 \)

per eliminare entrambe le radici, dobbiamo elevare entrambi i membri dell’equazione per il minimo comune multiplo degli indici delle radici:

\( \Big( \sqrt[4]{x^2 + 5x + 6}\Big)^4 = \Big( \sqrt{x+4}\Big)^4 \)

procediamo con i calcoli:

\( x^2 + 5x + 6 = (x+4)^2 \)

\( x^2 +  5x + 6 = x^2 + 16 + 8x \)

portiamo tutti i termini a primo membro e risolviamo l’equazione:

\( x^2 + 5x + 6 – x^2 – 16 – 8x = 0 \)

\( -3x – 10 = 0 \rightarrow x = – \frac{10}{3} \)

La soluzione ottenuta può essere accettata, perché si ha:

\( -4 \le \frac{10}{3} \le -3 \)

 

Teorema di Darboux o dei valori intermedi

Enunciato del teorema di Darboux o dei valori intermedi

Enunciato: Sia ?(?) una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato [?,?]. Allora ?(?) assume almeno una volta tutti i valori compresi tra il suo minimo e il suo massimo nell’intervallo [?,?].

Osservazione 1: Cerchiamo di comprendere in termini più semplici quanto affermato dal teorema di Darboux o dei valori intermedi. Supponiamo di avere una linea curva tracciata senza mai alzare la matita dal foglio; questa avrà naturalmente un punto più in basso e un punto più in alto di tutti. Il teorema sostiene che è impossibile che la nostra curva colleghi questi due quote differenti senza passare per tutte le quote intermedie, il che è un fatto di cui risulta piuttosto semplice convincersi.

Dimostrazione del teorema di Darboux o dei valori intermedi

Dimostrazione: In primo luogo notiamo che, essendo la funzione ?(?) continua in [?,?], il quale a sua volta è un intervallo chiuso e limitato, il teorema di Weierstrass è applicabile. Ciò significa che ?(?) assume su [?,?] tanto un minimo ? quanto un massimo ?, ed è ovvio che ? ≤ ?. Sia allora ? un qualsiasi numero reale appartenente all’intervallo [?,?] sulle ordinate, cioè ? ≤ ? ≤ ?: vogliamo far vedere che esiste almeno un \( \tilde{x} \in [a, b] \) tale che \( f(\tilde{x})=n \).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Consideriamo a questo scopo la funzione ?(?)=?(?)−?. Poiché essa è una differenza di funzioni continue, ?(?) è essa stessa continua; inoltre essa è certamente ancora definita sull’intervallo chiuso e limitato [?,?]. Queste due affermazioni, per altro di assai semplice dimostrazione, sono rese evidenti dal fatto che il grafico di ?(?) coincide con quello di ?(?), ma è tracciato più in basso di esso di una quantità ?. Nell’immagine, il grafico di ?(?) è tracciato in blu, mentre quello di ?(?) appare in viola. Poichè per ?(?) valgono tutte le ipotesi del teorema di Bolzano o degli zeri, esisterà certamente un ?̃ ∈ [?,?] tale che

\( g(\tilde{x}) = 0 \Rightarrow f(\tilde{x}) – n = 0 \Rightarrow f(\tilde{x}) = n \)

Ciò prova, come volevamo, l’esistenza di \( \tilde{x} \in [a, b] \) tale che \(f(\tilde{x}) = n \). Visto ora che ? era un numero reale qualunque compreso tra ? e ?, il risultato per esso ottenuto vale per tutti i valori appartenenti a [?,?]. Così abbiamo che tutti i valori intermedi tra il minimo e il massimo della funzione sono assunti almeno una volta, il quale è giusto ciò che si voleva provare. ∎

Osservazione 2: Come si è visto nel corso della dimostrazione, l’ipotesi fatta sull’intervallo [?,?] di chiusura e limitatezza serve al fine di garantire l’applicabilità del teorema degli zeri e di quello di Weirstrass. In effetti, se in particolare il secondo non valesse, allora non si potrebbe neppure dire con certezza che la funzione assume minimo e massimo.

Osservazione 3: L’ipotesi di continuità della ?(?) interviene nella dimostrazione allorché occorre implicare la continuità della funzione ?(?), a sua volta necessaria all’applicazione finale del teorema degli zeri.

Osservazione 4: Se tutte le ipotesi del teorema di Darboux sono rispettate, allora la ?(?) ammette assume effettivamente almeno una volta tutti i valori compresi tra il suo minimo e il suo massimo nell’intervallo [?,?]. Se invece qualche ipotesi non è verificata, nulla si può concludere riguardo la funzione; in questo caso ?(?) potrebbe sia non assumere, sia assumere una o più volte ciascuno dei valori compresi tra il suo minimo e il suo massimo. Può anche darsi il caso che ?(?) non sia neppure tale da ammettere minimo o massimo, non valendo in questo caso il teorema di Weierstrass: si confronti l’osservazione 2.

Esempi di applicazione del teorema di Darboux o dei valori intermedi

Esempio 1: funzione continua in un intervallo chiuso e limitato.

Consideriamo la funzione ?(?)=ln? nell’intervallo \( \Big[\frac{1}{e^2}, e \Big] \), il cui grafico è rappresentato nella figura sottostante:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il logaritmo naturale non è una funzione continua, poiché ha una discontinuità di seconda specie nel punto ?=0; dal momento però che \( \frac{1}{e^2} \gt 0 \), tale discontinuità è esclusa dal nostro intervallo, nel quale il logaritmo risulta perciò una funzione continua. Essendo poi \( \Big[\frac{1}{e^2}, e \Big] \) un intervallo chiuso e limitato, possiamo applicare il teorema di Weierstrass e così affermare che esistono almeno un minimo e un massimo per ?(?) nell’intervallo dato. Siccome il logaritmo è una funzione crescente, il minimo e il massimo saranno assunti in corrispondenza dell’estremo sinistro e destro dell’intervallo considerato, e perciò sarà

\( m = f\Big(\frac{1}{e^2}\Big) = \ln\Big(\frac{1}{e^2}\Big) = -2 \,\,\,\, \mbox{e} \,\,\,\, M = f(e) = \ln e = 1 \)

Tutte le ipotesi del teorema di Darboux sono, come già visto, verificate. Controlliamo allora che valga anche il suo risultato, mostrando che per ogni ? ∈ (−2,1) esiste un \( \tilde{x} \in \Big[\frac{1}{e^2}, e \Big] \) tale che \( f(\tilde{x}) = n \). In questo caso ?̃ può addirittura essere calcolato, risultando

\( n = f(\tilde{x}) = \ln \tilde{x} \Rightarrow \tilde{x} = e^n \)

Resta da controllare che \( \tilde{x} \in \Big[\frac{1}{e^2}, e\Big] \); d’altra parte la crescenza dell’esponenziale assicura questo risultato qualora ? ∈ (−2,1), che è proprio il caso in cui ci siamo posti. Il teorema di Darboux è così verificato.

Esempio 2: funzione discontinua.

Facciamo ora il caso della funzione \( f(x) = \frac{x}{|x|} + \sin x \), nell’intervallo \( \Big[−\frac{5\pi}{4},\frac{5\pi}{4} \Big] \). L’immagine seguente rappresenta in grigio il grafico di tutta la funzione, ed evidenzia in blu la parte compresa nell’intervallo che abbiamo deciso di considerare:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Benché l’intervallo\( \Big[−\frac{5\pi}{4},\frac{5\pi}{4} \Big] \) sia naturalmente chiuso e limitato, il teorema di Darboux non è applicabile. Infatti se calcoliamo i limiti destro e sinistro della funzione in 0 scopriamo che essi non sono uguali

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \Big(\frac{x}{|x|} + \sin x\Big) = -1 + 0 = -1 \]

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{+}} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0^{+}}\Big(\frac{x}{|x|} + \sin x\Big) = 1 + 0 = 1 \]

e per giunta sono anche distinti dal valore della funzione in 0, essendo ?(0)=0. Dunque ?(?) ha una discontinuità di prima specie per ?=0, e ciò non le consente di verificare le ipotesi del teorema dei valori intermedi. In verità alla funzione non è applicabile neppure il teorema di Weierstrass, ma nonostante ciò essa possiede un minimo e un massimo. Poiché infatti sia il seno sia il segno di ? sono funzioni limitate tra i valori −1 e 1, i valori minimo e massimo teoricamente raggiungibili dalla nostra ?(?) sono −2 e 2. Visto che

\( f\Big(\frac{\pi}{2}\Big) = \frac{\frac{\pi}{2}}{\Big|\frac{\pi}{2}\Big|} + \sin \frac{\pi}{2} = 1 + 1 = 2 \)

\( f\Big(-\frac{\pi}{2}\Big) = \frac{\frac{-\pi}{2}}{\Big|\frac{-\pi}{2}\Big|} + \sin \Big(\frac{-\pi}{2}\Big) = -1 – 1 = -2 \)

allora ?(?) ha minimo e massimo nell’intervallo dato. In virtù dell’osservazione 4, non ci aspettiamo che l’inapplicabilità del teorema di Darboux implichi che qualche valore ? ∈ (−2,2) necessariamente non sia assunto dalla funzione, ma in questo caso è proprio così. Infatti

\( f\Big(-\frac{5\pi}{4}\Big) = \frac{\frac{-5\pi}{4}}{\Big|\frac{-5\pi}{4}\Big|} + \sin \Big(-\frac{5\pi}{4}\Big) = -1 +\frac{\sqrt{2}}{2} \)

 

\( f\Big(\frac{5\pi}{4}\Big) = \frac{\frac{5\pi}{4}}{\Big|\frac{5\pi}{4}\Big|} + \sin \Big(\frac{5\pi}{4}\Big) = 1 -\frac{\sqrt{2}}{2} \)

 

cosicché se \( n \in \Big(\frac{\sqrt{2}}{2} – 1, 1 – \frac{\sqrt{2}}{2}\Big) \)  e \( n \ne 0 \) non esiste alcun \( \tilde{x} \) tale che \( f(\tilde{x}) = n \).

Esempio 3: funzione discontinua.

Consideriamo nuovamente la funzione dell’esempio 2, ma adesso l’intervallo interessante sia \( \Big(−\frac{3\pi}{2}, \frac{3\pi}{2}\Big)\); il prossimo grafico rappresenta questa nuova situazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal momento che \( 0 \in \Big(-\frac{3\pi}{2},\frac{3\pi}{2}\Big) \), l’intervallo contiene l’unica discontinuità di prima specie della ?(?) e per questo essa è discontinua. Per giunta l’intervallo dato è aperto sia a destra che a sinistra, quindi nessuno dei teoremi sulla continuità fin qui studiati risulta applicabile. In particolare non si può utilizzare il teorema di Weierstrass, ma siccome \(\pm\frac{\pi}{2} \in (-\frac{3\pi}{2},\frac{3\pi}{2}\Big) \) la funzione, come prima, ammette ancora −2 e 2 come minimo e massimo. Se calcoliamo

\[ \lim_{x\rightarrow \pi\frac{3\pi}{2}} f(x) = \lim_{x\rightarrow \pi\frac{3\pi}{2}} \Big(\frac{x}{|x|} + \sin x \Big) = \pm 1 \mp 1 = 0 \]

scopriamo però che la ?(?) assume in realtà tutti i valori compresi tra il suo minimo e il suo massimo, benchè il teorema di Darboux risulti non applicabile. Infatti per \( \tilde{x} \in \Big(0, \frac{3\pi}{2}\Big) \) abbiamo \(f(\tilde{x}) \in (0,2]\), per \( \tilde{x} \in \Big(-\frac{3\pi}{2},0\Big)\) abbiamo \(f(\tilde{x}) \in [-2,0) \) e infine se \( \tilde{x} = 0 \) si ha ?(?̃)=0. Ciò prova che per un’opportuna scelta di \( \tilde{x} \in \Big(-\frac{3\pi}{2},\frac{3\pi}{2}\Big) \) tutti i valori di [−2,2] vengono raggiunti da \( f(\tilde{x}) \), cioè lo stesso risultato che avremmo potuto ottenere dal teorema di Darboux. Questa conclusione riafferma ancora la veridicità dell’osservazione 4.

 

Infiniti

Una funzione y = f(x) si dice infinita per x → c, finito o infinito, se, per x → c, il suo limite è infinito:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = \infty \]

Si dice anche che la funzione f(x) è un infinito per x che tende a c.

Esempi di funzioni che sono infiniti:

  • La funzione f(x) così definita: \[ f(x) = x^5 + 3x^2 + 2x – 1 \]

così come ogni funzione costituita da un polinomio di grado n, n > 0, è un infinito, in quanto si ha: \[ \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = \lim_{x \rightarrow \infty} (x^5+3x^2+2x-1) = \infty \]

  • La funzione radice quadrata, f(x) = √x, in quanto abbiamo che: \[ \lim_{x \rightarrow + \infty} f(x) = \lim_{x \rightarrow +\infty} \sqrt{x} = \infty \]
  • La funzione \( \displaystyle f(x) = \frac{1}{x-1} \)

Poiché, per x che tende a 1, essa tende a infinito:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow 1} f(x) = \lim_{x \rightarrow 1} \frac{1}{x-1} = \infty \)

Così come per gli infinitesimi, anche con gli infiniti, spesso, è necessario confrontare due funzioni infinite per x che tende allo stesso valore, con lo scopo di determinare quale delle due tenda ad infinito più rapidamente. Per farlo, si analizza il limite del rapporto delle due funzioni, che si presenterà nella forma indeterminata [∞/∞].

Vediamo i casi possibili che si possono presentare, considerando due funzioni f(x) e g(x) infinite per x → c:

  • Se il limite del rapporto delle due funzioni è infinito, cioè se: \[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{g(x)} = \infty \]

allora, possiamo affermare che la funzione f(x) tende all’infinito più rapidamente di g(x), e pertanto, viene definita infinito di ordine superiore a g(x).

  • Se il limite del rapporto delle due funzioni è zero, cioè se: \[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{g(x)} = 0 \]

allora, in questo caso, la funzione g(x) tende all’infinito più rapidamente di f(x), che viene quindi detta infinito di ordine inferiore a g(x).

  • Se il limite del rapporto delle due funzioni è un valore l, diverso da zero, cioè se: \[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{g(x)} = l \,\,\,\, , \,\,\,\, l \ne 0 \]

possiamo affermare che le due funzioni f(x) e g(x) tendono all’infinito con la stessa rapidità, e sono quindi infiniti dello stesso ordine.

  • Se, invece, il limite del rapporto delle due funzioni non esiste, si dice che le funzioni f(x) e g(x) sono degli infiniti non confrontabili.

Ordine e parte principale di un infinito

Consideriamo due funzioni f(x) e φ(x) infinite per x → c; f(x) si dice infinito di ordine n, se il rapporto tra f(x) e la potenza n-esima di φ(x) è una valore l diverso da zero, cioè se:

\[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} = l \,\,\,\, , \,\,\,\, l \ne 0 \]

Come per le funzioni infinitesime, anche in questo caso, possiamo rappresentare le funzioni con la scrittura fuori dal segno di limite, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} = l \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} – l = 0 \]

Quindi, se la funzione δ(x) è tale che:

\[ \delta(x) = \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} – l \]

Possiamo scrivere la funzione f(x) come somma di due funzioni infinite, in questo modo:

\[ f(x) = l \cdot [\phi(x)]^n + \delta(x) \cdot [\phi(x)]^n \]

I due addendi che compaiono nella somma vengono definiti, rispettivamente, parte principale e parte complementare di f(x). In particolare, la parte principale è un infinito dello stesso ordine di f(x), mentre la parte complementare è un infinito di ordine inferiore di f(x).

Esempio: Consideriamo le due seguenti funzioni, entrambe infinite per x che tende all’infinito:

\[ f(x) = 3x^2 – 2x + 1 \,\,\,\, , \,\,\,\, g(x) = x^2 \]

Per confrontare le due funzioni calcoliamo il limite del loro rapporto:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{f(x)}{g(x)} = \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{3x^2-2x+1}{x^2} \]

Come possiamo notare, il limite si presenta nella forma indeterminata [∞/∞], ma sappiamo che, poiché entrambi polinomi del numeratore e del denominatore sono di secondo grado, il valore del limite è dato dal rapporto dei coefficienti della x di grado massimo:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{3x^2-2x+1}{x^2} = \frac{3}{1} = 3 \]

Dato che il limite del rapporto delle funzioni è un valore diverso da zero, possiamo concludere che g(x) e f(x) sono infiniti dello stesso ordine, e in particolare, f(x) è un infinito di secondo ordine rispetto a g(x).

 

Infinitesimi

Definizione. Una funzione f(x) si dice infinitesima per x → c, finito o infinito, se il limite della funzione, per x → c, è zero:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = 0 \]

Si dice anche che f(x) è un infinitesimo per x → c.

Alcuni esempi di funzioni infinitesime sono le seguenti:

  • La funzione f(x) = x, per x → 0, in quanto si ha: \[ \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = \lim_{x \rightarrow} x = 0 \]
  • La funzione f(x) = x – 1, per x → 1, in quanto si ha: \[ \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0} (x -1) = 1 – 1 = 0 \]
  • La funzione \( f(x) = \sqrt{x} \), per x → 0, in quanto si ha: \[ \lim{x \rightarrow 0} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0} \sqrt{x} = 0 \]
  • La funzione \( f(x) = 1 – \cos x\), per x → 0, in quanto si ha: \[ \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = \lim_{x \rightarrow 0} (1-\cos x) = 1 – 1 = 0 \]
  • La funzione f(x) = 1/x, per x → ∞, in quanto si ha: \[ \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{1}{\infty} = 0 \]

Molto spesso, occorre confrontare due funzioni infinitesime per stabilire quale di esse tenda a zero più velocemente, e questa operazione si applica, di solito, calcolando il limite del rapporto di tali funzioni.

Consideriamo, per esempio, due funzioni infinitesime per x → c f(x) e g(x), e il loro rapporto f(x)/g(x); sappiamo che, per x → c, entrambe tendono a zero, quindi il limite del rapporto:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{f(x)}{g(x)} \]

si presenta nella forma indeterminata [0/0].

Eliminando questa indeterminazione, e calcolando il valore del limite, possono presentarsi tre casi:

  • Se il limite del rapporto è zero, cioè se si ha: \[\lim_{x \rightarrow 0} \frac{f(x)}{g(x)} = 0 \]

significa che la funzione f(x) tende a zero più velocemente di g(x), e pertanto f(x) viene definita infinitesimo di ordine superiore a g(x).

  • Se il limite del rapporto è infinito, cioè se si ha: \[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{f(x)}{g(x)} = \infty \]

significa che la funzione g(x) tende a zero più rapidamente di f(x), quindi f(x) viene definita infinitesimo di ordine inferiore a g(x), poiché tende a zero più lentamente.

  • Se, invece, il limite del rapporto è un valore diverso da zero o da infinito, cioè se si ha: \[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{f(x)}{g(x)} = l \,\,\,\, , \,\,\,\, l \ne 0 \]

si dice che f(x) e g(x) sono infinitesimi dello stesso ordine, in quanto, per x → c, tendono a zero con la stessa rapidità.

  • Nel caso in cui, invece, il limite del rapporto delle due funzioni non esiste si dice che gli infinitesimi non sono confrontabili.

Ordine di un infinitesimo

Consideriamo due funzioni f(x) e φ(x), entrambe infinitesime per x → c. Se il limite del rapporto tra f(x) e la potenza n-esima di φ(x) è un valore diverso da zero, cioè se: \[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} = l \,\,\,\, , \,\,\,\, l \ne 0 \]

si dice che f(x) è un infinitesimo di ordine n ( n > 0 ) rispetto a φ(x), assunto come infinitesimo campione, o principale.

Esempio: Uno dei limiti notevoli principali riguarda il coseno di un angolo, ed è il seguente:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{1-\cos x}{x^2} = \frac{1}{2} \]

Se consideriamo il numeratore e il denominatore come due funzioni separate, possiamo considerare la funzione come rapporto di due funzioni infinitesime. Poiché al denominatore abbiamo x alla seconda, e il limite del rapporto tende al un valore finito diverso da zero, possiamo affermare che la funzione al numeratore, f(x) = 1 – cos x, è un infinitesimo di ordine due.

Scrittura fuori dal segno di limite

Consideriamo una funzione f(x) che, per x → c, tende ad un valore l diverso da zero:

\(\displaystyle \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = l \,\,\,\, , \,\,\,\, l \ne 0 \)

Possiamo dire, quindi, che la differenza tra la funzione stessa e il suo limite è una funzione infinitesima, poiché si ha:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow 0} f(x) = l \Rightarrow \lim_{x\rightarrow 0} [f(x) -l] = 0 \)

Se chiamiamo la funzione δ(x) = f(x) – l, otteniamo la seguente relazione, che prende il nome di scrittura fuori al segno di limite:

\( f(x) = \delta(x) + l \)

 

Parte principale di un infinitesimo

Consideriamo una funzione f(x) infinitesima di ordine n:

\(\displaystyle \lim_{x \rightarrow 0} \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} = l \,\,\,\, , \,\,\,\, l \ne 0 \)

Come abbiamo visto in precedenza, possiamo scrivere la funzione f(x) con la scrittura fuori dal segno di limite, cioè:

\(\phi(x) = \frac{f(x)}{[\phi(x)]^n} – l \Rightarrow f(x) = l \cdot [\phi(x)]^n + \delta(x) \cdot [\phi(x)]^n \)

La funzione f(x) è stata riscritta come somma di due infinitesimi, che prendono il nome, rispettivamente, parte principale e parte complementare della funzione:

\( l \cdot [\phi(x)]^n \rightarrow \mbox{ parte principale} \)

\( \delta(x) \cdot [\phi(x)]^n \rightarrow \mbox{ parte principale} \)

 

Limiti notevoli

Vi sono alcuni casi in cui, per determinate funzioni, non è possibile calcolare immediatamente un limite. Tuttavia, può essere dimostrato come tali funzioni tendano ad un valore particolare; questo tipo di funzioni dà luogo a dei limiti particolari, che vengono chiamati limiti notevoli.

Vediamo i limiti notevoli più importanti.

Limiti notevoli per x che tende a zero

I seguenti limiti notevoli, che valgono per x che tende a zero, riguardano funzioni i cui limiti presentano forme di indeterminazione del tipo:

\(\displaystyle [+\infty -\infty], [0\cdot \infty], \Big[\frac{0}{0}\Big], \Big[\frac{\infty}{\infty}\Big] \)

  • Il seguente limite notevole riguarda le funzioni logaritmiche; si può applicare sia nel caso di una base generica a del logaritmo, sia nel caso in cui la base sia il numero di Nepero e.
\[ \lim_{x\rightarrow 0} \frac{\log_a (1+x)}{x} = \log_a e \mbox{ , } \lim_{x \rightarrow 0} \frac{\log(1+x)}{x} = 1 \]
  • Il limite notevole seguente riguarda le funzioni esponenziali, ed è valida nel caso in cui la base dell’espo2nenziale sia positiva:
\[\lim_{x \rightarrow 0} \frac{a^x-1}{x} = \log a \,\,\,\, , \,\,\,\, a \in \mathbb{R^{+}} \]

Il limite precedente si può applicare anche nel caso in cui a = e, e si ha:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{e^x – 1}{x} = 1 \]
  • Il seguente limite notevole riguarda le funzioni goniometriche e, in particolare, afferma che il rapporto fra il seno di un angolo e la misura in radianti dell’angolo stesso tende a 1 quando l’angolo tende a zero:
\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{\sin x}{x} = 1 \]

 

Esempio: Calcoliamo il seguente limite:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{2x + \sin x}{x} \]

Le funzioni che compaiono al numeratore e al denominatore sono funzioni continue; tuttavia, se sostituiamo 1 alla x ci accorgiamo che il limite si presenta nella forma indeterminata [0/0]. Per risolvere tale limite, quindi, dobbiamo cercare di trasformare la funzione, e ricondurla a dei limiti che conosciamo. Possiamo, per esempio, separare i due addendi del numeratore e dividerli per il denominatore in questo modo:

\(\displaystyle \lim_{x \rightarrow 0} \frac{2x+\sin x}{x} =\lim_{x \rightarrow 0} \frac{2x}{x} + \frac{\sin x}{x} = \lim_{x \rightarrow 0} 2 + \frac{\sin x}{x} \]

Notiamo, quindi, che nella funzione così trasformata compare il limite notevole che abbiamo esposto in precedenza; sapendo quindi che, per x → 0 la funzione senx/x tende a 1, il limite dell’esercizio può essere risolto in questo modo:

\[ \lim_{x \rightarrow 0} 2 + \frac{\sin x}{x} = 2 + 1 = 3 \]

 

  • Un altro limite notevole molto importante riguarda il coseno di un angolo, ed è il seguente:
\[ \lim_{x \rightarrow 0} \frac{1-\cos x}{x^2} = \frac{1}{2} \]

Vi sono, poi, altri casi in cui non è possibile determinare immediatamente il limite di funzioni, poiché esse presentano altre forme di indeterminazione, che possono essere di questo tipo:

\( \Big[0^0\Big], \Big[\infty^0\Big], \Big[1^\infty\Big] \)

Molto spesso, le funzioni che presentano questo tipo di indeterminazione sono quelle della forma:

\( y = [f(x)]^{g(x)} \)

Non possiamo dare un metodo preciso che permetta di risolvere questi limiti, ma nella maggior parte dei casi, conviene trasformare la funzione in esponenziale per mezzo della seguente trasformazione:

\( y = e^{g(x) \log[f(x)]} \)

Altre volte, possiamo ricondurci ad uno dei seguenti limiti notevoli:

  • Il seguente limite vale per x che tende all’infinito, ed è uguale ad e ( numero di Nepero ):
\[ \lim_{x \rightarrow \infty} \Big( 1 + \frac{1}{x}\Big)^x = e \]
  • Dal limite precedente, possiamo ricavare un’importante conseguenza; per x che tende a zero, infatti, si ha che:
\[ \lim_{x \rightarrow 0} (1+x)^{\frac{1}{x}} = e \]

Esempio: Calcoliamo il seguente limite:

\[ \lim_{x\rightarrow +\infty} \Big(\frac{1}{x}\Big)^{\frac{1}{\log x+3}} \]

Questo limite si presenta nella forma indeterminata $0^0$, e quindi, non possiamo calcolare immediatamente il suo valore. Quindi, cerchiamo di trasformare la funzione, rendendola in forma esponenziale:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow +\infty} \Big( \frac{1}{x}^{\frac{1}{\log x + 3}}\Big) \)

Ricordando le proprietà dei logaritmi, la funzione che si trova ad esponente può essere scritta nel seguente modo:

\[ \lim_{x \rightarrow + \infty} e^{\frac{1}{\log x + 3}\log(\frac{1}{x})} = \lim_{x \rightarrow + \infty} e^{\frac{\log 1-\log x}{\log x + 3}}  = \lim_{x \rightarrow + \infty} e^{\frac{-\log x}{\log x + 3}} \]

Questa scrittura non ci permette ancora di calcolare il valore del limite, in quanto la funzione che si trova ad esponente presenta una forma di indeterminazione del tipo [∞/∞]. Procediamo, quindi, mettendo in evidenza, a numeratore e a denominatore, \( \log x\):

Possiamo ora semplificare la funzione ad esponente, ed eliminare così l’indeterminazione:

\[ \lim_{x \rightarrow + \infty} e^{\frac{-\log x}{\log x \cdot \Big(1+\frac{3}{\log x}\Big)}} = \lim_{x \rightarrow + \infty} e^{\frac{-1}{1+\frac{3}{\log x}}} \]

Ora, sapendo che \( \log x \) tende all’infinito, la frazione che con denominatore \( \log x \) tende a zero; di conseguenza, la funzione che fa da esponente tende a -1. Il limite, quindi vale 1/e:

\( \lim_{x \rightarrow + \infty} e^{\frac{-1}{1+\frac{3}{\log x}}} = e^{\frac{-1}{1}} = e^{-1} = \frac{1}{e} \)

 

Limiti di funzioni composte e funzioni inverse

Continuità delle funzioni inverse

Consideriamo una funzione del tipo y = f(x), che ha per dominio D, e per codominio C = f(D). Se tra C e D vi è una corrispondenza biunivoca, nel caso in cui, per esempio, la funzione è monotona, allora la funzione f(x) è invertibile, e si ha che:

\[ x = f^{-1}(x) = g(y) \]

è la funzione inversa, definita in C con valori in D. Il seguente teorema ci garantisce la continuità delle funzioni inverse:

Teorema: Se y = f(x) è una funzione continua in un insieme D, ed è invertibile in D, allora la funzione inversa x = g(y) è continua in C = f(D). Sono, pertanto, continue nel loro insieme di definizione le inverse delle funzioni circolari.

Limiti delle funzioni composte

Consideriamo due funzioni y = g(x) e z = f(y), definite rispettivamente, in D e D’. Sappiamo, quindi, che f(y) = f (g(x)) è una funzione composta, che possiamo indicare come ?°?.

Vediamo ora il seguente teorema sul limite della funzione composta:

Teorema : Se f(y) è continua per y = m, e si ha che, per x tendente a c, la funzione g(x) ha per limite m, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} g(x) = m \]

allora, il limite, per x tenente a c, della funzione composta corrisponde al valore assunto da f(y) per y = m:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(g(x)) = f(m) \]

Notiamo che, poiché la funzione g(x) tende ad m, per x tendente a c, possiamo anche riscrivere l’ultima uguaglianza portando il simbolo di limite dentro la funzione f, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(g(x)) = f\Big(\lim_{x\rightarrow c} g(x) \Big) \]

Esempio: Calcoliamo il seguente limite:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} e^{\frac{x+1}{x-1}} \]

Come possiamo notare, la funzione di cui dobbiamo calcolare il limite è data dalla composizione di due funzioni:

\[ f(x) = e^x \mbox{    ,     } g(x) = \frac{x+1}{x-1} \]

La funzione f(x), essendo la funzione esponenziale è continua per ogni x reale. La funzione g(x) è una funzione razionale fratta, e il grado del suo numeratore è uguale al grado del suo denominatore; quindi, il limite è dato dal rapporto tra i coefficienti della x di grado massimo di numeratore e denominatore:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} g(x) = \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{x+1}{x-1} = \frac{1}{1} = 1 \]

Di conseguenza, per il teorema precedente, il limite della funzione composta è dato da:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} e^{\frac{x+1}{x-1}} = e^1 = e \]

 

Continuità delle funzioni composte

Consideriamo g(x), una funzione continua per x = c, essendo m il valore che essa assume per x = c, cioè m = g(c); consideriamo, poi, f(y), una funzione continua per y = m, dove y = g(x). Come abbiamo detto in precedenza, si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(g(x)) = f\Big(\lim_{x \rightarrow c} g(x) \Big) \]

e, per la continuità della funzione g(x), per x = c, tale limite sarà uguale al valore che la funzione assume per x = c; quindi, l’uguaglianza precedente diventa:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(g(x)) = f(g(c)) \]

Possiamo, quindi, affermare che la funzione f(g(x)) è una funzione continua per x = c.

Esempi di funzioni continue

Sapendo che le funzioni composte sono continue, possiamo esaminare alcuni tipi di funzioni, ottenibili componendo altre funzioni, che sono anch’esse continue.

In particolare, consideriamo una funzione di questo tipo:

\[ y = [f(x)]^{g(x)} \]

Essa è definita per tutti i valori di x per i quali la base è positiva, e l’esponente esiste.

Ricordiamo che, per un’identità logaritmica, vale la seguente uguaglianza:

\[ x = a^{\log_a x} \]

che possiamo applicare anche nel caso in cui a = e, cioè:

\[ x = e^{\log x} \]

Qualsiasi potenza, quindi, può essere resa in forma esponenziale con e come base; in particolare, quindi, tornando alla funzione precedente, essa può essere scritta in questo modo:

\[ y = [f(x)]^{g(x)} = e^{\log[f(x)]^{g(x)} = e^{g(x)}\log f(x)} \]

Sapendo che le funzione f e g sono funzioni continue, e verificano il teorema sulle funzioni composte, anche la funzione

\[ y = [f(x)]^{g(x)} \]

è sicuramente continua nel suo dominio.

 

Limiti delle funzioni razionali

Limiti delle funzioni razionali intere

Per x → c (reale)

Una funzione razionale intera può essere espressa come un polinomio in x, cioè una funzione f(x) razionale intera è di questo tipo:

\( f(x) = a_n x^n + a_{n-1} x^{n-1}+ \ldots + a_0 \)

Sappiamo che un polinomio è una funzione continua per ogni x reale, in quanto formato da monomi, che sono funzioni continue su tutto R. Quindi, per calcolare il limite di una funzione razionale intera, per x che tende ad un valore reale c, basta calcolare il valore che assume la funzione per x = c:

\(\displaystyle \lim_{x \rightarrow c} f(x) = f(c) \Rightarrow \lim_{x\rightarrow c}(a_nx^n + a_{n-1}x^{n-1}+\ldots+a_0) = a_n \cdot c^n+a_{n-1}\cdot c^{n-1}+\ldots+a_0 \)

Per x → ∞

Se, invece, vogliamo calcolare il limite di una funzione razionale intera per x che tende all’infinito, si potrebbero presentare dei casi di indeterminazione del tipo [+ ∞ – ∞]. Per eliminarli, possiamo procedere nel seguente modo:

dato il limite:

\(\displaystyle \lim_{x\rightarrow \infty} (a_nx^n+a_{n-1}x^{n-1}+\ldots + a_0) \)

raccogliamo a fattore comune la x con grado massimo:

\(\displaystyle \lim_{x\rightarrow \infty} x^n \Big(a_n + \frac{a_{n-1}}{x}+\ldots+\frac{a_0}{x^n}\Big) \)

In questo modo, sapendo che ogni potenza di x tende all’infinito, per x → ∞, possiamo affermare che ogni frazione che presenta una potenza di x al denominatore tende a zero, poiché è della forma a/∞, quindi:

\(\displaystyle \lim_{x\rightarrow c} \frac{a_{n-1}}{x} = \ldots = \lim_{x\rightarrow c} \frac{a_0}{x^n} = 0 \)

In questo modo, abbiamo eliminato l’indeterminazione del limite, in quanto per la parte restante si ha una forma del tipo ∞ ∙ a che sappiamo essere infinito.

Possiamo, in generale, affermare che per ogni funzione razionale intera, il limite per x → ∞ è infinito:

\(\displaystyle \lim_{x\rightarrow \infty} f(x) = \infty \)

Il segno di tale limite si può determinare con la regola dei segni.

Limite delle funzioni razionali fratte

Per x → c (reale)

Una funzione razionale fratta è una funzione che si può esprimere come rapporto di polinomi, cioè del tipo:

\(\displaystyle f(x) = \frac{P(x)}{Q(x)}=\frac{a_nx^n+a_{n-1}x^{n-1}+\ldots+a_1x+a_0}{b_mx^m+b_{m-1}x^{m-1}+\ldots+b_1x+b_0} \)

Le funzioni che compaiono al numeratore e al denominatore sono funzioni continue per ogni x reale, quindi anche f(x) è una funzione continua su tutto R. Vediamo, ora, tra casi possibili che si possono presentare quando x → c:

  • Se Q(c) ≠ 0, essendo f(x) una funzione continua, il limite si può ottenere semplicemente calcolando il valore che f(x) assume per x = c, quindi: \[\lim_{x\rightarrow c} f(x) = f(c) \]
  • Se Q(c) = 0 e P(c) ≠ 0, abbiamo il limite di una funzione il cui denominatore tende a zero, mentre il numeratore tende ad una valore diverso da zero; sappiamo che questo limite fa infinito: \[\lim_{x\rightarrow c} f(x) = \infty \]
  • Se entrambe le funzioni in c assumono il valore zero, cioè Q(c) = 0 e P(c) = 0, allora ci troviamo di fronte alla forma indeterminata [ 0/0 ]. In questo caso, per eliminare l’indeterminazione, dobbiamo cercare di scomporre i polinomi in fattori e di semplificarli; ricordiamo che, per il teorema del resto, i polinomi sono divisibili per ( x – c ), quindi per scomporre in fattori numeratore e denominatore basterebbe dividerli per il binomio x-c.

Per x → ∞

Consideriamo il seguente limite:

\(\displaystyle \lim_{x\rightarrow \infty}\frac{a_nx^n+a_{n-1}x^{n-1}+\ldots+a_1x+a_0}{b_mx^m+b_{m-1}x^{m-1}+\ldots+b_1x+b_0}\)

cioè il limite per x → ∞ di una funzione razionale fratta.

Per le funzioni razionali intere, possiamo raccogliere a fattore comune la x di grado massimo, sia nel numeratore che nel denominatore:

\(\displaystyle \lim_{x\rightarrow \infty}\frac{x^n\Big(a_n+\frac{a_{n-1}}{x}+\ldots+\frac{a_1}{x^{n-1}}+\frac{a_0}{x^n}\Big)}{x^n\Big(b_m+\frac{b_{m-1}}{x}+\ldots+\frac{b_1}{x^{n-1}}+\frac{b_0}{x^n}\Big)} = \)

\(\displaystyle = \lim_{x\rightarrow \infty} x^{n-m} \frac{a_n+\frac{a_{n-1}}{x}+\ldots+\frac{a_1}{x^{n-1}}+\frac{a_0}{x^n}}{b_n+\frac{b_{n-1}}{x}+\ldots+\frac{b_1}{x^{n-1}}+\frac{b_0}{x^n}} \)

Notiamo ora che, dato che x tende all’infinito, tutte le frazioni che hanno una potenza di x al denominatore tendono a zero, quindi il valore del limite dipende solo dai monomi di grado massimo del numeratore e del denominatore. Distinguiamo tre casi:

  • Se n > m, l’esponente di x è positivo, quindi il limite della funzione è infinito; in particolare, si ha che: \[ \lim_{x\rightarrow +\infty} x^{n-m} = +\infty\,\,\,\, , \,\,\,\, \lim_{x\rightarrow -\infty} x^{n-m} = \begin{cases} +\infty & n-m & \mbox{pari} \\ -\infty & n-m  &\mbox{dispari} \end{cases} \]
  • Se n < m, l’esponente di x è negativo, quindi x si trova al denominatore di una frazione e, tendendo all’infinito, fa tendere l’intera frazione a zero: \[\lim_{x\rightarrow \infty} x^{n-m} = \lim_{x\rightarrow\infty} \frac{1}{x^{m-n}} = 0 \]
  • Se n = m, allora l’esponente di x è uguale a zero, quindi la potenza di x, con esponente n – m, è uguale ad 1; il limite della funzione dipende, quindi, dal rapporto dei coefficienti della x di grado massimo dei due polinomi: \[\lim_{x\rightarrow \infty}x^{n-m} = \lim_{x\rightarrow \infty} 1 = 1 \Rightarrow \lim_{x\rightarrow\infty} f(x) = \frac{a_n}{b_n} \]

 

Continuità delle funzioni goniometriche

Continuità di sen x e cos x

Le funzioni sen x e cos x sono continue per ogni x reale, quindi possiamo scrivere:

\( \displaystyle\lim_{x \rightarrow c} \sin (x) = \sin (c) \, \, \, \, , \, \, \, \, \forall  c \in \mathbb{R} \)
\( \displaystyle\lim_{x \rightarrow c} \cos (x) = \cos (c) \, \, \, \, , \, \, \, \, \forall  c \in \mathbb{R} \)

Esempio: Calcoliamo il limite:

\[ \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} (x \cdot \sin x \cos x) \]

Sappiamo che il limite del prodotto di funzioni è uguale al prodotto di dei limiti delle funzioni stesse, quindi:

\[ \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} (x \cdot \sin x \cos x) = \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2} } x \cdot \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} \sin x \cdot \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} \cos x \]

E, poiché tutte le funzioni che compaiono sono continue, il limite per x che tende a π/2 di ciascuna funzione equivale al valore che la funzione stessa assume per x = π/2:

\[ \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} x = \frac{\pi}{2} \, \, , \, \,\lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} \sin x = \sin \frac{\pi}{2} = 1 \,\,  , \, \, \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} \cos x = \cos\frac{\pi}{2} = 0 \]

Di conseguenza, il limite di partenza è dato da:

\[ \lim_{x \rightarrow \frac{\pi}{2}} (x \cdot \sin x \cos x) = \frac{\pi}{2} \cdot 1 \cdot 0 = 0 \]

Continuità delle funzioni tg x e ctg x

Abbiamo appena visto che le funzioni sen x e cos x sono continue per ogni x reale; sappiamo, inoltre, che se due funzioni sono continue in un certo intervallo I, anche il loro rapporto è una funzione continua in I, nei punti che non annullano il denominatore della frazione.

Con queste premesse, possiamo affermare che anche la funzione tangente, che è data dal rapporto di sen x e cos x, è una funzione continua in tutto R, esclusi i valori che annullano cos x; è quindi, una funzione continua nel suo dominio:

\( \displaystyle\lim_{x \rightarrow c} \tan (x) = \lim_{x \rightarrow c} \frac{\sin(x)}{\cos(x)} = \frac{\sin(c)}{\cos(c)}\, \, \, \, , \,\,\,\, \forall x \ne \frac{\pi}{2} + k\pi \)

Un discorso analogo può essere fatto per la funzione cotangente, in quanto rapporto di cos x e sen x; anch’essa è continua in tutto il suo dominio, cioè in R tranne i valori che annullano sen x:

\( \displaystyle \lim_{x \rightarrow c} \cot (x) = \lim_{x \rightarrow c} \frac{\cos(x)}{\sin(x)} = \frac{\cos(c)}{\sin(c)} \,\,\,\, , \,\,\,\, \forall x \ne k\pi \)

Continuità del valore assoluto di una funzione

Il limite del valore assoluto di una funzione equivale al valore assoluto del limite della funzione stessa.

Quindi, se una funzione f(x) è continua in un punto c, o in un intervallo I, anche la funzione valore assoluto, di equazione y = |f(x)| è continua in c, o in I, infatti, si ha che:

\(\displaystyle \lim_{x \rightarrow c} f(x) = f(c) = l \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} |f(x)| = |f(c)| = |l| \)

Limite e continuità della radice di una funzione

Teorema: Se una funzione f(x) tende ad un limite l, maggiore di zero, allora la funzione radice ennesima di f(x) tende alla radice ennesima di l, per ogni n positivo:

\(\displaystyle \lim_{x \rightarrow c} f(x) = l\,\,\,\, , \,\,\,\\, l \gt 0 \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} \sqrt[n]{f(x)} = \sqrt[n]{l}\,\,\,\, , \,\,\,\, n \in \mathbb{N_0} \)

Nel caso, invece, in cui il limite l sia negativo, il teorema è valido solo nel caso in cui n sia dispari.

Esempio: Calcoliamo il limite della seguente funzione, per x che tende a 1, per difetto:

\[ \lim_{x \rightarrow 1^{-}} \sqrt[4]{1-x^2} \]

Sappiamo che il limite di una radice quarta equivale alla radice quarta del limite del radicando, quindi abbiamo che:

\[ \lim_{x \rightarrow 1^{-}} \sqrt[4]{1-x^2} = \sqrt[4]{\lim_{x\rightarrow 1^{-}} (1 – x^2)} \]

Il radicando è un polinomio in x, ed è quindi una funzione continua; sappiamo che, nel caso di funzioni continue, il limite per x che tende ad un valore finito coincide con il valore che la funzione assume nel punto, quindi abbiamo che:

\[ \lim_{x \rightarrow 1^{-}} (1 – x^2) = 1 – (1^{-})^2 = 1 – 1 = 0 \]

Notiamo che, è possibile calcolare il limite della funzione in quanto, poiché il radicando della funzione risulta maggiore o uguale a zero per valori di x tali che -1 ≤ x ≤ 1, la funzione \( f(x) = 1 – x^2 \) risulta maggiore di zero in un intorno sinistro di 1.

A questo punto, possiamo concludere che la funzione di partenza tende proprio a zero, in quanto la radice quarta di zero è zero:

\[ \lim_{x \rightarrow 1^{-}} \sqrt[4]{1-x^2} = \sqrt[4]{0} = 0 \]

Se volessimo determinare l’insieme di continuità della funzione precedente, non dobbiamo far altro che determinare il dominio della funzione; infatti, sappiamo che il radicando, essendo un polinomio, è una funzione continua per ogni x, mentre la funzione radice quarta è una funzione continua per ogni x appartenente al dominio.

Calcoliamo quindi il dominio della funzione:

\[ 1 – x^2 \ge 0 \Rightarrow -1 \le x \le 1 \]

La funzione, quindi, risulta essere continua per ogni x appartenente all’intervallo [ -1; 1 ].

 

Limiti e funzioni continue

Prodotto di funzioni continue

Sappiamo che il limite del prodotto due funzioni è uguale al prodotto dei limiti delle due funzioni.

Nel caso di funzioni continue, possiamo affermare che il prodotto di due funzioni continue, in un punto c, è una funzione continua nel punto c.

Inoltre, il prodotto di funzioni continue in un intervallo I è una funzione continua nell’intervallo I.

Questa nozione sul prodotto di funzioni continue è valida anche nel caso di più di due funzioni moltiplicate tra loro; inoltre, lo stesso discorso si può fare nel caso della funzione potenza, che non è altro che il prodotto di una funzione per se stessa, più volte.

Continuità delle funzioni razionali intere

Come sappiamo, la funzione di equazione y = x è una funzione continua in tutto R; possiamo quindi affermare che, anche la funzione potenza n-esima, \( y = x^n \) è una funzione continua in tutto R.

Di conseguenza, anche il prodotto della funzione potenza per un numero reale

\[ y = a \cdot x^n \]

è una funzione continua in R.

Quindi, una funzione che ha come espressione analitica un monomio nella variabile x è continua per ogni x reale.

Sapendo che la somma di funzioni continue è anch’essa una funzione continua, possiamo affermare che una funzione che ha come espressione analitica un polinomio, somma di monomi, che sono funzioni continue, è certamente una funzione continua.

Quindi, possiamo generalizzare e affermare che ogni funzione razionale intera del tipo y = P(x), dove P(x) è un polinomio in x, è continua per ogni valore di x reale; quindi, per ogni c reale, si ha:

\[ \lim_{x \rightarrow c} P(x) = P(c) \]

Limite del quoziente di due funzioni

Teorema: Se una funzione f(x) tende ad un limite finito l diverso da zero, per x → c, allora la funzione reciproca, 1/f(x), sempre per x → c, tende al limite 1/l:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = l \Rightarrow \lim_{x \rightarrow c} \frac{1}{f(x)} = \frac{1}{l} \]

Teorema: Il limite del quoziente di due funzioni, delle quali la seconda tende ad un limite diverso da zero, è uguale al quoziente dei limiti, cioè:

\[ \lim_{x \rightarrow c} \frac{f(x)}{g(x)} =

In particolare, possiamo notare che:

  • se la funzione f(x) tende ad un limite l ≠ 0, e la funzione g(x) tende a zero, allora il rapporto delle due funzioni tende all’infinito: \( \frac{l}{0} = \infty \);
  • se la funzione f(x) tende all’infinito, e la funzione g(x) tende ad un valore l (che può anche essere zero), allora il rapporto delle due funzioni tende all’infinito: \( \frac{\infty}{l} = \frac{\infty}{0} = \infty \);
  • se la funzione f(x) ha limite l (che può anche essere zero) e la funzione g(x) tende all’infinito, il rapporto tende a zero: \( \frac{l}{\infty} = \frac{0}{\infty} = 0 \).

Negli altri casi, cioè quando entrambe le funzioni tendono a zero, o quando entrambe tendono all’infinito, non si può dire niente riguardo il limite del loro rapporto; in questo caso, si parla di forme di indecisione, o forme indeterminate \( \frac{0}{0}; \frac{\infty}{\infty} \).

Quoziente di funzioni continue

Dal teorema precedente, possiamo affermare che il quoziente di due funzioni continue in un punto c è una funzione continua nello stesso punto, tranne nel caso in cui la funzione al denominatore si annulli nel punto c.

Allo stesso modo, se due funzioni sono continue in un intervallo I, anche il loro rapporto è una funzione continua in tutti i punti dell’intervallo in cui la funzione divisore è diversa da zero.

Se consideriamo una funzione del tipo:

\[ \frac{P(x)}{Q(x)} \]

dove, P(x) e Q(x) sono polinomi, sapendo che un polinomio è una funzione continua per ogni valore di x, possiamo affermare che: una funzione razionale fratta è continua per tutti i valori di x che non annullano il denominatore.

Altro materiale di supporto

Videolezione sui limiti e le funzioni continue utile anche per imparare la terminologia inglese.